Ho sempre pensato che un gabbiano godesse di una libertà invidiabile: volare, costruendo melodie sulle variabili armonie del mare, come, quando e con chi vuole. Per questo ho sempre interposto tra loro e me quella che amo definire una distanza poetica. Sì, perche quel volo e quel canto sono pura poesia!
In realtà, non avevo tenuto conto che il processo di globalizzazione esporta, importa e sposta sapori, profumi e afrori che non fanno distinzione di palati e olfatti, dando e togliendo secondo regole di mercato che faccio fatica a conoscere io, figuriamoci un piccione.
Qui, sulle sponde del Liffey, rifletto, mentre piccoli stormi di questi amici librano in un cielo che una pioggia battente ha da poco alleggerito. Il loro garrito mi fa percepire il mare e sto bene. Un raggio di sole proietta proprio davanti a me l'ombra grande di uno di questi amici che, ad ali spiegate, vola poco sopra la mia testa. Alzo lo sguardo e osservo il suo volo che prende la direzione del quartiere dove alloggio ormai da cinque giorni. Proprio da quelle parti, qualche sera avanti, mi sono imbattuto in un piccione enorme - o almeno pareva agli occhi di chi non ne aveva mai visto uno così da vicino - che con il becco adunco aveva afferrato il sacco nero dei rifiuti lasciati poco distante dall'entrata di uno dei tanti ristoranti etnici che popolano la via principale del quertiere. Reimposto la distanza che non è più poetica e mi lascio attrarre da una prosaica e immobile osservazione. Abilità, voracità e sprezzo di ogni possibile pericolo potesse presentarsi. Questo volatile merita tutta la mia ammirazione e il perdono, esteso ai suoi compagni di volo, per quei garriti notturni che, lungi dall'essere qualcosa di romantico, mi hanno tenuto parecchio sveglio (ora capisco lo scopo di quel cestino colmo di tappi per le orecchie posto sul bancone all'ingresso dello studentato), consentendomi, tuttavia, di raccontare le mie giornate dublinesi.