L' angolo degli scrittori

La fuga di Angelica, rivisitazione di 2F

Il boschetto era fitto con alberi alti e grossi il venticello muoveva le foglie che profumavano l’aria di olmi, querce e faggi, ed era così grande che Angelica impiegò un giorno, una notte interi e un mezzo giorno per scappare da Rinaldo.

Accadde però qualcosa di imprevisto: Angelica si accorse piano piano che il bosco dove era fuggita non era lo stesso di prima, fitto e pauroso, ma era diventato un luogo accogliente, dove il cinguettio degli uccellini e lo scrosciare dell’acqua limpida del ruscello creavano una melodia piacevole.

Il cavallo di Angelica si servì del fiume per rinfrescarsi e riposarsi nei dintorni.

L’erba morbida e fresca era l'ideale per dormire un po’ ma non così allo scoperto. Ecco che la fanciulla vide un cespuglio ornato con delle belle rose, proprio ciò di cui aveva bisogno per nascondersi da Rinaldo e poter finalmente riposare.

Le foglie del cespuglio le facevano una delicata ombra e il buon profumo delle foglie rendeva il sonno più piacevole. L’erba creava un morbido materasso che sembrava fatto proprio per riposare.

I tranquilli rumori del boschetto rendevano il posto un paradiso.

Emanuele


Tutto intorno ad Angelica era buio, non vedeva nemmeno uno spiraglio di luce, quando attraversando degli alberi si accorse che la forcina d’argento che portava in testa stava luccicando grazie alla luce del sole.

Seguendo quello spiraglio di luce arrivò fuori dal bosco, era così stanca che vide un mucchio di foglie colorate, autunnali e in un attimo si ritrovò circondata da tutti i colori dell'autunno, verde, arancione, rosso, giallo come se fosse in un arcobaleno.

Si fece cullare dal fruscio del vento che le accarezzava dolcemente la faccia, le sue orecchie udivano il rumore dei due ruscelli che sbattevano contro le rocce.

Dopo qualche ora si risvegliò e le sembrò di essere in paradiso, il cielo era tutto azzurro con nuvole che sembravano pecorelle, era rimasta al caldo e all'asciutto grazie alle foglie da cui era circondata, si alzò e andò a sciacquarsi la faccia in uno dei due ruscelli dall'acqua trasparente dove ci si poteva perfino specchiare.

Oltre a quei due ruscelli, un po’ più in là si trovava un immenso campo dove si trovavano i fiori più belli che lei avesse mai visto, rose rosse e bianche, tulipani, calle,orchidee e tanti altri, ora sì che era un paradiso completo.

Emma

Il pappagallo Luna, di Lisa M. di 1F

DESCRIZIONE SOGGETTIVA DI UN ANIMALE

L’ animale che sto per descrivere è un pappagallo e si chiama Luna. Anche se non c’è più da qualche anno, ve la descrivo come se fosse ancora vicino a me perché a volte ho ancora questa impressione.

Fa parte della razza “amazzone ali arancioni”. E’ poco più grande di un colombo ma ha la corporatura più robusta; ha un becco grosso e ricurvo con il quale riesce a rompere il guscio delle noccioline e non parliamo di cosa succede quando si mette a rosicchiare tutto quello che gli capita a tiro: sembra una macchina tritatutto. Ha le zampe grosse, rugose con tre dita e delle unghie appuntite che gli permettono di aggrapparsi su tutte le pareti della sua gabbia.

La maggior parte del suo piumaggio è di color verde pisello con delle macchie gialle sulle guance e sulla testa. La parte finale delle ali ha delle piume arancioni e blu, molto belle. Fa un verso piuttosto acuto e a volte fastidioso.

La sua gabbietta è in garage sempre con la porticina aperta, così quando ha voglia si fa un giretto in giardino. Il suo modo di camminare è strano e buffo e assomiglia a quello di un pinguino e quando ha fretta le viene più spontaneo camminare di lato. Le piace molto quando le facciamo il bagnetto con lo spruzzino: apre tutte le ali e fa dei versi che sembra borbotti.

Mangia semi, frutta, verdura e va matta quando sente il profumo di cose fritte; infatti quando le dai una patatina fritta non ha pazienza di aspettare che si raffreddi e così si scotta.

E’ molto paurosa delle persone che non conosce e quando sente suonare il campanello corre immediatamente a rifugiarsi nella sua gabbietta. Quando ha voglia di coccole si avvicina piano piano e ti tocca con il becco la punta del piede perché vuole che le gratti la testa. Per farti capire che le piace raddrizza tutte le piume del collo e sembra che abbia una criniera. E’ birichina perché ha paura solo del mio papà, mentre con noi vuole fare lei la “padrona”.

Purtroppo tre anni fa durante l’inverno è scappata e non siamo più riusciti a trovarla.

Sebbene qualche volta mi beccava e mi faceva male, sento lo stesso la sua mancanza e quando esco in giardino mi sembra di vederla gironzolare di qua e di là.

23/04/2020 Lisa M. di 1F

Per la giornata contro il lavoro minorile pubblichiamo due testi di 3E

Ad Iqbal e a Malala vorrei dire...


Anche io ho avuto dei momenti difficili nella mia vita.

Sai, quando ti capita ti senti solo in mezzo ad un sacco di persone e pensi: ”Perché proprio a me?”, ma devi avere la forza di reagire, proprio come hai fatto tu.

Definisco la scuola una fortuna che non tutti possono avere, non solo a causa dello sfruttamento minorile, ma anche per la povertà.

Ci rendiamo conto della luce solo quando vediamo le tenebre.

Molti ragazzi come me, credono nelle sue parole e sperano che un giorno le persone pakistane possano godere oltre che al diritto allo studio anche alla non violenza.

Mattia B.C. 3E

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Sandrigo, 31/10/93

Caro Iqbal,

io mi chiamo Francesco e ho 13 anni e frequento la scuola media di Sandrigo. A scuola stiamo trattando l’argomento ragazzi e ragazze in guerra e per questo ho pensato di scriverti.

Abbiamo letto il libro che raccontava la tua storia e sono rimasto molto colpito dalla determinazione che hai in quello che fai.

Il fatto di liberare tutti quei ragazzini dalla schiavitù è stata una cosa fantastica perchè, se fossi stato io, dopo mi sarei disinteressato degli altri ragazzini e me ne sarei andato.

Io sono stato fortunato perchè sono nato in una famiglia e in un paese benestanti e quindi non mi è mai mancato niente: vado a scuola, gioco a calcio e ho molti amici con cui mi trovo spesso.

Una delle mie più grandi soddisfazioni nell’ambito scolastico è stato quando mi sono qualificato ai giochi matematici organizzati dalla Bocconi, è stata un’esperienza unica.

Uno dei momenti più difficili lo sto vivendo in questo periodo perchè mi trovo a scegliere la scuola superiore.

In genere però la scuola la vivo bene, non mi stressa e non è troppo pesante.

E’ bello imparare cose nuove e farlo magari con attività pratiche o alternative.

Una delle mie più grandi passioni è giocare a calcio perché mi diverte molto e poi è l’occasione per stare con i miei amici. Il mio sogno è giocare una partita di Champions league ad Anfield, lo stadio del Liverpool. Non penso di riuscirci, ma lo spero.

Ti auguro che in futuro tu possa ritrovare la tua famiglia e magari andare a scuola, essere istruito, trovare un lavoro e realizzare i tuoi sogni.

Ti saluto

Francesco T.




Avventura in Brasile, di Giulio P. di 1B

Diario di bordo Brasile, 1847, foreste dell'Amazzonia. Primo giorno di spedizione.

Ed ecco, dopo molte ore di viaggio dall'Inghilterra, abbiamo sorvolato l'intero Pacifico, e cominciamo a scorgere il sud America. Stiamo per sorvolare una delle macchie verdi più grande al mondo: l’Amazzonia, una delle poche foreste non ancora antropizzate; alberi alti più di nove metri, gli ecosistemi con più varietà di fauna e flora al mondo... Tutto questo è magnifico. Il nostro piccolo aereo sta atterrando, la foresta ora ha lasciato il posto alla città. Appena ci fermiamo il pilota fa cenno a me e Ton di scendere. Ci incamminiamo insieme fino all’uscita fuori dall'aeroporto dove ci aspetta già la nostra jeep per la spedizione. Saliamo e partiamo. Siamo in viaggio da circa due ore, Ton come sempre sta dormendo, ma io, invece, sono occupato a contemplare gli splendidi paesaggi e a fare qualche disegno. Tra poco ci inoltreremo nella fitta vegetazione attraverso strette stradine sterrate. Dopo essere un po' entrati nella foresta l'autista ferma di colpo la vettura e scende. Scendiamo anche noi con lui. Apriamo il portabagagli e da un borsone tira fuori due fucili da caccia grossa e un paio di scatole con dentro una quarantina di proiettili l'una. Ci dice che in queste zone desolate sono molto frequenti imboscate di banditi che rubano i bagagli dei viaggiatori e visitatori, sperando di trovarci qualche cosa di valore, e possono essere anche pericolosi spingendosi anche ad uccidere. Quindi ci invita a salire sul tetto della jeep e restare appostati con i fucili. Nell' attesa ci guardiamo intorno. Il clima è cambiato, da caldo è mutato in afa, è molto umido qui. Gli alberi intorno a me e Ton sono molto alti e con le loro grandi chiome permettono alla luce di entrare solo in certi punti. Il viaggio in jeep è riuscito senza intoppi e arriviamo in fondo alla strada dove si trova un piccolo edificio in legno, l'ultima tappa prima dell'esplorazione. Giunti alla casetta scarichiamo gli zaini, salutiamo, ringraziamo e paghiamo l'autista che se ne va. Ora siamo da soli. Non ci resta che incamminarci e partire all'avventura. Ci inoltriamo un po', ma ormai comincia a fare buio. Ton fa strada aprendosi un varco nella boscaglia con il suo lungo e pesante machete, mentre io mi guardo intorno per cercare un luogo dove accamparci. Tutto d'un tratto Ton si ferma, per sbaglio gli vado addosso, ma lui non si muove. Quasi non lo sento respirare. Mi sporgo un attimo per vedere cosa succede davanti a lui: un proiettile da cerbottana, di quelli con la punta avvelenata, era passato come un razzo e si era andato a piantare sull'albero accanto. Stiamo immobili per qualche secondo. Il silenzio si interrompe quando dagli alberi più in là si leva uno stormo di pappagalli spaventati, segno di presenza di qualcosa o qualcuno nei paraggi; da una piccola altura, da delle rocce spunta una lunga canna, sembrerebbe di bambù, decorata con spaghi intrecciati e pendagli colorati. Tutto d'un tratto dalla cerbottana parte un proiettile. Ci gettiamo a terra per schivarlo, non esito a tirare fuori il revolver dal giaccone mimetico. Strisciamo silenziosamente un po' più avanti nella vegetazione, sparo addosso alla cerbottana che si spezza in due, lo sparo rimbomba intorno a noi. Cala di nuovo il silenzio, fino a quando l'indigeno spaventato scappa a gambe levate. Decidiamo di accamparci lì per la notte e cominciamo a montare l'attrezzatura da campeggio, accendiamo un piccolo falò, montiamo le zanzariere, mangiamo e andiamo a dormire ripensando all'accaduto.

Secondo giorno di spedizione.

Oggi, appena svegliati sono uscito dalla tenda per vedere com'era il tempo, ma salito sul piccolo rilievo del giorno prima, scorsi, osservando i dintorni, delle ombre in lontananza avvicinarsi furtivamente. Corro ad avvisare Ton che non siamo soli, si alza con un balzo, prende il suo vecchio winchester e nel tentativo di far spaventare il gruppo spara un colpo per aria. Proiettile sprecato perché gli indigeni continuano ad avanzare imperterriti. Si sente il suono di un corno e ad un tratto cominciano a piovere frecce da tutte le parti. Ci ripariamo dietro alle rocce, prendiamo gli zaini e scappiamo. Nel mentre, però, una freccia colpisce e trapassa la mano sinistra di Ton. Ci nascondiamo dietro ad un albero; la mano sgorga sangue a non finire, gliela fascio con un vecchio straccio, prendiamo fiato e riprendiamo la corsa. Mentre corro sparo qualche colpo dietro di noi e ogni tanto qualche indigeno cade senza vita. La corsa continua ma non riusciamo a seminarli. Non ci accorgiamo che un giaguaro infastidito dal rumore era balzato giù dalle rocce su cui dormiva e ci sbarra la strada. Ci arrampichiamo su un albero con i rami che partivano bassi; aiuto Ton con la mano dolorante a salire. Il grosso felino fa per inseguirci, ma la sua attenzione viene attirata dagli indigeni che arrivano urlando. Subito non si muovono impietriti dalla paura, poi si girano e se la danno a gambe levate facendosi ,così inseguire dal felino e liberandoci di ogni problema. Più tardi scendiamo per assicurarci che la belva non torni indietro. Incamminandoci troviamo a terra una specie di mappa persa sicuramente da un indigeno nella fuga. Decidiamo di seguire le indicazioni e riusciamo ad arrivare alla piccola baracca. Lì usiamo il telefono satellitare per chiamare una jeep. Siamo arrivati all'ospedale e mentre stiamo correndo verso l'ingresso dico a Ton - Ehi, scusa per quello che è successo.- e lui risponde ridendo:- Non importa, mi passerà. Comunque la prossima volta andiamo in Alaska...


Il tesoro più grande di Matilde S. di 1A

Non lo avevo mai visto prima al “Cobra”, eppure tutta l'isola frequenta il bar di mio zio. Entrò dalla porta in legno massiccio con inserti in vetro, e con in rilievo un serpente con la bocca spalancata a mostrare le velenose zanne. Si guardò intorno, il bar era pieno di gente, e con fare furtivo si avviò verso un tavolino nell'angolo dietro la porta. Era il classico pirata di giovane età: capelli castani, unti e scompigliati, occhi misteriosi, cicatrice sulla guancia, tatuaggio di uno scorpione sul muscoloso braccio, di corporatura media, e spada appesa alla cintura. Il suo intento di passare inosservato fallì quando si avvicinò un uomo corpulento che, con fare minaccioso, posò le enormi mani sul tavolo del ragazzo esclamando:- Ehi, Jack!- .Jack si alzò di scattò e si precipitò dall'altra parte della sala. L'enorme uomo lo seguì mostrando i pugni. - Dacci ciò che ci appartiene!- urlò, mentre i suoi compari accerchiavano il ragazzo. Nonostante lo svantaggio numerico, Jack riuscì ad afferrare la spada e usando come scudo colui che per primo lo aveva intimidito, riuscì a raggiungere la porta del “Cobra”; lanciò il suo ostaggio contro i maldestri assalitori e si dileguò.

Lo intravidi dalla finestrella laterale del locale sgattaiolare in direzione del porto confondendosi tra la gente del mercato. Incuriosito decisi di seguirlo anche se il buonsenso mi diceva di restare al bar. Se aveva avuto la meglio su quegli energumeni cosa avrebbe fatto ad un ragazzino di 12 anni, mingherlino? Quando il ragazzo salì su una nave, non esitai e saltai anch'io dentro l'imbarcazione. All'improvviso, mi sentii schiacciato a terra, mi ritrovai con una lama sul collo e sopra di me c'era il misterioso ragazzo.

-Cosa vuoi da me, ragazzino?- esclamò Jack furioso.

-Ti ho visto al bar di mio zio e voglio diventare un pirata come te.- risposi io.

-Lascia perdere, ragazzo, e torna da dove sei venuto! La vita da pirati è molto pericolosa!-disse, ma proprio in quel mentre la nave salpò.

Dopo un momento di smarrimento, ci rendemmo conto che era troppo tardi per farmi scendere dalla nave e che avremmo dovuto fare il viaggio insieme.

-Ok, moccioso, verrai con me, ma non devi mai chiedere spiegazioni e farai ciò che ti dirò!-

Per i tre giorni e le tre notti successive navigammo, e anche se non passavo molto tempo con Jack, lui non si scordava mai di portarmi la mia razione di pane. Una mattina, mi svegliò, nei suoi occhi leggevo ansia e paura, e mi chiese:-Ehi, ragazzo, come ti chiami?-.

-Leonard. Perché?- gli risposi.

Mi infilò nella tasca interna del mio gilet un pezzo di carta ripiegato.

-Rimani nascosto nella stiva, e non scendere dalla barca per nessuna ragione!- disse e se ne andò.

Sentii un urlo:- Jack, dove sei finito!-

Guardai fuori dall'oblò e vidi Jack con le mani legate dietro la schiena, che veniva spinto giù dalla nave da un gruppo di pirati. Aspettai fino a quando il gruppo si allontanò e scesi dalla nave. Si erano diretti verso il palmeto. Incurante dell'avvertimento di Jack, lo seguii ancora una volta. Mi feci strada tra la vegetazione, e mi fermai solamente quando sentii:-Sei un imbroglione!-.

Mi nascosi dietro una pianta e vidi, con la coda dell'occhio, Jack legato ad un albero e un bucaniere che gli puntava il coltello nel petto, due pirati, ancora con il badile in mano, vicino ad una fossa profonda un paio di metri e altri filibustieri intorno a Jack.

-Uccidiamolo!-urlò un pirata.

Ma un altro lo incalzò:-No, facciamolo morire lentamente, di fame e di sete, sbranato dalle bestie feroci!-

Dopo urla di approvazione il gruppo se ne andò verso la nave. Quando fui sicuro che nei paraggi non ci fosse più nessuno bisbigliai:-Jack! Jack! Sono Leonard!- Lui si girò verso di me e tirò un sospiro di sollievo:-Sapevo che ci avresti seguito!-.

Raggiunsi Jack, lo slegai e gli chiesi:- Cosa volevano da te?- Jack si sedette per terra affianco a me e mi disse:-Sai quando ti dicevo che la vita da pirata è pericolosa?- e mi guardò negli occhi.

-Un giorno per caso, ho trovato questa,- e prese dal mio gilet il foglio ripiegato- il “Tesoro di Robinson Crusoe” . Ho fatto l'errore di non nasconderla bene ed un vecchio pirata me l'ha vista nella tasca. Da quel giorno non ho più avuto pace! In ogni posto in cui andavo trovavo qualcuno che diceva che la mappa era sua, e che gliela dovevo dare! Ho sentito che un gruppo di pirati si stava preparando per la partenza verso l'isola di cui parlava la mappa e ho chiesto di far parte dell'equipaggio! Ma anche loro avevano sentito di me e ieri sera ho ascoltato una loro conversazione in cui discutevano su come dividere tra loro il tesoro! Allora ho dato a te la vera mappa e ho tenuto con me quella falsa! Sapevo che si sarebbero sbarazzati di me anche se avessero trovato il tesoro! E tu sei stato la mia salvezza!- aveva gli occhi lucidi -Ora, Leo, ci manca solo trovare il tesoro e il modo di tornare a casa!-

Aprimmo la mappa, la orientammo correttamente aiutandoci col sole e trovammo subito il primo punto di riferimento: una grotta scavata nella roccia. Giunti all'imbocco della grotta scorgemmo un ruscello che scendeva dal monte, la nostra seconda tappa. Seguimmo passo passo tutte le indicazioni e finalmente scorgemmo il punto segnato con la “X”. Si trattava di una piccola insenatura dell'isola, dall'acqua cristallina e dalla finissima sabbia bianca. In un punto rientrante della baia, legata ad uno sperone di roccia c'era una piccola barca. Il volto di Jack si illuminò di gioia e urlò:- Il tesoro più grande per un naufrago!- e mi abbracciò- Siamo salvi!-

Io lo guardai esterrefatto:- Ma tu lo sapevi?-

-No, ma immaginavo non fosse il solito tesoro- e mi mostrò la mappa dove c'era scritto:” Solo chi attraverserà l'ombra che protegge, la fonte che disseta e seguirà tutte le mie indicazioni potrà trovare il Tesoro di Robinson Crusoe, ma solo il vero naufrago capirà il suo valore!”

Raccogliemmo alcune noci di cocco e banane, e partimmo verso casa. Al mio ritorno, mi aspettavo di essere messo in castigo dallo zio che invece, quando mi vide, mi abbracciò tremante di gioia e invitò Jack ad alloggiare a casa nostra. Jack rifiutò:- Sulla terraferma, non c'è posto per me! So vivere solo in balia delle onde del mare!

SCRIVERE LA GUERRA. UN PERCORSO DI RISCRITTURA E RIELABORAZIONE

prendendo spunto da due celebri romanzi sulla prima guerra mondiale: “La sigaretta” tratto da Un anno sull’altipiano di E. Lussu e “Io non ti volevo uccidere” da Niente di nuovo sul fronte occidentale di E. M. Remarque


La vita di un uomo dipende da me

Ormai sono qui in questo canale di terra e fango da quasi un anno, mi sembra ne siano passati dieci. Doveva essere una guerra lampo, invece, sono ancora qui coi miei compagni a soffrire, lontano dai cari e dalla famiglia.

Il mio compagno Gaetano è qui con me, ricorda ancora che quando eravamo piccoli giocavamo a fare la guerra e ci divertivamo tantissimo, mentre ora non stiamo giocando, ma stiamo mettendo a rischio la nostra vita.

I nemici sono proprio di fronte a noi, vogliono avanzare, corrono, corrono verso di noi. Mi sporgo per osservare meglio e il mio sguardo incrocia quello di un nemico a pochi metri da me. Un brivido lungo la schiena, la paura di morire, il terrore di non vedere più la propria famiglia, è questo che proviamo.

Io non ho la forza di sparare, alla fine lui non è un nemico, ha solo una divisa diversa dalla mia, ma dentro quello straccio siamo uguali. Ha una famiglia, una moglie che lo aspettano, non può lasciarli senza salutarli e questo dipende da me.

Filippo T. 3^E

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Asiago, 26 giugno 1917

Cari mamma e papà,

come va nei campi? E i miei fratellini come stanno?

Sono in questa trincea ormai da un anno e mezzo e pertanto sono sfinito, ma non preoccupatevi per me, il medico mi ha appena visitato e ha detto che posso stare tranquillo.

Vi scrivo per raccontarvi un fatto che mi è successo questa notte.

Era buio. Il fiume che scorre lungo il versante della montagna era dipinto di rosso e delle sagome sconosciute scendevano a valle trasportate dalla corrente impetuosa.

Ero di pattuglia da circa trenta minuti e d’un tratto vedo un ragazzino dietro un albero. Era molto più piccolo di me, sarà stato sicuramente un diciottenne.

Stava piangendo. Aveva un altro uomo tra le braccia, probabilmente un amico o un fratello.

Il mio mirino puntava dritto al suo cuore. Sentivo il suo battito velocissimo, forse per la paura di morire o forse per la tristezza di aver perso un compagno.

Fatto sta, che anche il mio cuore batteva all’impazzata. Mi tremavano le mani.

All’improvviso penso alla mia adolescenza e alla vita che quel ragazzo, portato qui con la forza, ha ancora davanti.

Sapete, ho pensato a voi in quel momento, a mia moglie e ho capito che anche io a casa ho una bambina che mi aspetta.

In trincea si rischia la vita ogni santo giorno solo per avanzare di qualche metro.

D’un tratto si volta, vede che lo sto puntando, lascia cadere a terra il corpo del compagno e alza le mani, come se si fosse già arreso.

Le lacrime scendevano dal suo viso come l’acqua di un torrente trasportata dal vento.

Dovevo decidere in fretta cosa fare: sparare o lasciarlo andare?

Non ci ho pensato due volte, ho abbassato il fucile.

Non potevo rovinare la vita di quel ragazzino e di una famiglia che lo aspetta a casa.

Si guadagna di più con la pace che con la guerra, eppure essa continua ad esistere, ma quelli che devono cambiare siamo noi.

Probabilmente quel “nemico”, che io vedevo come amico con la divisa diversa, si ricorderà per sempre quell’istante.

Se un giorno ci incontreremo, alla fine di questo macello, gli offrirò una birra, come se fosse un amico d’infanzia, un uomo.

Un grosso abbraccio.

Il vostro figliolo

Mattia C. 3^E




UNA LAMPADA PER ANNE di Isabel e Vilson 2B


Cara Anne,

mi manchi.

Io ti illuminavo le giornate e tu le illuminavi a me.

Sono rimasta sola e spenta, sopra una scrivania buia e senza vita.

Appena sei arrivata, sei corsa in camera ed io ero a guardarti, anche se tu non lo sapevi. Hai appoggiato la borsa e hai iniziato a scrivere sul tuo diario, dopo mi hai guardata e mi hai accesa, è stato bellissimo, ora avevo la certezza che ti potevo servire.

I giorni passavano e tu mi accendevi. Eri felice, triste, impaurita e arrabbiata, e se ti ricordi una volta mi hai fatto cadere dalla rabbia, ma dopo mi hai presa, mi hai accesa, e hai iniziato a scrivere.

Prima il mio unico amico era il povero ippocastano, che era in fin di vita, ma dopo sei arrivata tu e avevo qualcun altro da guardare.

Era il 12 giugno, il giorno del tuo compleanno, tutti erano abbastanza felici, ma non troppo per fare rumore, tuo padre ti aveva regalato una penna stilografica.

Ormai sono passati molti anni, tu ora avrai una vita felice con una famiglia, ma io no, sono chiusa dentro una scatola di vetro in un museo. Ora, e soltanto ora, posso capire cosa provavi quando eri in quel nascondiglio.

Con te ho passato degli anni meravigliosi, ti vorrò per sempre bene.

La tua lampada

Isabel e Vilson 2^B


CARA ANNA di Luce 2B

Cara Anna,

so che non sei più ad Amsterdam, ma io, dopo la tua partenza, ti assicuro di essere arrivato.

Sono sempre con te, in ogni momento.

Sono stato a lungo rinchiuso tra le pagine del tuo diario e le gocce d’inchiostro fino a quando, qualche anno fa, tuo padre mi liberò, mi “avverò”.

Dal momento in cui ho conosciuto il mondo tutti ti hanno stimato e lo fanno tuttora.

Avrei tanto voluto vederti, aiutarti nei momenti difficili, per tirarti su il morale, ma non ce l’ho fatta.

Sono riuscito però a far conoscere a tutti la tua storia così che non capiti più a nessuno.

Le uniche a conoscermi eravate tu e Kitty e ricordo quando noi tre ci facevamo compagnia nelle lunghe giornate d’inverno o d’estate, quando parlavamo e guardavamo il grande ippocastano che si trovava nel tuo giardino.

Ti voglio tanto bene e ti scrivo questa lettera perché tu sappia che le tue parole sono arrivate al mondo.

Mi manchi

Il tuo sogno

Luce 2^B


Ci "gustiamo" ora (è proprio il caso di dirlo!!) un esempio di lettera formale alla simpaticissima Benedetta Parodi, scritto da Nicole e Benedetta di 2B

Vicenza, 7 Gennaio 2020

Alla sig. Benedetta Parodi


Oggetto: Iscrizione all’edizione Bake Off Coppie


Gentilissima Benedetta,

la ringraziamo infinitamente per aver accettato la nostra richiesta di iscrizione alla gara.

Noi siamo Nicole e Benedetta e abbiamo una passione in comune: la pasticceria.

Viviamo in provincia di Vicenza dove abbiamo il nostro negozio di dolci in cui sforniamo le torte più buone del paese.

Siamo molto rinomate in città per il nostro cavallo di battaglia: la “Passion Cake”, che consiste in una torta allo yogurt, stratificata con un inserto alla marmellata del frutto della passione ed è decorata con della glassa a specchio, arancione che richiama l’ effetto marmo.

Ci piace lavorare in coppia perché ci aiutiamo l’una con l’altra e per questo siamo molto amiche.

Pur avendo seguito due percorsi diversi, sappiamo fare le stesse cose perché con il passare degli anni ci siamo istruite a vicenda.

Non realizziamo solo torte, ma sforniamo anche i biscotti e delle mini porzioni tutte con ingredienti naturali e ripiene di frutta.

Durante il periodo natalizio, come regali, vendiamo delle palline con dentro gli ingredienti per realizzare biscotti di vari gusti a casa e in compagnia, anche per i meno esperti.

Vendiamo anche tutto l’occorrente per fare i mug cake, cioè un dolce in tazza.

Ci immaginiamo sotto il tendone a creare dei dolci stravaganti e respirando un’aria di competizione, ma anche di amicizia.

Ovviamente non riusciremo mai a presentare la “torta perfetta”, ma speriamo che ci riescano dei piccoli capolavori.

Ci piacerebbe partecipare per arricchirci con consigli dei giudici in modo da migliorarci e per rafforzare il nostro lavoro di coppia.

La ringraziamo molto per l’attenzione e per lo spazio che ci ha donato per questa lettera.

Aspettiamo ansiosamente la sua risposta.

Distinti Saluti.

Benedetta e Nicole


Vi proponiamo un racconto storico, sotto forma di pagine di diario, ideato e scritto da una nostra compagna di 2F. Brava Gaia!

24 Agosto 1348

Caro Diario,

in questi giorni avvenimenti strani accadono a Firenze, sono andata a prendere la frutta al mercato in piazza e ho visto degli schiavi in vendita con strane protuberanze su viso, braccia e gambe, erano rosse, sembrava stessero per esplodere. Quando verso casa mi sono incamminata un’ombra piccola e grassottella ho visto dietro la casa di Ludovico de Filgrana, aveva due occhietti rossi che mi fissavano in maniera poco rassicurante. Pensavo fosse un gatto ma quando sono tornata a casa è passato veloce e silenzioso fuori dalla finestra: era un grosso e nero topo! Continuerò ad indagare su questa storia, caro diario, e ti terrò aggiornato in caso di novità.

Zingarelli Diana Maria

27 Agosto 1348

Caro Diario,

riguardo alla storia di tre giorni fa ho scoperto che gli schiavi che ho visto al mercato sono malati, ho origliato la conversazione tra una guardia e il suo superiore, questo è ciò che ha detto: -Signore, questi schiavi sono malati, alcuni son morti, altri hanno febbre alta, tosse o influenza, e tutti o quasi presentano insolite escrescenze sulla pelle, non possiamo venderli in queste condizioni!

Dopo aver sentito ciò, tornando a casa, ho incontrato uomini con enormi prominenze e perciò, incuriosita da questa storia, mi sono informata. Sono andata a chiedere a dei miei coetanei se ne sapevano qualcosa in più di me e alcuni di loro, soprattutto quelli i cui padri erano dottori o studiosi, hanno risposto che probabilmente si stava diffondendo una specie di malattia portata dalle navi attraccate qua a Firenze. Cercherò altre informazioni.

Zingarelli Diana Maria

29 Agosto 1348

Caro Diario,

oggi mio padre è tornato da lavoro con sporgenze simili a quelle degli schiavi del mercato e non stava molto bene, era pallido e privo di vitalità, lui diceva di sentirsi in forma ma sapevo che così non era.

Zingarelli Diana Maria

31 Agosto 1348

Caro Diario,

al giornale si annuncia la diffusione di una epidemia: “La Peste Nera” o qualcosa di simile; sembra sia portata dalle navi e per questo sono stati bloccati i porti. Mio padre è malato: lo sapevo! Siamo una famiglia ricca e ci possiamo permettere le cure necessarie; qualche volta a casa viene un dottore con una strana maschera, sembra quasi un becco. Questo medico estrae sangue a mio padre ma mia madre non mi fa assistere alla scena; questa pratica viene chiamata “Salasso”. Ho paura per mio padre, non posso stargli vicino né dare a lui un po’ di conforto. A presto.

Zingarelli Diana Maria

10 Settembre 1348

Caro Diario,

devi scusarmi per la mia prolungata assenza dovuta alla morte di mio padre e al trasferimento fuori città, lontano da tutta la sofferenza e dalla malattia. Ci siamo trasferiti per non aver più contatti con quella maledetta epidemia che mi ha portato via l’uomo più importante della mia vita. Speriamo funzioni questo metodo anche perché molti soldi nostri sono stati usati per comprare mobili e vestiti nuovi dato che quelli che in precedenza avevamo potevano essere infetti. Mi scuso in anticipo se non ti scriverò per un po’ ma ora la priorità è stare vicina a mia madre.

Zingarelli Diana Maria

2 Ottobre 1348

Caro Diario,

qui tutto a posto, l’epidemia continua ma noi stiamo bene, spero di rivederti presto, questo era solo un piccolo aggiornamento.

Zingarelli Diana Maria

17/12/2019 Gaia F. 2ªF

Ecco ora una valida riflessione di un nostro compagno di 3E sulla scelta della scuola superiore.

In questo periodo mi trovo a pensare al mio futuro: mi aspetta una scelta importante, quella della scuola superiore. Alcune persone mi stanno aiutando, tra queste i miei genitori che mi supportano e mi consigliano su quale percorso potrei seguire nei prossimi cinque anni. Il loro parere è molto importante per me, perchè mi posso fare un’idea di quello che potrebbero prevedere per il mio futuro, ma penso che la scelta spetti a me e che non debba essere influenzato né dai miei genitori né tantomeno dai miei amici, anche se non tralascio i loro consigli. Mio fratello maggiore, ad esempio, ha frequentato la scuola che desiderava e molto probabilmente quest’anno finirà l’università, andando poi a fare quello che gli piace e i miei genitori non gli hanno imposto niente. Mia sorella, invece, ha frequentato un istituto tecnico e quest’anno ha cominciato a lavorare, ma l’anno prossimo vuole iniziare l’università. Loro due hanno fatto scelte diverse, ma entrambi le hanno fatte autonomamente, perché è in gioco il loro futuro e ogni individuo deve decidere con il cuore e con il cervello e non lasciare che i genitori o altre persone scelgano per lui. Sono disposto ad ammettere che la madre e il padre di alcuni ragazzi impongono scelte azzeccate. Il figlio, spesso, considera solo un’opzione, invece, dopo aver provato a fare quello che gli hanno ordinato i propri genitori, se gli piace, comincia a praticare quell'attività costantemente e li ringrazia per avergliela fatta scoprire. Queste idee dipendono soprattutto dal carattere dei genitori e dallo spazio che lasciano ai propri figli; questi ultimi non possono farci niente se il proprio padre o la propria madre sono troppo protettivi e decidono per loro. Io rimango fortemente convinto che i genitori debbano lasciare la scelta ai figli e che siano, inoltre, l’esempio fondamentale che ogni ragazzo deve avere nella propria vita. Devono destinare almeno le decisioni più importanti ai loro ragazzi, lasciando lo spazio e il tempo necessari per decidere.

17/12/2019 M.B.C. 3^E