Sapere Sapore - le storie di Italo Calvino

SAPERE SAPORE

Il viaggio dei sensi di Italo Calvino

Calvino si definiva Sanremese, ma era nato a Santiago de las Vargas, a Cuba, dove la famiglia si trovava per lavoro. Di questa breve parentesi (aveva due anni quando tornò in Italia) qualcosa deve essere comunque rimasta, basta leggere Sapore, sapere (poi pubblicato col titolo Sotto il sole giaguaro) per perdersi in un delirio di sapori-odori-sensazioni così forti come solo l’America latina riesce a spandere. E questa sua ricerca “sensuale” attraversa, sia pure di striscio, tutta la sua produzione letteraria, dagli inizi di Ultimo viene il corvo e Il sentiero dei nidi di ragno a Palomar, dove i sensi sovraeccitati diventano strumenti, anche se spesso fragili e fallaci, di indagine del mondo.

In una conferenza del 1983 all’Institute for the Humanities di New York, parlando di quello che diventerà in futuro Sapore, sapere, Calvino precisa: “Il mio problema scrivendo questo libro è che il mio olfatto non è molto sviluppato, manco d’attenzione auditiva, non sono un buongustaio, la mia sensibilità tattile è approssimativa e sono miope”.[1]. Paradossalmente è proprio questo sentirsi carente nei cinque sensi che diventa uno stimolo straordinario alla ricerca delle sensazioni più minute, all’analisi di quello che si può recuperare di un sapere antichissimo, quasi, ma non del tutto perduto.

“L’uomo che non leggeva sapeva vedere e udire tante cose che noi non percepiamo più: le tracce delle belve che cacciava, i segni dell’avvicinarsi della pioggia o del vento; riconosceva le ore del giorno dall’ombra di un albero e quelle della notte dall’altezza delle stelle sull’orizzonte. E quanto a udito, odorato, gusto, tatto, la sua superiorità su di noi non può essere messa in dubbio. Detto questo è bene chiarire che non sono venuto qui a proporre un ritorno all’analfabetismo per recuperare il sapere delle tribù paleolitiche. Rimpiango tutto ciò che possiamo aver perduto, ma non dimentico mai che i guadagni superano le perdite. Quello che sto cercando di capire è quel che possiamo fare oggi”.[2]

Ebbene, oggi il percorso dei sensi è infinitamente più lungo e complesso di quello che poteva essere per i nostri lontani progenitori, eppure Calvino è convinto che sia ancora possibile; certo battendo una strada diversa, arrivandoci per via di cultura piuttosto che di natura, consapevole che i sensi si allenano esattamente come i muscoli e il cervello e quindi che non tutto è andato perduto.

MARCOVALDO

o Le stagioni in città.

Marcovaldo, pubblicato nel 1963, racconta un’Italia che sembra lontana come la luna. Un’Italia operaia e dignitosamente povera ma piena di sogni. Un’Italia dove nella pausa pranzo non si va al self service, ma si apre con trepida speranza la pietanziera; dove si vanno a fare le sabbiature su lidi già colonizzati dagli ombrelloni; dove la pubblicità è ancora un meraviglioso giocattolo scintillante. È però anche un’Italia in cui comincia a vagheggiarsi quell’idillio (mai esistito) della vita agreste, della campagna che si contrappone coi suoi ritmi lenti alla voracità del mostro industriale (Là dove c’era l’erba ora c’è una città - Com’è bella la città, com’è allegra la città…)[3]. E’ un’Italia in cui si comincia a parlare di inquinamento, di follia consumistica, di speculazione edilizia.

Marcovaldo, candido e ottimista, attraversa la città come un paradossale marziano: un “Buon Selvaggio” esiliato nella città industriale[4]. Nella città cerca un sogno di ritorno alla natura che spesso si incarna nel sogno di qualcosa non solo di più abbondante da mangiare, ma anche di diverso. Quando il bicchiere di vino o la tazzina di caffè sono ancora un piccolo lusso e quando per pranzo si ritrovano i magri avanzi della cena, un fritto di cervella, un piccione tiglioso catturato sul balcone, un piatto di funghi o di pesce o un arrosto di coniglio diventano golosità lungamente agognate. Purtroppo per Marcovaldo questi tentativi di uscire da una routine alimentare fatta di sostanziosi piatti unici (ma di scarse porzioni), spesso riscaldati più volte, finiscono inevitabilmente in una cocente delusione.

I racconti cominciano proprio con un piatto di funghi.

“Un giorno, sulla striscia d’aiola di un corso cittadino, capitò chissà donde una ventata di spore, e ci germinarono dei funghi”.

Funghi prima adocchiati con la gelosia del cercatore (Il posto dei funghi lo so io e solo io), poi generosamente e festosamente condivisi (Sono cresciuti dei funghi qui nel corso! Venite con me! Ce n’è per tutti!), infine amaramente indigesti (Ma si rividero presto, anzi la sera stessa, nella medesima corsia d’ospedale, dopo la lavatura gastrica che li aveva salvati tutti dall’avvelenamento: non grave, perché la quantità di funghi mangiati da ciascuno era assai poca.).

VELLUTATA DI FUNGHI

Ingredienti:

1/2 Kg di funghi misti

1 spicchio d’aglio

1 ciuffetto di prezzemolo

2 l di brodo vegetale fatto con sedano e carota

50 g di farina

50 g di burro

1/2 litro di latte

olio d’oliva

sale e pepe

Schiacciare l’aglio e lasciarlo imbiondire in due cucchiai d’olio, aggiungere i funghi e farli saltare velocemente, quindi ridurre la fiamma e versare il brodo lasciando sobbollire lentamente finché i funghi non sono ben teneri. Preparare a parte una besciamella con il burro, il latte, la farina e un pizzico di sale. Aggiungere la besciamella ai funghi, regolare di sale e pepe, togliere dal fuoco e frullare il tutto con un frullatore ad immersione fino ad ottenere una crema soffice e spumosa; se fosse troppo densa aggiungere altro brodo, se troppo liquida lasciarla ridurre ancora un po’ sul fuoco. Spolverare direttamente nei piatti di prezzemolo tritato e servirla con crostini all’aglio.

Alla besciamella si può sostituire 1/4 l di panna oppure, per una versione più leggera, una patata lessa passata.

FRITTATINA AI FUNGHI

Ingredienti per persona:

1 uovo

1 pizzico di farina

2 cucchiai di funghi misti

olio

sale e pepe

Tagliare i funghi a fettine e farli leggermente rosolare nell’olio. Sbattere le uova con un pizzico di farina, sale e pepe. Versarvi i funghi rosolati. Pulire la padella con la carta, ungerla con altro olio e, quando è caldo, versarvi il composto di uova e funghi. Quando la frittata è cotta da una parte rigirarla e cuocerla dall’altra. Scolarla su carta assorbente e servirla calda o tiepida eventualmente spolverizzata di prezzemolo, menta o noce moscata.

CRESPELLE AI FUNGHI

Ingredienti per 4 persone

500 g di funghi misti

una manciata di porcini essiccati

2 spicchi d’aglio

1 mazzetto di prezzemolo

1 litro di besciamella

olio, sale e pepe

Per le crespelle

1 uovo

½ litro di latte

1 cucchiaio di farina

25 g di burro

sale

Preparare la pastella per le crespelle frullando l’uovo con il latte, il burro ammorbidito la farina e un pizzico di sale. Lasciar riposare la pastella mezz’ora in frigorifero. Nel frattempo pulire i funghi e cuocerli trifolati con olio, aglio e prezzemolo. Aggiungere i porcini secchi tritati fatti rinvenire in acqua tiepida insieme alla loro acqua filtrata. Regolare di sale e pepe. Quando sono cotti frullarne metà con la besciamella fino ad ottenere una crema liscia.

Scaldare una padella di ferro, ungerla leggermente con un pezzetto di carta da cucina intinto nell’olio e versarvi la pastella a piccoli mestoli cercando di ottenere dei dischi sottili che andranno rigirati appena affiorano le bollicine sulla superficie. Tenere le crespelle in caldo man mano che cuociono.

Ungere una pirofila di burro, stendervi uno strato di crespelle, distribuirvi una parte dei funghi, versarvi uno strato di besciamella ai funghi, quindi un nuovo strato di crespelle. Ripetere l’operazione finendo con uno strato di besciamella. Infornare a 200° finché non si forma una leggera crosticina dorata. Servire le crespelle tagliate a quadrati, ben calde.

Nella terza avventura, Il piccione comunale, Marcovaldo vagheggia un piatto di beccacce e si ritrova a mangiare un povero piccione cittadino rimasto impigliato nel vischio che l’ottimista aveva sparso sul tetto del condominio. Piccione che, tra l’altro, gli rimane sullo stomaco sia per l’accusa che gli piove addosso di dar la caccia ai piccioni comunali sia per quella di aver rovinato la biancheria della padrona di casa con le sue improbabili panie.

PICCIONI ARROSTO

Ingredienti:

2 piccioni puliti e fiammeggiati

2 spicchi d’aglio

1 rametto di salvia

qualche bacca di ginepro

1/2 bicchiere di vino bianco

½ bicchiere di brodo di pollo

1 cucchiaio di farina

olio d’oliva

sale e pepe

Far rosolare i piccioni, tagliati in quarti, nell’olio con l’aglio, il ginepro e la salvia, sale e pepe; sfumarli col vino, quindi aggiungere poca acqua calda e lasciarli cuocere a fuoco dolce, coperti, per circa 2 ore aggiungendo acqua quando questa si asciuga. A fine cottura scolarli e tenerli in caldo, deglassare il fondo con il brodo, aggiungere la farina e mescolare bene finché non risulta una salsa liscia, ma non troppo densa. Servire i piccioni caldi nappati con la salsa con contorno di polenta gratinata cosparsa di timo fresco o con crostini di pane sfregati di aglio.

PICCIONI ALLE NOCI

Ingredienti per 4 persone:

2 piccioni puliti e fiammeggiati

200 g di cipollotti

100 g di panna

50 g di brandy

60 g di noci

20 g di burro

20 g di farina

sale e pepe

Mettere sul fuoco in una casseruola i cipollotti tritati con il burro, coprire e fare appassire a fiamma bassissima. Unire i piccioni tagliati a pezzi infarinati e farli insaporire per un quarto d`ora circa a pentola scoperta.

Spruzzare di brandy e farlo evaporare. Salare, pepare, unire le noci tagliuzzate, coprire e cuocere per 40 minuti circa. Unire la panna e fare insaporire ancora per 5 minuti, poi servire ben caldo, con accompagnamento di pisellini novelli.

L’apoteosi del desiderio alimentare Marcovaldo la raggiunge col settimo racconto, La pietanziera, che comincia così: “Le gioie di quel recipiente tondo e piatto chiamato ‘pietanziera’, consistono innanzitutto nell’essere svitabile. Già il movimento di svitare il coperchio richiama l’acquolina in bocca (…). Scoperchiata la pietanziera, si vede il mangiare lì pigiato: salamini e lenticchie, o uova sode e barbabietole, oppure polenta e stoccafisso, tutto ben assestato in quell’area di circonferenza come i continenti e i mari nella carte del globo, e anche se è poca roba fa l’effetto di qualcosa di sostanzioso e di compatto (…). I primi colpi di forchetta servono a svegliare un po’ quelle vivande intorpidite, a dare il rilievo e l’attrattiva d’un piatto appena servito in tavola a quei cibi che se ne sono stati lì rannicchiati già tante ore.”

POLENTA E STOCCAFISSO

500 g di stoccafisso già ammollato

1 patata

1 cipolla

1 costa di sedano

1 carota piccola

2 spicchi d’aglio

olio extravergine di oliva

salsa di pomodoro

prezzemolo

sale e pepe

polenta di farina di granturco già cotta

Fare un soffritto con l’aglio, la cipolla, la carota e il sedano tritati, aggiungere lo stoccafisso tagliato a tocchetti e rigirarlo bene, diluire il fondo di cottura con qualche cucchiaiata di salsa di pomodoro e acqua e lasciar sobbollire il tutto a fuoco dolce aggiungendo acqua di tanto in tanto per evitare che si asciughi. Dopo circa due ore e mezzo di cottura aggiungere la patata tagliata a cubetti abbastanza grossi, regolare di sale e pepe e lasciar cuocere finché lo stoccafisso non è ben tenero e la patata quasi disfatta (circa un’altra ora). Dieci minuti prima di spegnere il fuoco aggiungere una buona presa di prezzemolo tritato.

Tagliare la polenta a fette spesse un dito, spennellarla con poco olio e grigliarla da entrambi i lati finché non è croccante. Servirla per accompagnamento allo stoccafisso.

Ben presto però le aspettative vengono deluse dalla malinconica realtà: “Per primo gusto si sente la tristezza del mangiare freddo, ma subito ricominciano le gioie, ritrovando i sapori del desco familiare, trasportati su uno scenario inconsueto (…) Mangiando pensa: ‘Perché il sapore della cucina di mia moglie mi fa piacere ritrovarlo qui, e invece a casa tra le liti, i pianti, i debiti che saltano fuori a ogni discorso, non mi riesce di gustarlo?’ E poi pensa: ‘ Ora mi ricordo, questi sono gli avanzi della cena d’ieri’. E lo riprende già la scontentezza, forse perché gli tocca di mangiare gli avanzi, freddi e un po’ irranciditi, forse perché l’alluminio della pietanziera comunica un sapore metallico ai cibi”.

Tragicomico poi il contenuto della pietanziera quando Marcovaldo si ritrova a mangiare per quattro giorni di seguito, a pranzo e a cena, salsiccia e rape, l’una e le altre di non eccelsa qualità. Ecco che, inaspettatamente, la salvezza arriva sotto forma di un bambino.

“ – Ehi, tu, uomo! Cosa mangi?

- Salsiccia e rape!

- Beato te! – disse il bambino.

- Eh… - fece Marcovaldo, vagamente.

- Pensa che io dovrei mangiare fritto di cervella…

Marcovaldo guardò il piatto sul davanzale. C’era una frittura di cervella morbida e riccioluta come un cumulo di nuvole. Le narici gli vibrarono.

- Perché, a te non piace il cervello?… - chiese al bambino.

- No, m’hanno chiuso qui in castigo perché non voglio mangiarlo. Ma io lo butto dalla finestra.

- E la salsiccia ti piace?…

- Oh, sì, sembra una biscia… A casa nostra non ne mangiamo mai…

- Allora tu dammi il tuo piatto e io ti do il mio.

- Evviva! - Il bambino era tutto contento. Porse all’uomo il suo piatto di maiolica con una forchetta d’argento tutta ornata, e l’uomo gli diede la pietanziera con la forchetta di stagno.”

Altri tempi, quando un fritto di cervella era non solo una possibilità, ma una autentica ghiottoneria.

Naturalmente anche questa volta Marcovaldo non riesce a gustarsi fino in fondo l’agognato piatto, poiché la cameriera del “signorino” comincia a gridare “Al ladro! Al ladro! Le posate!” e il poveretto è costretto a fuggire di gran carriera.

Adesso le pietanziere non usano più, sostituite nel migliore dei casi dalle mense aziendali. La loro malinconia un po’ metallica è scivolata nella mestizia plastificata dei panini o dei piatti precotti e riscaldati al microonde. Resta, invece, quel senso di leggera estraneità, quel mangiare fuori casa che da una parte è il segno della modernità, del mangiare veloce (ma, paradossalmente, pesante), dall’altra assume un’aura di tristezza indicibile.

FRITTO DI CERVELLA (ricetta di Pellegrino Artusi)

1 kg di cervella

3 cucchiaini di farina

2 cucchiaini d’olio d’oliva

2 uova

1 presa di sale

olio per friggere

Sbollentare le cervella in acqua con un cucchiaino di aceto e un pizzico di sale. Raffreddarle, spellarle e tagliarle a tocchetti lunghi circa mezzo dito. Immergerle in una pastella ottenuta frullando insieme la farina con l’olio, le uova e il sale. Friggerle in abbondante olio bollente, scolarle su carta assorbente e servirle caldissime.

Intendiamoci, anche i contadini del mondo agreste tanto vagheggiato da Marcovaldo mangiavano fuori casa, nei campi, magari accontentandosi di radicchi e cipolle, ma era un fuori casa che assumeva il ritmo forzatamente lento del loro lavoro, evidenziato dal gesto antico di bere (vinello annacquato, il più delle volte) spargendo a terra l’ultima goccia con un ampio gesto del braccio, quasi una persistenza di dimenticate sacre libagioni (o un modo per liberarsi della feccia!).

Lo scarto fra la natura sognata e quella tragicamente reale si fa stridente nel racconto Un viaggio con le mucche dove il figlio più grande di Marcovaldo, Michelino, segue una mandria di mucche come i topi seguirono il pifferaio magico. Già Marcovaldo se lo immagina “pigro e felice, tra il latte e il miele e le more di siepe”. Ma la realtà è ben diversa:

“- Lavoravo come un mulo (…). Ogni sera a spostare i secchi ai mungitori da una bestia all’altra, e poi vuotarli nei bidoni, in fretta, sempre più in fretta, fino a tardi. E al mattino presto, rotolare i bidoni fino ai camion che li portano in città… E contare, contare sempre: le bestie, i bidoni, guai se si sbagliava…”. Addio anche al sogno, un po’ da Heidi, del bovaro felice che vive di latte e formaggio sui monti incontaminati.

CHEESE CAKE AI FRUTTI DI BOSCO

250 g di biscotti secchi

3 uova

80 g di burro

1 tazzina di caffè

250 g di ricotta

250 g di mascarpone

100 g di zucchero

200 g di marmellata ai frutti di bosco

frutti di bosco freschi a piacere

Tritare finemente i biscotti amalgamandoli col caffè, un uovo intero e il burro fuso. Foderare una tortiera di carta da forno e stendervi sopra uniformemente l’impasto.

Mescolare il mascarpone, la ricotta, le due uova rimaste e lo zucchero fino ad ottenere una crema liscia. Stendere il composto sopra lo strato di biscotti. Cuocere la crostata in forno già caldo a 180° per 45 minuti. Sfornare e far raffreddare.

Quando la torta è fredda riscaldare la marmellata in un tegamino finché diventa abbastanza liquida, quindi stenderla uniformemente sulla torta e lasciarla raffreddare.

Servire la crostata tagliata a quadretti e guarnita con frutti di bosco freschi.

PENNETTE AL GORGONZOLA E PERE

Ingredienti per 4 persone:

300 g di pennette rigate

200 g di gorgonzola

1 pera non troppo matura

1 noce di burro

50 g di panna

Cuocere le penette in abbondante acqua bollente salata. Scolarle al dente.

Sciogliere il gorgonzola insieme al burro in un tegame a fuoco dolce, incorporare la panna sempre mescolando, versarvi le penette e infine le pere tagliate a pezzetti piccoli. Far saltare il tutto per qualche minuto finché le penne risultano ben condite. Servire subito.

Nell’episodio seguente, Il coniglio velenoso, Marcovaldo ruba un coniglio dall’ospedale e cerca di ingrassarlo per ottenerne un saporoso intingolo. La bestia, ahimè, è una cavia da laboratorio, già contagiata di tremende malattie. Al povero coniglio, in un tragicomico crescendo, viene impedito persino “l’estremo gesto di dignità animale” cioè il suicidio; tornerà in laboratorio e Marcovaldo, insieme alla sua sfortunata famiglia, finirà di nuovo in ospedale.

CONIGLIO ALLA CONTADINA

1 coniglio pulito (circa 1 Kg e ½)

30 g di pancetta

20 g di burro

2 grosse patate

olio extravergine di oliva

salsa di pomodoro

1 spicchio d’aglio

sedano, carota, cipolla, prezzemolo, rosmarino, sale e pepe q.b.

Rosolare dolcemente un trito di aglio, sedano, carota, cipolla, pancetta ed eventualmente il fegatino del coniglio nell’olio, adagiarvi il coniglio tagliato a grossi pezzi e lasciarlo colorire bene da tutte le parti. Condirlo con sale e pepe, aggiungere qualche cucchiaio d’acqua mescolata ad altrettanta salsa di pomodoro e cuocerlo a fuoco dolce finché non risulta ben tenero. Quasi a fine cottura aggiungere una buona presa di prezzemolo.

Nel frattempo pelare le patate, tagliarle a grossi spicchi, lavarli, asciugarli e dorarli nell’olio con abbondante rosmarino tritato. Scolarle e asciugarle sulla carta assorbente.

Servire il coniglio nel suo intingolo con le patate per contorno.

Le patate saranno ancora più buone, e filologicamente (anche se non dieteticamente) più corrette, se cotte in due cucchiaiate di strutto.

CONIGLIO ALLA BIRRA

Ingredienti per 4 persone:

1 coniglio pulito da 1 kg circa tagliato a pezzi

1 cipolla bianca grossa

1 bicchiere di vino bianco

2 cucchiai di farina

1 bottiglietta di birra chiara

2 cucchiai di olio extra vergine d’oliva

sale

pepe

Lavare molto bene il coniglio sotto l’acqua corrente. Asciugare i pezzi di carne ed infarinarli.

Tagliare la cipolla a velo e farla appassire in una padella larga con l’olio ed il vino bianco.

Quando è morbida, e il vino è evaporato, unire i pezzi di coniglio e rosolarli uniformemente.

Coprire a filo con la birra, salare, pepare e proseguire la cottura a fuoco moderato per circa 1 ora.

La carne deve essere cotta ed il fondo di cottura ristretto. Nel caso fosse troppo liquido, alzare la fiamma e lasciare restringere.

Servire ben caldo.

Un altro incontro-scontro con i mali della modernità Marcovaldo lo trova sulle rive di un fiume azzurro, così azzurro da sembrare un laghetto di montagna. Che delusione poi venire a sapere che quell’azzurro paradisiaco non è altro che acqua inquinata da una fabbrica di vernici. Le grosse tinche pescate nell’acqua velenosa finiranno di nuovo nel fiume e Marcovaldo finirà di nuovo a bocca asciutta.

TINCHE ALL’ALLORO

Per ogni tinca:

1 spicchio d’aglio

1 cucchiaino di aceto bianco

1 cucchiaino di olio extravergine di oliva

una decina di foglie di alloro

sale e pepe q.b.

Lasciar marinare le tinche in una mistura di aglio, aceto, olio e pepe. Scolarle, salarle e avvolgerle nelle foglie di alloro. Cuocerle in un tegame con poco olio, coperte, finché sono ben sode. Togliere le foglie di alloro, spinare le triglie e servirle col loro sugo e altro pepe macinato al momento.

RISOTTO CON LA TINCA

Ingredienti per 4 persone

600 g tinca

320 g riso

150 g cipolla

300 g bietole

1 bicchiere di vino bianco secco

40 g di burro

olio extravergine d'oliva

formaggio grana grattugiato

sale, pepe

prezzemolo tritato finemente

cannella

Per il brodo:

acqua

sedano

carota

cipolla

gambi di prezzemolo

vino bianco

sale

concentrato di pomodoro

Pulire la tinca dalle interiora, eliminare la testa. Lavarla bene ed immergerla nell'acqua con tutti gli ingredienti del brodo. Portarla a cottura e schiumare spesso il brodo. Una volta cotta, toglierla dal liquido, farla raffreddare, levare la pelle e spolparla. Filtrare il brodo e metterlo da parte per il risotto. Soffriggere a fuoco dolcissimo la cipolla e le erbette tritate in abbondante olio extravergine di oliva, aggiungendo il prezzemolo in un secondo momento. Unire al soffritto parte della polpa di tinca, sale, pepe e cannella. Una volta pronto il sugo, unirvi il riso e lasciarlo insaporire. Dopo alcuni minuti aggiungere qualche mestolo di brodo bollente e portare a cottura il riso aggiungendo il brodo man mano che si asciuga. A cottura ultimata mantecare il risotto con burro e grana grattugiato, aggiungendo alla fine la polpa di tinca rimasta. Servite il risotto morbido, "all'onda".

Il culmine del delirio consumistico insoddisfatto si propone infine al supermarket: “Alle sei di sera la città cadeva in mano ai consumatori. Per tutta la giornata il gran daffare della popolazione produttiva era di produrre: producevano beni di consumo. A una cert’ora, come per lo scatto di un interruttore, smettevano la produzione e, via!, si buttavano tutti a consumare.”

L’effetto del supermarket è ipnotico, magico, avvolgente. Pur non avendo soldi per pagare, la famiglia di Marcovaldo non riesce a resistere alla tentazione di mettere qualcosa nel carrello quando tutti intorno a loro lo fanno:

“- Papà, lo possiamo prendere questo? – chiedevano i bambini ogni minuto.

- No, non si tocca, è proibito, - diceva Marcovaldo ricordandosi che alla fine di quel giro li attendeva la cassiera per la somma.

- E perché quella signora lì li prende? – insistevano , vedendo tutte queste buone donne che, entrate per comprare solo due carote e un sedano, non sapevano resistere di fronte a una piramide di barattoli e tum! tum! tum! con un gesto tra distratto e rassegnato lasciavano cadere lattine di pomodori pelati, pesche sciroppate, alici sott’olio a tambureggiare nel carrello”.

Naturalmente tanto bottino non potrà essere goduto in alcun modo, sfuggiti alle sentinelle delle casse con la “macchina calcolatrice crepitante come una mitragliatrice” il contenuto dei carrelli finisce nella bocca di una gru da carico che se lo porta lontano.

La malinconica conclusione, con I figli di Babbo Natale è che la spirale produzione-consumo-distruzione sembra non finire mai, ma funziona solo per chi se lo può permettere. Quelli come Marcovaldo sono costretti a ritrovare, volenti o nolenti, un qualche senso e consolazione in quello che c’è, in quello che rimane: un bosco nero nero, una distesa di neve bianca bianca.

LA TRILOGIA DEGLI ANTENATI

Il fatto che la prima ribellione del Barone Cosimo Piovasco di Rondò avvenga a tavola illumina tutto il paradossale e delizioso Barone Rampante di una luce speciale, una sorta di sguardo ironico e insieme incantato sull’infanzia e sul mondo. La descrizione del pasto e dei commensali nel primo capitolo è sì esilarante, ma insieme così puntuale, così acuta e accurata che ciascuno può agevolmente ritrovarvi pezzi della propria infanzia e della propria storia o, persino, della propria attualità.

“Nostro padre, nostra madre sempre lì davanti, l’uso delle posate per il pollo, e sta’ dritto, e via i gomiti dalla tavola, un continuo! (…)

Veniva servito un tacchino, e nostro padre a guatarci se lo scalcavamo e spolpavamo secondo tutte le regole reali, e l’Abate quasi non ne assaggiava per non farsi cogliere in fallo, lui che doveva tener bordone a nostro padre nei suoi rimbrotti. Del Cavalier Avvocato Carrega, poi, avevamo scoperto il fondo d’animo falso: sotto le falde della sua zimarra turca (egli aveva passato gran parte della sua vita nel Levante), faceva sparire cosciotti interi per poi mangiarseli a morsi come piaceva a lui, nascosto nella vigna. (…)

L’unica che si trovasse a suo agio era Battista, che scarnificava pollastri con un accanimento minuzioso, fibra per fibra, con certi coltellini appuntiti che aveva solo lei, specie di lancette da chirurgo”.

POLLO ARROSTO

(da mangiare con le mani o da spolpare col coltello, come si preferisce!)

1 pollo già pulito (circa 1,5 Kg)

1 limone

8 cucchiai d’olio extravergine di oliva

brodo di carne

1 rametto di rosmarino

1 ciuffo di salvia

1 spicchio d’aglio

500 g di patate

sale e pepe

Spennellare l’interno del pollo con un miscuglio di olio, sale e pepe. Farcirlo col limone tagliato a metà, lo spicchio d’aglio e un pezzetto di rosmarino. Legarlo con lo spago da cucina insieme al resto del rosmarino, spennellarlo anche fuori con olio, pepe e sale e infornarlo a 200° per circa un’ora, un’ora e mezza bagnandolo di tanto in tanto col brodo perché non si asciughi troppo.

Sbucciare le patate, tagliarle a grossi spicchi e cuocerle in un tegame, col resto dell’olio, sale e salvia tritata. Scolarle su carta assorbente e tenerle in caldo.

Quando il pollo è ben dorato sfornarlo, levare accuratamente lo spago e portarlo in tavola contornato dalle patatine calde.

Il piatto di lumache, scintilla scatenante la ribellione, cucinato dall’improvvida e sadica Battista, diventa la bandiera dell’eterna lotta che si scatena a tavola fra bambini e adulti. Gli adulti possono agevolmente dividersi in due categorie distinte: coloro che a tavola non disdegnano e anzi ricercano il diverso, il raro, l’insolito e lo stravagante, ciò che colpisce insieme sensi e fantasia (fino ad arrivare ai manicaretti di Battista: crostini di paté di fegato di topo, torta alle zampe di cavalletta, codini di porco arrostiti e porcospino arrosto – gli ultimi due tra l’altro nient’affatto disdegnati un tempo dai nostri vecchi e poveri contadini) e coloro che ricercano sempre e dovunque, foss’anche nella più sperduta delle isole in mezzo all’oceano, quello che mangiano per inveterata abitudine, rifiutando ogni pietanza nuova con l’altezzosità con cui venivano rifiutate le patate al loro primo apparire in Europa. I bambini invece sono solitamente di un solo genere: hanno orrore di tutto ciò che risulta anche minimamente elaborato, odiano i colori pallidi e incerti (a meno che non si tratti di una bella pastasciutta al burro), aborriscono le consistenze non ben definite e hanno in sommo spregio la verdura cotta, salvo poi diventare golosi dei cibi più disparati come il salame piccante o i ravanelli. Ed è proprio a tavola che si esprime in maniera più precoce ed evidente la conquista dell’autonomia e dell’identità, cioè quel processo lento, difficile e indispensabile che fa dire ai piccoli Cosimi Piovano di Rondò “Ho detto che non voglio e non voglio!” lasciando gli adulti in preda a crisi di nervi e sensi di colpa, incerti fra l’intransigenza più totale (Non avrai altro finché non l’avrai mangiato) e il più totale lassismo (Ma sì, poverino, lascia che mangi quello che vuole) con contorno di liti familiari, lotte parentali e generazionali, consigli richiesti e non richiesti, consulti psicologici e pedagogici fino allo sfinimento di entrambi i contendenti o al raggiungimento di un precario e sempre provvisorio equilibrio.

Ma torniamo alle lumache in una ricetta che forse anche Cosimo avrebbe gradito, l’unico inconveniente è che cucinare le lumache richiede tempo e dedizione…

LUMACHE FRITTE

Per 4 persone:

40 o 50 lumache già spurgate

40 g di scalogno

2 spicchi d’aglio

1 ciuffo di prezzemolo

farina

olio per frittura

sale, pepe, aceto

Sciacquare le lumache in acqua e aceto e farle bollire in acqua leggermente salata, con l’aggiunta degli scalogni e dell’aglio interi, per due ore e mezzo. Lasciarle raffreddare nell’acqua, scolarle, estrarle dal guscio ed eliminare il filo nero sciacquandole di nuovo con acqua e aceto. Infarinarle e friggerle in abbondante olio bollente finché sono croccanti e dorate. Scolarle sulla carta assorbente, salare, pepare, spolverarle di prezzemolo tritato e portarle in tavola caldissime con contorno di foglie di salvia fritte.

Saranno più gustose se avvolte in una pastella di latte e farina.

In alternativa alla frittura si possono far abbrustolire le lumache, senza farina, su una teglia calda finché non prendono l’aspetto di ciccioli croccanti. In questo modo però risultano un po’ più dure.

Oppure, dopo averle fritte, si possono tirare in umido con sugo di pomodoro, aglio e prezzemolo.

POLENTA CON SUGO DI LUMACHE

40 lumache già spurgate e cotte come nella ricetta precedente

3 acciughe tritate

2 spicchi d’aglio

1 bicchiere di vino bianco

1 scatola di pelati pronti

prezzemolo

salvia

basilico

peperoncino

olio extravergine di oliva

polenta

Preparare il sugo con olio, peperoncino, aglio e le acciughe tritate, aggiungere un bicchiere di vino, i pomodori pelati e un trito di prezzemolo, salvia e basilico. Dopo 10 minuti di cottura, aggiungere le lumache (a pezzetti o intere) e lasciar cuocere altri 20 minuti. Servire il sugo con la polenta calda.

Passando dal Barone Rampante al Visconte Dimezzato i problemi col cibo non finiscono. Medardo di Terralba, dimezzato da una cannonata turca, ritorna bramoso di rendere tutto il mondo dimezzato par suo e dimostra appieno la propria malvagità proprio con un cesto di funghi, dimezzati e velenosi, che vorrebbe far mangiare all’ignaro nipote.

“Nella notte giocavo da solo intorno al Prato delle Monache a farmi spavento sbucando d’improvviso di tra gli alberi, quando incontrai mio zio che saltava sul suo piede per il prato al chiaro di luna, con un cestino infilato al braccio.

- Ciao, zio! – gridai: era la prima volta che riuscivo a dirglielo.

Lui sembrò contrariato di vedermi. – Vado per funghi, - mi spiegò.

- E ne hai presi?

- Guarda, - disse mio zio e ci sedemmo in riva a quello stagno. Lui andava scegliendo i funghi e alcuni li buttava in acqua, altri li lasciva nel cestino.

- Té, - disse dandomi il cestino con i funghi scelti da lui. – Fatteli fritti. (…)

Stavo andando a farmeli fritti quando incontrai la squadra dei famigli, e seppi che erano tutti velenosi.

Cercare di separare, come fa Medardo, il bene dal male è da sempre la preoccupazione di chi a tavola cerca il piacere senza doverne pagare le conseguenze (anche se il Visconte sceglie consapevolmente il male, almeno per gli altri!); poiché la dieta, prima che preoccupazione estetica, è preoccupazione medica, come sapevano bene Ippocrate e Galeno, in cui salute e piacere, che oggi paiono irrimediabilmente scissi, dovevano andare di pari passo. Certo ai loro tempi il problema principale non era tanto scegliere il cibo più adatto quanto procurarselo!

PORCINI FRITTI

Pulire bene i funghi con uno spazzolino, tagliarli a fettine di circa ½ cm di spessore, infarinarli e friggerli in olio di semi caldo e abbondante. Scolarli sulla carta assorbente, salarli e portarli in tavola caldissimi.

Prima dei funghi però, nella tormentata passeggiata notturna del Visconte, erano state dimezzate delle pere ancora sull’albero, il che ci dà un ottimo pretesto per assaggiare queste deliziose

MEZZE PERE AL CIOCCOLATO


4 pere mature

3 cucchiai di zucchero

1 stecca di cannella

1 chiodo di garofano

200 g di cioccolato fondente

fiori di gelsomino non trattati (facoltativo)

Sbucciare le pere, tagliarle a metà e togliere il torsolo. Farle bollire 20 minuti in 1 l d’acqua con lo zucchero, la cannella e il chiodo di garofano. Scolarle molto bene, disporle sul piatto di portata e lasciarle raffreddare. Fondere il cioccolato a bagnomaria e colarlo sulle pere fino a ricoprirle completamente, decorarle con fiori di gelsomino delicatamente lavati e asciugati.

Col Cavaliere Inesistente il rapporto col cibo si fa ancora più problematico. Uno che non c’è a rigor di logica non può neanche mangiare.

“Che cosa ci veniva a fare, a tavola, lui che non aveva né mai avrebbe avuto appetito, né uno stomaco da riempire, né una bocca cui avvicinare la forchetta, né un palato da innaffiare di vino di Borgogna? (…)”

E mentre i Paladini si abboffano indecorosamente, facendo più confusione che in battaglia, di “tacchino farcito, oca allo spiedo, brasato di bue, maialini di latte, anguille, orate” che volano da tutte le parti…

“All’angolo della tavola dov’è Agilulfo invece tutto procede pulito, calmo e ordinato, ma ci vuole più assistenza di servitori per lui che non mangia, che per tutto il resto della tavola. Prima cosa – mentre dappertutto c’è una confusione di piatti sporchi, tanto che tra una portata e l’altra non è nemmeno il caso di cambiarli e ognuno mangia dove capita, magari sulla tovaglia – Agilulfo continua a chiedere che gli mettano davanti nuove stoviglie e posate, piatti, piattini e cucchiai e cucchiaini e coltelli che guai se non sono ben affilati, ed è così esigente in fatto di pulizia, che basta un’ombra opaca su un bicchiere o una posata e li rimanda indietro. Poi si serve di tutto: poco, ma si serve; non lascia passare una portata. Per esempio, scalca una fettina di cinghiale arrosto, mette in un piatto la carne, in un piattino la salsa, poi taglia con un coltello affilatissimo la carne in tante striscioline sottili, e queste striscioline le passa una a una in un altro piatto ancora, dove le condisce con la salsa, finché non si sono imbevute ben bene; quelle condite le mette in un nuovo piatto, e ogni tanto chiama un valletto, gli dà da portar via quest’ultimo piatto e ne chiede uno pulito. Così si dà da fare per delle mezz’ore.”

TACCHINO RIPIENO

(del tutto anacronistico, dato che l’America non era ancora arrivata sulla tavola europea)

Ingredienti per 6 persone:

1 tacchino di 3 o 4 kg.

1 uovo

350 g di carne di vitello macinata

1 mazzetto di salvia

350 g di salsiccia spellata

1 presa di timo

100 g di pancarré

1 ciuffo di prezzemolo

1 cipolla media

sale

60 g di burro

pepe

Per la salsa:

40 g di farina

salsa Worcester

1/2 l di brodo di carne

sale e pepe

Per contorno:

2 mele

50 g di burro

Mescolare la carne tritata con la salsiccia fino ad ottenere un composto omogeneo.

Fare appassire la cipolla tritata con metà del burro. Toglierla dal fuoco, unire la carne, gli aromi tritati, il pane sbriciolato, un po' di brodo e l'uovo sbattuto. Salare, pepare e amalgamare bene il tutto.

Farcire il tacchino con il composto e cucirlo in modo che il ripieno non debba fuoriuscire (non riempire troppo il tacchino, perché il composto si gonfia). Adagiarlo in una pirofila unta ed imburrata. Salare, pepare e coprire la teglia con un foglio di alluminio.

Infornare a 200° per 2 ore, 2 ore e 1/2. Togliere l'alluminio e proseguite la cottura a 250° per 30 minuti finché non risulta ben dorato.

Rosolare nel burro le mele a rondelle 2 o 3 minuti per lato.

Mettere in un pentolino 3 o 4 cucchiai del fondo di cottura del tacchino sgrassato con la farina. Fare dorare per qualche minuto a fuoco basso mescolando e bagnare con brodo bollente. Lasciare ispessire la salsa sempre mescolando.

Salarla, peparla ed unirvi un cucchiaino di salsa Worcester.

Servire il tacchino con la salsa e contornato con le mele.

BRASATO AL BAROLO

Ingredienti per 6 persone:

1 bottiglia di Barolo

1Kg e mezzo di muscolo di manzo

1 cucchiaio di lardo tritato

1 spicchio d' aglio

1 noce di burro

1 carota

1 costa di sedano

1 rametto di rosmarino

1 foglia di alloro

½ cipolla

5 chiodi di garofano

sale e pepe

1 cucchiaio di farina

1 stecca di cannella

brodo di carne

sale e pepe

Preparazione

Prendere il muscolo e farlo rosolare a fuoco vivo con uno spicchio d'aglio, i chiodi di garofano, il rosmarino, il burro, il lardo tritato, il sedano, la carota e la cipolla tritati, alloro, sale, pepe e cannella. Quando la carne è ben rosolata da tutte le parti versare il Barolo e lasciarlo sfumare lentamente. Ricoprire la carne col brodo e farla cuocere per un’ora e mezza a fuoco dolce. Togliere la carne e tenerla in caldo. Passare il sugo di cottura, aggiungere la farina e lasciar addensare la salsa. Scolare la carne, lasciarla intiepidire e tagliarla a fettine. Servirla nappata con la salsa.

OCA ARROSTO

Ingredienti

1 piccola oca da circa 1 Kg e ½ (già pulita)

1 l di vino bianco

200 g di lardo di prosciutto finemente tritato

6 spicchi di aglio

1 rametto di rosmarino

1 ciuffo di salvia

olio extra vergine di oliva

sale fino

pepe in grani

sale grosso

Lavare nel vino l'oca e asciugarla con un panno bianco pulito.

Con un pennellino ungerla di olio e cospargerla tutta con la metà del lardo insaporito con un trito di aglio, rosmarino, salvia, sale e pepe macinato.

Spalmare il lardo restate sul petto dell’oca cospargendola di sale grosso.

Legare l’oca con lo spago e adagiarla in una casseruola foderata di carta da forno.

Infornare a 200° per un ora ed a 120° per due ore nel forno bagnandola di tanto in tanto con il grasso di cottura.

A cottura ultimata l’oca deve presentarsi ben dorata, ma non troppo asciutta (forando con uno spiedino il petto deve uscirne un umore rosa chiaro).

Con lo stesso metodo che usa per l’arrosto, e con una certa inquietante affinità con la sadica Battista, Agilulfo scalca polli, fagiani e tordi con coltellini affilatissimi; travasa bicchieri di vino da un calice all’altro, sminuzza mollica di pane (ma, anche questa, ordinatamente!) e trova anche il tempo di rimettere al loro posto le rodomontate dei suoi colleghi Paladini, notoriamente coraggiosi ma anche inclini a spararle grosse.

SPIEDINI DI ANGUILLA

Ingredienti per 4 persone:

500 g di anguille già pulite e spellate

4 fette di pane raffermo

1 mazzetto di foglie di alloro

olio extravergine di oliva

sale e pepe

spicchi di limone

Tagliare le anguille a rocchi di tre o quattro centimetri, infilarli sugli spiedini alternandoli con dadini di pane e mezze foglie di alloro. Miscelare l’olio con sale e pepe e irrorare con la miscela le anguille durante la cottura. Cuocerle sulla griglia finché cominciano a prendere colore. Disporre gli spiedini sul piatto di portata e servirli accompagnati da spicchi di limone.

Seguendo una consuetudine medievale si possono spruzzare, anziché di limone, con succo di arancia amara o di melagrana.

ORATE DELLA REGINA


Ingredienti per 4 persone:

4 orate già pulite

1 rametto di rosmarino

4 foglie di salvia

4 acciughe sott’olio pulite e scolate

1 manciata di capperi sotto sale

1 manciata di uvetta sultanina

1 manciata di pinoli

sale, pepe, olio extravergine di oliva

Frizionare le orate con sale e pepe dentro e fuori. Pestare in un mortaio (o frullare) le acciughe, i capperi, l’uvetta e i pinoli con due cucchiai di olio fino ad ottenere una salsa fluida. Farcire le orate con foglie di salvia e rosmarino, richiuderle e cuocerle su una griglia ben calda irrorandole di tanto in tanto con poco olio. Disporle sul piatto di portata, napparle con la salsa e servirle subito.

Quello di Agilulfo è l’esasperazione del rito conviviale, che all’opposto gli altri commensali spregiano, poiché mangiare, soprattutto mangiare insieme, mantiene comunque un carattere di sacralità. Allora le regole, per quanto minuziose e a volte assurde, diventano la liturgia con la quale il commensale si riconosce parte di un gruppo, di una famiglia, di una società. Come il Barone Rampante rifiuta a tavola insieme la famiglia e la società, così Agilulfo si attiene alle più infime norme di etichetta nel tentativo di affermare un’identità che altrimenti, come in effetti succederà, svanirebbe.

Ho usato la parola “liturgia” non a caso, poiché la messa è la suprema sacralizzazione della mensa, in origine un vero e proprio rito conviviale solo in seguito spiritualizzatosi quasi completamente (ma il suo momento culminante, la comunione, resta un consumare il cibo sacro insieme perché la sua sacralità entri nei commensali e li rinnovi). Questa comunione che Cosimo rifiuta e che Agilulfo cerca disperatamente senza ottenerla è la base di tutte le relazioni che ci toccano intimamente. Condividere il pasto con qualcuno, sia per piacere o per dovere, è comunque lasciare che gli altri entrino nella sfera privata che si crea tra l’essere umano e il suo cibo.

SOTTO IL SOLE GIAGUARO

Che cos’è davvero il gusto? Restando sul piano strettamente scientifico l’organo del gusto, la lingua, è capace di avvertire propriamente quattro sapori: dolce, salato, amaro, acido. Il resto è una questione di naso: tutte le infinite sfumature che ci fanno distinguere il cioccolato dal budino alla vaniglia e la pizza dagli spaghetti alla carbonara sono dovute allo sprigionarsi delle molecole odorose che, in infinite combinazioni, ci permettono di classificare, distinguere, ordinare.

Quando si tratta di scegliere però la lingua e il naso da soli non bastano perché “gustare” qualcosa è un’operazione culturale non meno che sensoriale. Se si eccettua una predisposizione pre-natale per il dolce del liquido amniotico e del latte materno la strada che ci porta a dire di un piatto “mi piace” o “non mi piace” è lunga quanto la storia stessa della cucina e include quello che mangiava nostra madre quando non eravamo ancora nati, quello che per primo abbiamo mangiato di diverso dal latte, quello che ci facevano mangiare da bambini perché “fa bene” (di solito rimasto nella memoria con un certo grado di odiosità), quello che abbiamo imparato ad amare perché è “da grandi”, quello che abbiamo assaggiato spinti dalla curiosità o rifiutato guidati dal timore e così via, praticamente all’infinito.

Sotto il sole giaguaro, uscito la prima volta nel 1982 col significativo titolo di Sapore sapere[5] è proprio un viaggio culturale (e geografico) alle origini del gusto.

Il racconto comincia a Oaxaca davanti ad un quadro conturbante.

“Figure piuttosto rigide, per essere un quadro del Settecento: una pittura dalla grazia un po’ rozza propria dell’arte coloniale, ma che trasmetteva una sensazione conturbante, come uno spasimo di sofferenza contenuta.

La parte inferiore del quadro era occupata da una lunga didascalia, in fitte righe d’una angolosa scrittura corsiva, bianche su nero. Vi si celebravano devotamente vita e morte dei due personaggi che erano stati lui il cappellano e lei la badessa del convento (lei, di nobile famiglia, v’era entrata novizia a diciott’anni). La ragione per cui venivano ritratti insieme erano lo straordinario amore (la parola nella pia prosa spagnola si presentava carica del suo anelito ultraterreno) che aveva legato per trent’anni la badessa al suo confessore, un così grande amore (la parola nella sua accezione spirituale sublimava ma non cancellava l’emozione corporea) che quando il prete era venuto a morte la badessa, di vent’anni più giovane, nello spazio di un giorno s’era ammalata ed era spirata letteralmente d’amore (la parola bruciava d’una verità in cui tutti i significati convergono) per raggiungerlo in cielo. (…)

Poi Olivia parlò. Disse: “vorrei mangiare chiles en nogada”. E a passi da sonnambuli, come non ben sicuri di toccar terra, ci dirigemmo verso il ristorante.”

La narrazione prosegue immaginando la vita dei conventi di monache del settecento in cui si creava “una cucina elaborata e audace, come tesa a far vibrare le note eterne dei sapori e ad accostarle in modulazioni, accordi e soprattutto dissonanze che s’imprimessero come un’esperienza senza confronti, un punto di non ritorno, una possessione assoluta esercitata sulla ricettività di tutti i sensi.”

Questa esperienza di “possessione”, dapprima blanda, si allargherà progressivamente fino a riempire tutto il racconto di esperienze sensuali mai però sganciate dalle componenti culturale e intellettuale, anzi, da esse innescate.

CHILES EN NOGADA

“peperoncini rossobruni, un po’ rugosi, nuotanti in una salsa di noci la cui asprezza pungente e il fondo amaro si perdevano in un’arrendevolezza cremosa e dolcigna”

Ingredienti:

6 peperoni verdi pelati

2 cucchiai di olio di oliva

1 kg di carne di manzo tritata

2 cipolle tritate

1 spicchio di aglio, tritato

5 pomodori sbucciati

3 cucchiai uvetta sultanina

4 cucchiai aceto bianco

1 cucchiaio e 1/2 di zucchero

2 cucchiaini di cannella in polvere

1/2 cucchiaino di chiodi di garofano pestati

2 cucchiaini di sale

2 cucchiai di mandorle a lamelle

500 ml panna liquida

50 g noci finemente tritate

50 g mandorle finemente tritate

2 cucchiai prezzemolo tritato

1/2 cucchiaio cannella in polvere

un pizzico di sale

2 cucchiai di grani di melograno

Togliete ai peperoni la loro pellicola mettendoli sotto il grill del forno per circa 5 minuti e rigirandoli quando sono abbrustoliti da una parte. Metterli in un sacchetto di carta chiuso per 10 minuti in modo da pelarli facilmente.

Tagliarli a metà, togliere i semi e tenerli da parte.

Riscaldare in una padella l'olio e farvi dorare la carne a fuoco vivace, mescolando continuamente.

Aggiungere poi la cipolla e l'aglio e far cuocere ancora per 5 minuti.

Incorporate poi i pomodori, l’uvetta, l’aceto, lo zucchero, la cannella, i chiodi di garofano e il sale facendo sobbollire tutto per circa 15 minuti.

Con l'aiuto del frullino elettrico montare a neve ferma la panna e con delicatezza incorporarvi le noci, le mandorle, il prezzemolo, la cannella ed il sale.

Riempite ora i peperoni con la carne calda, arrotondando un po' la loro superficie e ricoprendoli con un po' di panna montata.

Decorate con i grani di melograno e servite subito.

Il gusto allora si plasma in una complessa interazione fra genetica

“genealogie in cui la discendenza dei Conquistadores si mescolava con quella delle principesse indie, o delle schiave”;

ambiente;

“donne con ricordi infantili di frutti e aromi di una vegetazione succulente e densa di fermenti”

cultura;

“Così come il barocco coloniale non poneva limiti alla profusione degli ornamenti e dello sfarzo, per cui la presenza di Dio era identificata in un delirio minuziosamente calcolato di sensazioni eccessive e traboccanti, così il bruciore delle quarantadue varietà indigene di peperoncini sapientemente scelti per ogni vivanda apriva le prospettive di un’estasi fiammeggiante”.

In questo contesto lo “scontro di civiltà” (innegabile) fra indios e conquistadores si trasferisce in cucina dove “le due civiltà s’erano fuse, o forse dove quella dei vinti aveva trionfato, forte dei condimenti nati dal suo suolo”. D’altra parte la storia delle cucine è piena di vicende analoghe.

Al ristorante i due protagonisti non trovano chiles en nogada, ma guacamole, guajalote con mole poblano e quesadillas, trionfi della fusione di culture e sapori.

GUACAMOLE

“la pingue morbidezza dell’aguacate (…) accompagnata e sottolineata dall’asciuttezza angolosa della tortilla, che può avere a sua volta tanti sapori facendo finta di non averne nessuno”.

Il guacamole è una salsa a base di avocado. Può essere utilizzata da sola spalmata sulle tortillas come antipasto o spuntino oppure per arricchire tacos o altre preparazioni. Tra gli ingredienti figurano i chile jalapeños, che sono facilmente reperibili conservati tra i prodotti etnici dei supermercati o sostituibili con dei peperoncini freschi piccanti.

Ingredienti:

2 avocado maturi

½ cipolla

1 pomodoro medio

1 chiles jalapeños

1 lime

sale

pepe

coriandolo fresco

Sbollentare i pomodori, pelarli, togliere i semi e tagliarli a dadini. Tritare la cipolla. Tritare il chili. Tagliare a metà gli avocado, togliere il nocciolo e svuotarli con un cucchiaino o con uno scavino. Irrorare la polpa con il succo di lime (o in mancanza di questo con del comune succo di limone). Mettere nel mixer e ridurre ad una crema. Unire alla polpa il pomodoro, la cipolla e il chili. Tritare finemente le foglie di coriandolo, aggiungerle al composto. Salare, pepare e servire.

TORTILLAS DI FARINA BIANCA

Ingredienti per 8 tortillas:

175 g di farina bianca

1 cucchiaino di sale

1 dl di acqua

Mettere la farina ed il sale in una ciotola, aggiungere lentamente l'acqua mescolando. Lavorare a mano l'impasto fino a che diventa elastico e non appiccica più (se è troppo molle aggiungere ancora un po' di farina ma non troppa perché deve essere abbastanza morbido). Lasciare riposare almeno 15 minuti coperto. Dividere l'impasto in otto pezzi. Tirarli, aiutandosi con matterello e farina, in dischi di circa 15 cm di diametro. Cuocere le tortillas su una piastra calda o in una padella antiaderente senza condimento. Calcolare circa un minuto per parte. Tenere in caldo le tortillas già cotte in uno strofinaccio se le si desidera morbide (per i tacos ad esempio), oppure farle asciugare in piedi in una griglia da toast se le si desidera croccanti.

Queste tortillas, parenti strette della piadina scondita che facevano i miei nonni quando mancava lo strutto, rappresentano il pane nella sua forma primordiale: farina, acqua, sale, fuoco. Se ne trovano versioni regionali un po’ ovunque, in Italia e nel mondo e, nella loro semplicità, sono molto gustose.

GUAIALOTE CON MOLE POBLANO

“tra i tanti moles uno dei più nobili – era servito alla tavola di Moctezuma”

Con tutta probabilità fu invece un’altra creazione delle monache…


Ingredienti Per 10-12 persone:

1 tacchino di circa 4 kg a pezzi

4 spicchi d'aglio

1/2 cipolla

1 cucchiaio di sale grosso

4 l d'acqua.

Per il mole

1 tazza abbondante d'olio extravergine d'oliva

220 g di peperoni rossi

300 g di peperoni verdi

100 g di peperoncini verdi freschi

4 peperoncini rossi freschi

750 g di pomodori

1 cipolla tritata

8 spicchi d'aglio sbucciati

150 g di mandorle pelate

100 g di arachidi sgusciate e pelate

6 chiodi di garofano

4 grani di pepe nero

2. di stecche di cannella

1/2 cucchiaino di semi di anice

100 g di uva passa ammorbidita in acqua tiepida

90 g di cacao amaro

1 cucchiaio di zucchero

2 cucchiai di sale

1/2 tazza di semi di sesamo tostati.

Porre in una pentola i pezzi di tacchino, la cipolla e l’aglio a fettine e il sale, coprire d'acqua e portare a bollore; cuocere a calore moderato per 1 ora finché il tacchino sarà tenero. Scolare, conservare il brodo e mettere da parte il tacchino.

Per la salsa: scaldare in una padella due cucchiai d'olio e porvi i peperoni rossi e verdi e i peperoncini verdi (mondati dei semi e delle membrane bianche per ottenere una salsa meno piccante, o conservando semi e membrane per una salsa più piccante) soffriggere finché non saranno teneri, scolare i peperoni, conservando l'olio, e soffriggervi la cipolla e l'aglio; mettere da parte e nello stesso olio tostare le mandorle, le arachidi, i chiodi di garofano, i grani di pepe, la cannella ed i semi di anice per 5/8 minuti.

Sistemare in una teglia i pomodori e i peperoncini rossi e porli nel forno sotto il grill finché la pelle non sarà carbonizzata; riporli (per facilitare la sbucciatura) in un sacchetto di plastica per alimenti, chiuderlo, lasciar riposare per 10/15 minuti, quindi pelarli.

Mettere nel frullatore i peperoni, i peperoncini, i pomodori e tutti gli altri ingredienti, aggiungere anche l'uva passa e frullare fino ad ottenere una crema.

Scaldare in una pentola una tazza d'olio, versarvi la crema e cuocere per 5 minuti, mescolando: unire il cacao e lo zucchero sempre mescolando; quando inizia il bollore, aggiungere 4 tazze di brodo di tacchino, coprire e cuocere a fiamma bassa per 20 minuti, regolare di sale.

Aggiungere il tacchino, coprire e cuocere per 10 minuti, coperto. Servire il tacchino caldo, con la sua salsa e spolverato di semi di sesamo tostati.

È buono anche il giorno dopo, anzi, forse migliore.

POLLO AL CIOCCOLATO

(Una versione di mole estremamente semplificata e infedele…)

Ingredienti per 4 persone

4 petti di pollo

4 cucchiai di farina

2 cucchiaini di cannella

2 cucchiai d'olio d'oliva

1 cipolla

1 peperoncino

3 cucchiaini di cacao amaro

2 cucchiaini di zucchero di canna

2 cucchiaini di concentrato di pomodoro

¼ di l di brodo di pollo

1 cucchiaio di panna liquida

Infarinare leggermente i petti di pollo e farli dorare per 15 minuti in una padella capiente con l'olio d'oliva. Toglierli dal fuoco e tenerli in caldo.

Scaldare il brodo e, quando inizia a bollire, aggiungere il concentrato di pomodoro e mescolare bene. Far imbiondire nella padella la cipolla e, quando è ben dorata, aggiungere il cacao, la cannella, lo zucchero e il peperoncino.

Adagiarvi i petti di pollo , il brodo al pomodoro e lasciar cuocere a fuoco lento per 20 minuti.

Aggiungere la panna e lascia cuocere per altri 2 minuti per legare la salsa.

Servire subito.

QUESADILLAS

Ingredienti per 4 persone:

8 tortillas di mais da cuocere

100 g di formaggio stagionato grattugiato al momento

1 uovo

2 cucchiai di latte

1 rametto di epazote[6] tritato (o melissa)

sale

un pizzico di peperoncino macinato

4 cucchiai d’olio

Mescolate il formaggio con l’uovo, il latte e l’erbetta tritata, sale e pepe.

Distribuite il ripieno su mezza tortilla, e ripiegatela su se stessa. Premete bene

i bordi.

Scaldate l'olio in una pentola e fatevi dorare le quesadillas da entrambi i lati per circa 3 minuti. Scolarle sulla carta assorbente e servirle calde o tiepide.

CHILI CON CARNE

Ingredienti per 4 persone

500 g di macinato scelto di manzo

480 g di fagioli rossi lessati

200 g di cipolle

2 cucchiaini d'olio d'oliva

2 spicchi d'aglio

2 cucchiai di concentrato di pomodoro

1 pizzico di chili in polvere

brodo di carne

1 pizzico di cannella

1 cucchiaio di prezzemolo tritato

sale e pepe

Scaldare l'olio in una padella capiente e far dorare la cipolla a fuoco vivo. Togliere la cipolla e tenerla in caldo, aggiungere la carne nel fondo di cottura e rosolarla bene.

Aggiungere un bicchiere di brodo, i fagioli, le spezie e gli aromi.

Portare a ebollizione, abbassare la fiamma e lasciar cuocere per un'ora, mescolando ogni tanto.

Servire ben caldo.

La tavola diventa il campo dell’esperienza sensuale della coppia: “il desiderio che tutta la sua persona esprimeva era quello di comunicarmi ciò che sentiva: di comunicare con me attraverso i sapori”, suggerendo che la comunicazione spesso, massimamente quella di una coppia, non passa attraverso i codici verbali ma è in larga parte una questione di odori, sapori e gusti.

Il viaggio si fa quindi esperienza introiettiva: “il vero viaggio, in quanto introiezione di un ‘fuori’ diverso dal nostro abituale, implica un cambiamento totale dell’alimentazione, un inghiottire il paese visitato, nella sua fauna, flora e nella sua cultura”.

Questa ansia di introiezione arriva fino a sfiorare il massimo tabù alimentare: l’antropofagia. Parlando delle vittime dei sacrifici umani Olivia chiede, e si fa insistente: dove finivano i corpi dei sacrificati? La risposta è dapprima sfuggente, ma l’ipotesi del cannibalismo si fa via via più pervasiva, arriva a sfiorare ancora una volta la tavola degli amanti (che gustano sopa de camarones, ensalada del nopalitos, tequila con sangrita) in cui un momentaneo screzio si palesa col peggiore degli insulti, quello di essere “insipido”. Contrasto all’insipido diventa il piccante, che non è propriamente un gusto, ma una lievissima sensazione dolorosa. Le “quarantadue varietà indigene di peperoncini” diventano insieme peccato ed espiazione; pervadono l’intera cucina sudamericana come una cifra distintiva, ma sono entrati (sia pure con meno varietà) in una grande quantità di cucine mediterranee dove il più economico peperoncino si è sostituito al costosissimo pepe importato dall’oriente.

CHUPE DE CAMARONES

(Zuppa di gamberoni).


Ingredienti per sei persone:

1 chilo di gamberoni,

200 g di riso

100 g di formaggio fresco,

6 patate medie

1 tazza di piselli freschi

4 cucchiai di passata di pomodoro

1 cipolla

2 spicchi d'aglio

1 pizzico di peperoncino rosso piccante

3 uova sode

1 bicchiere di latte

1 cucchiaino di origano

olio di oliva

sale e pepe

Soffriggere in una larga casseruola la cipolla e l'aglio tritati, quindi aggiungere la passata di pomodoro e il peperoncino rosso, versare un litro di acqua, e appena comincerà il bollore, unire il riso, le patate sbucciate e tagliate a dadini e i piselli; salare e lasciare cuocere per una dozzina di minuti, poi versare nella casseruola i gamberoni e cuocerli a fuoco vivo per sette - otto minuti. Spegnere il fuoco, unire il formaggio tagliato a pezzetti, le uova sode tagliate in quattro pezzi ciascuna, un po' di latte e l'origano, mescolare e servire caldissima.

ENSALADA DE NOPALITOS

foglie tenere di ficodindia

pomodori maturi

cipollina

coriandolo

peperoncino fresco

aceto

olio extravergine di oliva

sale

Pulire le foglie di ficodindia e pelarle (attenzione alle spine!). Bollirle in acqua leggermente salata. Quando sono tenere scolarle molto bene e metterle in una insalatiera con i pomodori a pezzetti, la cipollina affettata, il coriandolo tritato e il peperoncino spezzettato. Condire con olio, sale e una spruzzata di aceto.

TEQUILA CON SANGRITA

Se non trovate la Sangrita già pronta potete provare questa ricetta.

5 parti di succo di pomodoro

1 parte di succo d’arancia

1 parte e ½ di succo di lime (o di limone)

1 cucchiaino di peperoncino piccante

1 cucchiaino di succo di cipolla

1 pizzico di sale

Mescolare tutti gli ingredienti e raffreddare in frigorifero. Servite ben freddo con tequila in bicchierini separati (si beve un sorso di tequila accompagnato da un sorso di sangrita).

L’antropofagia diventa lecita quando assume il carattere sacro e rituale dell’appropriarsi della forza e della virtù dell’altro, nemico o congiunto che sia. Allora tutte le piccanti spezie di quella cucina non sono rivolte a nascondere, al contrario, servono forse ad esaltare “quel” sapore. Sapore che non deve essere nascosto, perché è il sapere quello che si mangia che lo rende sacro. D’altra parte anche il mangiare l’animale richiede una ritualità che oggi abbiamo largamente perduta (è rimasta in parte nelle pratiche ebraiche e musulmane con i concetti di kasher e halal). L’animale è pur sempre un essere di cui si sparge il sangue e il sangue, simbolo della vita, è sacro. Soltanto nell’età dell’oro, o nel Paradiso Terrestre, non c’era bisogno di spargere il sangue per nutrirsi. Uccidere resta comunque un gesto sacrilego, a meno che non sia parte di un sacrificio. “Sacrificare” infatti è sacrum facere, rendere sacro quello che altrimenti sarebbe illecito. La vittima del sacrificio “era già parte del dio, trasmetteva la forza divina…” , in fondo, simbolicamente, non avviene diversamente nella rappresentazione dell’eucaristia dove ciò che si assume è “il corpo e il sangue” della divinità sotto la forma sublimata del pane e del vino.

Alla cena successiva il gioco di rimandi ed echi si amplia ancora con le gorditas pellizcadas con manteca dove il protagonista compie il passo finale, la sublimazione totale… gustare nel piatto il nome del piatto.

“Io m’immedesimavo a divorare in ogni polpetta tutta la fragranza d’Olivia attraverso una masticazione voluttuosa, una vampiresca estrazione di succhi vitali, ma m’accorgevo che in quello che doveva essere un rapporto tra tre termini, io-polpetta-Olivia, s’inseriva un quarto termine che assumeva un ruolo dominante: il nome delle polpette. Era il nome ‘gorditas pellizcadas con mantecas’che io gustavo soprattutto e assimilavo e possedevo. Tanto che la magia del nome continuò ad agire su di me anche dopo il pasto, quando ci ritirammo insieme nella nostra camera d’albergo, nella notte”.

GORDITAS PELLIZCADAS CON MANTECA

(Sorelle sudamericane dello “gnocco” modenese, altrettanto gustose e altrettanto nutrizionalmente “scorrette”!)

1 tazza di masa harina (farina di mais per tortillas – in mancanza usare della comune farina di mais)

1 tazza di farina bianca

1 pizzico di sale

acqua tiepida

burro

Mescolare le farine col sale e acqua tiepida quanto basta per formare una palla soffice. Formare con le mani delle polpette schiacciate, pizzicarle lungo i bordi e friggerle nel burro finché sono ben gonfie. Scolarle sulla carta assorbente, tagliarle a metà e farcirle a piacere (per esempio di formaggio fresco, salsiccia piccante, pollo con peperoni, fagioli neri ecc.).

Si possono friggere anche nell’olio o, per una versione più leggera, cuocere nel testo (o nel “comal” che poi è la stessa cosa).

Mangiare il nome è un’operazione squisitamente culturale e la cucina assai spesso si ingegna di dare nomi fantasiosi e altisonanti alle proprie preparazioni. Le “escargots à la bourgognonne” sono infinitamente più desiderabili delle lumache in umido e la “minestra del Paradiso” evoca leggerezze e piacere maggiori di una semplice stracciatella in brodo. Il buon padre Artusi, che lo sapeva, ridicolizzava l’uso di dare nomi pomposi alle preparazioni di cucina, ma la sua divertentissima crociata contro le denominazioni stravaganti era destinata alla sconfitta. I nomi sono fondamentali, come sa bene chiunque abbia tentato di far mangiare della verdura ad un bambino riottoso o abbia provato a rendere più piacevole l’inevitabile severità di una dieta. Mangiare con gli occhi, mangiare col naso, mangiare con l’udito, col tatto… quando mangiamo davvero coinvolgiamo tutti i sensi. E il “cannibalismo universale” del ciclo nascita-morte non è un atto di mera sopravvivenza; in mezzo alla durezza di ananke, la Necessità, si inserisce sempre in qualche modo edos, il Piacere così che “annulla i confini tra i nostri corpi e la sopa de frijoles, lo huacinango a la veracruzana, le enchiladas…”.

SOPA DE FRIJOLES NEGROS

Ingredienti per 4 persone:

450 g di fagioli neri secchi

8 cl di olio d'oliva

4 spicchi di aglio finemente tritato

2 cipolle sbucciate e tritate

1 peperone rosso lavato, pulito e tagliato a cubetti

sale

pepe

1 cucchiaino di origano secco

1/2 cucchiaino di cumino macinato

2 foglie di alloro

20 cl di vino bianco secco

2 cucchiai di aceto di vino rosso

1 pizzico di cipolla tritata

Tenere a bagno i fagioli almeno una notte. Scolarli e metterli in una pentola con 2 litri di acqua fredda; portare ad ebollizione a fuoco alto, quindi cuocere coperto a fuoco medio - basso per circa un'ora.

Nel frattempo in un pentolino scaldare l'olio, l'aglio e le cipolle, quindi aggiungere il peperone tagliato a pezzettini e far soffriggere ancora qualche minuto.

Togliere una tazza di fagioli dalla pentola, scolarli e mescolarli insieme al soffritto aggiungendo il vino bianco e l'aceto.

Dopo qualche minuto aggiungere il contenuto del pentolino alla pentola dei fagioli, salare e pepare a piacere ed aggiungere l'alloro ed il cumino.

Coprire e cuocere il tutto per 1-2 ore a fuoco basso, finché i fagioli siano cotti e teneri ma non 'sfaldati'.

Servire in coppette da zuppa o in piatti fondi e cospargere con un po' di cipolla tritata.

Degustare caldo ed accompagnare con una buona birra, preferibilmente centroamericana chiara.

Se non si trovano i fagioli neri secchi si possono sostituire con quelli in scatola, in questo caso il tempo di cottura deve essere ridotto ad una decina di minuti.

HUACINANGO A LA VERACRUZANA

1 dentice grande già pulito

1 cipolla tagliata a rondelle sottili

3 spicchi d’aglio tritati

4 pomodori maturi

2 tazze di salsa di pomodoro

1 cucchiaio di aceto

1 manciata di prezzemolo tritato

1 manciata di origano, maggiorana e timo tritati

3 foglie di alloro

1 confezione di olive verdi

1 cucchiaio di capperi dissalati

1 limone

peperoncino

sale

olio

Far soffriggere dolcemente la cipolla e quando è appassita aggiungere la salsa di pomodoro, i pomodori spellati e privati dei semi, le erbe aromatiche e il sale. Lasciar restringere un poco la salsa, quando è pronta versarne metà in una teglia ricoperta di carta da forno, adagiarvi il dentice già pulito ed eventualmente spinato, coprirlo con l’altra metà della salsa. Aggiungere le olive e i capperi e lasciar cuocere il tutto in forno a 180° finché non si è rassodato.

Servire caldo.

ENCHILADAS

Ingredienti e dosi per 4 persone:

250 g di pomodori verdi

150 g di arachidi pulite

100 g di formaggio fresco

18 tortillas

5 peperoni

2 petti di pollo lessati e tritati (tenere da parte qualche cucchiaiata di brodo)

1 cipolla

1 ciuffo di prezzemolo

2 cucchiai di olio d'oliva

sale

pepe

Preparazione

Far bollire i pomodori in acqua salata per pochi minuti, scolarli e tritarli con i peperoni, precedentemente abbrustoliti, pelati e privati dei semi, le arachidi e il prezzemolo pulito.

Far soffriggere il composto in padella con l'olio e unirvi un po' del brodo di cottura dei petti di pollo; aggiustare di sale e pepe.

Farcire ciascuna tortilla con una cucchiaiata di composto e con il pollo tritato.

Arrotolarle, versarvi sopra altra salsa, il formaggio grattugiato e la cipolla tritata.

Servirle ben calde.

LA SPESA DEL SIGNOR PALOMAR

Pubblicato nel 1983 “Palomar” è un Marcovaldo più filosofo e meno sfortunato, ma ugualmente smarrito nel tentativo di decifrare i segni del presente.

Palomar tenta di leggere il mondo, di decodificarlo, di classificarlo, ma finisce ogni volta per perdersi nella foresta dei significati, dei rimandi colti, delle memorie ancestrali. Persino quando fa la spesa. Un vaso da un chilo e mezzo di grasso d’oca si fa dapprima influsso riposante: “Nello spesso e soffice biancore che colma i flaconi s’attutisce lo stridore del mondo: un’ombra bruna sale dal fondo e come nella nebbia del ricordo lascia trasparire le sparse membra dell’oca svanite nel suo grasso”. Presto però fare la fila in una famosa gastronomia di Parigi diventa esperienza erotica: “da una montagna di grasso d’oca affiora una figura femminile, si spalma di bianco la pelle rosa, e già lui immagina se stesso facendosi largo verso di lei tra quelle dense valanghe e abbracciarla e affondare con lei”. Fantasia felliniana di una sensualità pingue e materna. Subito dopo prevale la visione estetica del cibo: “Le galantine di fagiano si distendono in cilindri grigiorosa sormontati, per autenticare la propria origine, da due zampe uccellesche come artigli che si protendono da un blasone araldico o da un mobile rinascimentale. Attraverso gli involucri di gelatina spiccano i grossi nei di tartufo nero messi in fila come bottoni sulla giubba d’un Pierrot, come note di una partitura, a costellare le rosee e variegate aiole dei pâté de foie gras, delle soppressate, delle terrines, le galantine, i ventagli di salmone, i fondi di carciofo guarniti come trofei”.

Infine, la gelosia: la gente grigia, distratta e frettolosa che lo circonda non merita tanto dispiego di arte e abbondanza. Solo a lui è concesso di penetrare fino in fondo l’essenza della “cornucopia del mondo”. Ma sarà poi vero? In quell’attimo di dubbio Palomar è perduto. “Forse per quanto sinceramente egli ami le galantine, le galantine non lo amano”. Il privilegio di trasformare tutto, anche il cibo, in un “oggetto da museo” diventa una condanna; il godimento deve sempre passare per qualche altro piano, svolgersi in tortuosi percorsi metonimici e metaforici.

GALANTINA DI FAGIANO

Ingredienti:

1 fagiano dissossato

1 hg di macinato di carne

1 fetta di prosciutto tagliata spessa

50 g di lingua di bue

1 manciata di pistacchi sgusciati

1 piccolo tartufo

1 cucchiaio di marsala

noce moscata

sedano, carota, cipolla

sale e pepe

Procedimento

Condire il fagiano con sale, pepe, noce moscata e marsala.

Mescolare il macinato col lardo, il prosciutto e la lingua tritati, i pistacchi e il tartufo pulito e tagliato a lamelle. Legare tutto con le uova e riempire il fagiano con il composto ottenuto. Cucire l’apertura e avvolgere strettamente il fagiano in un telo pulito legandolo bene.

Lessare il fagiano in una pentola capiente con sedano, carota e cipolla, per circa 1ora. Scolarlo, disporlo in un piatto con un peso sopra e metterlo in frigorifero per 5/6 ore. Servirlo tagliato a fette con la sua gelatina (ricavata dal brodo) o con maionese.

CROSTINO CON FOIE GRAS E CIPOLLE

Ingredienti per 4 persone:

½ baguette

350 g di foie gras

2 cipolle rosse

3 cucchiai di zucchero

½ bicchiere di vino rosso

2 noci di burro

1 cucchiaio d’olio

sale e pepe

Procedimento.

Tagliare le cipolle a velo e stufarle dolcemente con l’olio e una noce di burro finché non sono tenere. Spolverarle di zucchero e lasciarle caramellare. Toglierle dal fuoco e lasciarle raffreddare.

Tagliare a fettine le baguette e tostarle leggermente.

Tagliare a fettine il foie gras e farlo saltare nel burro restante finché prende colore, regolare di sale e pepe.

Adagiare il foie gras sulle fettine di baguette e guarnire con le cipolle caramellate aggiungendo a piacere un altro giro di pepe macinato al momento o un pizzico di dragoncello tritato.

TERRINA DI ANATRA ALL’ARANCIA

Ingredienti:

1 anatra disossata (compreso il fegato)

1 hg di fegatini di pollo

1 hg di macinato di vitello

1 hg di macinato magro di maiale

1 hg di lardo tritato

1 hg di lardo a fettine sottili

1 uovo

2 arance

4 cucchiai di cognac

4 cucchiai di Madera

4 cucchiai di Pinot nero

½ cipolla

1 cucchiaino di timo e senape in polvere mischiati

1 ciuffetto di prezzemolo tritato

2 foglie di alloro

1 l di brodo di pollo

1 busta di gelatina

Procedimento

Tagliare il petto dell’anatra in striscioline larghe circa mezzo centimetro. Preparare una marinata unendo il vino, 3 cucchiai di Madera, il succo di un’arancia e la sua scorza a striscioline sottili, la cipolla tritata, il timo, la senape, il prezzemolo, l'alloro sbollentato, sale e pepe a piacere; immergervi le striscioline di petto e lasciarvele per una notte. Tritare finemente tutta la carne rimasta, il fegato, il maiale, il vitello e il lardo; aggiungete il liquido della marinata e l'uovo ben sbattuto; aggiustare di sale e pepe. Foderare una terrina con le fettine di lardo, fare uno strato piuttosto alto di composto e pressarlo bene; adagiarvi le fettine di petto con qualche strisciolina di lardo, poi ricoprire con il composto rimasto e le ultime fettine di lardo. Coprire la terrina, metterla in una teglia con acqua calda e cuocerla a forno moderato per circa un'ora e un quarto. Togliere il coperchio, mettere sulla terrina un piatto con un peso che la comprima e lasciare raffreddare. Toglierla dal recipiente, liberarla dal lardo e accomodarla su un piatto pulito.

Fare una gelatina con il brodo profumandola con 1 cucchiaio di madera e versarla sulla terrina decorandola con sottili fettine della seconda arancia.

TARTINE AL SALMONE AFFUMICATO

Ingredienti:

pane a cassetta

burro leggermente salato

salmone affumicato

limoni

pepe verde

erba cipollina

Procedimento.

Disporre il salmone affumicato sul piatto di portata, guarnirlo con sottili fettine di limone, grani di pepe verde e fili di erba cipollina tritati. Servirlo con fette di pan carré senza crosta e un piattino di riccioli di burro.

CARCIOFI ALLA PROVENZALE


Ingredienti per 4 persone:

4 carciofi

150 g di maionese

2-3 spicchi d'aglio

1 limone

1 cucchiaio di prezzemolo tritato

Procedimento

Sbucciare l'aglio, tritarlo e mescolarlo con la maionese. Mondare i carciofi: eliminare la maggior parte del gambo e le foglie più esterne, poi lavarli e spruzzarli con un po' di succo di limone, in modo che non anneriscano.

Lessare i carciofi in acqua bollente salata per circa 20-25 min., poi scolarli e raffreddarli sotto il getto dell'acqua fredda. Quindi allargare il centro dei carciofi, eliminare la barbetta e farcirli con la maionese. Servirli spolverizzati di prezzemolo tritato.

CASSOULET TOLOSANO

Ingredienti per 8 persone:

750 g di fagioli toscanelli secchi

1 piedino di maiale leggermente salato

350 g di traversino di maiale

1 salamella (di cotenne o all'aglio)

1 rametto di timo

1 cipolla steccata con 1 chiodo di garofano

1 carota

1 spicchio d'aglio

200 g di cotenne fresche

1 pomodoro

3 cosce d'anatra o 2 cosce d'oca in conserva

400 g di salsiccia

50 g di mollica di pane raffermo

sale e pepe.

Procedimento:

Lasciare a bagno i fagioli in acqua fredda per una notte.

Sbollentare le carni salate.

Scolare i fagioli e metterli in una pentola con il piedino, il traversino, la salamella, la cipolla steccata, il timo sfogliato, la carota tagliata in quattro pezzi.

Coprire con acqua fredda non salata e fare sobbollire 1 ora.

Strofinare accuratamente con lo spicchio d'aglio l'interno di una grande casseruola e poi disporvi le cotenne con la parte grassa rivolta verso il basso.

Mettere sul fondo della casseruola metà dei fagioli scolati, dopo aver tolto dal brodo di cottura la cipolla e i pezzi di carota.

Disporvi sopra il piedino disossato e affettato, il traversino tagliato a pezzi lungo le ossa e la salamella spellata e tagliata in grosse fette.

Pepare, salare leggermente, coprire con i fagioli rimasti e un mestolo di brodo di cottura.

Cuocere per 3 ore a fuoco lento senza coprire. Ogni 20 minuti rompere delicatamente nel cassoulet la pellicola che si forma.

Trascorso il tempo di cottura, introdurre tra i fagioli i pezzi d'anatra o d'oca e la salsiccia tritata.

Cospargere con mollica di pane abbrustolita, versare sopra il grasso d'oca fuso e rimettere un'ultima volta in forno.

Servire direttamente in tavola nel recipiente di cottura.

MINESTRA DI VERDURE CON CONFIT

(grasso d’oca in conserva)

Ingredienti per 4 persone:

250 g di fagioli cannellini freschi

2 patate

¼ di cavolo verza

2 carote

2 rape

1 porro

2 zucchine

2 pomodori

1 cipolla

1 mazzetto di prezzemolo

1 mazzetto di dragoncello

2 foglie di alloro

4 cucchiai abbondanti di confit de canard (grasso d’anatra in conserva)

sale e pepe

Pulire le verdure e tagliarle a tocchetti (tagliare a listarelle il cavolo verza, sbucciare i pomodori e togliere i semi, tagliare a rondelle fini il porro e la cipolla). Versarle in una capace pentola, aggiungere gli odori e coprire di acqua fredda. Cuocere a fuoco moderato finché le verdure non sono ben tenere (circa 2 ore). Regolare di sale e pepe. Toglierne dal fuoco circa 1/3 delle verdure. Eliminare gli odori e frullare il rimanente fino ad ottenere una crema liquida. Aggiungere di nuovo le verdure tolte in precedenza, versare nella pentola il confit e riscaldare nuovamente per 5 minuti. Servire calda con crostini di pane.

Anche nel negozio di formaggi il Signor Palomar oscilla fra la curiosità classificatrice e la ricerca del “suo” formaggio ideale. “Dietro ogni formaggio c’è un pascolo d’un diverso verde sotto un diverso cielo: prati incrostati di sale che le maree di Normandia depositano ogni sera; prati profumati d’aromi al sole ventoso di Provenza; ci sono diversi armenti con le loro stabulazioni e transumanze; ci sono segreti di lavorazione tramandati nei secoli. Questo negozio è un museo…”.

Ecco, è sempre lì che si arriva: al museo, alla mostra, al percorso intellettuale dentro a cui Palomar, distratto, non riesce più a organizzarsi e “ripiega sul più ovvio, sul più banale, sul più pubblicizzato, come se gli automatismi della civiltà di massa non aspettassero che quel suo momento di incertezza per riafferrarlo in loro balia”.

INSALATA AL BLEU DE CAUSSES

Ingredienti per 4 persone

200 g di Bleu des Causses

2 carote

2 zucchine

1 mazzetto di rucola

1 vasetto di mais lessato

4 fette di pane a cassetta

4 foglie di salvia

1 cucchiaino di senape

150 g di misticanza

20 g di burro

olio extravergine di oliva

sale e pepe

Preparazione

Lavare e scolare l'insalata, sbucciare le carote e tagliarle a julienne, spuntare le zucchine e tagliale a rondelle sottili, dopo averle lavate.

Sgocciolare il mais.

Tagliare a quadratini il pane in cassetta dopo averlo privato della crosta e rosolalo con il burro e le foglie di salvia, pulire la rucola, lavarla e asciugarla.

Riunire in un'insalatiera l'insalata, le carote, il mais, le zucchine e la rucola.

Emulsionare in una ciotola la senape, l'olio, un po' di sale e il pepe macinato.

Versare il condimento nell'insalatiera.

Mescolare con cura, poi aggiungere i cubetti di pane fritto e il Bleu de Causses spezzettato irregolarmente.

Servire subito.

PALLINE DI CAPRINO E FRUTTA


Ingredienti per 4 persone:

- 300 g di formaggio di capra

- 1 fico grosso

- 5 gherigli di noce

- 10 mandorle

- 1 cucchiaio di prezzemolo tritato

- paprika in polvere

- sale

- pepe

Procedimento

Amalgamare il formaggio con una presa di paprika, una di sale e una buona macinata di pepe. Sbucciate il fico e riducetelo a pezzettini. Tostare le mandorle in una padella antiaderente senza condimento e lasciatele raffreddare.

Tritare mandorle e noci e mescolatele con il prezzemolo. Prendere un cucchiaino di formaggio, creare un incavo nel centro e sistemateci dentro un pezzettino di fico. Con le mani, continuare a rotolare il formaggio, in modo da ottenere una pallina, poi passarla nel contenitore con il trito.

Fare la stessa operazione anche con il resto del formaggio e servire.

Infine Palomar va dal macellaio a comprare tre bistecche. La macelleria non è più un museo, è un tempio, un luogo dove “i riti che permettono di placare il rimorso per l’uccisione d’altre vite al fine di nutrire la propria”, sebbene caduti in disuso, aleggiano tuttavia come un peso sulla coscienza. La carne che, con diverse sfumature di rosso, tinge di sangue il marmo del bancone è sì parte di un tutto che comprende l’uomo stesso e lo affratella all’animale, ma è anche “promessa della felicità gustativa”. L’uomo carnivoro che uccide il proprio fratello animale non è più il cacciatore che espia con la pazienza, col pericolo, con la possibilità dell’insuccesso (e col rituale) la colpa di farsi assassino; non è più nemmeno l’allevatore che offre un sacrificio alla divinità perché gli dei possano sedere a mensa con gli uomini. Saltato il passaggio del macello, delegato a pochi specialisti, ignorata la sapienza che permette di dividere e tagliare secondo partizioni precise per ogni destinazione culinaria; superata la conoscenza puntigliosa delle ripartizioni onorifiche (se anche l’ospite d’onore si serve per primo, nessuno più si sogna di imporre, o di pretendere, la “porzione dell’eroe”); ciò che resta è un sentimento vago di pietà e di timore, misto al piacere anticipatore di immaginare “quel” taglio di carne in un arrosto, in una grigliata o in un bollito misto. La carne allora non sarebbe che un altro frutto della cornucopia dell’abbondanza da cogliere e gustare come va colto e gustato il resto del mondo.

BISTECCHE AL PEPE

Ingredienti:

1 filetto di manzo per persona

pepe in grani

cognac

panna da cucina

burro

sale

Procedimento.

Schiacciare con un batticarne i grani di pepe sul filetto in modo da farli penetrare bene. Scaldare una noce di burro in una padella antiaderente, rosolarvi i filetti a piacere, regolare di sale e fiammeggiare col cognac. Togliere i filetti dalla padella e tenerli in caldo. Deglassare il fondo di cottura con la panna e servire i filetti nappati con la salsa.

BISTECCHE AL DRAGONCELLO

Ingredienti per 4 persone:

4 fette di vitello

1 cucchiaio di dragoncello fresco tritato

4 cucchiai di olio extravergine di oliva

sale

pepe

Preparazione:

Cuocere le fette di vitello in una bistecchiera 3 min. per lato; spolverarle con il dragoncello e pepe macinato al momento. Servirle subito irrorate di un filo d’olio crudo e sale marino grosso.

FRICANDEAU

Ingredienti per 4 persone:

1 kg di noce di vitello

100 g di prosciutto grasso e magro tagliato in una sola fetta

1 cipolla

1 carota

1 costa di sedano

6 o 7 chiodi di garofano

1 mazzetto di prezzemolo, alloro e timo

10 g di burro

brodo sgrassato di carne

Lardellare la carne con listarelle di prosciutto. Steccare la cipolla con i chiodi di garofano. Fondere il burro in una casseruola dai bordi alti, aggiungere la cipolla, la carota a fette e il sedano a pezzetti; adagiare la carne nel tegame e rosolarla bene da tutti i lati. Aggiungere il mazzetto di odori e il brodo lasciando cuocere la carne coperta e a fuoco dolce. Regolare di sale e pepe. Quando la carne è cotta e ben tenera scolarla e tenerla in caldo. Eliminare la cipolla, passare il fondo di cottura (eventualmente aggiungere qualche cucchiaio di brodo se si fosse asciugato troppo). Tagliare la carne a fette e servirla nappata col fondo.

Un trucco per tagliare la carne senza che si sbricioli è quello di lasciarla raffreddare, tagliarla e scaldarla successivamente in un piatto posto su una pentola di acqua bollente, aggiungendo qualche cucchiaino di brodo se dovesse asciugare. Quando è ben calda coprirla con la salsa e servirla.

FILETTO AL TARTUFO


Ingredienti per 4 persone:

1 kg di filetto tagliato alto (almeno 3 dita)

1 spicchio d’aglio

1 mazzetto di salvia e rosmarino

olio, sale, pepe, farina

½ l di brodo di carne

1 tartufo

Versare due cucchiai d’olio in una padella larga. Infarinare leggermente i filetti (che devono essere lasciati a temperatura ambiente almeno 4 ore) e, quando l’olio è caldo, adagiarli nella padella in modo che non si tocchino. Cospargerli con un trito di aglio, salvia e rosmarino, scottarli da entrambe le parti finché prendono colore, aggiungere qualche cucchiaio di brodo e continuare la cottura a piacere (si consiglia di tenerli al sangue). Regolare di sale e pepe. A cottura ultimata toglierli dalla padella e tenerli in caldo. Aggiungere un cucchiaio di farina al fondo di cottura (ed eventualmente qualche cucchiaio di brodo se dovesse risultare troppo denso). Lasciar addensare la salsa, passarla e versarla sui filetti ricoprendoli di sottili scagliette di tartufo nero o tartufo di pineta.

COQ AU VIN


Ingredienti per 4 persone:

1 galletto già pulito in pezzi

200 g di lardo

200 g di funghi

150 g di cipolline

3 cucchiai di olio

1 bottiglia di vino rosso piuttosto forte

200 g di burro

100 g di farina

1 bicchiere di brandy

2 spicchi d'aglio

timo

alloro

crostini di pane

Preparazione.

Tagliare a dadini il lardo, mettere in una padella cento grammi di burro con le cipolline tritate, farle rosolare per cinque minuti, poi unire il lardo tagliato a dadini e lasciarlo tostare per altri cinque minuti, quindi aggiungere i funghi ben puliti e farli insaporire a fiamma moderata.

Mettere il burro restante in una casseruola, aggiungere i pezzi di pollo, lasciandoli dorare da ogni parte, poi unire il composto di funghi, cipolline e lardo, mescolando tutto bene.

Salare, pepare, spolverizzare con timo e alloro tritati. Fiammeggiare con il brandy.

Non appena la fiamma si sarà spenta, bagnare con il vino e portare lentamente ad ebollizione, quindi aggiungete l'aglio tritato.

Continuare la cottura per circa quaranta minuti.

Togliere dal recipiente i pezzi di pollo, con i funghi ed il lardo, tenere tutto in caldo; passate al setaccio il fondo, incorporarvi il rimanente burro maneggiato con la farina e rimettete la salsa sul fuoco, facendola addensare e sobbollire per dieci minuti.

Adagiare i pezzi di pollo ed i funghi sui crostini di pane ed irrorare quindi il tutto con la salsa.


VITELLO ALL’ACETO BALSAMICO

Per 2 persone

2 pomodori ramati

2 fettine di vitello

1 spicchio d’aglio

olio extravergine di oliva

aceto balsamico

qualche foglia di menta

sale e pepe

Lavare e tagliare a cubetti piccoli i pomodori. Far scaldare l’aglio schiacciato in due cucchiai d’olio, quindi toglierlo. Adagiarvi le fettine di vitello e cuocerle un minuto per lato, unire la dadolata di pomodori, sale, pepe, una manciata di menta fresca e due cucchiai di aceto balsamico. Lasciar insaporire qualche minuto e servire ben caldo.

IL CASTELLO DEI DESTINI INCROCIATI

Il Castello dei Destini Incrociati è il luogo in cui il Destino si palesa sotto forma di Tarocchi. Novello Chaucer, Calvino rivisita la forma medievale della queste (il cavaliere stremato dalle prove nella foresta che arriva al castello misterioso) col gusto per il travestimento linguistico e le trame intrecciate da mille e una notte trovandosi a raccontare storie con uno dei più lussuosi e antichi mazzi di tarocchi esistenti, quello dei Visconti. Un mondo di cavalieri e dame, re ed eremiti, tentazioni e salvezze, il tutto chiuso nell’angusto spazio araldico della carta da gioco e dei suoi mille significati. Allora i bastoni sono foreste e i denari immensi tesori, le spade battaglie sanguinose e le coppe festini incantati. Il castello stesso è un luogo di accoglienza il cui status è sfuggente “sia che (…) da molti anni visitato solo come luogo di tappa, si fosse a poco a poco degradato a locanda, e i castellani si fossero visti relegare al rango d’oste e di ostessa, pur sempre reiterando i gesti della loro ospitalità gentilizia; sia che una taverna, come spesso se ne vedono nei pressi dei castelli per dar da bere a soldati e cavallanti, avesse invaso – essendo il castello da tempo abbandonato – le antiche sale signorili per installarvi le sue panche e i suoi barili, e il fasto di quegli ambienti – e insieme il va e vieni d’illustri avventori – le avesse conferito un’imprevista dignità, tale da riempire di grilli la testa dell’oste e dell’ostessa, che avevano finito per credersi sovrani d’una corte sfarzosa (…). Ma a questa mensa, a differenza di ciò che sempre avviene nelle locande, e pure nelle corti, nessuno profferiva parola”.

Una mensa silenziosa, dove le storie raccontate con terrore e tremore (storie di alchimisti, di ladri di tombe, di cavalieri fedifraghi, fanciulle guerriere, papi e gran sacerdotesse, monaci e diavoli, scheletri e amanti) culminano nella storia di Orlando paladino, pazzo per amore, che “comunque giri poi viene il momento che lo acchiappano e lo legano, Orlando, e gli ricacciano in gola l’intelletto rifiutato”.

Una tavola, dei cavalieri, una coppa… una scena già vista? Quel misterioso banchetto in cui ciascuno viene saziato di cibi squisiti materiali e spirituali non è forse il graal che ritorna ossessivo ancora una volta?

Ecco qualche piatto che potrebbe essere uscito dalla cucina di siffatto castello.

COPPA DELL’OSPITE

Ingredienti per persona:

una grossa melagrana matura

un cucchiaino di zucchero di canna

un rametto di mirto

acqua frizzante (lo so, è un anacronismo, i puristi potranno usare acqua fresca di fonte)

Spremere le melagrane, filtrare il succo, mescolarlo con l’acqua in proporzione 2 a 1 (due parti di succo e una di acqua), dolcificare con lo zucchero (eventualmente diminuire o aumentare la dose a seconda della dolcezza delle melagrane), servire con un rametto di mirto ben pulito nel bicchiere. In mancanza del mirto si possono usare menta marocchina, melissa o qualche petalo di rosa.

PASTICCIO DI SELVAGGINA

Ecco un classico delle cucine dei castelli… o delle taverne!

450 g di carne di cinghiale o cervo a tocchetti

350 g di salsiccia

15 g di orzo perlato bollito

25 g di burro

1 cipolla affettata a velo

2 cucchiai di salvia fresca sminuzzata

150 ml di panna acida

1 bicchiere di vino rosso

1 cucchiaio scarso di farina

1 l di brodo di pollo

1 uovo fresco + 1 tuorlo

1 uovo sodo

sale e pepe

In un tegame sciogliere il burro e farvi appassire la cipolla. Aggiungere la carne, dorarla a fuoco vivo, sfumarla col vino, quindi versare il brodo e lasciarla cuocere a fuoco lento finché non è ben tenera (da due a tre ore, se dovesse asciugare troppo rimboccare con un po’ d’acqua calda). A cottura quasi ultimata aggiungere la salsiccia e la salvia, regolare di sale e pepe. Quando anche questa è cotta togliere la carne e tenerla in caldo. Versare la farina nel fondo di cottura insieme alla panna, amalgamare bene, togliere dal fuoco e legare con l’uovo fresco sbattuto. Aggiungere di nuovo la carne e lasciar intiepidire il tutto. Nel frattempo fare due dischi di pasta sfoglia e foderare una teglia rotonda. Versarvi la carne col suo sugo e l’uovo sodo a fettine. Coprire con l’altro disco di pasta, spennellarlo di tuorlo d’uovo e spolverarlo con l’orzo bollito. Praticare un forellino al centro (per far uscire il vapore) e infornare a 200° per 30/40 minuti, finché la pasta sarà ben lievitata e dorata.

Servirlo tiepido o freddo.

SPIEDINI CON LE MELE

Carni miste di maiale, manzo, vitello a cubetti.

Salsicce o salamini freschi.

Sale marino integrale.

Pepe.

Mele.

Succo di limone.

Foglie di alloro.

Olio d’oliva.

Infilare in dei lunghi spiedini la carne alternandola con rocchi di salsiccia o salamino, foglie di alloro e cubetti di mela. Grigliare gli spiedini sulla brace ungendoli di tanto in tanto con un miscuglio di olio e succo di limone. A cottura ultimata spolverarli di sale e servirli caldissimi.

Importante: la carne deve essere tenera e a temperatura ambiente al momento della cottura.

POLLO AL MELOGRANO

1 pollo ruspante

il succo di 3 o 4 grosse melagrane

il succo di 1 limone

1 cipolla

3 chiodi di garofano

1 stecca di cannella

½ cucchiaio di farina

una manciata di mandorle spellate e tostate a lamelle

olio, sale e pepe

Tagliare il pollo pulito in grossi pezzi. Soffriggere la cipolla nell’olio finché non è trasparente, unire il pollo e lasciarlo rosolare bene da tutte le parti. Aggiungere il succo delle melagrane unito al succo di limone e alle spezie, sale e pepe. Lasciar sobbollire dolcemente finché il pollo non è ben tenero (se dovesse asciugare troppo aggiungere un poco di acqua calda). Togliere i pezzi di pollo e tenerli in caldo, passare il fondo di cottura, aggiungere la farina e rimetterlo sul fuoco mescolando fino ad ottenere una salsa fluida. Servire il pollo nappato con la salsa e spolverato di mandorle a lamelle.

GNOCCHI ALLA RICOTTA

100 g di ricotta fresca intera

200 g di farina di semola di grano duro

200 g di parmigiano grattugiato

50 g di burro

1 uovo

sale

Mescolare la ricotta con la farina, metà del parmigiano e l’uovo fino ad ottenere una pasta che deve restare abbastanza morbida. Portare ad ebollizione abbondante acqua salata e gettarvi la pasta a cucchiaini per formare degli gnocchi rustici che vanno scolati con la schiumarola appena rassodati. Condirli con burro fuso e abbondante parmigiano e servirli caldissimi.

È importante che siano ben scolati prima di essere messi nella zuppiera di portata o risulteranno acquosi.

PERE AL VINO

Ecco un dessert che non poteva mancare ad un banchetto raffinato.

1 kg di pere

1 l di vino rosso

50 g di zucchero semolato

1 stecca di cannella

3 pezzetti di macis

2 anici stellati

2 chiodi di garofano

1 rondella di zenzero fresco

60 g di uva passa

60 g di pinoli

1 cucchiaio di acqua di fiori d’arancio

12 datteri snocciolati e tritati grossolanamente

Sbucciare le pere cuocerle delicatamente nel vino con le spezie e lo zucchero finché sono ammorbidite, ma non disfatte. Devono avere un aspetto ambrato. Servirle con l’uva passa fatta rinvenire in acqua tiepida, i pinoli e i datteri.

LA TAVERNA DEI DESTINI INCROCIATI

Quando si passa dal Castello alla Taverna l’atmosfera si fa meno solenne e più conviviale, ma l’incantesimo che attanaglia gli scampati della foresta è il medesimo: “sento acciottolare le scodelle, stappare i fiaschi, tambureggiare coi cucchiai, masticare, ruttare, faccio gesti per dire che ho perduto la parola, anche gli altri stanno facendo gli stessi gesti, sono muti”.

Le storie della Taverna hanno il sapore forte delle affabulazioni raccontate nelle stalle e nelle osterie: storie di diavoli e di vampiri, di streghe e di matti, in cui entra certo, di nuovo e ancora, il graal “il vaso misterioso che il suo primo poeta non fece in tempo a spiegarci cos’era – o non lo volle dire – e che da allora sgorga fiumi d’inchiostro di congetture”. Qui non più Orlando pazzo d’amore, ma Parsifal folle di purezza vaga per terre desolate senza far domande, e Faust cerca la sapienza del diavolo perché qualcuno dia risposta alle sue, di domande.

Ma, come Perceval, nessuno ha più voce per chiedere a chi viene servito il graal e questo è un banchetto in cui i commensali manifestano lo smarrimento della propria condizione, un limbo in cui attendere una salvezza che a tratti appare certa e a tratti impossibile.

Ecco alcune pietanze dal sapore di “vecchia taverna”.

ZUPPA DI CIPOLLE CON CACIO

Probabilmente l’antenata della soupe a l’ognon.

5 o 6 grosse cipolle

25 g di burro

1 l di brodo di carne

100 g di raveggiolo o tomino

4 fette di pane casereccio raffermo

sale e pepe

Soffriggere dolcemente le cipolle nel burro finché sono trasparenti, aggiungere il brodo e lasciar bollire a fuoco lento finché le cipolle non sono quasi disfatte. Regolare di sale e pepe. Mettere una fetta di pane in ogni scodella, versarvi la zuppa di cipolle, coprirla di fettine di formaggio sottili e metterle sotto il grill finché il formaggio non è leggermente dorato. Servirle spolverate di pepe macinato al momento.

MINESTRA DI ERBETTE

400 g di bietole

100 g di erbe di campo miste (borragine, crescione, tarassaco, spinaci, cicoria ecc.)

1 l e ½ di brodo vegetale

prezzemolo, dragoncello, maggiorana freschi tritati

olio extravergine di oliva

sale e pepe

Pulire accuratamente le erbette, sminuzzarle e farle bollire nel brodo finché non sono ben tenere. Regolare di sale e pepe. Al momento di servire aggiungere una spolverata degli odori tritati, un filo d’olio crudo e altro pepe.

ZUPPA DI CECI

600 g di ceci

1 pizzico di bicarbonato

1 foglia di alloro

3 spicchi d’aglio +1

1 mazzetto di prezzemolo

4 fette di pane raffermo

olio

pepe e sale

Mettere a bagno i ceci la sera prima con un pizzico di bicarbonato. Il giorno dopo scolarli, sciacquarli e metterli a cuocere in acqua fredda con una foglia di alloro finché non sono ben teneri (2 o 3 ore circa). Regolare di sale. Nel frattempo soffriggere nell’olio l’aglio tritato, appena dorato (attenzione a non bruciarlo) spegnere il fuoco e aggiungere il prezzemolo tritato fine. Mettere una fetta di pane strofinata di aglio in ogni scodella, aggiungere i ceci con il loro brodo e un cucchiaio di aglio e prezzemolo. Pepare abbondantemente e servire ben calda.

ZUPPA DI FAGIOLI

500 g di fagioli dall’occhio

1 cipolla

1 costa di sedano

2 spicchi d’aglio

1 cucchiaio di lardo

1 cucchiaio di rosmarino tritato

1 mazzetto di maggiorana

1 foglia di alloro

4 fette di pane tostato

olio

sale e pepe

Mettere i fagioli a bagno per una notte in acqua tiepida con un pizzico di bicarbonato. Lessarli in acqua fredda con uno spicchio d’aglio, alloro e la maggiorana. In un tegame soffriggere dolcemente nell’olio un trito di sedano, aglio e cipolla, quando è pronto aggiungere il lardo e il rosmarino tritati insieme e spegnere il fuoco. Quando i fagioli sono cotti frullarne la metà, quindi rimetterli tutti nella pentola col sugo di lardo e rosmarino. Servire con fette di pane tostato strofinato di aglio ed eventualmente un giro di olio crudo e pepe macinato al momento.

LA FORESTA-RADICE-LABIRINTO

Dopo aver raccolto le fiabe italiane con un immenso lavoro simile a quello compiuto dai fratelli Grimm, Calvino pubblica nel 1981 un delizioso libretto dal nome La foresta-radice-labirinto. La storia ha tutte le caratteristiche della fiaba, con qualche tocco rubato al melodramma. Ci sono la principessa e il suo umile innamorato, la matrigna cattiva, il re lontano e così via. L’aspetto più originale di questa fiaba è che si svolge in una foresta intricata in cui i punti di riferimento cambiano continuamente: i rami diventano radici, le radici si prolungano nelle foglie e così via, a seconda del punto di vista da cui la si guarda. Nel racconto non vengono citati piatti di cucina, ma frutti ed erbe selvatiche che dovrebbero compenetrare la città di pietra come in un ultimo sogno degno di Marcovaldo: “Io vorrei portare in città le fragole di bosco, ma non in un cesto: vorrei che fossero le fragole a muoversi, come un esercito al mio comando, che marciassero sulle proprie radici fino alle porte della città. Vorrei che i rovi carichi di more s’arrampicassero su per le mura, vorrei che il rosmarino e la salvia e il basilico e la mentuccia invadessero le vie e le piazze. Qui nella foresta la vegetazione soffoca da quant’è fitta, mentre la città resta chiusa e irraggiungibile come un’arida luna di pietra”.

MACEDONIA DI FRUTTI DI BOSCO

Per 4 persone:

300 g di frutti di bosco freschi

qualche foglia di mentuccia

100 g di pinoli

zucchero

Versare in una ciotola i frutti di bosco, cospargerli di zucchero a piacere, pinoli e foglioline di menta spezzettate. Lasciare la macedonia in frigorifero per mezz’ora e servirla fresca, da sola o accompagnata da yogurt bianco.

Quando è stagione si può servirla cosparsa di petali freschi di violetta.

CIALDINE DI PARMIGIANO AL ROSMARINO

Ingredienti:

parmigiano reggiano grattugiato

foglie e fiori freschi di rosmarino

Preparazione:

Tritare finemente le foglioline di rosmarino, aggiungere i fiori ben puliti e mescolare tutto al parmigiano.

Ricoprire una teglia di carta da forno, disporvi il parmigiano grattugiato in tanti mucchietti e infornarlo in forno caldo a 200° per circa 10 minuti. Quando il parmigiano diventa dorato e croccante sfornare le cialdine, lasciarle raffreddare, staccarle delicatamente dalla placca e servirle come stuzzichino o aperitivo.

BAVARESE LATTE E MENTA

Ingredienti per 4 persone:

½ l di latte

½ l di panna

4 tuorli d’uovo

275 g di zucchero

4 fogli di colla di pesce

essenza di menta

foglioline di menta fresca

frutti di bosco a piacere

Preparazione:

Sbattere i tuorli con lo zucchero. Ammorbidire in acqua fredda la colla di pesce e strizzarla. Scaldare il latte, aggiungere i tuorli, la colla di pesce e qualche goccia di essenza di menta. Mescolare bene e lasciar intiepidire il composto.

Riempire 4 stampini con la bavarese e lasciarla rassodare in frigorifero per almeno 2 ore. Al momento di servirla sformare gli stampini su piattini individuali e decorarli con foglioline di menta fresca e frutti di bosco.

DADOLATA DI POMODORI AL BASILICO

Ingredienti:

4 pomodori ramati

1 ciuffo di basilico

1 spicchio d’aglio

qualche foglia di menta

olio extravergine di oliva

semi di papavero

sale e pepe

Immergere i pomodori in acqua bollente per 1 minuto e spellarli, quindi privarli dei semi e tagliarli a dadini. Metterli in una ciotola con sale, pepe, l’aglio a fettine, il basilico spezzettato,l’ olio d’oliva, qualche fogliolina di menta e semi di papavero. Mescolarli delicatamente e lasciarli insaporire per una mezz’ora.

Servirli come accompagnamento ad una bruschetta o come condimento veloce per una insalata di pasta (in questo caso si possono accompagnare anche con dadini di ricotta romana).

Ottimi anche come contorno a dei filetti di sogliola impanati.

FIORI E FOGLIE ZUCCHERATE

Ingredienti:

a seconda della stagione si possono usare petali di violetta, rosa, lillà, gelsomini, garofanini

foglie di mentuccia ed erba luigia

albume d’uovo

zucchero

Preparazione:

Lavare accuratamente i fiori e le foglie e lasciarli asciugare su un telo pulito.

Sbattere leggermente l’albume quel tanto che basta da fargli perdere elasticità, ma senza farlo schiumare.

Immergere delicatamente i petali e le foglioline nell’albume, sgocciolarli e rotolarli nello zucchero finché non sono ben coperti.

Metterli ad asciugare su una gratella in un luogo tiepido.

In una scatola di latta ben chiusa si conservano diversi giorni. Ottimi per guarnire dolci e torte o, più semplicemente, una tazza di yogurt.

CALVINO E L’OCCHIO ATTENTO

Calvino guarda il mondo con occhio straordinariamente attento e lo vede, lo confronta, lo classifica, ne coglie lampi di senso e spolverate di dubbio: “vedere vuol dire percepire delle differenze”[1].

Il senso della differenza sta anche in quei piccoli particolari che l’occhio attento coglie negli eventi quotidiani: fare la spesa a Parigi o, perché no, prendere il treno a Tokio. Qui una signora anziana e riverita prende il treno accompagnata da una giovane e deferente fanciulla.

“Il vagone ha molti posti liberi e la ragazza anziché a fianco della signora s’è messa nella fila davanti, affacciata alla spalliera, e ora le serve da mangiare: un sandwich in un cestino di paglia. (Cibo occidentale in una confezione tradizionale, stavolta: il contrario di quel che si vede di solito, nei frequenti spuntini volanti dei giapponesi: per esempio durante i lunghissimi spettacoli del teatro Kabuki gli spettatori aprono crepitanti contenitori di cellophane e ne estraggono con le bacchette bocconi di riso bianco e pesce crudo)”.

Per chi volesse provare qualcosa che ricordi le splendide pagine che Calvino ha scritto sul Giappone ecco qui:

RISO SUSHI

(Serve da base per le altre preparazioni)

500 g di riso per sushi (in mancanza scegliere del riso originario)

½ bicchiere di aceto di riso

2 cucchiai di zucchero

½ cucchiaino di sale

Lavare il riso in acqua fredda finché questa non diventa chiara. Scolarlo e lasciarlo riposare 10 minuti. Versare il riso in una pentola con pari peso d’acqua e cuocerlo a fuoco vivace fino al bollore, quindi abbassare la fiamma e cuocere altri 10-15 minuti. Spegnere e lasciar riposare circa 15 minuti (il riso dovrebbe aver assorbito tutta l’acqua, se ne resta scolarlo).

Preparare una salsa con l’aceto, lo zucchero e il sale leggermente scaldati e irrorarla sul riso.

Versare il riso in un recipiente basso e largo e mescolarlo delicatamente con un cucchiaio di legno perché si raffreddi rapidamente. Formare un cumulo e coprirlo con un telo umido in attesa di utilizzarlo.

BOCCONCINI COLORATI (Gunkanmaki)

riso sushi già cotto (vedi sopra)

2 fogli di alga nori[2]

½ cetriolo

½ avocado

8 pezzi di surimi

1 filetto di salmone fresco

1 piccola fetta di tonno fresco

8 gamberetti bolliti

uova di salmone

½ porro

zenzero sottaceto

salsa di soia

pasta di wasabi[3]

Tagliare l’alga nori a metà nel senso della lunghezza e poi ogni pezzo in tre parti (usare le forbici da cucina o un coltello molto affilato). Formare 12 polpettine di riso leggermente oblunghe premendole delicatamente sul palmo della mano, adagiarle sul piatto di portata, circondarle con una strisciolina di alga nori ciascuna in modo da formare delle barchette. Decorare a piacere ogni “barchetta” con:

due tocchetti di surimi

due fettine di avocado

uova di salmone

cubetti di salmone saltato in padella

un gamberetto

due fettine di cetriolo

cubetti di tonno scottati alla piastra

striscioline di porro

uova di salmone

Servire i bocconcini con salsa di soia a parte, fettine di zenzero sottaceto e palline di wasabi.

Per una versione meno ortodossa ma ugualmente gustosa servite ad ogni commensale il riso in tre piccole ciotoline individuali e guarnitelo con i vari ingredienti (non mescolati) e striscioline di alga nori.

SASHIMI

Il pesce per questa preparazione deve necessariamente essere freschissimo e passat nell'abbattitore. Fate sapere al pescivendolo che intendete mangiarlo crudo.

2 o 3 filetti sottili di pesce bianco

2 fettine di tonno alte 1 cm

3 fettine di sgombro alte 1 cm

3 fettine di salmone alte 1 cm

3 o 4 tocchetti di tentacoli di polpo

½ cetriolo

1 daikon[4]

1 limone

1 cucchiaino di wasabi[5]

salsa di soia

Tagliare il daikon a julienne e metterlo in acqua ghiacciata, tagliare il cetriolo a fettine sottili ricavandone dei ventaglietti o delle rosette.

Lavare e asciugare bene il pesce crudo. Ricavare dei bocconcini con un coltello molto affilato e disporli nei piatti individuali alternandoli con le fettine di cetriolo e limone e guarnendoli con il daikon scolato e asciugato. Servire con wasabi e salsa di soia a parte.

SASHIMI AGLI AROMI

300 g di filetti di sauro sottili

2 cipollotti freschi

1 pezzetto di zenzero fresco

1 lime

salsa di soia

Lavare e asciugare i filetti di sauro. Tagliarli a fettine oblique fino ad ottenere delle striscioline sottili. Tritare i cipollotti, grattugiare lo zenzero e mescolarli al pesce su un tagliere. Battere leggermente il tutto con il piatto di un coltello fino ad amalgamare bene gli aromi. Disporre il sashimi su piatti individuali guarnendolo con fettine di lime. Servirlo con salsa di soia a parte.

TENPURA DI GAMBERI

8 gamberoni

2 carote

1 melanzana

2 zucchine

8 bocconcini di pesce bianco

Per la pastella:

120 g di farina

1 uovo

1 bicchiere di acqua ghiacciata

Per la salsa:

8 cucchiai di dashi[6]

1 cucchiaio di salsa di soia

1 cucchiaio di mirin[7]

1 cucchiaio di katsuo[8]

1 pizzico di daikon[9] tagliato a julienne

1 pizzico di zenzero grattugiato

olio di semi per frittura

Frullare tutti gli ingredienti per la salsa aggiungendo il katsuo per ultimo.

Sbattere l’uovo con l’acqua , aggiungere la farina e mescolare brevemente, non importa se si formano dei grumi. Mettere la pastella in frigorifero (deve essere ben fredda per poterla utilizzare al meglio).

Pulire i gamberoni togliendo la testa e lasciando un pezzetto di guscio sulla coda. Tagliare le melanzane a ventaglio, le carote a rondelle e le zucchine a tocchetti.

Versare abbondante olio di semi nel wok o in una padella antiaderente, infarinare i vari ingredienti, tuffarli nella pastella pochi alla volta e friggerli in olio ben caldo (prima le verdure, poi il pesce). Asciugarli su carta da cucina e tenerli in caldo (in forno a 50°) fino al momento di servire. Accompagnarli con la salsa e il daikon a parte.

YAKITORI

400 g di pollo a tocchetti

2 cipollotti freschi

2 cucchiai di sakè[10]

2 cucchiai di mirin[11]

2 cucchiai di zucchero di canna

2 cucchiai di salsa di soia

Tagliare i cipollotti a rocchetti corti (anche la parte verde, tranne le foglie) e alternarli negli spiedini con i tocchetti di pollo.

Far bollire brevemente il sakè col mirin, lo zucchero e la salsa di soia.

Cuocere gli spiedini sulla griglia irrorandoli di tanto in tanto con la salsa. Servirli con la salsa rimasta e un contorno di riso bianco al vapore.

VONGOLE AL SAKE

800 g di vongole lavate e pulite

½ bicchiere di sakè

1 pizzico di erba cipollina

Cuocere le vongole col sakè in una padella coperta finché non sono aperte (quelle che non si aprono eliminatele). Scolarle, coprirle col sugo filtrato spolverarle di erba cipollina tagliuzzata e servirle calde.

Altre splendide pagine Calvino le dedica all’Iran. Un Iran prerivoluzionario, ricco di contraddizioni e tensioni, ma anche di dolcezza. In suo onore qualche ricetta persiana.

“Visitando la Medresseh, vedendo la tranquilla familiarità con cui gli abitanti di Ispahan vivono questo luogo e quest’ora, penso che piacerebbe anche a me occupare il soppalco d’una di quelle nicchie spaziose, come l’uomo là che siede a gambe ripiegate e legge, o gli altri che stanno chiacchierando, o come quello che s’è sdraiato e dorme, o uno che mangia pane in lamine sottili e insalata […].

Forse una città che è stata fatta seguendo una felice disposizione dei pieni e dei vuoti si presta a essere vissuta con felice disposizione di spirito anche in tempi di dispotismo megalomane.”[12]

RISO ALLO ZAFFERANO

1 Kg di riso basmati

1 cucchiaino di zafferano

olio d’oliva

sale

Lavare il riso con acqua tiepida più volte finché l’acqua non rimane limpida. Cuocerlo in acqua bollente salata per 5 minuti. Versare alcuni cucchiai di olio in una pentola, aggiungere il riso, coprire con un coperchio e sigillarlo con uno strofinaccio in modo da non far uscire il vapore.

Cuocere il riso a fuoco lento per 30 – 40 minuti. Aprire la pentola, condire il riso con un po’ di burro e di zafferano sciolto in un cucchiaino di acqua calda e servirlo come contorno ad una grigliata mista di carne e verdure insieme alla crosticina dorata che si sarà formata sul fondo della pentola.

SPIEDINI DI MACINATO

1 Kg di carne di manzo macinata finemente[13]

2 cipolle dorate

olio d’oliva

sale e pepe

Impastare bene la carne con le cipolle tritate finemente, sale e pepe. Formare delle palline compatte, infilarle negli spiedini e cuocerle alla griglia ungendole ogni tanto con un po’ d’olio. Servirle con verdure grigliate e riso allo zafferano.

VERDURE GRIGLIATE

Melanzane e pomodori

aglio

prezzemolo

olio d’oliva

sale e pepe.

Tritare l’aglio finemente col prezzemolo e mescolarlo in una ciotola con l’olio, il sale e il pepe. Tagliare le melanzane a fette e i pomodori a metà. Disporre le verdure su un vassoio e irrorarle con la marinata. Cuocerle alla griglia irrorandole d’olio di tanto in tanto. Servirle tiepide o fredde con riso allo zafferano o carne alla griglia.

RISO ALLE MANDORLE

Ingredienti per 4 persone:

300 g di riso pilaf

200 g di carote

40 g di filetti di mandorle

1 cipolla

1 noce di burro

brodo di verdura

1 mazzetto di erbe aromatiche (prezzemolo, coriandolo, salvia, alloro)

Tostare leggermente le mandorle in un padellino antiaderente e metterle da parte. Soffriggere la cipolla tritata nel burro e unire le carote tagliate a rondelle sottili. Quando le carote saranno ammorbidite aggiungere il riso, lasciarlo tostare leggermente e versarvi il brodo a filo. Cuocere aggiungendo il mazzetto di erbe legato e altro brodo caldo se dovesse asciugare troppo. A cottura ultimata togliere il mazzetto di erbe e servire il riso cosparso con le mandorle tostate.

CONCLUSIONE

Leggero e profondo, didattico e avventuroso, Calvino è un’inesauribile fonte di piacere letterario, ma anche culinario. Forse questo tratto non sarebbe dispiaciuto a lui che faceva dei sensi un trampolino di lancio per conoscere, o forse riconoscere, il mondo. Al suo slancio, alla sua ironia, al suo piacere di raccontare saremo sempre debitori, magari davanti ad un piatto che ci ricordi le sue storie.

[1] La vecchia signora in chimono viola – da Collezione di sabbia, Einaudi 1994

[2] Si trova in fogli sottili già pronti.

[3] E’ una purea di daikon (una varietà di rafano) molto piccante.

[4] E’ la radice da cui si ricava il wasabi.

[5] Vedi nota n. 9

[6] Un tipico brodo aromatizzato con le alghe kombu che si può preparare anche con appositi dadi.

[7] E’ un vino di riso usato per insaporire vari piatti.

[8] Scagliette di tonno affumicato usate per insaporire.

[9] Vedi nota 10.

[10] Vino di riso molto usato in Giappone sia come bevanda (calda) che come ingrediente di cucina.

[11] Vedi nota 13.

[12] Il mihrab - da Collezione di sabbia, Einaudi 1994

[13] Si può usare anche carne di agnello o un misto di manzo e agnello.