Dicono che le persone che ridono quando si fa loro il solletico abbiano avuto nella prima infanzia un rapporto pieno di affetto e fiducia con la madre. A me non si può toccare un piede senza farmi soffocare dalle risate.
Ed effettivamente la prima infanzia fu assai felice: la mattina a spasso con la mamma o la nonna, il pomeriggio si stava a chiacchericciare in cucina o angosciavo mio fratello perché mi raccontasse favole e storie.
Divenni poi proprietario di numerosi splendidi giochi: un barboncino di pezza bianco cui con una logica infantile tagliavo il pelo finché non si intravide altro che la tela che conteneva l’imbottitura, una fantastica ‘bititella’ (così pronunciavo infatti bicicletta), soldatini e costruzioni Plastic City.
Inoltre ebbi per compagni una sequela di uccellini: Filippo il cardellino, che fuggì sdegnato quando gli mettemmo in gabbia al fine di riprodursi quella che credevamo una canarina – Elisabetta – che più tardi si rivelò un virile maschietto figliando tre piccoli eredi.
Un po’ più grande vissi altrettanto bene il rapporto con la scuola. Ad esempio quando era troppo freddo si saltava scuola e si rimaneva a dormire.
Dico tutte queste cose poiché erano tutte strettamente condivise con la mamma e non posso immaginarle, le chiacchiere, i pupazzi, gli uccellini, disconnesse da lei.
Tanto felice e confidente nella fanciullezza, tanto carognesco nell’adolescenza. A mia madre toccò in quel periodo di sopportare un ragazzo lunatico, capelluto e contestatore.
Indubbiamente intelligente, se mio padre fosse vissuto sarei probabilmente diventato un bravo ingegnere al suo fianco. Affrontando da solo la vita crebbi invece anarchico e insolente con una decisa vocazione agli amorazzi, alle sbornie ed alla musica.
Completiamo il quadro dicendo che all’università scelsi il corso di laurea in Filosofia..
Ella ad un certo punto probabilmente si convinse che non la avessi a cuore, specie in raffronto a mio fratello, più domestico e mite di me.
Così di lei ricordo una donna sempre preoccupata per la gestione dei beni della famiglia, intenta a far quadrare i conti, vendendo la casa di Multedo per far quadrare le entrate del mio voracissimo stomaco, con una dignità piccolo borghese da conservare.
Così, da grande mi porto l’impressione che la mamma si sia talmente annullata per noi figli da non possedere nulla dalla vita. Quasi un essere da noi parassitato.
Con il ’68 divenni un contestatore di medie proporzioni e ciò mi costo più tardi il servizio di leva in un reggimento ‘punitivo’ a Bari. Quando un maresciallo dei carabinieri venne a casa per segnalare qualche problema, non stava più neanche nelle scarpe.
Fu così per lei abbastanza sorprendente il fatto che facessi qualche lavoricchio durante l’università, mi laureassi con perfetto tempismo a 23 anni sotto le armi con il massimo dei voti e che riuscissi, terminato il servizio, a trovare una occupazione in banca. Pur continuando a non apprezzare le mie compagnie e le mie compagne, iniziò a sentirsi un po’ più serena, anche economicamente.
Nel ’81 un tumore al pancreas la portò via in poco più di un mese.
Sono ateo, ma durante una notte in ospedale in cui non sapevi se sarebbe stata l’ultima, un Cristo su un quadro di carta mi sorrise quasi a promettere un benevolo interessamento.
Questo non è bastato a tenerla in vita. Spero tuttavia che, se esiste l’equivalente di quella immagine, la abbia compensata di là per tutte le fatiche vissute da questa parte.