Ad un certo punto della vita, durante una vacanza in Sardegna amata oltre i suoi reali meriti per la brezza di terra, l’odore di lentisco, la terra riarsa ed i muretti desolati, mi sono recato ad Iglesias, per capire di che impasto son fatto.
Non ho provato il brivido delle pecore in Costa Verde, del villaggio nuragico a baia Chia, del mare scuro di Capo Muravera, delle domus de janas di Sassari o delle rovine di Nora. Ho voluto visitare il posto in cui nacquero i miei noni paterni, Iglesias. Solo un grazioso e civile paese dietro una rovina di installazioni minerarie e carbonifere. Una sorta di ottovolante del carbone.
Così ho immaginato una sorta di natività di poveri cristi in un paese spazzato 150 anni fa dal vento che d’inverno è freddo anche qui, riscaldato da avanzi di carbone forniti da una avara direzione delle miniere.
E capisco anche che mio padre, che ste cose le aveva nel DNA assai più di me, in Sardegna non abbia mai voluto rimettere piede, ben felice del verde e dei boschi e del mare più mite della mia Liguria.
Gianni Lecca