Terremoto

Il dolore ci fa più grandi di quanto noi stessi avremmo voluto

(Henry Huwelin)


TERREMOTO DEL FRIULI (1976)

Il terremoto del Friuli del 1976 fu un sisma di magnitudo 6.5 della scala Richter che colpì il Friuli e i territori circostanti, alle ore 21:12 del 6 maggio 1976. Per vastità della zona colpita, per i decessi e per i danni provocati è uno dei peggiori terremoti che abbiano mai colpito l'Italia in tempi moderni. La zona più colpita fu quella a nord di Udine. Il catalogo parametrico dei terremoti italiani individua un epicentro macrosismico situato tra i comuni di Gemona e Artegna. I danni furono amplificati dalle particolari condizioni del suolo, dalla posizione dei paesi colpiti, quasi tutti i posti in cima ad alture, e dall'età avanzata delle costruzioni. La scossa, avvertita in tutto il Nord Italia, investì principalmente 77 comuni italiani con danni, anche molto più limitati, per una popolazione totale di circa 80.000 abitanti, provocando, solo in Italia, 990 morti e oltre 45.000 senza tetto.

CENNI STORICI

POMPEI


L'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. è il principale evento eruttivo del Vesuvio. L'eruzione, che ha profondamente modificato la morfologia del vulcano, ha provocato la distruzione delle città di Ercolano, Pompei, Stabia e Oplontis. L'eruzione ebbe inizio intorno all'una del pomeriggio del 24 agosto con l'apertura del condotto a seguito di una serie di esplosioni derivanti dall'immediata volatizzazione dell'acqua della falda superficiale venuta a contatto con il magma in risalita. Successivamente una colonna di gas, ceneri, pomici e frammenti litici si sollevò per circa 15 km al di sopra del vulcano.Questa fase dell'eruzione si protrasse fino all'incirca alle otto del mattino successivo, e fu accompagnata da frequenti terremoti. Approfittando nella notte di una apparente pausa nell'attività eruttiva, molte persone fecero ritorno alle case che erano state lasciate incustodite. Ma furono sorprese nella mattinata dalla ripresa dell'attività durante la quale si verificò il collasso completo della colonna eruttiva.



ERCOLANO


Ercolano seguì la stessa sorte di Pompei. Al momento dell'eruzione del Vesuvio, diversamente da Pompei, però, che fu seppellita da una pioggia di cenere e lapilli, Ercolano venne travolta da una marea di fango e detriti vulcanici, che diedero luogo, solidificandosi, ad una sorta di banco tufaceo durissimo, alto tra gli 8 e i 15 m., all'interno del quale si conservarono, molto meglio che a Pompei, i piani e i soffitti delle costruzioni e anche tutti i materiali organici, come il legno, tessuti, carta, cibi, ecc., per cui offre una visione unica al mondo della vita privata antica romana. A differenza di Pompei dove rimasero soltanto calchi della carne e della vesti degli abitanti, qui le modalità dell’eruzione hanno consentito la conservazione dello scheletro che consente uno studio migliore persino rispetto al riconoscimento del DNA.

EPOCHE DIVERSE, STESSO ISTINTO:FUGGIRE


POMPEI

Fuggire non deve essere stato semplice: un flusso di materiale piroclastico raggiunse le mura intrappolando la gente, soprattutto quella che correva verso Ercolano, che era già stata inghiottita da una colata. Chi forse ha trovato scampo è stato chi ha scelto di andare verso il mare, anche se la spiaggia era battuta da onde fortissime, tanto che le barche ritrovate erano tutte distrutte. Plinio il Giovane, che si trovava nei pressi, aveva visto il mare ritirarsi, poco prima di uno tsunami. I profughi, vista l’epoca, non potevano essere andati molto lontano. E infatti la maggior parte di loro restò nei villaggi più vicini lungo la costa tirrenica, a Cuma, Napoli, Puteoli o, più lontano, a Ostia. La Pompei moderna arriverà solo nel 1981, con la costruzione di un Santuario. Diventerà un comune nel 1928. Ma non sappiamo quanti siano ancora i discendenti dei primi abitanti.




FRIULI

Morirono 990 persone, più di 3 mila rimasero ferite e più di 100 mila furono costrette ad abbandonare le loro case: 18 mila furono completamente distrutte e 75 mila rimasero danneggiate. I primi soccorsi furono organizzati dai cittadini, che cominciarono a cercare i sopravvissuti tra le macerie senza attrezzi, con le mani; i sindaci formarono delle squadre con l’aiuto dei vigili del fuoco e degli alpini che si erano subito dati da fare per organizzare delle tendopoli. Quattro mesi dopo, l’11 settembre e poi il 15, arrivarono altre scosse: due del 5,8 della scala Richter, altre due di 6 gradi della scala Richter. Ci furono altri crolli e altri morti. La priorità divenne allora mettere in sicurezza bambini e anziani, lontano dalla zona coinvolta dalle scosse: intere comunità vennero trasferite nelle città più vicine al mare, come Grado, Lignano, Bibione e Caorle. In molti ricordano come quella sera facesse molto caldo. Arrivò una scossa violentissima, le comunicazioni si interruppero all’improvviso, le linee erano sovraccariche, e ad avere e dare notizie furono solo i radioamatori. «Qui è tutto un polverone, si sentono grida… non capiamo, forse c’è stato un terremoto»: così dicevano i camionisti e i radioamatori che si trovavano nelle zone colpite.

PIERLUIGI CAPPELLO,VOCE DI TUTTI GLI SFOLLATI

Nel maggio del ’76, quando venne giù il Friuli, Pierluigi Cappello abitava con la famiglia a Chiusaforte, tra le montagne, a 40 chilometri dai confini di Austria e Slovenia. Aveva nove anni. “Ai bambini che hanno vissuto quel terremoto è rimasta aperta, dentro, una faglia. Un senso di precarietà che difficilmente si può medicare”. Anche dopo quarant’anni trascorsi dal terremoto, il poeta friulano non ha smesso mai di sentirsi un terremotato, in bilico. Pierluigi descrive l'ambiente intorno a lui (Il Campo Ceclis) come uno scenario dove ciò che regna sovrano è l'abbandono. Il silenzio, la paura e il disordine accerchiavano gli animi degli adulti, che, atterriti, non riuscivano più ad immaginare un futuro per le loro famiglie, per i loro bambini e per il paese. Solo i più piccoli riuscirono a respirare un briciolo di libertà, in un'intervista Pierluigi afferma «Per noi bambini, l’esperienza del campo terremotati fu un’occasione unica di libertà: eravamo sempre all’aperto, mentre i genitori erano impegnati a ricostruire. Però poi abbiamo avvertito che non saremmo tornati indietro: dicevamo “un giorno torneremo a casa”, ma non ci siamo mai tornati». L'attenzione dei genitori, allentata e deviata dalla tragedia del terremoto, aveva concesso a Pierluigi e a tutti gli altri bambini del campo un briciolo di indipendenza. La descrizione del campo lo fa sembrare un luogo silenzioso, quasi immobile, come se un involucro di malinconia ghiacciasse lo scenario, ma, il campo Ceclis non era del tutto quieto: le risate dei bambini , il vociare di saluti e riconoscimenti delle famiglie che arrivavano al campo, le urla e i litigi delle famiglie a causa degli spazi ristretti dei prefabbricati, ma, anche la nostalgia , l'infelicità, la debolezza negli occhi dei terremotati avevano un suono, quello del pianto. E così quest'insieme di suoni facevano da sfondo a questi precari prefabbricati per tutti gli sfollati.


Campo Ceclis;1978

DUE CERCHIONI CROMATI,COPERTONI CONSUMATI

FINO ALL’ANIMA DI METALLO

UN VECCHIO TELAIO BIANCHI

UNA RETE DA MATERASSO SFONDATA AL CENTRO

UNA QUANTITÀ’ IMPRECISATA DI BOTTIGLIONI VUOTI

UN DISORDINE SLAVO E UN FUSTO DI LATTA

UN MOTORE GRIPPATO SU UN CAVALLETTO

LA RUGGINE BAGNATA,IL METALLO DI TUBI INNOCENTI

ADDOSSATI ALLA PARETE DI LEGNO

LA LIBERTÀ DEI TERREMOTATI ,

LO ZENIT DEI PREFABBRICATI .


Il dolore per ciò che è distrutto ingiustamente e ciecamente è inconsolabile e nessuna vita è lunga abbastanza per reincluderlo del tutto nel sedimento di quel che ci appare familiare, e perciò sicuro.

Elias Canetti


1979,Settembre

"Mi dispiaceva morire per il verde dei prati e le nuvole del cielo, lasciarli soli senza di me. Un uomo per vivere a piombo dovrebbe stare dov'è, lasciato stare"

Ma adesso siamo con le corriere che portano via

nella polvere e in mezzo agli odori

e il viaggio fanno male le orecchie

quando si scendono le montagne,

e ognuno va con sé, dentro la corriera,

anche parliamo senza parlare tutti neri come lavagne

finché quando si vede il mare il mare non è niente,

solo un'acqua più grande

dove non si sa come restare."


La terra ha tremato ancora, sento quel fremito che vibra ancora nelle ossa, e l’angoscia di sentire che c’è qualcosa di più grande di noi: la natura ha potere di distruggere e creare.

(Stephen Littleword)