Patrimonio immateriale dell'UNESCO






Paolocci


Il patrimonio culturale immateriale è fondamentale nel mantenimento della diversità culturale di fronte alla globalizzazione e la sua comprensione aiuta il dialogo interculturale e incoraggia il rispetto reciproco dei diversi modi di vivere.


ICOMOS, un'organizzazione non governativa che opera per la conservazione dei monumenti e dei siti mondiali, chiarisce che, come ci hanno insegnato gli antichi, ogni oggetto della memoria può essere un "monumento": Omnia monumenta sunt quae faciunt alicuius rei recordationem.


L‘UNESCO ha tra i suoi obiettivi prioritari l’attuazione di misure atte a favorire la trasmissione del patrimonio culturale immateriale fra le generazioni; per questo nel 2003 ha adottato la Convenzione per la Salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, ratificata dall’Italia nel 2007.

L'UNESCO ha fino ad oggi riconosciuto come Patrimonio Immateriale 549 elementi in 127 paesi del mondo.

Gli elementi italiani iscritti nella Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale sono 14:


I dialetti italiani: come nacquero, la loro storia e quali sono

Quando nel 476 a.C. cadde l’Impero Romano d’Occidente in Italia arrivarono i cosiddetti “popoli barbarici“, la cui conseguenza principale fu che ogni regione cominciò a vivere una vita in totale autonomia, perdendo per lungo tempo i contatti con le regioni circostanti.

In quel periodo anche il latino si frantumò in tante parlate diverse, dando vita così ai vari dialetti italiani. Questi ultimi, nell’età medievale, venivano definiti “volgari”, termine che non voleva dire “rozzi” ma semplicemente indicava la lingua parlata dal popolo. I dialetti italiani sono ancora oggi una precisa realtà linguistica e costituiscono un eccezionale patrimonio linguistico e culturale di tutti gli italiani, sono numerosissimi e solitamente classificati in cinque gruppi:

1) dialetti settentrionali, parlati in tutto il territorio da La Spezia a Rimini.


2) dialetti toscani che comprendono il fiorentino, l’aretino-chianaiolo, il senese e il pisano-lucchese-pistoiese;


3) dialetti meridionali centrali che comprendono i dialetti laziale-umbro-marchigiano settentrionali;


4) dialetti meridionali intermedi che comprendono i dialetti laziale-umbro-marchigiano meridionali, l’abruzzese-molisano, il campano, il pugliese, il lucano, il calabrese settentrionale;


5) dialetti meridionali estremi che comprendono il calabrese meridionale, il salentino e il siciliano.


La canzone napoletana

I primi canti napoletani risalgono all’antica Grecia. Le musiche e le danze di Neapolis, le ritroviamo ancora oggi nella tammuriata.

La canzone napoletana cominciò a prendere forma nel ‘500 con la villanella e nel ‘600 con la tarantella.


Altro genere di canzone napoletana molto popolare fu la “macchietta“, termine derivato dal modo di descrivere personaggi e situazioni come in uno schizzo abbozzato in modo caricaturale.

Agli inizi del ‘900 i napoletani, erano così profondamente legati alle proprie canzoni, che il governo, nel 1919, decise di imporre una tassa sulle stesse. Ma questo popolo ideò come escamotage per non pagare l’imposta, un nuovo spettacolo “teatrale”, composto per la maggior parte da canzoni, stiamo parlando della sceneggiata.

Negli anni ’40 torna in voga la macchietta.

Siamo nel 1945 (il dopoguerra), la fine dell’epoca d’oro della canzone napoletana: scompare la figura del poeta.


In pieno novecento la canzone sopravvive grazie al ruolo primario del Festival di Napoli, che tra querelle e scandali riesce a imporre la sua canzone in tutta Italia prima ancora che si affermasse il Festival di Sanremo.

Tramontato il Festival, la canzone napoletana si adegua alle esigenze del tempo, vengono ripresi ed attualizzati i temi della sceneggiata; Mario Merola, pur rimanendo legato alla canzone tradizionale, è il principale interprete di questa nuova tendenza.

La musica neomelodica è un nuovo genere musicale creato da Nino D’Angelo verso gli anni ’80 e poi seguito da Gigi D’Alessio e Gigi Finizio.

Il testo in napoletano delle canzoni neomelodiche è spesso mischiato con l’italiano, cosa che non succedeva con le canzoni napoletane classiche.

O sole mio

‘O sole mio è la canzone napoletana più famosa al mondo. ‘O sole mio è figlia del talento di due autori napoletanissimi, Giovanni Capurro e Eduardo Di Capua. L’uno, poeta e giornalista, capace di raccontare con grande sensibilità la vita dolente delle classi meno agiate. l'altro, musicista. Una canzone in lingua napoletana pubblicata nel 1898 ed è stata incisa in molte altre lingue.

https://youtu.be/lw3c5d3aBSE

La macchina di Santa Rosa a Viterbo

La Macchina di Santa Rosa è un'imponente costruzione che viene trasportata a spalla da circa 100 facchini per le vie del centro storico di Viterbo (nel Lazio) la sera del 3 Settembre di ogni anno, vigilia della ricorrenza della festa di Santa Rosa. La macchina è illuminata da moltissime luci che fanno parte della costruzione, alcune sono elettriche altre a fiamma viva. L'altezza della struttura varia a seconda dei progetti ma è comunque intorno ai trenta metri ed il peso sulle cinque tonnellate. Il percorso è lungo poco più di un km e giunge fino al Santuario di Santa Rosa dove rimane alcuni giorni. Durante il trasporto si effettuano cinque fermate. Solitamente ogni cinque anni viene dato incarico di realizzare un nuovo modello della macchina.


Dal 4 dicembre 2013 il Trasporto della Macchina di Santa Rosa è Patrimonio Immateriale dell’Umanità.

La pizza napoletana

L’Arte tradizionale del pizzaiuolo napoletano” è stata riconosciuta come parte del patrimonio culturale dell’umanità, in grado di fornire alla comunità un senso di identità e continuità e di promuovere il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana. Si tratta di una pratica culinaria che comprende varie fasi, tra le quali la preparazione dell'impasto, un movimento rotatorio fatto dal pizzaiolo e la cottura nel forno a legna. L'Arte è nata a Napoli ed Ogni anno l'Accademia dei pizzaioli Napoletani organizza corsi sulla storia, gli strumenti e la tecnica dell'arte con lo scopo di assicurarne la sopravvivenza di quest'arte.

L’Arte tradizionale del "pizzaiolo napoletano” rappresenta l’ottavo riconoscimento italiano nella lista del Patrimonio Immateriale dell’UNESCO ed è la terza iscrizione nazionale nell’ambito della tradizione enogastronomica.