Storia degli studi

Le armonie de' sardi di Matteo Madau pubblicato nel 1787

Le prime testimonianze

Matteo Madau e la prima descrizione dei caratteri metrici di un genere che lui chiama mutu e mutetu.

Nel Settecento, il gesuita ozierese Matteo Madau riprende e amplia la visione di Vidal. Nella sua opera Le Armonie de’ sardi (1787) Madau ribadisce la diretta discendenza della poesia sarda con la «prisca usanza de’ Greci e de’ Romani». All’abate si deve inoltre la prima descrizione dei caratteri metrici di un genere poetico che lui chiama mutu e mutetu. Madau nota il carattere bipartito del componimento e il divieto di rimare i versi della stessa strofa; registra esempi di mutos e mutetus che costituiscono un primo bacino di materiale documentaristico di valore: mette per iscritto con precisione le modalità di svolgimento in cambas, che verrà ripreso a distanza di cento anni.


Canti popolari dei classici poeti sardi di Tommaso Pischedda pubblicato nel 1854

Ortografia Sarda Nazionale di Giovanni Spano pubblicato nel 1840

L'approccio demologico folklorista

L'idea romantica di poesia popolare.


Nel campo degli studi sulla poesia popolare in Italia il XIX secolo si caratterizza per l’affermarsi di un approccio demologico folclorista che si distingue per lo studio delle “pratiche del popolo”. Tutto ciò che è popolare viene considerato come portatore di valori “genuini”, “autentici” e “incontaminati” rispetto a quello della classe egemone; di fatto, l’idea di poesia “popolare” nella sua “spontaneità” e “semplicità” è in contrapposizione con la poesia “d’arte artificiosa e complessa”.

Per quanto riguarda gli studi sulla Sardegna, sono di chiara matrice demologico-folklorista tre antologie: Canti popolari della Sardegna di Giuseppe Pasella nel 1833, Tommaso Pischedda in Canti popolari dei classici poeti sardi del 1854 ed infine una pubblicazione nel 1859 anonima Cantzonis popolari, ossia raccolta di poesie tempiesi.

Nelle tre antologie il genere dei mutos o mutetus è pressoché assente. Evidentemente questi venivano considerati troppo “spontanei”, espressione di illetterati privi di cultura e dunque non interessanti. Tuttavia, le raccolte forniscono un quadro interessante riguardo l’idea e i valori romantici che gli studiosi attribuivano alle pratiche popolari.

Più interessanti per la ricostruzione della storia dei mutos e mutetus sono invece due contributi risalenti alla prima metà dell’Ottocento: l’Ortografia Sarda Nazionale del canonico Giovanni Spano (1840) e gli articoli Su gli improvvisatori sardi pubblicati da Vittorio Angius nel periodico Biblioteca sarda tra il 1838 e il 1839.

In questi testi per la prima volta viene portata l’attenzione su un fenomeno, quello della poesia improvvisata, che fa ancora oggi ampio ricorso alla forma poetica dei mutos e mutetus. Nella Biblioteca sarda e nell’Ortografia Sarda Nazionale sono riportati luoghi, fatti, avvenimenti ed elenchi di improvvisatori di ogni ceto sociale e culturale: dai letterati colti ai pastori. Il fenomeno nell’isola non ha nulla da invidiare a quei fenomeni italiani legati alla poesia improvvisata, anzi in Sardegna gli individui praticanti non solo sono quantitativamente di più, ma stupisce il numero di caratteri formali, metrici e stilistici, della poesia sarda improvvisata. Un’attenzione particolare viene riservata inoltre ai canti femminili: gli attitidus e le a ninnias, ma non si parla ancora di mutos e mutetus, come forme tradizionali indipendenti e improvvisate.

Ritratto di Auguste Boullier

L'anima sarda

Augusto Boullier e Giuseppe Pitrè verso un cambio di finalità analitiche.

Boullier visitò la Sardegna con l’obbiettivo di ricercare l’essenza, l’anima dei sardi, di cui la poesia popolare è insieme «espressione e documento». Il letterato francese propose agli studiosi contemporanei e futuri un approccio differente rispetto a quello impiegato fino ad allora. Secondo Boullier la ricerca non ha lo scopo di creare identità nazionali e dunque di definire una poesia nazionale sarda, ma di ricercare «l’immagine della vita dell’isola» all’interno della poesia popolare. Nonostante la critica indiretta a Spano, Boullier di fatto, nella sua pubblicazione, si limita a studiare il fenomeno da testi di altri autori senza condurre una ricerca in loco.

Nonostante alcune pratiche sono state tralasciate, poiché considerate non degne di studio, nel 1890 iniziano a vedersi realizzati tutti quei consigli e indirizzi che Boullier e Pitrè hanno designato anni prima. Saranno Giuseppe Ferraro nel 1891, Filippo Valla nel 1892, Vittorio Cian e Pietro Nurra nel 1892, Egidio Bellorini nel 1893, ed in generale l’humus culturale, che dopo l’unità d’Italia, porterà alla nascita di riviste che si interessano alle dinamiche popolari. Nel breve periodo, si realizzano numerose raccolte di testi poetici e la ricerca si sviluppa in relazione ai contesti di produzione degli stessi. È in questi anni che si delineano le caratteristiche strutturali di mutos e mutetus, come anche ninnias e atitidos. Per arrivare alla consapevolezza di Cirese, che dedica Ragioni Metriche nel 1988 all’analisi testuale delle forme metriche sarde, dovranno passare ancora diversi anni, ma è chiaro che la sensibilità etnomusicologica, intuita e in qualche modo voluta da Cirese, arriverà pienamente solo a fine Novecento.


L'antropologo Alberto Mario Cirese

La prima storia degli studi

Alberto Mario Cirese e la prima storia degli studi.


Il primo contributo sulla storia degli studi sulla poesia popolare sarda è merito dell’antropologo Alberto Mario Cirese che nel 1961 scrive Poesia sarda e popolare nella storia degli studi.

Lo studioso, fondatore della scuola antropologica cagliaritana, ripercorre, da Vidal al 1961, tutte le tappe che hanno portato allo studio delle pratiche di poesia orale in Sardegna, soffermandosi sulla delicata questione dei mutetus, ma in generale di tutte quelle forme poetiche tradizionali che sono caratterizzate dall’improvvisazione. Nel suo lavoro, Cirese cita e descrive l’approccio, da parte di studiosi locali sardi e no, sulla questione poetica sarda, cercando di delinearne i confini temporali e di scandirne la logica che spinge gli studiosi ad indirizzare il proprio lavoro verso un aspetto piuttosto che ad un altro.

L'etnomusicologo Diego Carpitella

A sa moda campidanesa di Paolo Bravi pubblicato nel 2010

L'approccio etnomusicologico

Un approccio nuovo che considera l'aspetto musicale.

Nel 1988, l’etnomusicologo italiano Diego Carpitella pubblica un saggio dal titolo Codici incrociati, tratto dagli atti del seminario, tenutosi a “La Sapienza” di Roma, dal quale è ben chiara la sua visione del fenomeno legato al verso cantato. Lui sostiene che la musica, quindi, l’organizzare le parole attraverso le regole della musica, è un aspetto essenziale della versificazione di tradizione orale. Nell’oralità, il verso poetico non è soltanto un mezzo ludico estetico espressivo, ma è anche funzionale alla memoria, inoltre il verso cantato è sempre legato alla dimensione performativa di carattere musicale. La musica è un aspetto fondamentale nel verso cantato che è strumento di mnemotecnica nelle culture di tradizione orale; allo stesso tempo, secondo Carpitella la visione scriptocentrica è un errore, in quanto: prendere un canto, scriverlo su carta ed analizzarlo come se fosse nato nella scrittura, porterebbe a forzare la parola orale all’interno della dimensione scritta. Giorgio Nataletti, Alberto Maria Cirese, Pietrina Moretti, cadendo nelle logiche scriptocentriche, persero dei dati, poiché nei loro studi attuarono un processo riduttivo nei confronti della performance orale.

Una monografia che tratta in maniera importante di temi di poesia è quella dell’etnomusicologo Paolo Bravi, A sa moda campidanesa pubblicata nel 2010. Nonostante lui si occupa di una forma di mutetus utilizzata per la poesia improvvisata campidanese che prevede per tradizione una performance pubblica su palco, i temi che lui tratta possono essere considerati utili per un’analisi etnomusicologica con un approccio aggiornato che tenga conto degli interessi della disciplina degli ultimi anni.

Un altro tipo di analisi della pratica di improvvisazione simile, in sensibilità etnomusicologica, a quello di Paolo Bravi e Diego Carpitella è quello di Marco Lutzu e Francesco Casu. Nei sedici volumi dell’Enciclopedia della musica sarda di Lutzu e Casu l’approccio di studio che si delinea è di tipo etnomusicologico: nella grande opera sono contenute analisi musicali di vario genere, comparazioni tra performance, interviste ai cantori e poeti, descrizioni dei contesti di produzione e fruizione ed infine vi è un’analisi delle influenze che i nuovi media del nostro secolo hanno portato alle pratiche.


Enciclopedia della musica sarda a cura di Marco Lutzu e Francesco Casu pubblicata nel 2012