Il linguaggio dell’informazione, nelle sue forme più avanzate come la videoarte e la computer art, sta trasformando radicalmente il modo in cui concepiamo lo spazio architettonico. Lo spazio non è più una realtà fissa e definita, ma diventa una dimensione variabile, molteplice ed elastica, in cui l'aggiunta di strati diversi portano a significati nuovi.
Un esempio evidente di questa trasformazione è il concetto di site-specific e di arte contestuale, in cui l’architettura e l’opera artistica si fondono per creare un’esperienza unica, specifica del luogo e del contesto. L’opera diventa un strato mobile, simile a una pellicola che si sovrappone e interagisce con l’esistente, arricchendolo senza snaturarlo. Questa prospettiva cambia radicalmente il nostro rapporto con lo spazio: da mero contenitore di funzioni a elemento dinamico e narrativo.
Le radici di questa rivoluzione possono essere rintracciate negli antecedenti artistici del Novecento, come il Manifesto della Cinematografia di Marinetti del 1916. L’idea futurista di una nuova arte che sintetizzasse tutte le altre trovava nella cinematografia un mezzo per tradurre il dinamismo dello spazio. Bragaglia, con i suoi esperimenti fotografici, teorizzava un’opera capace di estendere lo spazio dell’esperienza, coinvolgendo fisicamente e mentalmente lo spettatore. Anche Duchamp, con opere come Anémic Cinéma e Nudo che scende le scale, anticipava utopicamente le possibilità offerte dalle tecnologie elettroniche, tracciando un’immagine simbolica di una civiltà futura.
Nel nostro tempo, questi principi hanno trovato realizzazione nella videoarte e nelle installazioni multimediali. Pensiamo a opere come quelle dell’Elastic Group of Artistic Research, che hanno trasformato strutture architettoniche in superfici dinamiche e sensibili. L’intervento al MUViM di Valencia nel 2001, ad esempio, ha trasformato il museo in un grande "occhio" che osservava lo spettatore, ribaltando il ruolo tradizionale dello spazio museale. Questa arte non si limita a decorare, ma trova una sua corporeità, trasformando i luoghi in entità quasi senzienti.
Questi interventi rivelano una nuova potenzialità dello spazio: la capacità di frammentare, dilatare e moltiplicare la visione. L’architettura non è più concepita come statica, ma come un sistema cinetico che interagisce con la realtà circostante, grazie alle tecnologie digitali. Grandi schermi, superfici retroilluminate e proiezioni video trasformano le strutture urbane in ipersuperfici dinamiche, come accade nelle metropoli di Seoul, Tokyo e Las Vegas, dove il paesaggio urbano diventa un laboratorio di sperimentazione visiva.
Questa rivoluzione si estende anche al rapporto tra architettura e natura, come nella Land Art. Qui, l’aggiunta di uno strato digitale o visivo ridefinisce il paesaggio naturale, fissandolo da prospettive insolite e amplificandone il significato. Gli interventi di artisti come Christo o Rafael Lozano-Hemmer, con opere come Vectorial Elevation, dimostrano che il paesaggio non è un’entità statica, ma un elemento in continua evoluzione e reinterpretazione.
In definitiva, il linguaggio dell’informazione sta ridefinendo l’architettura come mai prima d’ora. Lo spazio si espande, diventa simbolico e metaforico, adattandosi alle nuove esigenze del nostro tempo. Questa trasformazione non riguarda solo l’aspetto estetico, ma anche quello esperienziale, poiché coinvolge attivamente lo spettatore e crea un dialogo tra tecnologia, arte e realtà. Quello che una volta era immaginato come utopia futurista oggi è una realtà tangibile che continua a evolversi.
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