Torre del Greco
Fa parte della Città metropolitana di Napoli. E' uno dei 13 comuni compresi nei confini del Parco Nazionale del Vesuvio (clicca qui) . Il territorio della città si sviluppa tra il vulcano ed il Golfo di Napoli. Torre del Greco è conosciuta come la città dei fiori e del corallo.
Origini del nome: L'antico nome della città era Turris Octava. Secondo alcuni questo nome deriva dal fatto che l'imperatore Federico II fece costruire qui, inglobando i villaggi di Sora e di Calastro, una torre di avvistamento dei Saraceni. Era l'ottava torre contando da Napoli verso Castellammare. Secondo altri, il nome Turris Octava deriva dal fatto che in questa zona c'era una villa dell'Imperatore Ottaviano Augusto. Secondo alcuni storici del passato il nome Torre del Greco sarebbe collegato alla produzione di vino greco che si fa da secoli nella zona. Fino al 1699 la città fu feudo della famiglia Carafa.
Motto della città: Post fata resurgo. La città, più volte distrutta dalle eruzioni del Vesuvio, fu sempre ricostruita sulle sue stesse ceneri.
Curiosità: il Comune di Torre del Greco ha ricevuto il riconoscimento di Città nel 1937 grazie ad un Decreto del Capo del Governo. Nel 1940, con un Regio Decreto, le viene concesso il gonfalone.
La città di Torre del Greco presenta molti luoghi di interesse turistico e culturale. Tra le chiese ricordiamo la Basilica di Santa Croce, di fondazione Cinquecentesca, ma distrutta dall'eruzione del Vesuvio del 15 giugno 1794 e successivamente riedificata. Durante la stessa eruzione la lava coprì il piano inferiore del campanile che tuttora appare inglobato nella pietra lavica. La basilica custodisce le spoglie di San Vincenzo Romano, parroco al tempo della eruzione disastrosa e molto attivo nella ricostruzione della chiesa.
Molto ricco il circuito delle Ville Vesuviane del Miglio d'oro. Tra queste ricordiamo oltre a Villa Favorita e Villa Campolieto, Villa delle Ginestre dove il poeta Giacomo Leopardi soggiornò nell'ultimo periodo della vita, scrivendo i versi della nota poesia La Ginestra e della canzone Il tramonto della luna. Per approfondire si rimanda alla pagina della Fondazione Ente Ville Vesuviane (clicca qui) . Torre del Greco ospita due musei del corallo: il museo della collezione Liverino ed un Museo del corallo (clicca qui) ospitato nei locali dell'Istituto d'Arte F. Degni.
S. Fiorini
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Il riconoscimento del Patrimonio Culturale è fondamentale per il mantenimento della diversità di fronte alla globalizzazione e per aiutare il dialogo interculturale. E' importante sapere che il Patrimonio Culturale, oltre ad essere formato da beni materiali è anche formato da beni immateriali che, in breve, sono le pratiche e le tradizioni culturali (come pratiche sociali, modi di dire, festività, conoscenze, artigianato tradizionale, ecc.) trasmesse da una comunità di generazione in generazione.
Per promuovere la trasmissione intergenerazionale del patrimonio culturale immateriale l'UNESCO ha adottato nel 2003 la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, ratificata dall'Italia nel 2007, che prevede una serie di procedure per la identificazione, registrazione, conservazione, tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali immateriali.
Per aspirare al riconoscimento di Bene Culturale Immateriale un elemento deve:
essere trasmesso di generazione in generazione
essere costantemente ricreato dalle comunità in connessione con l'ambiente e con la storia
permettere alle comunità, ma anche alle singole persone, di elaborare dinamicamente il senso di appartenenza sociale e culturale
promuovere il rispetto per le diversità culturali e per la creatività umana
diffondere l’osservanza del rispetto dei diritti umani e della sostenibilità dello sviluppo di ciascun paese.
la nostra lavorazione del corallo, con la sua storia secolare e con le tradizioni tramandate di generazione in generazione fino ai nostri giorni, è senza dubbio un esempio di bene immateriale. La marineria torrese praticava la pesca del corallo mediterraneo già nel 1400. Tra il 1788 e il 1790, poi, il giurista procidano Michele De Iorio firmò il Codice Corallino e lo Statuto della Real Compagnia del Corallo dove vennero indicate le norme e le regole da far rispettare ai marinai iscritti e si stabilì che i membri della Compagnia si dividessero i guadagni. Ottennero inoltre una loro bandiera raffigurante una Torre tra due rami di corallo e tre gigli d’oro in cima, su uno scudo azzurro. Per quanto riguarda la lavorazione del corallo grezzo, comincia nel 1805 con l’apertura di una fabbrica di corallo a Palazzo Castelluccio, quando il re Ferdinando IV concesse al marsigliese Paul Barthelemy Martin l'autorizzazione ad aprire una fabbrica. In cambio Martin avrebbe dovuto formare degli operai specializzati. In un anno essi erano diventati già 30.
D. Ciaravolo; MF. Cimmino; C. Consales; V.Danese; A. Perna; G. Raiola
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M. Magliulo; F. Fiorentino; A. Falco
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foto: G. Vasari, Perseo e Andromeda (1570-72), olio su lavagna; collocazione: Studiolo di Francesco I, Palazzo Vecchio Firenze (immagine da www. iconos.it; consultabile qui )
Nella foto: Modello di feluca o corallina con vela latina e ingegno (in B. Liverino, Il Corallo, BdCP, Li Causi Editore)
Pescatori di corallo
Questo documentario, dell'Archivio Storico dell'Istituto Luce (consultabile qui), è stato realizzato nel 1955 per documentare la pesca del corallo al largo delle coste della Sardegna da parte dei pescatori di Torre del Greco.
Tra maggio e settembre i pescatori torresi andavano a pescare il corallo nel mare di Alghero. Le informazioni per individuare i banchi coralliferi erano custodite gelosamente e si passavano di padre in figlio come una tradizione. La pesca veniva effettuata con attrezzature e sistemi ancora primitivi. L'intera apparecchiatura utilizzata per la pesca a strascico si chiamava Ingegno. Era formato da una o due travi di legno con attaccate alle estremità dei ciuffetti di reti. Con l'aiuto di un sasso, che serviva da peso, le reti venivano calate fino ad una profondità di circa 80/100 metri. Il corallo si trovava solitamente attaccato ad una parete rocciosa molto pendente e per questo la barca (detta corallina o feluca) doveva arrivare molto vicino al banco di corallo in modo da poter trascinare via i rami che restavano impigliati. Alla fine della pesca, per portare a galla i rami di corallo impigliati nelle reti dell'ingegno, i pescatori della corallina girano a mano un grosso argano. La voce narrante del documentario ci dice subito che solo poche barche sono dotate di argano a motore. La maggior parte delle coralline torresi, nel 1955, sono ancora dotate di strumentazione a mano. In effetti, da questo documentario, si capisce che all'epoca la pesca avveniva con le stesse attrezzature e con gli stessi metodi dei secoli precedenti.
A. Castaldi; R. D'Ambrosio; C.R. Incaldi; A. Marrazzo; B. Totaro; classe 1L
Istituto Nazionale Luce; anno 1924-31; muto; b/n
Nel video uomini e donne sono impegnati in alcune fasi della lavorazione del corallo (tecnica del liscio). Le donne sono impegnate nella bucatura con trapano a mano; nella calibratura dei grani di corallo; nella selezione e nella infilatura delle collane.
La manifattura del Corallo a Torre del Greco: lavorazione a liscio e incisione
Per creare degli oggetti di corallo vengono usate due tecniche: il liscio e l’inciso.
Con il liscio il corallo prende la forma desiderata (spesso sferica oppure ovale) per fare parte di gioielli o monili e viene lavorato con delle piccole lime o seghetti. Con l’inciso si ottengono vere e proprie sculture e si usano frese e bulini. Le fasi di lavorazione del liscio sono molteplici.
Lavaggio: i rami di corallo vengono inseriti in setacci rotanti detti Buratti. In questa fase il corallo perde la sua "veste" più esterna, non ancora calcificata, e tutte le scorie.
Taglio: è una fase molto importante perché condizionerà in modo irreversibile la resa finale. Il tagliatore studia bene il pezzo e immagina quali potrebbe essere il risultato finale. In passato il taglio si svolgeva su un banco di legno. Il ramo si incideva prima con una lima di acciaio a triangolo, poi con una spada a sega e infine il pezzo veniva reciso con una grossa tenaglia. Attualmente vengono usate lame a disco diamantate che permettono un taglio rapido e preciso.
Foratura: In passato questa fase della lavorazione era affidata alle donne. Era realizzata usando un archetto o trapano a mano: un arco di legno con un filo di spago in tensione ed un ago all'estremità. Con la pressione della mano la bucatrice faceva ruotare l'archetto e l'ago forava il pezzo di corallo. Si faceva cadere sul pezzo da bucare dell'acqua per evitare di surriscaldare il corallo e favorire la rottura. Oggi invece si usano dei trapani con punte a freccia.
Dopo la foratura il cilindro di corallo viene posto a contatto con una ruota provvista di scanalature di diverse dimensioni. Queste scanalature permettono di ottenere dai cilindri di corallo delle sfere di diverso diametro.
Lucidatura: Oggi anche questa fase è realizzata utilizzando dei buratti (setacci rotanti) e delle spazzole rotanti in cotone, ma in passato si usava la "pupatella": un sacco di iuta riempito frammenti di corallo grezzo, pomice e sostanze detergenti (dette pulimento). Nel sacchetto si inserivano i grani da lucidare, il sacchetto veniva cucito (come un cuscino) e per sei o sette ore consecutive un operaio sfregava la pupatella su una tavola di legno sulla quale cadeva dell'acqua per evitare che il calore dello sfregamento potesse rovinare il corallo.
Selezionatura e Infilatura: Il corallo viene selezionato in base al diametro, al colore e alla qualità. Le collane, realizzate infilando i grani su cotone, vengono poi raccolte in mazze tenute insieme da una treccia di cotone.
D. Agretti; A. Magliulo; S. Fiorini; D. Ciaravolo
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Taglio del corallo.
Foto: marogna.net
Infilatura del corallo.
Foto: marogna.net
Lucidatura del corallo
Foto: marogna.net
formazione di un cabochon.
Foto: marogna.net
Bucatura di un grano di corallo.
Foto: marogna.net
Lavorazione del Cammeo