EXILE ON MAIN STREET: centro di produzione e condivisione della musica
di Arianna Gori
TEVERE CAVO
Tevere cavo
“Tevere cavo” è un ampio programma di ricerca e progetto che si concentra sulla riattivazione delle aree abbandonate, sottoutilizzate o marginali lungo il corso urbano del Tevere. L’attenzione si rivolge in particolare al settore settentrionale della città, compreso tra la diga di Castel Giubileo e piazza del Popolo, un ambito urbano vasto e articolato racchiuso dai sistemi collinari di Monte Mario a ovest e Monte Antenne a est.
In questo territorio, caratterizzato da forti discontinuità e da un patrimonio diffuso di spazi in attesa di nuova vita – edifici industriali dismessi, infrastrutture incompiute, aree verdi trascurate, spazi pubblici degradati – è stato realizzato un censimento sistematico. Tale lavoro ha prodotto una mappa condivisa e un archivio digitale di progetti, che raccoglie centinaia di proposte elaborate per oltre cinquanta aree, con l’obiettivo di restituire al Tevere un ruolo attivo nella trasformazione urbana.
Il progetto non si limita dunque a un’operazione di riqualificazione puntuale, ma si configura come un’infrastruttura culturale e ambientale capace di riorientare lo sviluppo della città contemporanea. I principi che lo guidano sono quelli delle infrastrutture di nuova generazione: sistemi multitasking, in grado di svolgere più funzioni simultaneamente; dispositivi sostenibili che innescano processi di bonifica e rigenerazione ambientale; vettori di nuova mobilità lenta e di qualità; piattaforme che integrano informazione e tecnologia; spazi pubblici capaci di catalizzare energie sociali e culturali.
In questa prospettiva, “Tevere cavo” si propone come laboratorio di sperimentazione urbana, un’occasione per ripensare la relazione tra Roma e il suo fiume, trasformando i vuoti in risorse e restituendo continuità e senso di appartenenza a un ampio settore della capitale.
Exile on main street: centro di produzione e condivisione della musica
Il progetto, elaborato da Arianna Gori, immagina la riqualificazione di corso di Francia come direttrice musicale, con l’Auditorium di Renzo Piano come fulcro. In questo contesto nasce il centro Exile on main street, pensato come luogo di produzione e condivisione della musica e dei suoi processi creativi.
Nasce all’interno dell’area in disuso di un’autostrada urbana sopraelevata che attraversa corso di Francia, un contesto segnato dal degrado ma anche dalla vicinanza a fulcri culturali della città. L’idea è di trasformare questo spazio residuale in un luogo dedicato ai processi di creazione, scoperta e condivisione della musica, capace di dialogare con la grande infrastruttura stradale e, allo stesso tempo, di restituire vitalità a un frammento urbano oggi percepito come marginale.
Il titolo del progetto – Exile on Main Street – richiama l’album dei Rolling Stones del 1972 e sottolinea la condizione di “esilio” che spesso caratterizza la musica emergente, relegata ai margini della città e della società. L’obiettivo è quindi duplice: da un lato, creare un polo di servizi e spazi dedicati alla preparazione e produzione musicale, dall’altro generare un nuovo punto di incontro, un “quartiere musicale” dove artisti, professionisti e pubblico possano condividere esperienze e pratiche.
La mixité funzionale è il principio ordinatore: il centro si compone di studi di registrazione, spazi di prova, laboratori artistici, sale per workshop, ma anche caffetterie, aree di esposizione e luoghi per performance. L’ibridazione di funzioni diverse risponde alla volontà di costruire un ambiente non settoriale, ma aperto e inclusivo, in grado di accogliere la pluralità delle realtà musicali e culturali contemporanee.
In questo senso il progetto si configura non solo come edificio, ma come infrastruttura sociale e culturale: un dispositivo urbano che riconnette corso di Francia alla città e che restituisce alla musica un ruolo centrale, visibile e partecipato nello spazio pubblico.
Il tema della rampa è pensato come strumento capace di trasformare il dislivello, solitamente percepito come limite, in un’occasione di progetto e di esperienza urbana. Non è soltanto un collegamento funzionale tra quote diverse, ma un dispositivo che assume il ruolo di connessione verticale e di infrastruttura pubblica. L’ascesa e la discesa lungo la rampa diventano momenti di esperienza del paesaggio circostante: lo spazio si articola infatti in sequenze di salite e discese, aperture e chiusure visive, soste e ripartenze che modulano la percezione e invitano alla permanenza.
La rampa non viene concepita come un unico gesto lineare, ma come un sistema articolato di percorsi e piazzole che introducono pause, scorci e luoghi di incontro. Questo ritmo progressivo genera una sorta di tensione verso l’alto, modulata in base alle diverse condizioni del tracciato, e permette al movimento di acquisire un carattere esperienziale, quasi narrativo.
In un quartiere privo di spazi verdi attrezzati e di luoghi di aggregazione, la rampa assume anche un valore sociale: diventa spazio pubblico accessibile, area di sosta e di attraversamento che favorisce l’incontro spontaneo, l’osservazione e la condivisione. Non più solo infrastruttura di connessione, ma paesaggio costruito, capace di accogliere attività culturali e relazioni quotidiane.
Infine, la rampa lavora in chiave di approccio bidirezionale: da un lato risolve il rapporto con il dislivello e crea continuità con la quota superiore del quartiere, dall’altro si apre verso corso di Francia, trasformando la strada da barriera a fronte urbano riconoscibile. In questo senso diventa una soglia attiva, che integra mobilità, percezione e spazio pubblico in un unico sistema.
Altro elemento chiave è il grande volume sollevato su pilotis, che lascia libero lo spazio sottostante e lo trasforma in una piazza coperta. Questo vuoto urbano, al tempo stesso protetto e aperto, funziona come nodo di connessione tra la strada e la rampa. È qui che si colloca l’ingresso principale al centro, concepito come una vera soglia pubblica.
La piazza non è un semplice atrio, ma un dispositivo urbano: uno spazio flessibile dove possono svolgersi eventi, incontri, momenti di socialità informale. La sua natura ibrida, a metà tra interno ed esterno, permette di percepirla come estensione dello spazio pubblico cittadino, un luogo di accoglienza e di transito ma anche di permanenza. L’ombra del volume sospeso conferisce protezione, mentre la permeabilità visiva mantiene il legame con il contesto circostante.
Un dispositivo urbano per la musica
Il centro si configura dunque come più di un edificio: è un sistema urbano che combina architettura, paesaggio e infrastruttura sociale. La rampa e la piazza coperta sono i due dispositivi attraverso cui il progetto supera i limiti fisici del lotto, ricostruisce la connessione con la città e restituisce vitalità a un vuoto urbano.
Exile on main street diventa così un paesaggio culturale condiviso, dove musica e spazio pubblico si intrecciano in un’esperienza collettiva, capace di rigenerare un frammento marginale della città e di restituirgli valore simbolico e sociale.
Domande e risposte al progettista
1. Cosa ti ha spinto a scegliere proprio quest’area di corso di Francia come luogo di intervento e quali criticità o potenzialità hai individuato sin dall’inizio?
Il primo catalizzatore è stato quello della potenzialità legata alla scala come oggetto a reazione poetica nello spazio, tema legato ai miei precedenti studi sull’architettura di Alessandro Anselmi. La situazione di criticità (un autolavaggio abbandonato sul ciglio di una trafficata strada a scorrimento veloce) e la constatazione dell’assenza di luoghi aperti di aggregazione e di servizi socio-culturali nel quartiere ha successivamente ispirato l’associazione all’album “Exile on Main Street” dei Rolling Stones e l’ambizione di riscatto del sito dall’esilio.
2. Quali criteri hai seguito per decidere quali funzioni inserire all’interno del centro e come queste si integrano tra loro?
La scelta di un “cliente» virtuale per il progetto ha informato la distribuzione funzionale. Le funzioni pubbliche (caffè, mediateca) si trovano al piano terra con affaccio diretto sulla piazza e su Corso Francia, mentre la posizione dell’auditorium sfrutta il punto cieco dell’attacco alla scarpata. Le funzioni dedicate alla creazione musicale (laboratori, studi di registrazione) si trovano al primo piano, mentre gli spazi più privati dedicati agli artisti (residenze artistiche, green room) sono al secondo piano, insieme al bookshop/punto vendita situato separatamente lungo il percorso esterno alternativo alla scala.
3. La rampa nel progetto non è solo un collegamento, ma un vero dispositivo spaziale: puoi spiegare come l’hai pensata per trasformare il movimento (ascesa e discesa) in un’esperienza del paesaggio urbano?
Il concept di partenza è quello della montagna sacra (edificio su cui salire), tema architettonico ispirato da Anselmi. L’intero edificio, scomposto e frammentato, diventa dispositivo spaziale per l’esperienza del contesto circostante.
4. Quali strategie hai adottato per rendere la rampa uno spazio non solo di transito ma anche di sosta, incontro e socialità?
L’edificio si connette ai pianerottoli della scala in più punti, offrendo la possibilità di fare esperienza di un percorso alternativo e meno lineare rispetto alla rampa. Le nuove “piazza” connesse alla rampa contribuiscono a creare motivi per fermarsi lungo l’ascesa/discesa.
5. In che modo la rampa affronta il rapporto complesso con il dislivello del lotto e con la presenza della grande infrastruttura stradale?
6. La piazza coperta sotto il volume sospeso rappresenta un nodo urbano importante: come hai immaginato il suo ruolo nella vita quotidiana del centro e nel rapporto con la città?
L’analisi del contesto ha evidenziato come le sponde di Corso Francia rappresentino un luogo di passaggio senza un motivo per cui fermarsi. La piazza diventa quindi un nodo di connessione tra il flusso di Corso Francia e quello rappresentato dalla scala: qui si affacciano le funzioni pubbliche del nuovo edificio, fungendo da catalizzatore per i passanti.
7. Quali attività o eventi pensi possano trovare posto nella piazza coperta, e come questo spazio può cambiare durante il giorno o nelle diverse stagioni?
Come spazio adiacente a quello del foyer e del caffè, la piazza può fungere da estensione dell’edificio sia nella funzione di punto di ristoro (durante il giorno), che per l’organizzazione di piccoli concerti o eventi informali dedicati alla musica (la sera).
8. L’ingresso principale si colloca proprio nella piazza coperta: puoi spiegare come hai pensato la transizione tra lo spazio urbano esterno e gli ambienti interni del centro?
Il foyer, la piazza e il caffè sono pensati come spazi interconnessi, uniti dalle grandi porte vetrate.
9. Il volume sospeso su pilotis è un gesto forte: oltre alla funzione di liberare lo spazio sottostante, che valore simbolico e urbano attribuisci a questa scelta?
Il tema dell’»esilio sulla strada principale” ha informato la scelta di un’architettura a impatto frontale, in termini di volumetria e scelta cromatica, verso Corso Francia. I volumi aggettanti hanno lo scopo di richiamare l’attenzione sull’edificio come landmark, catalizzatore di una nuova opportunità di funzione «di quartiere». Il volume sospeso incornicia la nuova piazza e si pone come contraltare visuale alla scala, interrompendone la visione ininterrotta da Corso Francia.
10. Guardando oggi il progetto nel suo insieme, quali aspetti pensi potrebbero essere migliorati o sviluppati ulteriormente?
L’elaborazione della volumetria in funzione degli spazi esterni non trova un soddisfacente riscontro nella superficie dell’edificio (le facciate) e nella mutua relazione tra interno ed esterno. Il punto di vista della sostenibilità ambientale è stato inoltre sottosviluppato.