Il Building Information Modeling (BIM), ovvero Modellazione delle Informazioni Edilizie, è un metodo che consente di ottimizzare le fasi di progettazione, costruzione e gestione di un edificio attraverso l’utilizzo di software dedicati. Questo approccio permette di raccogliere, integrare e collegare digitalmente tutti i dati significativi legati all’opera. Il risultato è un modello digitale tridimensionale, geometrico e informativo, che rappresenta la costruzione in modo virtuale.
Possiamo chiamare primitivo un oggetto tridimensionale che contiene al suo interno una descrizione completa dello stesso, sia sotto il profilo geometrico sia informativo.
Quando questo oggetto viene “chiamato” nello spazio del progetto, si parla di istanza: ogni istanza ha una posizione specifica, una scala, un’orientazione. Il primitivo, oltre ad avere una forma, è anche una sorta di archivio che racchiude diversi attributi (field) di varia natura, stabiliti secondo convenzioni.
Un oggetto può inoltre contenere al suo interno altre istanze — un meccanismo che chiamiamo nidificazione. A sua volta, un oggetto complesso può essere utilizzato come un’unica istanza in un livello superiore, mantenendo viva e operativa la struttura gerarchica di cui è composto.
Il rapporto tra primitivo e istanza definisce così l’ossatura logica e informativa di un sistema gerarchico — un aspetto fondamentale del funzionamento dei modelli BIM.
Se immaginiamo un primitivo — ad esempio un cubo — e le sue varie ricorrenze (istanze), si stabilisce un legame permanente tra il modello originale e le sue ripetizioni.
È quindi possibile costruire ambienti complessi a partire da questi elementi replicabili, mantenendo un collegamento dinamico tra origine e copia: anche se un’istanza cambia posizione, dimensione o rotazione, conserva il vincolo informativo con il primitivo da cui deriva.
Queste informazioni non si limitano agli aspetti geometrici: possono riguardare anche colori, materiali, dati tecnici, mappature. Se si modifica il primitivo, tutte le istanze collegate verranno automaticamente aggiornate con le stesse modifiche.
Questo processo, chiamato instant creation, è il cuore concettuale del sistema BIM: è il meccanismo che permette di propagare le trasformazioni da un’origine a tutte le sue istanze.
Per esempio: creo un cubo e lo definisco “base”; creo poi un altro primitivo, il “tetto”, e li collego. I due insieme formano un nuovo oggetto complesso. A questo punto, l’oggetto ottenuto può essere richiamato come un’unica istanza e diventare, a sua volta, un nuovo primitivo. È così che si costruisce una gerarchia intelligente e modulare, capace di adattarsi, crescere e aggiornarsi nel tempo.
> Il BIM si basa su una struttura gerarchica, simile a un albero genealogico o a un foglio di calcolo dinamico: modificare un elemento a un certo livello comporta automaticamente la modifica dei livelli collegati. Questo consente coerenza, efficienza e controllo su progetti complessi, dove un singolo parametro può avere effetti a cascata.
> Ogni oggetto 3D (es. cubo) è considerato un record informatico che contiene attributi (field) come materiali, dimensioni, codice colore, performance ecc. Questo permette una descrizione digitale completa dell’oggetto, che non è solo forma ma anche informazione.
> Nel BIM, il modello non è una semplice rappresentazione statica, ma un sistema tridimensionale dinamico. Questo tipo di modello consente interazioni in tempo reale, come simulazioni, aggiornamenti automatici e analisi integrata, ed è molto più efficiente rispetto ai modelli tradizionali 2D.
1. L’informazione come linguaggio comunicativo
Nel contesto attuale, l’informazione ha assunto un valore centrale come strumento di comunicazione. L’architettura, per affermarsi oggi, non può più contare unicamente sulla sua funzione d’uso: deve entrare nel circuito della comunicazione globale. Un edificio partecipa attivamente al dibattito sociale e culturale proprio attraverso la sua capacità di comunicare valori, identità, visioni. Progettare significa oggi anche posizionarsi nella società dell’informazione.
2. L’informazione come strumento operativo e produttivo
Viviamo una fase accelerata della produzione edilizia, in cui ogni elemento – dalla selezione dei materiali, alla definizione delle prestazioni, fino alla progettazione integrata con sistemi BIM – è parte di una catena digitale complessa. L’informazione guida tutte le fasi del processo costruttivo: progettazione, prefabbricazione, assemblaggio, gestione e manutenzione. Non è più un elemento collaterale, ma il motore stesso dell’efficienza costruttiva.
3. L’informazione come motore di trasformazione estetica
La modernità architettonica ha spesso coinciso con la capacità di rispondere a crisi culturali e tecniche attraverso rotture formali e nuove estetiche. Anche oggi, la complessità dell’informazione genera interrogativi sull’aspetto degli spazi. L’architettura si confronta con l’estetica dell’algoritmo, del dato, del flusso, generando linguaggi inediti capaci di interpretare e rappresentare questa transizione.
Primo concetto: il modello come dispositivo generativo
Nel contesto attuale, segnato dalla crisi e dalla pervasività del digitale, il concetto di modello emerge come chiave per comprendere e strutturare il progetto. Il modello, infatti, rappresenta l’essenza stessa del sistema informatico applicato all’architettura:
da un lato, come modello parametrico, capace di generare varianti e adattamenti in tempo reale;
dall’altro, come contenitore informativo che ingloba dati non solo geometrici, ma anche materiali, economici, prestazionali.
Il modello non è più solo una rappresentazione statica, ma uno strumento matematico e predittivo, che consente la formulazione e verifica di ipotesi in funzione del cambiamento dei dati.
Secondo concetto: la reificazione come incorporazione degli strumenti nel progetto
Il secondo concetto cardine è quello di reificazione: il processo attraverso cui l’oggetto architettonico incorpora le logiche e le potenzialità dello strumento che ne ha reso possibile la progettazione. Non si tratta solo di utilizzare un software, ma di lasciar emergere nella forma stessa dell’architettura le regole, le strutture e le potenzialità del linguaggio informatico.
In altre parole, ci si aspetta che strumenti come il BIM non siano solo ausili alla progettazione, ma diventino parte dell’identità formale e concettuale dell’edificio.
Così come nella Sagrestia Vecchia di San Lorenzo, Brunelleschi non usa la prospettiva come tecnica esterna, ma la rende parte intrinseca della struttura architettonica – incapsulata nel modulo, nella composizione e nella percezione – oggi l’architettura dovrebbe essere in grado di interiorizzare il BIM, assumendone i principi non solo come strumenti, ma come motore progettuale e culturale.
L’ipertesto rappresenta il fondamento della più ampia e condivisa trasformazione nella comunicazione contemporanea. Grazie all’introduzione di linguaggi come HTML e al concetto stesso di markup, siamo passati da una logica di comunicazione lineare a una logica reticolare, dove i contenuti si intrecciano in percorsi multipli e dinamici. Questo approccio ipertestuale è oggi alla base di tutti i sistemi digitali di comunicazione. In un panorama informativo in continua evoluzione, anche il concetto di paesaggio – inteso come spazio culturale e percettivo – cambia forma, e l’ipertesto diventa uno degli elementi chiave del nuovo strumento generativo.
Questa riflessione nasce dall’idea di indagare la natura stessa degli strumenti digitali. L’informatica, con i suoi linguaggi e le sue logiche operative, diventa oggetto di osservazione critica. Interrogare lo strumento, analizzarne le specificità, significa individuare quei tratti distintivi che possono essere assunti come principi attivi, capaci di generare nuovi paradigmi per l’architettura. In questo caso, l’ipertesto rappresenta un primo punto d’innesco.
Tra i concetti più significativi che emergono da questa analisi, l’interattività assume un ruolo centrale. Essa offre una chiave per descrivere il nuovo orizzonte dell’architettura: una disciplina che non si limita più a produrre forme statiche, ma che è capace di inglobare in sé le logiche dell’informazione, reagendo, adattandosi, trasformandosi.
Attraverso modelli parametrici o sistemi BIM, l’architettura si dota di strumenti che consentono la modifica in tempo reale di parametri geometrici, economici o prestazionali, verificando immediatamente gli effetti delle variazioni introdotte. Questa capacità interattiva, inizialmente confinata al contesto informatico, tende oggi a uscire dal virtuale e a diventare una qualità intrinseca dello spazio costruito.
Nel panorama digitale e progettuale, possiamo individuare tre forme di interattività, ognuna delle quali apre prospettive specifiche sul rapporto tra architettura e informazione.
1. Interattività operativa (o processuale)
È il tipo di interazione che avviene nel momento in cui si lavora su un progetto all’interno di un ambiente digitale. Che si tratti di un sistema parametrico o di un database informativo, il progettista può intervenire sui dati modificando elementi che si ripercuotono su tutto il modello. Questo tipo di interattività è ormai consolidato nel workflow architettonico: può semplicemente servire a formalizzare un’idea, oppure diventare oggetto di progetto, nel momento in cui le sue logiche vengono “interiorizzate” dalla forma architettonica.
2. Interattività visiva (o proiettiva)
In questo caso, l’interazione non altera la struttura fisica dell’edificio, ma ne trasforma radicalmente la percezione. Superfici sensibili, layer digitali, dispositivi luminosi o multimediali possono modificare l’immagine dell’architettura in tempo reale, generando ambienti dinamici, capaci di dialogare con l’utente. È un campo che tocca anche l’arte e la comunicazione visiva, creando veri e propri spazi reattivi, in cui l’esperienza è partecipativa e sensibile.
3. Interattività materiale (o fisica)
Qui l’interattività si manifesta attraverso la materia stessa dell’architettura. L’uso di materiali innovativi, intelligenti o biologici introduce una dimensione di adattabilità e reattività concreta. Questi materiali possono rispondere a stimoli ambientali, termici, meccanici o biologici, rendendo l’edificio capace di interagire con il proprio contesto. È anche una riflessione etica ed ecologica: l’attenzione alla provenienza, alla lavorazione e alla sostenibilità dei materiali diventa parte integrante del progetto contemporaneo.
GLI ARCHITETTI NEL NUOVO PARADIGMA
La Torre dei Venti – Toyo Ito
Toyo Ito è considerato uno dei principali protagonisti della nuova fase in cui l’informatica si intreccia profondamente con il pensiero architettonico. Con la Torre dei Venti, avvia una riflessione sull’architettura interattiva, dove l’edificio non è più solo un oggetto statico, ma reagisce e dialoga con l’ambiente.
La torre si trova all’ingresso di un parcheggio sotterraneo, e ne diventa il sistema di accesso simbolico. La sua struttura è animata da luci e suoni, generati in tempo reale grazie all’uso di sensori ambientali. Questi dispositivi leggono le variazioni di temperatura, vento e inquinamento atmosferico, trasformandole in stimoli visivi e sonori.
In quest’opera, Ito lavora con le tre componenti fondamentali del suono:
Onda
Frequenza
Intensità
Attraverso di esse, la Torre diventa un organismo architettonico vivo e sensibile, capace di comunicare le trasformazioni dell’ambiente urbano in modo poetico e percettivo.
ROY ASCOTT
Artista che ha ideato un originale programma di dottorato itinerante, incentrato sul concetto di intrattività. Ha utilizzato questo approccio per esplorare come l'interazione si manifesti nelle diverse forme d'arte.
I dottorandi coinvolti nel progetto sono tutti artisti già affermati. Tra questi c'è Edoardo Kae, che sviluppa opere in xui animali situati in luoghi diversi del mondo interagiscono tra loro grazie alla rete, attraverso segnali visivi e sonori trasmessi a distanza.
PADIGLIONE DELL'ACQUA SALATA - KAS OOSTERHUIS
Teorico e pioniere delle strutture interattive. Tra 1997 e 1998 progetta una delle prime strutture interattive, il padiglione dell'acqua salata in un'esposizione in Olanda.
ADA - JENNY SABIN
Progetto per il campus teconologico di Redmond a Washington, prende il nome da Ada Lovelace, la matematica inglese accreditata come una dei primi programmatori di computer.
Il padiglione architettonico incorpora l'uso dell'intelligenza artificiale per offrire un'esperienza immersiva che traduce informazioni personali in colori e luci.
Nel padiglione tutto funziona sulla base del rapporto tra informatici, artisti e neuroscientifici.
La collaborazione tra questi crea un ambiente capace di conoscerci e guidarci.
BLUR - DILLER E SCOFIDIO
Ambiente ibrido tra sistemi elettronici e sistemi ambientale. Paesaggio chiave dal punto di vista estetico e bioclimatico.
Attraverso il sistema del muoversi di una struttura nell'altra c'è una riconfigurazione dello spazio, lo spazio quasi raddoppia e l'esterno si può sfruttare per più cose.
BURKE BRISE SOLEIL - CALATRAVA
Dopo un percorso come ingnere artista, prende un dottorato sulle strutture mobili.
Questo progetto prevedeva una pensilina che aveva pensato per Venezia.
TECNOLOGIA OLOGRAMMA
Già conosciuta negli anni '70, Dalì la utilizzò avendo una grande sensibilità per gli avanzamenti tecnologici. Nell'arco di due anni fu diffusa a livello di massa.
IL CAMBIAMENTO DEL CONCETTO DI SPAZIO
Lo spazio al centro della progettazione:
Nella storia dell’architettura, l’idea che lo spazio sia l’elemento centrale dell’opera architettonica è una conquista relativamente recente. Questo concetto inizia a emergere tra gli storici dell’arte e viene ripreso con grande forza nel dopoguerra, soprattutto da Bruno Zevi.
Nel 1948 Zevi pubblica il celebre libro Saper vedere l’architettura, che diventa un punto di riferimento per questa visione. In esso sostiene che la vera essenza dell’architettura non è la forma esterna o la decorazione, bensì la progettazione dello spazio cavo, lo spazio interno e vissuto. Il libro ha avuto enorme diffusione, venendo tradotto in numerose lingue, e riflette l’interesse di Zevi per l’architettura organica, in particolare per l’opera di Frank Lloyd Wright, considerato un pioniere in questo senso.
Una volta acquisita la centralità dello spazio, diventa interessante osservare come le diverse epoche storiche lo abbiano interpretato in modi differenti. Ad esempio, lo spazio bizantino, con il suo ritmo serrato e direzionato, è molto diverso dallo spazio barocco, che si caratterizza per la sua dinamica compressione ed espansione. Leggere l’architettura attraverso le tipologie di spazio che propone, permette una comprensione più profonda delle sue intenzioni culturali e progettuali.
Lo spazio come organo
Una delle letture più stimolanti del concetto di spazio nel XX secolo è quella dello spazio inteso come organo, una metafora che stabilisce un parallelo interessante con la medicina.
In medicina:
In una certa fase, la medicina si concentra sulla struttura degli organi, studiando il legame tra forma e funzione. Ogni organo viene analizzato in base alla sua funzione specifica, e questa logica ha portato alla nascita della medicina specialistica. È un approccio di stampo positivista, in cui si cerca coerenza tra ciò che un organo fa e come è fatto.
In architettura:
Qualcosa di analogo accade nell’ambito del progetto architettonico. Anche qui il rapporto forma-funzione diventa un principio guida: si immagina che a ogni funzione specifica corrisponda una forma spaziale adeguata. Questa visione trova riscontro sia nella tradizione funzionalista europea, sia nel pensiero americano — in particolare in quello di Frank Lloyd Wright.
Wright persegue un’idea organica di architettura, in cui la forma si sviluppa come naturale conseguenza della funzione. Un esempio emblematico è il Guggenheim Museum di New York: la funzione museale viene ripensata come una promenade, un percorso continuo che si sviluppa in spirale. Qui, la funzione di “esporre e visitare” si traduce in una forma che accompagna l’esperienza, facendo dello spazio stesso un organo, un elemento vivente e funzionale.
Lo spazio come sistema
Proseguendo il parallelo con la medicina, possiamo osservare come la disciplina medica, a un certo punto della sua evoluzione, abbia sentito il bisogno di andare oltre l’analisi dei singoli organi, sviluppando una visione sistemica del corpo umano. Emergono così concetti come il sistema linfatico, il sistema nervoso, il sistema circolatorio: strutture complesse e interconnesse, il cui funzionamento dipende dalle relazioni tra le parti.
Lo stesso tipo di passaggio avviene in architettura. Si inizia a superare il concetto di spazio come organo – dove ogni parte svolge una funzione precisa in coerenza con la sua forma – per abbracciare un’idea più complessa di spazio come sistema.
Un esempio emblematico di questo approccio è il Guggenheim Museum di Bilbao progettato da Frank Gehry. L’edificio si configura come un sistema di spazi eterogenei, in cui coesistono e si intrecciano diverse logiche funzionali e costruttive. Non c’è più una gerarchia univoca, ma un insieme di sistemi espositivi, di relazioni plastiche e di strutture che si sviluppano in modo iterativo e integrato. Ciascun sistema è come un’equazione progettuale da risolvere, che si adatta e si trasforma all’interno del processo architettonico. È questo che definiamo spazio-sistema.
Il ruolo dell’informatica nel cambiamento
Come si è potuti passare da uno spazio pensato come organo a uno pensato come sistema?
Questo salto è stato reso possibile grazie all’introduzione dell’informatica. L’uso dei calcolatori consente di gestire una complessità progettuale prima inaccessibile, permettendo la coesistenza di più sistemi e la modellazione dinamica e interattiva dello spazio architettonico.
Lo spazio informazione
Dal punto di vista culturale, le architetture come quelle di Gehry rappresentano una forte accelerazione nella direzione dell’“informatizzazione” dello spazio. L’informatica non è solo uno strumento tecnico, ma un fattore che trasforma radicalmente il modo di concepire lo spazio:
non si tratta più solo di ottimizzare la forma o la funzione, ma di ripensare completamente il concetto stesso di spazio.
Questo nuovo paradigma si innesta in un contesto definito da molti studiosi come la terza ondata: una fase storica, culturale e tecnologica dominata dalla cultura dell’informazione. In questo scenario, lo spazio architettonico non è più una realtà oggettiva, immobile, ma un costrutto mentale, che cambia nel tempo, si adatta alle conoscenze e si trasforma insieme alla scienza, alla tecnologia e alle arti.
Lo spazio informazione è dunque una nuova modalità di progettare, di rappresentare e di vivere l’architettura: esso nasce dalla gestione complessa di dati, dalla loro interpretazione e visualizzazione in forme spaziali.
Per comprendere meglio questo concetto, possiamo usare un’analogia: lo spazio è come il colore.
Ma il colore, esiste davvero?
Dipende. Il colore è il risultato di tre dimensioni:
> Contesto – La percezione del colore cambia a seconda della situazione: ad esempio, un rosa su sfondo giallo può apparire arancione. Il colore è relazionale.
> Fisiologia – La struttura dell’occhio umano condiziona ciò che vediamo. Il colore è soggettivo.
> Cultura – L’interpretazione del colore dipende anche da codici culturali, esperienze, e conoscenze specifiche.
Allo stesso modo, anche lo spazio non è un’entità neutra o universale. È influenzato da contesto, percezione e cultura. Ed è proprio l’informazione che connette questi tre livelli: ciò che vediamo, come lo percepiamo, e come lo interpretiamo.
In quest’ottica, lo spazio architettonico contemporaneo diventa una costruzione informata, intelligente, variabile, costruita e compresa attraverso i dati, non più solo attraverso la materia.