I. SOSTANZE
Il capitolo ruota attorno a cinque parole chiave legate tra loro: sostanza, crisi, modernità, estetica e rivoluzione informatica.
Il termine sostanza, introdotto nell'architettura contemporanea da Edoardo Persico, indica un'architettura che deve corrispondere bisogni concreti e innovativi della società.
Affrontando il tema della modernità vengono scartate due definizioni comuni di modernità, una cronologica (moderno dopo l'antico) e un'altra valutativa (moderno come positivo, funzionale, industriale).
Si adotta invece una terza definizione che spiega come la modernità è quella che fa della crisi un valore e suscita un'estetica di rottura. Questa visione, suggerita da Zevi, vede nella crisi una spinta creativa per innovare.
L'estetica moderna non riguarda più il "bello" o lo "stile" tradizionale. È una forma di conoscenza, che si sviluppa tramite intuizioni e salti concettuali. L'arte moderna nasce dall'affrontare problemi non ancora formulabili, creando nuove figure.
Oggi viviamo una nuova crisi, diversa da quella della rivoluzione industriale: è il passaggio dalla società industriale alla società dell'informazione.
La "rivoluzione informatica" cambia radicalmente l'economia, la cultura e l'architettura, aprendo nuove crisi/opportunità:
Aree dismesse: nuovi spazi vitali per la città contemporanea.
Paesaggio: nuova attenzione all'integrazione tra architettura, natura e sostenibilità.
Comunicazione: valore centrale nella società dell'informazione, ridefinisce i modi stessi del progetto.
Spazio sistemico: abbandono della concezione deterministica dello spazio a favore di una rete flessibile, anche grazie a Internet.
Estetica contemporanea: si cerca oggi un nuovo "catalizzatore", analogo al ruolo della trasparenza nell'architettura moderna.
II. Comunicazione
Il testo riflette sul ruolo del Bauhaus di Gropius nella storia dell'architettura, ovvero un edificio fondamentale che ha segnato un netto distacco dall'architettura tradizionale, eliminando tipologie storiche, continuità urbana, simbolismi e il concetto stesso di "cattedrale" come costruzione carica di valori comunicativi.
Il Movimento Moderno ha ridotto l'architettura a pura funzione e struttura, privandola di significati narrativi e simbolici, in linea con il modello industriale e meccanico dell’epoca.
Con la crisi di questo sistema produttivo negli anni ’70-’80, si è assistito a un ritorno del valore comunicativo e simbolico in architettura. Questo cambiamento si manifesta pienamente con opere come il Guggenheim di Bilbao (1997), interpretato come una "nuova cattedrale" della società dell'informazione. Nel campo dell'architettura, informazione vuol dire anche narrazione, immagine, design, perchè si da per scontato che il prodotto funzioni, quindi vince il contenuto.
Oggi, nell’era della "supersimbolica", l’architettura non vende solo forma o funzione, ma soprattutto narrazione e immagine.
Tuttavia, questo primo ritorno al simbolico è ancora superficiale. Come il vetro romantico di Taut (1914) precedette il vero uso strutturale della trasparenza al Bauhaus, così oggi l’architettura deve evolvere: non limitarsi a comunicare, ma assorbire l'informazione come sua nuova sostanza costitutiva.
Il testo conclude che, pur ammirando le innovazioni di Gropius (funzionalismo, trasparenza, struttura libera, assenza di simbolismo), la nuova architettura deve superarle e reinventarsi radicalmente, rispondendo alle sfide della società digitale contemporanea.
III. Città
In questo capitolo si riflette sul ruolo dell'informazione nella città contemporanea, con un approccio che si concentra in particolare sull'influenza della società dell'informazione e dell'informatica nella definizione di nuovi scenari di intervento urbano. Il ragionamento si struttura attraverso otto coppie concettuali opposte (come display vs orologio, reti vs catena, anti-zoning vs zoning, ecc.), che forniscono una mappa concettuale agile ma al tempo stesso profonda, capace di intrecciare temi diversi in un filo logico coerente.
Il dibattito teorico di fondo riguarda l'idea che oggi l'informazione rappresenti la vera "materia prima" della progettazione architettonica e urbanistica. Viviamo in un'epoca in cui la gestione dei segni e dei dati è diventata il fattore principale nella creazione di valore.
Il primo confronto, display vs orologio, aiuta a comprendere come l'era dell'informazione abbia trasformato il nostro rapporto con il tempo. Un tempo, l'orologio era un oggetto fisico, localizzato: al polso, in fabbrica, a scuola. Oggi, invece, il tempo è ovunque, continuamente visibile sui display di telefoni, computer, forni a microonde, televisioni. Questo ha rivoluzionato la nostra concezione del tempo: non più segmentato in momenti distinti (lavoro, svago, riposo), ma disponibile ovunque e sempre. La città contemporanea riflette questo cambiamento, vivendo un "tempo digitale" basato sulla simultaneità più che sulla sequenza. Tuttavia, le città storiche europee, cariche di stratificazioni temporali, non possono semplicemente azzerare il tempo senza perdere la loro identità. La vera sfida è integrare il tempo naturale e storico con la velocità e la simultaneità del presente.
Passando a reti vs catena, si evidenzia come il modello urbano tradizionale, legato alla logica sequenziale della catena di montaggio, stia lasciando spazio a un modello a rete. Se prima ogni attività urbana era pensata in sequenza - causa ed effetto, prima e dopo - oggi prevalgono logiche di simultaneità, interconnessione, ramificazione. Non si punta più a standardizzare, ma a personalizzare, come dimostra l'esempio del passaggio dalla Ford T, tutta uguale, alle auto odierne come la Smart, configurabili su misura grazie alle reti informatiche.
Il concetto di anti-zoning vs zoning approfondisce come lo zoning tradizionale, che organizzava la città in aree monofunzionali (residenze, uffici, industrie), stia progressivamente venendo superato. L'informazione tende a sovrapporre e intrecciare le funzioni urbane, dissolvendo i confini rigidi tra le diverse attività.
Questo porta naturalmente al tema di driving force vs monofunzionalità. Oggi si parla sempre di più di mixité: i progetti urbani non sono più dedicati a una sola funzione, ma aggregano attività diverse – abitare, scambiare, creare, infrastrutturare, ricostruire la natura – in una sorta di "nebulosa" dinamica. Non si tratta solo di mettere insieme funzioni diverse, ma di dare a ciascun progetto una forza trainante, una direzione precisa che racconti una storia e dia identità al luogo. A seconda dei contesti, la driving force può variare: dalla valorizzazione ambientale al rilancio economico, dall'inclusione sociale alla riscoperta storica.
Il confronto disegni vs progetti sottolinea un altro cambiamento: si preferisce procedere per progetti concreti, adattabili e interconnessi, piuttosto che inseguire grandi disegni astratti e spesso irrealizzabili. Si cerca di creare reti di spazi e funzioni capaci di vivere nella simultaneità e nella complessità della città contemporanea. La realtà si digitalizza.
Rebuilding nature vs the far west affronta infine il superamento dell'idea modernista di espansione urbana infinita, che vedeva la città come una macchina in crescita continua, pronta a conquistare nuovi territori. Oggi, alla luce della consapevolezza ecologica e delle trasformazioni dell'era dell'informazione, la città deve invece ricucire, recuperare, rigenerare il territorio esistente, senza espandersi a discapito dell'ambiente.
Complessità vs linearità fa della ricchezza della materia un continuo ipotizzare relazioni mutevoli, invece che gli assunti rigidi della teoria.
In-between vs in-front dove il cambiamento tra l'era industriale e quella informatica indica molte streade per le citàà contemporanee per cominciare a porre al centro non più il tipo, lo standard, la serie, il prodotto, ma l'individualità e l'apertura al molteplice, inserendo ipotesi e non teorie.
A seguito di questa lettura, si capisce come la città contemporanea sia ormai un organismo complesso, dinamico e stratificato, che deve imparare a integrare l'eredità storica con le logiche fluide e pervasive dell'informazione digitale.
IV. Paesaggio
Negli ultimi decenni, soprattutto a partire dagli anni ’70, l’architettura ha iniziato a porsi delle domande radicali sul proprio rapporto con la natura. Non si tratta più di dominare l’ambiente come faceva la città industriale, ma di integrarsi con esso, di creare una relazione reciproca tra artificio e paesaggio. È come se l’uomo, dopo aver sfruttato la terra, ora cercasse un risarcimento. In questo contesto, l’informatica ha avuto un duplice ruolo, sia strumento tecnico (con materiali intelligenti, sensori, controllo climatico), sia come motore concettuale che ha trasformato il paesaggio in un oggetto progettuale vero e proprio.
L’idea centrale è che "paesaggio" non è "natura". La natura era qualcosa di esterno, da sfruttare o semplicemente da “servire” all’architettura (luce, aria, verde). Il paesaggio, invece, è qualcosa di soggettivo, culturale, rappresentato. È come un quadro, una visione del mondo. Pensare il paesaggio significa interpretarlo, e ogni rappresentazione – pittorica o architettonica – è anche un progetto. Capiamo questo concetto anche attraverso pittori come Cézanne o Canaletto che non si sono limitati a ritrarre il mondo, ma hanno immaginato il modo in cui avrebbe potuto diventare, e gli architetti moderni ne hanno raccolto l’eredità costruendolo davvero.
Oggi, molti architetti usano l’informatica per studiare, simulare e trasformare fenomeni naturali in forme progettuali. Non si tratta più solo di imitare la natura con forme organiche, ma di modellare la complessità, per esempio osservare un tifone, il DNA o la sedimentazione delle rocce, tradurre tutto in equazioni e da lì generare lo spazio architettonico. Nasce così il concetto di paesaggio informatico, non una scenografia naturale, ma un ambiente attivo, sensibile, che cambia con noi, che reagisce ai nostri comportamenti.
Questo capitolo suggerisce una cosa molto importante ovvero che progettare oggi non si limita più a separare le cose, come nello zoning della città industriale, ma si assume la responsabilità di connettere, mescolare, sovrapporre, lasciar fluire.
Il paesaggio non è più fuori dalla città, ma dentro, intrecciato con la vita quotidiana. È una nuova forma di pensiero sistemico, dove tutto è relazione, e dove l’architettura si fa coscienza e racconto del nostro modo di abitare il mondo.
V. Informazione
Il capitolo parte da un gesto semplice e simbolico, ovvero tracciare un puntino su un foglio bianco. Questo atto serve a introdurre una riflessione sull’origine del dato. Quel puntino, per quanto piccolo, rappresenta una modifica rispetto a una condizione precedente (il foglio bianco), e quindi è un dato. Ma da qui nasce subito una contraddizione: per poterlo misurare, dobbiamo basarci sull’assunto geometrico che un punto "non ha parti", come affermava Euclide. Eppure quel puntino lo vediamo, e quindi possiamo attribuirgli una dimensione, a seconda dello strumento con cui lo osserviamo.
Per risolvere questa tensione, viene proposta una prima definizione il quale attribuisce al dato il ruolo del più piccolo cambiamento di una situazione. Ma per essere compreso, quel dato ha bisogno di una convenzione, possiamo considerarlo una superficie, un simbolo, una lettera, un pixel. Solo attraverso una convenzione, il dato acquista significato, e a questo punto diventa informazione.
Da qui arriva una seconda definizione ovvero che l’informazione è il risultato dell’applicazione di una convenzione a un dato. È questo passaggio che trasforma un segno in qualcosa di leggibile, interpretabile, operativo. Senza una convenzione, il dato rimane muto.
Il capitolo quindi si sposta su un confronto essenziale tra due mondi: quello tradizionale, dove un disegno (o un oggetto) può essere interpretato secondo più chiavi di lettura, e quello elettronico, dove ogni elemento è già, in partenza, formalizzato. In un computer, non possiamo chiederci "cos’è questo segno?" senza sapere già in quale sistema convenzionale ci troviamo. L’informatica, infatti, non tratta dati grezzi, ma solo informazioni già codificate.
Si arriva infine, a una delle affermazioni centrali del capitolo: in informatica tutto è informazione. Poiché tutto è informazione, tutto è in formazione: ovvero in continua trasformazione, modellazione, mutamento. L’informazione non è qualcosa di statico, ma è fluida, come una materia viva che prende forma secondo regole e modelli.
Il discorso viene associato all’architettura in quanto viene affermato che l’informazione è la materia prima della nuova architettura. Un tempo la pietra o il cemento erano i materiali di base del progetto architettonico, oggi l’informazione, nella sua capacità di trasformarsi in modelli dinamici, è il nuovo materiale fondante. In particolare, l’informazione viene modellata tramite strumenti digitali che permettono una continua interazione tra le varie componenti del progetto: modificando un parametro, tutte le altre informazioni collegate si aggiornano di conseguenza.
Non si progettano più forme fisse, ma famiglie di forme possibili, flessibili, variabili, dinamiche. È un nuovo modo di pensare l’architettura, che si sposta dalla definizione di un oggetto statico alla creazione di sistemi informativi interconnessi, simili a reti di equazioni che si modificano in tempo reale.
Il capitolo conclude sottolineando che gli architetti di nuova generazione stanno lavorando in questa direzione, dare forma fisica e costruita a questi nuovi modelli dinamici. In questo scenario, l’informazione diventa l’acqua che nutre il progetto, la materia fluida che, attraverso la modellazione, si trasforma in architettura.
VI. Tempo
Questo capitolo affronta la trasformazione della nostra percezione di spazio e tempo in un’epoca segnata dalla rivoluzione tecnologica e scientifica. Nonostante viviamo immersi in strumenti avanzatissimi – dai cellulari alla bioingegneria, dalle reti digitali alle comunicazioni globali – continuiamo spesso a pensare secondo modelli vecchi, quelli cartesiani e newtoniani, in cui lo spazio è oggettivo, misurabile, e il tempo scorre uniformemente per tutti. Ma questa visione non rimane più valida nella realtà contemporanea. Nel capitolo viene messa in discussione l’idea che spazio e tempo siano assoluti, proponendo invece una visione relativa, dinamica, soggettiva.
Il tempo non viene descritto come una dimensione aggiunta allo spazio, ma come la prima e fondamentale perchè è grazie al movimento e al cambiamento che possiamo percepire le altre dimensioni. Un esempio illuminante è quello di una sfera che attraversa un mondo bidimensionale: per chi vive in due dimensioni, la sfera appare solo come una serie di cerchi che cambiano dimensione. È il tempo, il movimento, che permette di intuire la presenza di una dimensione in più. Da qui nasce l’idea che ogni sistema di riferimento abbia il proprio tempo e il proprio spazio. Non c’è una verità unica, ma una molteplicità di mondi possibili.
Per accedere a un livello superiore di comprensione, serve un salto, uno scarto, un cambio di prospettiva. Questo salto non è solo un’analogia percettiva, ma diventa il simbolo di una nuova forma di conoscenza, e soprattutto, di una nuova estetica. L’estetica non è più lineare e stabile, ma consiste nella transizione, sull’attraversamento di sistemi differenti.
La quarta dimensione, in questo senso, non è il tempo come comunemente si crede, ma una dimensione geometrica che estende lo spazio oltre le coordinate cartesiane. In uno spazio a quattro dimensioni, coesistono infiniti universi tridimensionali, ognuno con logiche proprie. Spostarsi tra questi mondi non avviene per continuità, ma tramite salti, attraversamenti tra sistemi. Ogni universo ha coerenza interna, ma può essere compreso solo da un livello superiore.
Un elemento centrale in tutto questo è il corpo. La nostra percezione dello spazio dipende dalla nostra fisicità (ciò che per noi è un piano, per un insetto è un muro, per un verme una superficie). La tecnologia, in particolare quella digitale (internet), diventa una protesi perchè ci aiuta a superare i limiti dei nostri sensi e ad abitare nuove dimensioni. Le reti, gli algoritmi, le simulazioni ci permettono di navigare tra spazi e tempi diversi, creando un’estetica del fluido, del mutevole, del possibile.
Il conclusione, dobbiamo abbandonare l’idea di uno spazio-tempo unico e oggettivo. Viviamo in una realtà stratificata, composta da tanti mondi che si sovrappongono e si intrecciano. Per l’architetto, questo significa andare oltre la semplice progettazione di luoghi statici. Significa immaginare mondi alternativi, progettare spazi che si muovono, si trasformano, che esistono su più livelli contemporaneamente. È un invito a pensare in modo multidimensionale, ad abbracciare la complessità e a usare gli strumenti della tecnologia non solo per costruire, ma per comprendere e interpretare una realtà sempre più articolata e sfuggente.
VII. Spazio
Questo capitolo ci porta a riflettere su come la nostra percezione dello spazio sia oggi sempre più legata all’informazione e al tempo, due elementi che stanno ridefinendo il modo in cui viviamo e progettiamo l’architettura. Lo spazio non è più una realtà fisica e misurabile in modo assoluto, ma diventa qualcosa di relativo, influenzato dal contesto, dalla cultura, dalla tecnologia, dalla soggettività. Proprio come accade con il colore: non esiste un “rosso assoluto”, perché ciò che vediamo cambia in base alla luce, all’ambiente, a come siamo abituati a percepirlo. Lo stesso vale per lo spazio.
L’informazione viene considerata la vera materia prima dell’architettura contemporanea: da essa si parte per costruire ambienti che non sono più solo fisici, ma anche digitali, relazionali, interpretativi. E il tempo gioca un ruolo centrale, perché è la prima dimensione che ci permette di accedere allo spazio. In altre parole, è attraverso il tempo che percepiamo lo spazio, lo attraversiamo, lo capiamo.
Un altro concetto interessante riguarda la trasparenza. Se nell’architettura industriale era un elemento tecnico, funzionale, oggi è diventata iper-contestuale: cambia completamente a seconda del punto di vista, della luce, del materiale, del significato culturale. È una qualità che non può più essere progettata in modo oggettivo, perché è vissuta soggettivamente. Lo stesso vale per il colore, che da elemento fisico diventa esperienza percettiva.
L’elettronica, in questo scenario, non è solo uno strumento aggiuntivo, ma diventa materiale costruttivo vero e proprio. I dispositivi digitali, i display, i materiali intelligenti consentono di gestire informazioni e trasparenze in modo dinamico, creando spazi che comunicano, reagiscono, si trasformano. Lo spazio, dunque, non è più solo “contenitore” ma messaggio, informazione, struttura relazionale.
Alla fine, quello che il capitolo suggerisce è che oggi non progettiamo più solo forme, ma condizioni percettive. Lo spazio è diventato un insieme di dati, di stimoli, di percezioni, che si riorganizzano continuamente in base a chi li vive. È una costruzione culturale, più che fisica. E questo cambia profondamente il nostro modo di pensare l’architettura: non più come oggetto, ma come esperienza variabile, informata e sensibile.
VIII. Modello
Nel contesto architettonico, la parola “modello” assume un significato molto ampio: indica uno strumento mentale e operativo che serve per rappresentare, analizzare, decidere e progettare. È una forma di organizzazione della conoscenza e dell'azione, che permette di affrontare problemi complessi rendendoli gestibili. Il modello diventa così una mediazione tra la realtà e l'idea, una struttura con cui possiamo osservare, interpretare e modificare il mondo costruito.
Un primo tipo di modello è quello decisionale, nato per supportare le scelte progettuali. Questi modelli si basano su schemi logici che cercano di razionalizzare le decisioni in base a criteri oggettivi e misurabili. Hanno origine nel pensiero scientifico e in campi come l’economia o l’ingegneria, ma sono stati adottati anche in architettura, specialmente nel periodo funzionalista. Ad esempio, un progetto si sviluppa partendo da bisogni → funzioni → forme. È un modo lineare di pensare lo spazio, molto influenzato dalla logica dell’efficienza e della razionalità tecnica.
Nel ragionamento progettuale si alternano due approcci fondamentali: deduttivo e induttivo. Il primo parte da ipotesi teoriche generali e scende verso applicazioni concrete; il secondo, invece, osserva la realtà e risale a modelli e regole. Entrambi i metodi hanno valore e spesso si combinano. In architettura, questo si traduce nella possibilità di dedurre forme da un sistema di regole, ma anche di costruire la teoria a partire da ciò che l’osservazione del reale suggerisce. È un equilibrio dinamico, che rende più flessibile il processo progettuale.
Con l’arrivo dell’informatica si apre una nuova fase: i modelli diventano strumenti dinamici, capaci di integrare moltissime informazioni, di aggiornarsi in tempo reale e di simulare situazioni complesse. Il progettista può modificare, testare, verificare soluzioni in modo molto più veloce e preciso. L’informatica permette di gestire livelli di complessitàche prima sarebbero stati ingestibili. In questo contesto, il modello non è più solo uno schema statico, ma diventa un sistema interattivo, continuamente aggiornabile.
La rivoluzione informatica porta anche un cambiamento nel modo di trattare le informazioni: si passa da una rappresentazione quantitativa e numerica a una basata su segni elettronici, ovvero dati che possono essere manipolati e trasformati. Questa svolta non è solo tecnica, ma culturale: apre la strada a un modo diverso di pensare la progettazione, in cui si possono rappresentare relazioni, comportamenti e variabili astratte.
Tra le nuove possibilità introdotte dall’informatica ci sono anche i cosiddetti sistemi esperti, programmi in grado di simulare le decisioni di un progettista esperto. In architettura, possono essere usati per analizzare progetti, proporre alternative, o anche diagnosticare errori. È come avere un “consulente digitale” che aiuta a prendere decisioni. Questi strumenti, se ben usati, non sostituiscono il progettista, ma ampliano le sue capacità operative.
Un altro cambiamento importante è nella rappresentazione del progetto. Con i modelli informatici, non si è più costretti a ragionare solo in termini lineari o sequenziali. Si possono creare strutture gerarchiche, reticolari, o addirittura dinamiche, in cui gli elementi si relazionano in modo complesso. Questo consente una visione più articolata del progetto, capace di integrare non solo quantità ma anche qualità, relazioni, comportamenti e trasformazioni.
Il modello non serve solo a rappresentare, ma anche a simulare. Ad esempio, Frank Gehry è citato come caso emblematico: i suoi progetti non nascono da un’idea definitiva, ma da una sorta di “nuvola” di ipotesi, uno schizzo iniziale che viene progressivamente sviluppato e verificato attraverso simulazioni digitali. Questo processo consente di esplorare molte soluzioni prima di arrivare a una forma definitiva.
Oltre alla simulazione formale, un altro approccio è quello relazionale: si lavora non tanto sulla forma finale, ma sulle relazioni tra gli elementi, sui legami e le connessioni che generano lo spazio. In questo senso il modello è un diagramma in progress, una struttura che evolve nel tempo, guidata da una logica di trasformazione.
Un riferimento fondamentale per questa visione è Peter Eisenman, che ha lavorato sulla forma architettonica come esito di un processo codificato, legato a un “DNA” progettuale. Ma anche gli studi come Van Berkel & Bos hanno sviluppato modelli fondati su concetti come informazione e tempo.
Il capitolo mostra come, con l’avvento dell’informatica, il modello architettonico non sia più uno strumento per rappresentare la forma, ma un sistema dinamico per gestire processi, relazioni, informazioni.
L’architetto contemporaneo lavora con modelli che sono in evoluzione continua, che crescono, si modificano e integrano dati eterogenei.
Il progetto diventa così un processo aperto, informato, in cui forma e conoscenza si sviluppano insieme.
IX. Reificazione
La parole reificazione (riduzione a cosa materiale) è usato in un contesto non usuale.
Il testo inizia riflettendo sul fatto che lo spazio non è qualcosa di oggettivo o stabile: è piuttosto una costruzione mentale, che cambia nel tempo e con le culture.
Le modalità con cui lo rappresentiamo — dal sistema euclideo alla geometria di Riemann o Poincaré — non sono "vere" o "false", ma utili in base allo scopo. Ad esempio, per tracciare una lottizzazione agricola è sufficiente la geometria euclidea, ma per misurare la curvatura dei raggi solari ne serve un'altra.
In sostanza: diverse concezioni spaziali possono coesistere, come fotografie fatte da angoli differenti dello stesso oggetto.
Il concetto di paesaggio mentale descrive il modo in cui le nuove generazioni crescono immerse in una cultura digitale, plasmando così una diversa concezione dello spazio.
Rispetto al passato, oggi siamo in grado di visualizzare e navigare ambienti informativi, progettare attraverso modelli digitali, usare il computer non più solo come strumento ma come ambiente.
Questo cambia il nostro modo di pensare e rappresentare lo spazio. Se un tempo Galileo e Newton hanno “inventato” un paesaggio mentale dominato da leggi fisiche e misurabili, oggi il computer introduce una nuova idea di spazio: attiva, dinamica, interattiva.
Il progettista non guarda più semplicemente “fuori”, ma sempre di più “dentro” il sistema informatico.
In questa sezione si parla di architetti e ricercatori contemporanei che operano in questa nuova prospettiva. Non si tratta solo di immaginare mondi virtuali (come nei videogiochi o nelle installazioni), ma di materializzare un nuovo modo di fare architettura.
Questi progettisti — come Gehry, Van Berkel, Eisenman o Libeskind — stanno sperimentando lo spazio come struttura informativa, in cui le relazioni, le trasformazioni e i processi diventano il fulcro del progetto.
Si lavora con modelli parametrici, dinamiche topologiche, geometrie variabili: non per creare forme strane, ma per rappresentare una nuova logica dello spazio.
A questo punto il testo definisce un concetto centrale: il paesaggio virtuale. Non va inteso come un mondo parallelo, astratto, ma come un campo dinamico in cui si integrano informazioni, relazioni, strutture fluide.
L’obiettivo dell’architettura non è più solo costruire oggetti, ma dare forma a sistemi, a processi complessi che si trasformano nel tempo.
Il “paesaggio virtuale” diventa allora una nuova condizione mentale e operativa: una vera e propria “materia progettuale” con cui gli architetti devono imparare a confrontarsi.
Infine, si offrono alcuni esempi per chiarire questa nuova idea.
Si parla di spazio sociale, di interazione tra persone, di linguaggi visivi e sonori: tutto questo rientra nella nuova concezione spaziale, che supera il limite della forma fisica.
Così come nel Quattrocento la prospettiva ha trasformato la rappresentazione dello spazio pittorico e architettonico, oggi l’informatica ci spinge verso una nuova rappresentazione relazionale e dinamica.
Il capitolo ci dice chiaramente che l’informatica non è solo uno strumento, ma è diventata una vera e propria condizione culturale.
L’architettura non si limita più a “disegnare spazi”, ma lavora con le informazioni, tra le relazioni, nella temporalità.
Il compito dell’architetto oggi è trasformare il virtuale in reale — come suggerisce Libeskind: “la dimensione virtuale deve vivere nella materialità”.
In altre parole, si tratta di rendere concreta l’informatica, costruendo attraverso di essa una nuova fase dell’architettura.
X. Catalizzatore
Il termine “catalizzatore” viene qui interpretato non in senso chimico, ma come metafora di un elemento che attiva una trasformazione complessa.
Nel caso dell’architettura contemporanea, si cerca di capire quale sia l’elemento che dà forma e direzione al nuovo “paesaggio mentale” degli architetti: che cosa agisce come catalizzatore oggi, come un tempo lo fu la prospettiva?
La prospettiva è presentata come un elemento sintetico e operativo, capace di condensare numerosi aspetti culturali (scientifici, filosofici, tecnici, figurativi), e di indirizzare lo sviluppo del pensiero architettonico in modo profondo.
Grazie alla prospettiva si è affermato un linguaggio proporzionale, una razionalità del vedere e del misurare, e una codificazione del costruire. In questo senso, la prospettiva è stata sia la causa che l'effetto di un intero sistema di pensiero e di forma.
Oggi, il nuovo catalizzatore è rappresentato dal mondo dell’informazione digitale.
Il “paesaggio mentale” delle nuove generazioni di architetti è strutturato attorno a:
reti,
interazioni,
flussi dinamici di dati,
logiche reticolari non gerarchiche.
Non si tratta solo di un cambiamento di strumenti, ma di una trasformazione cognitiva e operativa profonda: come la prospettiva ordinava lo spazio, così l’informatica ordina le relazioni tra elementi e consente interazioni in tempo reale, superando modelli statici e lineari.
L’informatica non solo cambia la rappresentazione dello spazio, ma modifica anche il rapporto con il tempo.
Nel mondo digitale il tempo:
non è più solo cronologico o lineare,
ma diventa condizione attiva del progetto,
entra nei modelli e nei software attraverso logiche iterative e scenari variabili.
La progettazione si svolge per cicli successivi, aggiornabili, dove il tempo è parte integrante del processo progettuale. Questo porta a una nuova visione anche dell’architettura stessa: non come oggetto definitivo, ma come sistema reattivo, che evolve e risponde alle trasformazioni.
Il catalizzatore dell’architettura contemporanea è dunque l’informatica, intesa come matrice attiva che cambia il modo di pensare, progettare e costruire.
Come la prospettiva nel Rinascimento, oggi l’informazione guida e condiziona l’organizzazione dello spazio e del tempo.
Le parole chiave sono:
interattività: capacità di dialogo continuo tra dati, elementi e utenti;
nuove oggettività: non un unico punto di vista, ma molteplici realtà coesistenti.
Questa è la base della nuova architettura, dove informazione e tempo diventano le vere dimensioni del progetto.
XI. Architettura informatizzabile
L'architettura è il mezzo più semplice per articolare il tempo e lo spazio, e per modellare la realtà. Si tratta di una modellazione che va al di là dell'ambito plastico, ma si parla di modellazione che inscrive la curva eterna dei desideri umani e dei progressi nella realizzazione di questi desideri.
La rivoluzione informatica porta con sé una nuova concezione dello spazio. Non è più un vuoto da riempire, ma un sistema di relazioni, un ambiente dinamico regolato da dati. Lo spazio diventa informazione strutturata, interfaccia operativa, una vera “rete” in cui architettura, tecnologia e comunicazione si fondono.
In questo contesto, l’architetto non costruisce solo oggetti, ma gestisce sistemi complessi fatti di funzioni, dati, movimenti e interazioni.
Il pensiero progettuale cambia radicalmente. Non si tratta più di immaginare una forma e poi costruirla, ma di operare in un ambiente di trasformazioni e simulazioni continue. L’architetto lavora con strumenti digitali per esplorare scenari alternativi, analisi predittive e relazioni non lineari.
L’informatica diventa una vera estensione del pensiero: un mezzo per esplorare possibilità multiple e dinamiche.
1.3 Delle interconnessioni
Il centro del pensiero informatizzato è la relazione. Le componenti dell’architettura non sono più autonome, ma interdipendenti. Ogni scelta progettuale genera una rete di effetti, che può essere studiata e modificata in tempo reale grazie agli strumenti digitali.
L’architettura informatizzata è basata su interconnessioni dinamiche, in cui tutto dialoga con tutto: elementi, utenti, contesto, dati.
Con l’informatica, i modelli progettuali diventano ibridi: uniscono la creatività dell’architetto alla potenza del calcolo. Si passa da modelli rigidi a modelli modificabili, adattivi e interattivi. L’architetto non impone più una forma, ma costruisce un sistema aperto in cui la forma può emergere dai dati.
I modelli ibridi permettono di unire intuizione e analisi, progetto e simulazione, logica e sensibilità.
Uno dei concetti chiave della rivoluzione informatica è l’interattività. L’architettura si fa responsive, cioè in grado di reagire agli input ambientali, sociali, climatici o dell’utente. Questo porta alla possibilità di costruire spazi intelligenti, mutanti, flessibili, sempre più vicini ai bisogni reali.
L’interattività diventa non solo una qualità tecnica, ma una nuova forma di espressione architettonica.
L’informatica introduce metafore progettuali inedite: reti, flussi, sistemi. Si comincia a parlare di architettura come interfaccia, software spaziale, rete di dati e comportamenti. Queste metafore permettono di superare la visione meccanica e rigida dell’architettura moderna.
Il secondo livello è quello simbolico, narrativo, relazionale: la forma non è più statica, ma racconta relazioni, usi, esperienze.
Le tecnologie diventano protesi del pensiero e dell’azione progettuale. Il computer è uno strumento che amplifica le capacità dell’architetto, ma richiede anche nuove responsabilità. L’architettura informatizzata non è solo “tecnica”, ma apre a nuove poetiche dello spazio, nuove estetiche e nuovi linguaggi.
Il capitolo riflette anche sull’interattività fisica, intesa come reazione dell’architettura al corpo, ai gesti, al comportamento. Ma si spinge oltre: interattività emotiva, sensoriale, comportamentale. L’architettura informatizzata punta a coinvolgere l’utente, non solo a servirlo.
La metafora della nuvola conclude poeticamente il capitolo. La nuvola rappresenta la variabilità, la complessità, l’incertezza creativa. È il contrario del modello fisso e definitivo. L’architettura informatizzabile è come una nuvola: mutevole, aperta, adattiva.
La nuvola è anche un archivio di possibilità, dove convivono forma, relazione, desiderio, dati, emozioni. È la metafora dell’architettura fluida del futuro.
Alla fine del capitolo si afferma chiaramente: l’architettura non è più solo forma costruita, ma anche informazione. Siamo passati da un’architettura dell’“Existenz Minimum” a una dell’“Existenz Maximum”, che non si limita a soddisfare bisogni ma espande desideri, relazioni, visioni.
L’interattività, la variabilità, l’intelligenza artificiale e la complessità sono i nuovi strumenti del progetto. Siamo nella rivoluzione informatica.