L’articolo “La via dei simboli” di Antonino Saggio analizza l’evoluzione dell’architettura moderna da un’epoca in cui il simbolismo e il monumentalismo erano rifiutati, verso una nuova fase in cui le architetture tornano a essere segni riconoscibili per la collettività. Saggio parte da Jørn Utzon e dalla sua Opera House di Sydney per dimostrare come, con coraggio e intuito, abbia saputo concepire un’opera che trascende la funzione e diventa simbolo. Gehry, quarant’anni dopo, realizza il Guggenheim di Bilbao come un altro emblema civico, collettivo, una “cattedrale laica” che restituisce centralità urbana e culturale. L’autore ricostruisce anche il contesto storico in cui l’architettura moderna, specialmente quella del Bauhaus, aveva abbandonato la dimensione monumentale per concentrarsi sulla funzione, sul sociale e sull’industriale. Tuttavia, Saggio mostra come Utzon, anche grazie alla tradizione nordica e all’influenza di Aalto, riesca a reintrodurre il simbolo in chiave contemporanea. Attraverso i riferimenti a Gehry, Piano, Libeskind e altri, l’articolo traccia un percorso che riapre alla rappresentazione, al significato civico e simbolico dell’architettura. Il ritorno del simbolo non rappresenta quindi un ritorno al passato, ma una trasformazione: non più monumento come celebrazione del potere, ma come espressione della collettività. La metafora, la narrazione spaziale e la capacità evocativa diventano elementi centrali nel progetto architettonico.
Antonino Saggio riflette su come l’architettura contemporanea stia attraversando una trasformazione radicale, alimentata dalla rivoluzione informatica. L’autore individua una svolta storica: dal Modernismo, che si fondava sulla Nuova Oggettività e sulla trasparenza come simbolo etico e funzionale, a un’epoca in cui la narrazione, la metafora e la comunicazione tornano al centro della scena architettonica.
Attraverso un confronto con le esperienze del Bauhaus e con figure chiave come Gropius, Saggio mostra come l’architettura moderna si sia originariamente privata di ogni carica simbolica, privilegiando l’oggettività. Ma oggi, nell’era digitale, l’architettura non solo deve comunicare, ma deve anche essere “interattiva”: capace di adattarsi, reagire e generare significati attraverso un sistema dinamico di informazioni. L’interattività, secondo Saggio, è destinata a diventare per il nostro tempo ciò che fu la trasparenza per il Modernismo.
L’autore identifica tre livelli di interattività: nella costruzione fisica degli edifici, nella relazione tra reale e virtuale, e infine nel processo stesso della progettazione. Questo cambio di paradigma si riflette nella crisi del funzionalismo e nell’emergere di un’architettura che non si limita più a soddisfare bisogni oggettivi, ma ambisce a esprimere desideri soggettivi.
Il testo si conclude auspicando un’architettura capace di ampliare l’esperienza individuale, andando oltre l’efficienza per abbracciare una nuova soggettività, più fluida, partecipativa e significativa. L’architettura, da macchina per abitare, diventa così interfaccia dinamica tra l’individuo e il mondo contemporaneo.
Nel saggio viene individuato nel cambiamento epocale portato dalla rivoluzione informatica l’origine di una nuova stagione dell’architettura. L’autore riprende il concetto di “sostanza” elaborato da Edoardo Persico — intesa come tensione collettiva verso una trasformazione autentica e profonda — per sostenere che le odierne ricerche progettuali non vadano interpretate come semplici mutamenti stilistici, bensì come manifestazioni di un mutamento strutturale nei presupposti stessi del progetto.
In particolare, l'autore analizza l’impatto della società dell’informazione sull’organizzazione urbana e sulle modalità di produzione architettonica. Le cosiddette “brown areas”, aree industriali dismesse, rappresentano non solo un'opportunità strategica di riconfigurazione urbana, ma anche un campo espressivo inedito, dove l’architettura si misura con la complessità, la stratificazione e l’ibridazione dei contesti. Emergono così nuove pratiche progettuali orientate all’interstizio, al recupero e alla sovrapposizione, lontane dalle categorie morfologiche tradizionali.
In parallelo, l’autore riflette sul rinnovato ruolo della comunicazione, sottolineando come l’architettura, nell’era digitale, debba assumere anche una funzione narrativa. Gli edifici non si limitano a svolgere un ruolo funzionale, ma costruiscono senso attraverso dispositivi simbolici, percettivi e mediali. Questo spostamento comporta un cambiamento radicale nel concetto stesso di spazio, che da organico si fa sistema, fluido, aperto e interconnesso.
In conclusione, Saggio individua tre nuove “sostanze” che guidano la trasformazione del progetto contemporaneo: la coscienza critica della frammentarietà urbana, una rinnovata relazione tra architettura e natura, e una concezione sistemica dello spazio. Tutte queste istanze, osserva l’autore, trovano nell’informatica non solo lo strumento tecnico di espressione, ma anche il fondamento culturale della loro legittimità.
L’articolo riflette sul ruolo strategico che le infrastrutture possono assumere oggi in una fase di riorientamento dello sviluppo urbano. A partire dal legame storico tra infrastruttura e dominio del territorio, l’autore rilegge criticamente la trasformazione della città contemporanea alla luce delle trasformazioni portate dalla società dell’informazione. Saggio propone un’inversione di rotta rispetto al modello espansivo della città industriale, sostenendo la necessità di concepire infrastrutture di nuova generazione orientate al recupero, alla densificazione e alla rigenerazione del costruito esistente, con attenzione alla sostenibilità, all’integrazione funzionale e alla qualità dello spazio pubblico.
Attraverso esempi significativi – dal progetto di Seoul sul Cheonggyecheon alla High Line di New York, dal recupero del fiume Manzanares a Madrid all’esperienza romana dell’Urban Green Line – l’autore mostra come nuove infrastrutture possano attivare processi di rinascita urbana e culturale, contribuendo a riconnettere spazi dismessi, ambiente naturale e collettività. Tali interventi dimostrano che le infrastrutture non sono solo dispositivi funzionali, ma strumenti estetico-politici capaci di restituire senso, valore e bellezza allo spazio urbano.
In chiusura, l'autore individua cinque criteri chiave per le infrastrutture contemporanee: multitasking, sostenibilità attiva, mobilità di qualità, informatizzazione e valore simbolico (“magicamente belle”). Il suo contributo è una lucida analisi dell’architettura come disciplina capace di leggere le trasformazioni sociali e tecnologiche, proponendo strumenti operativi per un progetto urbano sensibile, complesso e visionario.