Il re dei dibattiti

che bucava lo schermo 

LO SCONTRO IN TV Il confronto fra Kennedy e Nixon fu trasmesso il 26 settembre 1960 su tutto il territorio statunitense Foto: United Press International, Public domain, via Wikimedia Commons 

di Sofia Zuppa

John Fitzgerald Kennedy possedeva tutto. Una famiglia ricca, una moglie perfetta, una carriera politica da vincente. Aveva fascino, sapeva parlare alle persone e sfruttare i nuovi strumenti di comunicazione per ottenere consenso. Anche per questo riuscì a entrare facilmente nelle case degli americani e li ammaliò.

L’era della modernità

L’ascesa di Kennedy non sarebbe stata la stessa senza l’affermarsi della televisione come principale medium anche per l’informazione politica. Infatti, la diffusione dei televisori come elettrodomestici di massa, spinse i politici sul finire degli Anni Cinquanta a riadattare il loro linguaggio ai nuovi formati e Kennedy riuscì a sfruttare questa novità. La capacità di comparire al meglio sul medium più importante per la società americana ebbe dunque un impatto cruciale per il suo successo.

Arena politica

Fondamentale fu la nascita del dibattito politico televisivo, grazie al quale la comunicazione diventò ancora più diretta e i candidati, con le loro parole e i loro volti, entrarono nelle case degli spettatori. Il 26 settembre 1960 fu trasmesso il celebre confronto tra i candidati alla presidenza degli Stati Uniti, Richard Nixon, allora vicepresidente, e il senatore Kennedy. Fu il primo incontro trasmesso in diretta televisiva su tutto il territorio statunitense e divenne un mito fondativo per quanto riguarda alcune nuove dinamiche comunicative. I due si sfidarono a colpi di slogan politici, ma quello che milioni di americani notarono fu la diversa presenza scenica dei due leader. Nixon apparve trasandato, teso, con la fronte imperlata di sudore. Kennedy al contrario elegante, spigliato e sicuro di sé. Non ci furono dubbi: nonostante i due fossero alla pari in termini di oratoria, il vincitore del confronto fu il senatore democratico. Una vittoria possibile grazie alle caratteristiche del nuovo medium di massa: la superiorità della performance di Kennedy non fu avvertita infatti da chi aveva ascoltato il dibattito alla radio. Il suo modo di apparire incantò gli elettori: anche grazie a quel confronto televisivo antesignano di tanti talk-show, per centomila voti di differenza Kennedy sconfisse il rivale repubblicano nelle elezioni di novembre. 

L’ars oratoria

Il nuovo presidente si insediò alla Casa Bianca il 20 gennaio 1961. In quell’occasione pronunciò un discorso ritenuto tra i più celebri del XX secolo e famoso per la frase: “Americani, non chiedete che cosa il vostro Paese può fare per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro Paese”. Il poeta Robert Frost parlò addirittura dell’inizio di una nuova età augustea. Ma il vero inizio del mito kennediano fu sancito durante il discorso di investitura, pronunciato a Los Angeles il 14 luglio 1960, che prese il nome dal suo motto politico, divenuto un simbolo per i suoi elettori: “la nuova frontiera”. “Ci troviamo oggi alle soglie di una nuova frontiera, la frontiera degli Anni Sessanta. Non è una frontiera che assicuri promesse, ma soltanto sfide, ricca di sconosciute occasioni, ma anche di pericoli, di incompiute speranze e di minacce”. Nel suo programma di governo trovò spazio anche la lotta alla discriminazione razziale. Insieme a Martin Luther King si fece promotore di una forte politica di inclusione: “Se a scuola vi insegnano che siete tutti americani - diceva - ebbene bisogna che sia vero, che ciò si realizzi nella vita quotidiana, che appaia nelle scuole, nel lavoro, nel reddito”. Simbolo della Guerra fredda fu il discorso che il presidente pronunciò il 26 giugno 1963 a Berlino Ovest, per sottolineare la presa di posizione statunitense in risposta alla costruzione del muro che divideva le due Germanie: “Duemila anni fa il più grande orgoglio era dire "civis Romanus sum", sono cittadino romano. Oggi, nel mondo libero, il più grande orgoglio è dire "Ich bin ein Berliner", io sono berlinese”. I discorsi del presidente Kennedy furono tra i più efficaci della storia del Novecento, attentamente studiati e redatti in collaborazione con dei consiglieri presidenziali. Tra tutti si distinsero Ted Sorensen, avvocato e scrittore, e Arthur Meier Schlesinger Jr., storico e saggista. Il primo è considerato l’autore della maggior parte dei discorsi, mentre il secondo curò in particolare i discorsi per le campagne elettorali.

Il presidente giovane

La chiave della sua forza comunicativa risiedeva nell’utilizzo di un linguaggio evocativo e profondamente emotivo, che riusciva creare un forte legame con le masse. Mentre prima l’uomo politico era distante dalla collettività, lui vi si avvicinò e si pose al suo stesso livello: “Tutti noi respiriamo la stessa aria. Tutti amiamo i nostri figli. Tutti siamo mortali”, era solito dire. Diventò presto una figura popolare e insieme alla sua famiglia incarnò il simbolo del successo della storia americana. Tutto ciò contribuì alla creazione del fenomeno mediatico Kennedy, spesso sulle prime pagine delle riviste di cronaca rosa. La minuziosa costruzione della propria immagine iniziò già prima della corsa alla presidenza. Kennedy si costruì un’immagine progressiva, dinamica e al passo con i tempi, che toccava tutti i campi, da quello intellettuale, a quello militare e sportivo: fu arruolato in Marina, pubblicò un libro che gli valse un premio Pulitzer e praticò molteplici sport. 

Gli altri presidenti

Conquistare i propri elettori grazie a una comunicazione efficace è sempre stato il presupposto di ogni presidente per cercare di ottenere consenso. Dalle chiacchiere al caminetto di Franklin Delano Roosevelt, alla prima conferenza stampa in diretta televisiva di Eisenhower, fino al linguaggio di guerra adottato dal presidente Truman. Tutti hanno tentato di sfruttare i mezzi comunicativi del momento per avvicinarsi agli elettori, ma nessuno ci è riuscito meglio di John Fitzgerald Kennedy che, nella completezza della sua figura, ha segnato non solo la sua epoca.