L'organizzazione delle informazioni in modelli. Lo spreadsheet e il Database. 

18 / Spreadsheet. Il mondo del what if.

In questo nuovo ciclo partiamo dal nostro Leonardo 4 e da un nuovo quesito: Come faccio a trasmettere dei dati strutturati? Questi dati strutturati non sono immagini, ma si intende un testo, dei numeri, o delle relazioni tra di essi. Molto spesso confondiamo il termine “dato” e “informazione”, pensando che siano sinonimi. Cosa in realtà non vera: dato è qualunque cosa che sia memorizzata e diviene informazione soltanto quando è organizzata e presentata in un modo significativo. Lo sforzo è appunto proprio quello del passaggio da dato a informazione, solo così sono in grado di estrarre un valore. Punto di partenza è il cosiddetto Spreadsheet, un foglio elettronico (esempio più comune è quello di Excel), all’interno del quale troviamo righe, colonne e celle. All’interno di quest’ultime possiamo andare a realizzare delle relazioni. La colonna C mi da il risultato (ossia A+B), possiamo allora definire due tipi di celle: le celle risultato C e le celle contenuto A e B. Il cosiddetto salto lo ritroviamo nel momento in cui la cella risultato C può a sua volta diventare una cella contenuto. Questo passaggio viene chiamato “interconnessione dinamica delle informazioni”. Possiamo vedere il foglio elettronico coma la tabella a griglia vista per i quesiti precedenti di Leonardo. All’interno delle celle io inserisco dei dati ed in base alle operazioni che decido di fare ottengo dei risultati diversi: L’interconnessione dei dati, quindi il passaggio da una cella risultato ad una cenna contenuto.  La creazione di modelli gerarchici, se io cambio una cella di conseguenza subisco delle variazioni in tutto ciò che è sotto alla cella che ho modificato, senza però andare a modificare tutto il resto. 

In architettura questo modo di pensare è molto importante perché se prendiamo come esempio programmi come Rhino o Grasshopper, se vado a cambiare dei numeri o dei parametri, mi cambia dinamicamente il modello. Per spiegare meglio questo concetto possiamo parlare della logica del “what if”, in italiano indica che ci sono due modi di procedere:

La logica induttiva, di tipo “if then”: se io so che questa cosa è vera, allora di conseguenza quest’altra cosa deve essere per forza vera.

La logica deduttiva, di tipo “what if” (logica utilizzata nella progettazione): procedo per ipotesi, il progetto o il modello finale è la verifica delle ipotesi che io ho formulato. Non è perciò un modo di procedere lineare, ma per salti. La verifica dell’ipotesi stessa può concretizzarsi o meno. Il modello diventa la forma che assumono le informazioni. Prendiamo come esempio Achim Menges, lui progetta ogni anno con i suoi studenti dei nuovi padiglioni; il loro modo di lavorare riprende molto il modello “what if”. Molto spesso infatti i padiglioni che progetta sono realizzati con delle strutture autoportanti. Nessun umano riuscirebbe a calcolare la struttura perché risulterebbe troppo complesso, in questo caso viene quindi utilizzato un software che lavora per simulazioni, questo processo viene chiamato “ottimizzazione”. Il software riesce a comprendere se la struttura può stare in piedi o meno e in caso negativo la modifica leggermente. Il modello viene provato tantissime volte finché non viene dato l’ok dal programma. I progettisti in realtà non sanno effettivamente come questa struttura riesce a stare in piedi, ma si fidano dell’ok dato dal software e procedono con la realizzazione.

Secondo quesito: Come arrivo dal foglio elettronico al database?

Prendiamo la nostra griglia, il salto adesso è quello di andare a considerare i cosiddetti “feels” e “record”, il primo sono le colonne, il secondo sono le righe. Nelle righe ho le entità, nelle colonne ho dei campi omogene (perché se nella colonna dico che li ci andranno ad esempio i nomi, poi dovrò sempre inserire effettivamente i nomi). Gli esempi più semplici di database sono Netflix, Spotify, Amazon. Un database può essere infinito perché entità e attributi possono essere infiniti. Questo è il salto dal foglio elettronico al database. I database non devono essere per forza testuali o numerici, ma la cella può contenere anche foto, l’importante è che sia omogeneo.


Lezione 19 / Le informazioni strutturate. Il database grafico.

Ricollegandoci sempre al concetto della scorsa lezione e alla domanda “qual è il salto tra foglio elettronico e database” possiamo fare diverse considerazioni. I fields e i records sono due componenti fondamentali di un database, ossia una raccolta organizzata in informazioni. Come abbiamo già visto fields sta per colonne e records sta per righe, all’interno delle quali andiamo ad inserire i nostri dati in maniera assolutamente omogenea (altrimenti il sistema non funziona più). Facciamo ora dei piccoli esempi di database. Il database lo possiamo vedere come un enorme archivio organizzato, catalogando tutte le varie informazioni a seconda di alcune caratteristiche: ordine cronologico, ordine alfabetico. Catalogare è di grande importanza perché grazie a questo noi siamo in grado di trovare più rapidamente le informazioni. Questo modo di ragionare è proprio dei cosiddetti “archivi tradizionali”, tutto questo inizia a cambiare quando nascono gli “archivi informatici”, ma quale è il salto? Semplicemente questi nuovi archivi non catalogano più, ma vivono nel pieno caos (ad esempio un motto di gmail è stato “search don’t sort” (ricerca non ordinare). Ed è proprio così che funziona infatti, per un computer è molto più semplice cercare che organizzare, cosa che invece l’uomo non riuscirebbe mai a fare. Amazon è il più grande esempio di database che esiste, all’interno si trovano prodotti di tutti i tipi al quale vengono abbinati dei codici e delle posizioni e attraverso una logica randomica, è possibile trovare con più probabilità due prodotti differenti ma posti vicini. Un altro esempio di database può essere quello del GPS (georeferenziazione). Uno dei sensori più importanti che tutti abbiamo nei nostri telefoni è quello appunto del GPS, questo ci è utile per spostarci da una parte all’altra senza sapere le strade, ma è altrettanto utile per riconoscere o ricordarsi dei particolari luoghi. Ad esempio immaginiamo di trovarci in viaggio e lungo questo percorso troviamo un particolare monumento a noi interessante, non facciamo in tempo però a fare una foto decente. Tentiamo allora di fotografarlo anche di sfuggita, il nostro telefono registrerà il luogo in cui questa foto è stata scattata e noi in futuro saremo in grando di capire il punto esatto dove è localizzato questo monumento. In ambito urbano un nuovo sistema di database lo possiamo ritrovare nel GIS (Geographic Information System). La novità in realtà è molto banale: in un database possiamo inserire qualsiasi tipo di informazione purché il campo sia omogeneo, ossia lo stesso. La novità è che si tratta di un database intelligente in cui le entità sono georeferenziate (l’edificio è li e soltanto li). Interessante è che all’interno troviamo i cosiddetti “open data”, ossia dei dati pubblici. Per legge questi dati sono disponibili a livello regionale, ai quali chiunque può avere accesso. I dati sono georeferenziati e una volta riportati su un altro sistema si posizionano direttamente sulla mappa. Anche questi dati e informazioni vengono elaborati in modelli.


Lezione 20 / Evoluzione del concetto di modello. Da A. Klein a UNstudio.

Il termine “modello” è un qualcosa che ritroviamo già in epoca passata dal 700/800 con lo studio delle tipologie. Oggigiorno la parola modello si basa sull’intreccio di tre famiglie di problemi:

Modello oggettivo: postula dei bisogni oggettivi e da delle risposte altrettanto oggettive. Questo nasce perché negli anni passati iniziano a nascere varie domande, derivanti dal fatto che si diffondono necessità diverse, tutto questo ha permesso la nascita delle cosiddette “tipologie”. Nel 900, con le guerre, c’era ad esempio il bisogno di realizzare abitazioni (si avevano perciò delle necessità oggettive a cui si rispondeva attraverso soluzioni altrettanto oggettive). In questo campo l'architetto principale che si muove in questo mondo è Alexander Klein, il quale ricerca soluzioni oggettive ai problemi e alle necessità di quel momento: studia ad esempio i percorsi più semplici ed efficienti all’interno delle abitazioni (andando ad evitare percorsi troppi intrecciati); studia il rapporto tra spazi serviti e serventi; studia il livello urbano con le ombre (più l’edificio è alto e maggiore sarà la sua ombra, quindi devo studiare la distanza minima per evitare di ombreggiare gli edifici adiacenti) e utilizza anche dei diagrammi a blocchi (assegno ad ogni funzione un blocco realizzato in scala, e poi ci collego altri blocchi che hanno altre funzione connesse a quella principale). In questi anni iniziano poi a diffondersi anche i manuali, consultando quindi dei modelli precisi e oggettivi da seguire.

Modello prestazionale: si inizia a sviluppare negli anni ’60 e deriva da Christopher Alexander, architetto e matematico statunitense. Questo modello lo possiamo considerare come un’evoluzione di quello oggettivo. Alexander suddivide le funzioni, le nomina e le relaziona mettendole insieme attraverso una struttura. Si oppone al cosiddetto zooning, la sua idea è quella di scomporre tutto il sistema andando a creare una struttura ad albero. Ipotizza poi una struttura chiamata “semilattice” in cui abbiamo un sistema molto più complesso perché i nodi sono anche rapportati tra di loro (a differenza invece della struttura ad albero dove i vari rami sono indipendenti tra di loro).

Modello strutturalista: ci si riferisce al pensiero che parte da Levi-Strauss (quindi non ci riferiamo alle strutture vere e proprie di un edificio). Si passa all’astrazione, nasce quindi questa corrente filosofica; questo modello afferma che esistono delle gerarchie delle scelte, alcune formano delle strutture fisse e delle sottostrutture che hanno una certa variabilità sia per quanto riguarda le forme che i comportamenti entro quelle strutture fisse che Habraken chiama “supports”. In questo libro egli espone la sua teoria della “partecipazione” architettonica e dell’open building (un edificio con una struttura fissa ed una serie di spazi che possono variare a seconda delle necessità dell’utente, che ha appunto un controllo sullo sviluppo dell’edificio).

Modello diagrammatico: è legato a tutti quei concetti studiati precedentemente e in particolare con l’epoca dell’arrivo del computer. Questo modello si è oggi sostituito ai tre precedenti (oggettivo, prestazionale e strutturalista), ma cosa è effettivamente questo processo decisionale diagrammatico? La parola che maggiormente si avvicina è quello di schema, questo perché il modello decisionale diagrammatico non è la prefigurazione di un’idea finale, ma è la prefigurazione di un processo e delle relazioni che incontreremo nell’architettura. Gli esiti dipenderanno da tutta una serie di eventi che vanno a variare e modificare quel diagramma. Eisenman lavora proprio su questi temi. Questi modelli sono dinamici.

UnStudio e Van Berkel: per capire le architetture di UnStudio bisogna innanzitutto capire il processo creativo, mutevole, dinamico. Cosa che infatti troviamo nei loro edifici con un rivestimento dinamico, quindi con una ricerca estetica particolare. I diagrammi generati sono dovuti da conseguenze dei nativi digitali; hanno un approccio legato allo sviluppo di diagrammi formati su concetti come intensità luminosa, tipi di persone e attività, flussi dei trasporti e tutto quello che staticamente si può trovare dalle esigenze del progetto. Due sono gli esempi:

Un primo esempio può essere la Casa Mobius, nasce dall’esigenza di una famiglia e dal fatto che il complesso deve accogliere un programma particolare. Abbiamo bisogno di una parte living e una parte invece per lavorare. La particolarità è che qui la superficie continua si avvolge su se stessa e crea un loop. Le funzioni si intrecciano. La cosa interessante è che il progettista decide le informazioni ma la forma dell’edificio non ha nulla a che vedere con quello che lui aveva prefigurato. È infatti una riproposizione di tutte le funzioni che si intrecciano sulla base delle necessità di ogni componente della famiglia (sempre con l’utilizzo dei diagrammi a blocchi).

Non può passare inosservato il museo della Mercedes Benz vicino Stoccarda. L’approccio rappresenta semplicemente un’evoluzione di quelli che erano i vecchi modelli. Il modello qui diventa interattivo e nasce dalla selezione di sistemi complessi che vanno a generare una forma meno complessa ma che si sviluppa in altezza. All’interno è presente un processo mutevole e dinamico, il risultato è una pelle, membrana con una ricerca estetica che contiene quelli che sono gli spazi generati da diagrammi studio. Qui lo studio cerca di trattare l’equilibrio dell’estetica e della funzionalità, ed una volta generati i diagrammi sulle esigenze, pensano ad un edificio a forma trilobata in cui i core sono al centro, si ha quindi un vuoto a tutta altezza. I core hanno anche una funzione strutturale e intorno a questo vuoto si sviluppano diversi solai destinati a varie funzioni.