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ARMENIA - agosto 2014 -

Quando a gennaio presentai questo blog su un viaggio in Armenia avvenuto nell'ottobre 2006, mai avrei immaginato di tornarci ad agosto. E quel "mi piacerebbe tornarci" fu così evocativo che un paio di giorni dopo mi ero già iscritta per una nuova avventura. Fu casuale questa iscrizione, come molti accadimenti della vita. La devo ad un'amica, alla quale inviai il mio link per la visione, che mi disse come la sua parrocchia ci sarebbe andata a breve. Detto, fatto, la decisione fu rapida nonostante il periodo "caldo" di agosto mi spaventasse un po'.

Non son molti quelli che tornano in questa terra dopo averla visitata ed in tanti si meravigliarono ponendomi innumerevoli domande sul perché ci tornassi.

A me avevano lasciato il segno i suoi sassi, queste aride montagne, gli altopiani e queste Chiese, silenziose e nascoste, pregne di spiritualità che aveva attraversato i secoli. Una spiritualità così vicina a Dio, resa quasi palpabile dal silenzio delle rupi. E come dimenticare, insieme alle sue Croci, anche le Cupole dei Monasteri, ogni volta diverse e con architetture esterne ed interne sorprendenti. Poca la luce che penetra all'interno attraverso di esse, ma proprio questa luce ricercata è la consapevolezza della nostra ricerca di Dio. E poi il lamento triste e commovente del duduk (uno strumento musicale simile all'oboe), che penetra nell'anima con dolcezza infinita.

E così dopo 8 anni eccomi ad individuare un'Armenia di contrasti: simile e diversa.

Il giro turistico alla scoperta dei Monasteri armeni era in realtà un Pellegrinaggio, una devozione diversa a quell'unico Dio che ci unisce. I luoghi visitati sono stati pressoché gli stessi, però ora con una cura più attenta e meno trascurata rispetto al passato. La cosa che più mi ha colpita sono stati gli arredi nelle Chiese. Molte raffigurazioni della Madonna, Croci dorate e le tovaglie sull'altare in ogni Chiesa, segno che anche esse avevano ripreso la loro funzione a suo tempo abbandonata. Non esisteva nulla di simile quando vi andai, tutto era spoglio e buio. E perfino le candeline votive davano una luce diversa dovuta ora alla numerosa frequentazione dei luoghi.

Per fortuna non tutti i Monasteri erano affollati; in alcuni siamo riusciti ad ascoltare una Messa che aveva sapori antichi, di condivisione perfetta. E poi era celebrata da Don Guido, il Parroco che ci accompagnava; un salesiano davvero speciale e dalle riflessioni brevi ed intense che sembravano "rivoltarci l'anima" come se dovessimo riappropriarci di un perdono mai consapevolmente ricevuto. Commovente l'incontro con gli abitanti di un paesino che, forse incuriositi, avevano assistito alla "nostra" Messa. E poi quei gesti gentili, quell'abbraccio fraterno dei Sacerdoti e quell'accoglienza per noi venuti da lontano, sono cose che non si dimenticano, che lasciano un segno, diverso ma certamente emozionante.

Monasteri che commuovono come la gente dei luoghi; ancora povera, con riti contadini da noi desueti, che vive nelle vallate fertili. Case, con tetti di lamiera argentata che fanno capolino già da lontano, seppur sepolte in mezzo al verde dei loro giardini, occhieggiano nei paesi sperduti nelle vaste vallate. Ora queste case sono state in gran parte rimesse a nuovo, altre sono degradate ed abbandonate perché anche qui i giovani emigrano nella grande città.

Grande confusione visiva creano invece le strade con quei tubi del gas che spesso le scavalcano per raggiungere tutte le utenze (molto più semplice la manutenzione aerea anziché l'interramento) a cui si aggiungono la moltitudine dei fili elettrici aerei. Non mancano notevoli buche sulle strade turistiche che attendono un rifacimento a breve, però la nuova autostrada che porta in Georgia è già in avanzato stato costruttivo.

E fra i contrasti armeni metterei non solo il caldo ed il freddo estremi delle stagioni ma gli enormi nuovi SUV, soprattutto in città, e le vecchie Lada ancora utilizzate come mezzo di trasporto, sovraccaricate di merci disparate e che spesso si notano ferme ai lati della strada per sopravvenuti guasti. Ci sono lungo le strade anche delle apposite rampe sopraelevate dove posizionare gli automezzi per poter accedere da sotto al motore. Tutto ciò non esisteva 8 anni fa e poche erano allora le automobili circolanti.

Molte ora le bancarelle di frutta che affiancano le vie di transito o di salvagenti e giocattoli lungo il percorso verso il Lago Sevan per non parlare di miele e vino verso Areni. No, non c'era nulla di simile allora.

E come per le nuove ricche automobili, vi sono, sulle colline di Yerevan, anche nuovissime ville megagalattiche di discutibile eleganza. Una, con una cinta mastodontica di marmo decorato e ferro battuto, data l'elaborazione di tale magnifico lavoro, l'avevo scambiata per una recinzione cimiteriale. Ed anche i ristoranti con enormi sale per banchetti di nozze ed altro, sono più comuni di quel che ricordassi.

Ma quel che mi ha stupito di più, fino a farmi piangere, sono state le croci, quei Khachkar che ora in copia, riproducono alcune delle oltre 2000 croci del cimitero di Jufla, ora in Azerbaijan, raso al suolo in modo violento e sconsiderato dagli Azeri. Davanti ad alcuni Monasteri sono state posizionate queste nuove "preghiere" della memoria con la stessa passione e con la stessa invocazione a Dio degli avi. Già, nulla è cambiato di quella passione che ha tramandato, pazientemente "ricamando", un immutato orgoglio senza confini. Anche il cimitero di Noratuz lo troviamo ancora lì immutato a raccontarci la storia della sua gente.

Un piccolo appunto aggiungo per queste croci e sul materiale da costruzione delle Chiese che ovviamente veniva reperito in loco. In Armenia esistono, oltre a basalto e granito, più di 60 tonalità di tufo molto tenero, e quindi di facile lavorazione, al momento della sua estrazione, che via via si indurisce al contatto con l'aria. A questo tufo dobbiamo le decorazioni ed incisioni nelle Chiese e i ricami delle 30.000 croci armene.

Oggi ogni Monastero ha le sue numerose bancarelle di souvenir, cosa che non esisteva allora, ma l'artigianato, almeno qui, non ha più la raffinata manualità incontrata allora, ma un più veloce, rozzo e necessariamente redditizio lavoro. Probabilmente ad Yerevan saranno reperibili dei buoni manufatti ma per queste ricerche occorre tempo.

Mi ha commosso ancora questa Armenia fatta di giovani laboriosi e pieni di vita. Di disponibile pazienza e generosità. E fra questi non posso trascurare la nostra giovanissima guida entusiasta e competente che ci ha voluto veramente bene. Ne', meno di lei, ha fatto il generoso autista che pareva un bambino.

Giovani, tanti giovani che, orgogliosi, portano avanti la fierezza del loro esistere. Una minuscola terra dal grande cuore. Sono questi giovani che hanno costruito una nuova Yerevan dagli innumerevoli palazzi rosati.

Negli Hotel, nei negozi, nei ristoranti, nelle banche sono i giovani che lavorano velocemente allo sviluppo del paese. Yerevan, trasformata ed in perenne fermento, ha la metropolitana, alcuni nuovi teatri e molti hotel in più, ma alcune casine antiche e cadenti del centro storico sono state sacrificate al progresso, così come l'antico mercato coperto della frutta che tanto mi aveva entusiasmato per il colore dei suoi banchi e per la ricchezza della sua frutta secca; è stato trasformato in un moderno supermercato.

Ci sono numerosi ristoranti caratteristici e di buon livello, ma il lavash (una sfoglia sottile che si cuoce nelle pareti di un forno a terra) è ancora il loro pane preferito e che ci stupisce ogni volta per il rito della sua esecuzione. Quando andammo una sera sulle colline di Yerevan al Ristorante Mimmino, dato che aveva il mio nome, mi emozionai e chiesi se potevo avere una scatola dei loro tovaglioli-fazzoletti come ricordo. Non solo me ne portarono due ma quando andai a ringraziare, la giovane padrona voleva darmene altri. Come non commuovermi per questa gratuita generosità senza confini. Ecco uno dei numerosi motivi per cui sono tornata in Armenia e chissà mai, per i quali tornerò. Quell'abbraccio stretto, stretto fra noi non aveva bisogno di traduzioni.

E poi quelle danze popolari dalle ricche coreografie e dai magnifici vestiti, seppur viste, questa volta, in un teatro gremito e molto più grande, sono sempre affascinanti e coinvolgenti. Peccato che le mie foto siano davvero brutte. Grande importanza viene data a questa tradizionale musica e al ballo ma anche al gioco degli scacchi che viene insegnato obbligatoriamente nelle scuole.

C'è ancora il Vernissage, il grande Mercato della domenica. E'ancora ricco di colore e di fascino, ma sarà per l'esperienza e l'età che non ci fanno più apprezzare le cose semplici o per i nostri mercatini rionali che esibiscono, anche da noi, molti manufatti provenienti da tutto il mondo, non mi ha entusiasmato come allora. E, contrariamente al passato, ho potuto vedere solo due giocatori di tric-trac. Adesso la gente, anche in campagna, "inganna" il tempo con il telefonino. In ogni caso il grande mercato è una ricchezza per gli occhi: tappeti, quadri, borse, legno finemente intagliato, porcellane e cristalli vengono esposti insieme a grandi quantità di altra merce. Quello dell'usato è stato spostato poichè il luogo originale è in rifacimento.

Il Monte Ararat "isolato" dalla foschia lo abbiamo immaginato, ma Khor Virap, solitario guardiano di un nuovo confine e depositario di quell'origine religiosa dovuta a San Gregorio l'Illuminatore è ancora lì, immutabile, se non fosse per i molti autobus visibili nella spianata. Sotto di lui la Turchia da una parte ed il vasto cimitero, che gli Armeni costruiscono lungo le strade di transito, sembrano appisolati in un lungo sonno.

Il mio ricordo sul Memoriale del Genocidio Armeno era davvero diverso. Lo ricordavo posizionato in un vasto prato che ricopriva "La collina delle rondini" quasi che cielo ed erba fossero un tutt'uno. Quasi che quel prato rasato senza nulla intorno, fosse l'emblema di quel "nulla" che era rimasto dopo il Genocidio del 1915. Ora la stretta passerella in pietra è stata allargata, quasi ad eliminare il prato e molti alberi sono stati piantumati per ringraziare "i giusti" del mondo che hanno donato per la ricostruzione.

Mi sono commossa comunque in questo luogo della memoria, soprattutto nella visione di alcune foto antiche che mostrano una disumanità atroce, da stringermi il cuore e volermi far scomparire. Come può l'uomo giungere a tanto? Ho fotografato questo piccolo Museo che, come tutto intorno, è in fase di ridimensionamento poiché nel 2015-2017 ricorrerà il centesimo anniversario della scomparsa di oltre 1.500.000 Armeni, ma la violenza emotiva di questi corpi, anche di bimbi, mi vieta di martoriarli di più, esibendoli fra le foto di questa terra così ricca di serenità data dall'accettazione.

Anche questo vivere fra confini ostili, fra guerre che soprattutto quest'anno hanno intensificano la loro violenza e brutalità e che sono lì, a portata di mano, non cancellano la loro grande fede, il loro orgoglio di appartenenza, il loro entusiasmo nel costruire, nel vivere ignorando la morte che tante volte li ha falciati. Ma sono giovani e belli e con tutta la vita davanti.

Che siano felici è il minimo che possiamo augurar loro.

mimma