YEREVAN

Ad Yerevan si "deve" visitare innanzitutto la loro Biblioteca-Archivio Matenaradan con migliaia di manoscritti miniati, perché per un Armeno l’eredità più importante da lasciare ai figli sono i libri ed a quelli (lo possiamo vedere anche nella vecchia e nella nuova Biblioteca Armena nell’Isola di San Lazzaro a Venezia) è dedicata la tenacia della conservazione.

Il Museo, pur depredato di tante meraviglie, ne conserva ancora molte, sebbene il tempo per la visita fosse stato troppo veloce per una conservazione nella memoria.

Vi è anche un Museo-Istituto sugli scacchi, a cui riservano molta attenzione e considerazione. Così come essenziale per un Armeno è il gioco del tric-trac o tavola reale che, in ogni occasione, lo vede impegnato a giocare per molte ore al bar, in negozi o al mercato, ovvero un “imbrogliare il tempo” in compagnia degli amici.

Ed ancora il mercato della frutta. A parte verdura e frutta fresca, cesti e cestini, vasi di marmellate e di verdure, merita una visita per l’esposizione della frutta secca.

Cestini e piatti sono riempiti di frutta essiccata e candita presentati come fossero favolosi quadri geometrici dagli ammalianti colori.

Ma quel che mi lasciò senza fiato e con il cuore in gola fu l’Armenian Genocide Museum – Institute, il grande Memoriale, dedicato al milione e mezzo di Armeni scomparsi nel 1915 in quella follia. Non ho foto di questo luogo, essenzialmente spoglio, dove il verde della collina, perfettamente rasato, sembrava riflettere un cielo di ghiaccio; il silenzio ti avviluppa come un boato che ti sconvolge e sembra che perfino il respiro interferisca in questo rispetto per sofferenza e orrore.

Un cero è sempre acceso in questo Monumento della memoria e candele e fiori sono portati ogni giorno dai numerosi Armeni che riservano perenne onore e devozione ai loro cari.

Mi commossi anch’io in quel luogo che tiene vivo il ricordo dell’eccidio e la pietà verso il tragico passato. Come non ricordare le pagine della Arslan con le sue descrizioni sommesse e delicate sulle drammatiche angosce e violenze lungo quel cammino “urlante” di morte. Proprio questo suo entrare in punta di piedi nel passato ne ha violentemente dilatato ed ingigantito la memoria.

Vidi molti di quei lunghi canaloni di morte, quasi foibe (pozzi naturali) “nostrane”, dove molti furono gettati per semplificare un esodo senza meta. Difficile dimenticare il libro, difficile dimenticare questa terra, difficile dimenticare il suo popolo.