ARMENIA

ARMENIA

Come mi piacerebbe tornarci ora, dopo tanto tempo, per constatare i molti cambiamenti che nel frattempo saranno intervenuti.

Forse ora le vie della capitale saranno illuminate perché allora non lo erano proprio. Molte Chiese saranno state restaurate e forse quelle pietre “urlanti” si saranno acquietate in un nuovo inatteso risveglio: il turismo di massa. Chissà se tanta gente andrà a visitare questa regione che sembra essere ricca solo di sassi, ossidiana, croci rosse, e non solo per il colore della pietra, e cuore; tanto cuore per sorridere e per sopravvivere.

Molti Armeni sparsi nel mondo sono rientrati per dar vita alla nuova fioritura di un popolo martoriato ogni dire.

Capitò per caso che aderissi ad un viaggio in un luogo di cui non avevo mai sentito parlare o quasi.

Ovvero, come tanti altri, avevo letto da poco il libro di Antonia Arslan “La Masseria delle allodole” e quell’orrore degli accadimenti mi aveva spinta a curiosare qua e là per saperne di più.

Da li, da questo racconto sulla vita di una famiglia distrutta dall’ottusa ambizione umana che induce alla sopraffazione, alla cattiveria ed alla brutalità, avevo iniziato ad indagare in spazi a me sconosciuti.

Da qualche tempo la stampa ed i media avevano smesso di parlare del Nagorno Karabakh, motivo di contesa e di scontro fra Armenia e Azerbaijan. Già, l’Armenia entra come un cuneo fra l’Azerbaijan del nord e quello dell’est, costringendo questo Stato ad attraversarla per una facile comunicazione.

I conflitti sono pertanto ovvi e sui giornali dell’epoca ebbero molto scalpore. Non avevo mai indagato sulle ragioni vere di questi scontri continui, attenuati nel frattempo per interventi internazionali. Taccio su quelle e queste interpretazioni difficili da comprendere ed ancor più da spiegare.

Lascio i commenti degli accadimenti, anche più recenti, agli addetti ai lavori.

A me di quella storia piacque solo il nome, poiché questo Nagorno Karabakh mi riportava alle favole de “Le Mille e una notte”, non alle guerre in atto.

Molto da dire di questa Armenia, terra che fu il giardino dell’Eden, che a due passi, quasi a sfiorarlo con un dito, ha il monte Ararat (ora in Turchia) con Noè, e la sua Arca che ha salvato le specie dell’Umanità, testimone di quel Diluvio Universale che ha attraversato le religioni dei popoli.

E poi il loro credo cristiano divenuto Religione di Stato già dal 301. Si narra che questo si debba a San Gregorio Illuminatore che, perseguitato da Tiridate III, sovrano armeno dell’epoca, rimase prigioniero per 13 anni in una fossa di Khor Virap. Ne uscì per guarire miracolosamente il monarca che si convertì e decretò il Cristianesimo religione ufficiale armena..

Terra arida l’Armenia ma nei canaloni verdi, o nelle vallate ricche d’acqua la coltivazione di frutta è ricca ed abbondante e per lo più qui sorgono i paesi e le città.

Una vita distante dal nostro benessere, ma di orgogliosa dolcezza ed accettazione. Molti se ne erano andati ed aiutavano i loro cari rimasti in Patria. E così, grazie a quei finanziamenti, tra le altre cose si può ammirare una maestosa cascata (peccato io l’abbia vista asciutta) che scende da una delle colline che sovrastano la città. Altri stavano tornando inventandosi lavoro e benessere.

Mi meravigliarono, nel nostro girovagare fra i monti, i Villaggi curdi; piccole case, raggruppate a farsi caldo, immerse fra neve e fango ed i Cimiteri lungo le strade così che, passandovi davanti, un ricordo ed una piccola preghiera, tutti, anche noi, la rivolgessimo al cielo.

Ma Armenia è anche e soprattutto straordinarietà dei suoi Monasteri, delle sue Chiese, delle sue Croci.

Andammo in luoghi disparati e talvolta inaccessibili poiché ognuno di essi aveva qualcosa da raccontare con queste architetture simili, ma ogni volta diverse.

La pietra per lo più rossa opaca, ma talvolta di lucida ruggine, contribuisce in modo eclatante a raccontare la storia del popolo che le aveva erette. Rari gli affreschi, per lo più distrutti dalla follia mussulmana che non accetta immagini.

Non c’era nessuno in quei luoghi che sembravano abbandonati, ma sugli alberi della preghiera o dei desideri si notavano i nastri legati sui rami, segno di come i luoghi fossero semprevivi e vissuti.

Per lo più sono arbusti perché nell’aridità del terreno la crescita di alberi è impossibile.

Queste chiese, illuminate dall’alto con particolari accorgimenti nell’architettura delle finestre o strane alchimie di fori coperti con cupole e cupolette, avevano all’interno una luce rarefatta e spirituale. E poi il nero dato da secoli di fumo delle sottili candele bruciate nella sabbia dei grandi grigi contenitori che una volta dovevano essere stati dorati e lucenti. Difficile non raccogliersi nei silenzi e nella solitudine devastante dei luoghi. Difficile non accorgersi di essere vicini a Dio.