nucleare

"Ho lavorato una vita nel nucleare

vi spiego perché voterò sì al referendum"

Oltre due decenni di esperienza nel settore, visitando una sessantina di reattori in tre continenti, con la convinzione che le precauzioni prese negli impianti rendessero impossibile una catastrofe. Poi Three Miles Island, Chernobyl, Fukushima: tre disastri in meno di 30 anni...

di ALBERTO BAROCAS

Dopo essere stato allibito per l'incoscienza delle dichiarazioni di uno scienziato, il professor Battaglia (la pubblicazione di una sua opera scientifica con la prefazione di Silvio Berlusconi parla da sé), su un tema così importante per la sorte dell'umanità, mi sento costretto ad intervenire avendo dedicato tutta la mia vita professionale alla ricerca e sviluppo del nucleare ed essendo stato per lungo tempo "abbastanza" a favore dell'energia nucleare.

Dopo una laurea in Radiochimica presso l'Università di Roma e successivo Corso di Perfezionamento in Fisica e Chimica Nucleare, ho lavorato presso i laboratori di ricerca del plutonio di Fontenay-aux-Roses (Francia) nelle ricerche e tecniche del plutonio per l'impianto di riprocessamento del combustibile nucleare di La Hague. Ritornato in Italia ho partecipato, nei laboratori di ricerca della Casaccia (CNEN, ora ENEA), alla messa a punto degli impianti di separazione del plutonio di Saluggia e successivamente allo studio dei siti nucleari in vista della costruzione di centrali di energia nucleare. Dal 1982 sono stato distaccato dal CNEN presso l'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA) di Vienna dove mi sono occupato prevalentemente di salvaguardie nucleari, in particolare per i reattori nucleari di potenza e di ricerca nel mondo. Per 22 anni ho avuto la possibilità di visitare ed ispezionare una sessantina di reattori in tre continenti, in particolare in Giappone ed in particolare proprio Fukushima.

Durante l'intera attività ero giunto alla conclusione che le precauzioni utilizzate negli impianti nucleari fossero tali da rendere praticamente impossibile un grosso incidente nucleare. Proprio il Giappone si presentava ai miei occhi come il modello per eccellenza di organizzazione, di perfezione, di attenzione al più piccolo dettaglio: l'energia nucleare o doveva essere realizzata così o non doveva esistere. Ed invece... Three Miles Island, Chernobyl, Fukushima... tre catastrofi in meno di 30 anni.

Oggi sono completamente convinto che i rischi dell'energia nucleari siano tali da consigliarne l'utilizzo solo se non ci fossero sulla Terra altre fonti di energia o dopo una guerra nucleare. Voterò quindi SI al referendum per le seguenti ragioni:

a) la progettazione di una centrale nucleare avviene sulla base di dati statistici puri, cioè su una probabilità estremamente bassa di un grosso incidente, anziché basarsi sul fatto che un incidente anche imprevedibile possa avvenire (per esempio: chi avrebbe mai potuto calcolare statisticamente che otto montanari dell'Afghanistan si potessero impadronire contemporaneamente di quattro jet di linea facendoli convergere sulle Torri di New York, sul Pentagono e sulla Casa Bianca? Chi potrebbe calcolare statisticamente la possibilità dell'impatto di un meteorite?) e quindi progettando nello stesso tempo le soluzioni e le difese: naturalmente questo però aumenterebbe enormemente i costi ed allora bisogna ricordarsi che l'energia nucleare è un'industria come tutte le altre, cioè che vuole fare profitti;

b) gli effetti di un grosso incidente non sono come gli altri: terremoti, inondazioni, incendi fanno un certo numero di vittime e danni incalcolabili, ma tutto questo ha un termine. L'energia nucleare no: gli effetti si propagano per decenni se non secoli, con un disastro anche economico per il Paese colpito. I discendenti delle bombe di Hiroshima e Nagasaki ancora subiscono danni. Altrimenti perché il deterrente di una guerra nucleare funziona talmente? Anche i bombardamenti "classici" causano morti molto elevate, ma non portano a danni simili per generazioni...

c) il blocco dell'energia nucleare in Italia del 1987 ha avuto il torto di fermare di botto non solo le quattro centrali in funzione (Trino Vercellese, Caorso, Latina, Garigliano) e la costruzione di Montalto con spese immani per un pazzesco riadattamento dell'impianto nucleare ad una centrale di tipo classico, ma altresì ogni tipo di ricerca nucleare, anche di eventuali impianti innovativi, creando un pericolo, dato l'impauperamento di una cultura "nucleare": non esistevano più corsi di scienze nucleari, né tecnici, né possibilità di tecnologie di difesa da eventuali incidenti in altre nazioni. E questo non è richiesto dalla rinuncia all'uso di centrali atomiche: la ricerca e lo sviluppo del nucleare dovrebbe poter continuare;

d) la presenza di impianti di produzione di energia nucleare porta ad una militarizzazione delle zone in questione: non c'è trasparenza, ogni dato viene negato all'opinione pubblica. Anche agli ispettori dell'AIEA viene proibito di comunicare con la stampa. Lo dimostra anche quello che è successo a Fukushima: il gestore ha tenuto nascosto per lungo tempo la gravità dell'accaduto. E in un territorio come il Giappone, sottoposto non solo a terremoti ma a tsunami, il costo di una maggiore precauzione per gli impianti di raffreddamento è stato tenuto il più basso possibile senza tenere conto dei rischi solamente per fare più profitto!

e) in tutto il mondo non è stato mai risolto il problema dello smaltimento delle scorie nucleari. Nell'immenso deposito scavato in una montagna di Yucca Mountain in USA si sono dovuti fermare i lavori, il maggiore deposito in miniere di sale della Germania si è dimostrato contaminato con pericoli per le falde acquifere, ecc. Il combustibile nucleare delle nostre centrali fermate è in gran parte ancora lì dopo 25 anni. D'altra parte un Paese come il nostro che non riesce a risolvere il problema dei rifiuti può dare garanzie sui rifiuti nucleari?

f) l'Italia è un paese sismico, dove l'ospedale e la casa dello studente dell'Aquila sono crollate perché al posto del cemento è stata usata sabbia. Può dare garanzie sugli impianti nucleari? E la presenza di criminalità organizzata a livelli preoccupanti può liberarci da particolari preoccupazioni nella scelta e costruzione di centrali atomiche?

g) ultima osservazione: anche se molti minimizzano gli effetti delle radiazioni nucleari, una cosa si può dire con certezza: gli effetti delle radiazioni a bassi livelli ma per tempi estremamente lunghi sugli esseri viventi non sono stati mai chiariti. Non deve essere solo il fumo a preoccupare l'opinione pubblica!

Per tutte queste ragioni penso che in Italia l'uso dell'energia nucleare non sia raccomandabile, perlomeno in questa fase della nostra storia, ed invece un miscuglio di diverse fonti di energia (eolica, solare, idrica, gas, geotermica) potrà sopperire ai nostri bisogni, accompagnato da una maggiore ricerca scientifica ed un diverso modello di vita con maggiore eliminazione degli sprechi. Io voto sì.

(10 giugno 2011)

Alberto Barocas: una laurea in Radiochimica presso l’Università di Roma e un successivo Corso di Perfezionamento in Fisica e Chimica Nucleare, ha lavorato presso i laboratori di ricerca del plutonio di Fontenay-aux-Roses (Francia), a La Hague, nei laboratori di ricerca della Casaccia (CNEN), presso l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) di Vienna, e per 22 anni ha avuto la possibilità di visitare ed ispezionare una sessantina di reattori in tre continenti, tra cui quello di Fukushima.

Vittorio Cogliati Dezza – Presidente Legambiente

Ci sono molte ragioni che ci hanno portato a rinnovare la nostra opposizione al nucleare che si vorrebbe fare in Italia. Ragioni che possono essere sintetizzate in due conclusioni:

    • Il nucleare non serve all’Italia

    • Nessuno dei problemi storici di questa tecnologia è stato risolto.

Lo spazio a disposizione mi consente solo di presentare schematicamente gli argomenti.

Perché non serve?

In un recente rapporto, MCKinsey presenta come praticabile l’obiettivo di un’Europa in cui l’energia elettrica verrebbe prodotta esclusivamente da rinnovabili nel 2050. Anche l’Agenzia federale tedesca per l’ambiente ai primi di luglio ha confermato questa ipotesi. Questa possibilità ben si declina con la necessità di capire come si possa uscire dal combinato disposto della crisi economica e della crisi energetico-climatica. Al di là delle sorti della trattativa internazionale sul post Kyoto, è ormai assodato che si vada verso un’economia a basse emissioni di CO2, con forti innovazioni nei processi e nei prodotti. Ovvero grande spazio all’efficienza energetica e alle rinnovabili, che, come ha confermato l’ENEA nel suo studio di luglio 2010, rappresentano la risposta principale (in termini di occupazione e di volano immediato) alla crisi economica. Non è un caso che i Paesi più forti e competitivi del vecchio continente siano favorevoli ad alzare l’asticella dell’impegno unilaterale europeo alla riduzione delle emissioni climalteranti fino al 30%. A sostegno delle ragioni sull’inutilità del nucleare occorre ricordare che questa tecnologia sarebbe comunque in ritardo rispetto al traguardo del 2020 e che le previsioni del CESI e dell’AIEE, che già ad ottobre del 2008 parlavano di 4 centrali attive non prima del 2026, ipotizzavano un risparmio di 9 mld di m3 di gas all’anno, l’equivalente di un rigassificatore di medie dimensioni, e di 17 mln di tonnellate/anno di CO2, senza considerare tutte le emissioni provocate nella fase di costruzione.

Ma se ci fossero ancora dubbi basta ricordare che in Italia oggi a fronte di più di 100.000 MW installati, la punta della domanda non supera i 57.000 MW. Con il risultato che già oggi abbiamo un surplus di offerta di energia elettrica e che l’incremento delle rinnovabili – così come previsto dal Piano nazionale per le rinnovabili approvato dal Governo a giugno – esclude per il prossimo decennio la domanda di nuove centrali e, se sono vere le previsioni al 2050 dette all’inizio, lo esclude anche per i decenni successivi. Senza considerare che investire sulle rinnovabili e sull’efficienza è l’unico modo per garantire davvero l’indipendenza energetica del paese.

A valle di tutto ciò è anche bene ricordare che entrare nel nucleare oggi significa cominciare ad utilizzare una tecnologia già vecchia, sprecando risorse che potrebbero essere con più proficuità e con ricadute temporali molto più rapide impiegate nella ricerca, sia nelle rinnovabili che nel nucleare sicuro.

Veniamo ora rapidamente al secondo punto: nessuno dei problemi storici di questa tecnologia è stato risolto.

In estrema sintesi due sono le grandi questioni irrisolte: i costi e la sicurezza.

I politici oggi favorevoli al nucleare parlano sempre dei vantaggi che il nucleare porterebbe sui costi della bolletta. Bugia!

Prima di entrare nel merito dobbiamo sgombrare il campo da una leggenda. I filonuclearisti sostengono che le bollette alte dipendono dagli incentivi troppo alti per le rinnovabili. In realtà i costi impropri e improduttivi che pesano sulle nostre bollette sono altri: il collegamento Sicilia-Calabria, che scarica la sua inefficienza e pesa per 1 miliardo all’anno su tutto il sistema, gli oneri per il nucleare, che ammontano a 400 milioni annui, oneri vari di sistema che arrivano a circa 100 milioni, a cui va aggiunto l’IVA ed il famigerato Cip6. Senza considerare che oggi è in vigore il nuovo conto energia che prevede una riduzione graduale, fino al 30%, degli incentivi per il fotovoltaico, e che l’art 45 di cui molto si è discusso questa estate si proponeva di ridurre di circa 500 milioni la bolletta elettrica pagata da cittadini e imprese mentre in Germania, con lo stesso meccanismo, sono destinati da anni alle fonti rinnovabili 5 miliardi.

Da un lato, quindi, si sa già dove occorrerebbe intervenire per abbassare la bolletta, dall’altro l’ad di Enel Conti ha pubblicamente richiesto, nell’estate del 2009, “una soglia minima garantita” nelle tariffe di vendita dell’energia, per assicurare gli investitori. Quindi le bollette non scenderanno sicuramente per effetto del nucleare.

Inoltre, come sta dimostrando l’esperienza finlandese di Olkiluoto, i costi di costruzione possono solo crescere (più del 50% fino ad oggi) – anche per questo tutti i paesi occidentali più che investire in nuove centrali stanno allungando la vita di quelle esistenti, in questo senso va letta la scelta della Germania di prolungare il ciclo di vita delle attuali centrali. Mentre non si è dato molto risalto a due recenti notizie. La Costellation Energy Group ha cancellato il progetto di costruzione di una centrale nucleare a Calvert Cliffs, negli Stati Uniti, rinunciando ad una garanzia bancaria pubblica da 7,5 miliardi di dollari, che era stata concessa per incentivare l’impianto, e soprattutto al fatto che dopo la decisione le quotazioni del gruppo sono salite mentre quelle di EDF, che doveva costruire insieme a loro quell’impianto e che si è dichiarata scioccata dalla decisione unilaterale di rinuncia, sono scese. La seconda notizia appare sul New York Times a luglio e riprende uno studio condotto dalla Duke University, secondo il quale il KWh prodotto da un pannello solare costa meno di un KWh nucleare. Differenza minima (16 cent $), ma significativa se si pensa che secondo il MIT oggi realizzare una centrale costa 4.000 $ per KW, contro i 2000 del 2003, (mentre il carbone è passato da 1300$ a 2300$ e il gas da 500 a 850) ed Areva ha chiesto, non più di un anno fa, al Canada 4500 euro per KW. La tendenza è inequivocabile: i costi delle rinnovabili scendono, quelli del nucleare salgono. I motivi sono noti. Il tentativo di mettere in sicurezza le centrali sempre e solo su un versante ingegneristico, senza toccare i processi fisici, comporta una lievitazione dei costi, confermando che solo l’investimento pubblico (sostenuto dalla fiscalità generale) rende possibile tutta la filiera nucleare. Ma nonostante i tentativi la sicurezza rimane una chimera. Ce lo ricorda la denuncia fatta dalle agenzie per la sicurezza nucleare di Francia, Finlandia e Gran Britannia che a novembre del 2009 bocciarono il reattore EPR perché il sistema di sicurezza e controllo risultava inadeguato. Per non parlare dello stillicidio di incidenti, solo dal 2000 al 2007 in Europa ne sono stati pubblicamente registrati 15. Il che spiega bene quanto rilevato dalla recente ricerca epidemiologica tedesca che ha messo in evidenza che le leucemie nei bambini nei pressi delle centrali aumentano fino a 3 volte e che anche i lavoratori e gli abitanti vicini subiscono danni alla salute. Anche durante il normale funzionamento di una centrale, ed in assenza di incidenti, le centrali emettono radiazioni.

E non abbiamo parlato né dei costi né della sicurezza in merito al trattamento delle scorie e dello smantellamento delle centrali.

E tutto ciò si dovrebbe affrontare per un contributo ai consumi finali di energia inferiore al 5%?