La testa di ponte di Zenson

Prologo

I piani per l’offensiva austro-tedesca dell’ottobre 1917 che portarono alla rotta di Caporetto, prevedevano avanzate fino all’Isonzo, auspicando lo spostamento del fronte sul Tagliamento, quale miglior risultato. L’esito della battaglia sorprese tutti. Inaspettatamente, i comandi tedeschi e austroungarici ebbero l’occasione di dilagare così profondamente, da considerare l’idea di finire la guerra in Italia con una splendida vittoria. Per come si erano messe le cose, divenne necessario pianificare il prosieguo della vittoriosa avanzata. Il progetto generale per le operazioni oltre il Tagliamento, fu elaborato dal generale tedesco von Below condiviso e messo a punto, nel primo pomeriggio del 3 novembre ad Udine. Si decise di fissare quale prossima meta l’Adige. Per arrivare a quell’ultimo fronte si sarebbe calata da nord, per prendere alle spalle il Regio Esercito, l’armata del Trentino di Conrad, mentre l’armata di Below dal Grappa scendendo sulla pianura Veneta dietro il Piave, vi avrebbe reciso qualsiasi tentativo di resistenza italiano. Alle armate dell’Isonzo di Boroevič, fu ordinato di passare il Piave e proseguire l’avanzata. Nel tempo in cui prendevano forma queste congetture, la 3a Armata si ritirava approfittando del fatto che le armate avversarie, nel caos della repentina avanzata, non riuscirono a coordinare una puntata verso sud, per la presa dei ponti meridionali del Tagliamento. Per sottrarsi al rischio di essere aggirata, l’invitta ripiegava, sfilandosi dal collasso del fronte e nel farlo, combattendo mentre retrocedeva, si impegnò a rallentare l’avanzata delle armate dell’Isonzo, le cui avanguardie raggiungevano il basso Piave il 9 novembre, mentre il grosso delle truppe restava lontano dal nuovo fronte d’ingaggio. Il grave ritardo con cui l’Isonzo Armee giunse sulle rive del Piave, senza il materiale da ponte sufficiente per attraversarlo, senza gli approvvigionamenti e gli uomini necessari a sostenere un attacco, fu il problema principale per cui gli Imperiali non riuscirono a passare subito il fiume. Durante l’avanzata in Friuli e Veneto, gli austro - tedeschi passarono altri fiumi senza grandi difficoltà, perché gli italiani che avevano ordine di rallentarne l’avanzata, vi avevano applicato un semplice velo di resistenza. Sul Piave invece l’ordine era di resistere. Quella che sembrava una corsa inarrestabile, si arenò sulla linea difensiva del Piave - Grappa da tempo individuata e poco preparata, dove gli italiani velocemente si insediarono, con l’ordine, appunto, dell’estrema difesa. Per gli austroungarici, non si trattava più di strappare un’esile velo ma di sbrecciare la determinazione italiana a resistere. La 3a Armata, che aveva provocato il ritardo e la diluizione dell’avanzata delle Armate dell’Isonzo, approfittò, in corsa contro il tempo, per serrare i ranghi oltre il fiume. Il 9 novembre il generale Diaz assume la carica di Capo di Stato Maggiore e comincia da subito a “far conto sulla fede e sull’abnegazione di tutti”, mentre gli ultimi reparti passavano il fiume combattendo per aprirsi e chiudere la via. A sera, non c’erano più truppe italiane oltre il Piave. Il 10, il Duca d’Aosta scriveva alla sua 3a Armata:

Ogni giorno ogni ora guadagnati, ci avvicinano al momento in cui, superata la crisi, coll’arrivo già cominciato di nuove forze, di complementi e di materiali, l’armata sarà in condizioni di resistere sicuramente a qualunque nemico.

In attesa di tale momento ormai prossimo, necessita mantenere sempre più viva e più intensa la vigilanza e l’attività delle truppe in modo che non vada frustrata la somma dei generosi sforzi finora compiuti.

Quello stesso giorno si mosse irrequieta l’armata di Conrad in Trentino, da dove, vista la relativa inattività, aveva da tempo preparato piani e materiali per un nuovo attacco. Le intenzioni si manifestarono chiaramente nei giorni successivi. Il generale Conrad, aveva disposto fosse eseguito un potente attacco tra Asiago e la Valsugana, con obbiettivo Valstagna – Bassano del Grappa attraverso la direttrice Val Frenzela – Valstagna – canale del Brenta. I combattimenti durarono fino al 5 dicembre, quando gli italiani riuscirono a bloccare l’avversario ai margini settentrionali della Val Frenzela, ove il fronte si stabilizzò. Qualche giorno dopo che Diaz aveva assunto il comando, anche il Gruppo Below si mosse. Sul Grappa, il generale Krauss, forte di quattro divisioni, cominciò la conquista del massiccio, ma le operazioni si concluderanno con successi parziali. Nel settore del Piave, dai ponti della Priula al mare, gli austroungarici delle armate di Boroevič hanno una superiorità numerica di almeno 3 a 1. Il 12 si forma la testa di ponte di Zenson. Il 13 viene presa l’isola di Papadopoli dalla 28a ID (Infaterie Division). La 41a HD (Honved Division) passa il Piave nuovo a Grisolera e inizia la conquista dell’isola tra le due Piavi. La 10a ID è respinta a Intestadura e a 700 metri a valle del ponte della ferrovia di Croce di Musile, dove quattro barche sono ricacciate. Gli attacchi si ripeterono nel tentativo di disarticolare le posizioni difensive italiane. Mentre sulle montagne gli assalti si muovono come onde tra gli scogli, i comandi delle armate di Boroevič continuano a sviluppare progetti di attraversamento e attacco. Il 15, tra Valdobbiadene e Vidor fallisce il tentativo della 12 ID e 13 SchD. Il 16 fallisce al Mulino Sega l’attacco del VI/57° e l’IR 92 (Infanterie Regiment) della 24 HD. I deludenti risultati sono interpretati dagli Imperiali attraverso l’euforia della splendida corsa vittoriosa a parer loro, non ancora del tutto consumata. Stanchezza, impreparazione e la fretta sono le ovvie cause degli insuccessi; l’idea che l’italiano possa aver smesso di ritirarsi, non compare nelle menti dei comandi austroungarici eccitati. Nel diario del Comando del fronte di sud-ovest, si osserva lo scorrere degli ordini e delle date per l’attacco risolutivo:

21.11./p 185 Il comandante d’Armata Boroevič riceve istruzioni per il forzamento del Piave e contemporaneamente avvisa che ogni giorno di ritardo nella sua attuazione è perdita irrecuperabile. op.Nr.31207

23.11./p 187 Il comando delle forze del sud-ovest rilascia le direttive per l’offensiva, indicando il 29.11 quale giorno per la forzatura del Piave. op.Nr.32048

Piani e ordini per l’attacco si accavallano, tra ritardi e attese, fino ai primi di dicembre, quando ancora sono emesse disposizioni per l’attacco come quella riportata di seguito al capitolo, stesa proprio per il VII Corpo. Mentre i comandi inferiori continueranno a credere ancora per qualche giorno che l’attacco sia imminente, i comandi superiori cominceranno ad avere dei dubbi sulla buona riuscita dell’operazione. Un vittorioso assalto, oltre che di piani ben costruiti ha bisogno di materiali di consumo a disposizione e truppe riposate, cose che non erano e non sarebbero state disponibili in breve. Gli alti comandi avversari finalmente si resero conto che le armate non erano in condizione di effettuare il passaggio del Piave e decisero che le operazioni sul fiume sarebbero servite solo a tenere occupate quelle divisioni nemiche che altrimenti avrebbero potuto essere impiegate altrove. Poco dopo, quando decideranno che la vittoriosa avanzata sarebbe ripresa nella primavera del 1918, la testa di ponte di Zenson diventò inutile e il 23 dicembre Boroevič decise di riportare a casa gli uomini.

1.12./p 195 Il Comando del Fronte SW ha spiegato nuovamente alla AOK le ragioni per cui fanno la richiesta di terminare l’offensiva. Op.Nr. 33154.

2.12./p 196 L’AOK di Baden ordina il termine dell’offensiva e chiede di attestarsi sulla linea di combattimento. Tutte le operazioni devono essere fatte all’insaputa del nemico (il nemico non deve capire che si è deciso il termine dell’offensiva). Op.Nr.33351

Come una lama inflitta nel fianco, la testa di ponte di Zenson, aveva continuato a tormentare i comandi italiani, nonostante, nel tempo, anche le loro prospettive fossero cambiate. Subito dopo aver passato la Piave i comandi italiani, avevano manifestato un disturbo bipolare per cui, a fasi di preparazione maniacale dei progetti di ripiegamento e fortificazione all’Adige, opponevano l’angosciosa necessità di completare le difese sulla Piave. Questa tensione durò tutto Novembre, fino a quando si resero conto che raccolti gli uomini e riordinate le armate, l’esercito aveva saputo riprendersi dallo shock e la difesa sul Piave avrebbe tenuto.

Mentre la calma riprendeva posizione, l’angoscia provocata dall’ansa di Zenson si stemperava nelle lucide considerazioni che finalmente i comandi si potevano permettere. Il nemico era incistato su di un’unghia di terra sulla quale, data l’inconsistenza dei passaggi, sarebbe stato molto difficile far fluire gli uomini e i materiali necessari per un attacco e anche se questi fossero arrivati, sarebbero stati velocemente macinati dall’artiglieria. Il valore dell’ansa di Zenson stava nell’idea che gli uomini se ne erano fatti. Il confine che gli italiani si erano posti era stato violato e a nulla erano valsi i primi sforzi sostenuti per affermarlo. Era il dubbio che potessero essere succubi degli avversari e simmetricamente, per quest’ultimi, la conferma che avrebbero potuto attraversare quel confine quando volevano. Ecco perché per gli italiani, la rioccupazione dell’ansa divenne occasione di festa, così tanto celebrata da farla passare per una grande vittoria; cosa di cui gli uomini avevano bisogno. Gli austroungarici che avevano semplicemente lasciato l’ansa, quando questa aveva smesso di avere valore strategico, si stupirono per come la propaganda italiana travisò l’operazione, facendola apparire come il risultato della tenacia difensiva degli italiani; come se non fosse stato chiaro che sarebbero potuti ritornare su quella riva quando e come avessero voluto. La battaglia per l’ansa di Zenson, durò quasi due mesi, periodo che si può agevolmente suddividere in quattro parti, a seconda dei principali attacchi che diedero il ritmo dei combattimenti e in cui si ordinano i capitoli di questo libro.

11 - 15 Novembre. Attraversamento del Piave per forzarne la linea: Piaveforcierung. Comincia così, con l’attacco austroungarico alla riva di Zenson, una delle teste di ponte più durature della Grande Guerra. Tra i primi ad arrivare sulla riva sinistra del Piave fu il 1° Gebirgsschützen carinziano. Questo reggimento prende e tiene l’ansa resistendo alle forze racimolate tra le divisioni di due Corpi d’Armata avversari. Dopo qualche giorno gli italiani sospendono i contrattacchi, mentre il 1° è sostituito dal 2° Gebirgsschützen.

16 - 23 Novembre. Riordinato il fronte e riassegnate le competenze sarà la Brigata Pinerolo della 14a Divisione (XIII Corpo) a tentare la liberazione della testa di ponte, dove nel frattempo l’11a Gebirgs Brigade della 48a ID si era messa a difesa. L’assalto del 20 novembre, non tiene conto delle difese austroungariche che hanno trasformato in un possente bastione quel pezzo di argine che già per sua conformazione è imprendibile e in breve l’attacco fallisce.

24 Novembre - 5 Dicembre. Nelle trincee austroungariche l’11a viene sostituita dalla 12a Gebirgs Brigade e sarà proprio l’IR73 a resistere il 4 dicembre al secondo attacco preparato con cura dagli italiani della 14a Divisione, a cui un equivoco toglie la possibilità di riuscita. Il meticoloso lavoro di preparazione è mandato a monte dalla mancata interpretazione di alcuni razzi di segnalazione.

6 - 25 Dicembre. I reparti austroungarici si susseguono e sull’argine di Zenson torna la 44a SchD (Schützen Division) con la 87a Schützen Brigade. Mentre i comandi del Regno prendono fiato e lucidità, quelli Imperiali decidono di rinviare a primavera l’affondo della vittoriosa avanzata; la testa di ponte di Zenson non sarebbe più servita. Gli uomini passano l’ultimo Natale di guerra in trincea.

26 Dicembre - 1 Gennaio. Gli italiani decidono di macinare la resistenza austroungarica con l’artiglieria, quando ormai l’avversario ha sgomberato l’ansa. Nei giorni a seguire i Bersaglieri del 3° scoprono le trincee vuote e rioccupano la sponda. Per gli italiani è il risultato della tenacia con cui hanno perseverato nei contrattacchi vincendo la resistenza nemica e festeggiano il nuovo anno con una vittoria. Gli austroungarici sull’altra riva, erano rimasti ad osservare gli italiani che per quattro giorni bombardavano e combattevano in solitudine.

Alla fine, nel breve epilogo, sono raccontati gli echi della battaglia che ancora oggi ritornano.

Due parole per descrivere il campo di battaglia.

Qualche chilometro a monte, il fiume, incerto tra le ghiaie, lascia l’aspetto torrentizio per infilarsi in un unico letto sabbioso, dove si torce più volte prima di stemperarsi in mare. All’epoca a Zenson era largo circa 70 metri. Ora è poco più largo e non corre più esattamente dov’era in quei giorni. Due grandi argini, alti quattro metri, lo scortano tirando la corda tra i gonfi.

L’ampia ansa si era formata tra Salgareda e Romanziol, dove il fiume scorrendo veloce e profondo consuma il letto che corre tra banchine di terra che in alcuni punti all’epoca, erano alte diversi metri. Verso la riva di Zenson, l’acqua, più lenta, si fa mano a mano più bassa, fino formare una spiaggia che muore subito contro la banchina.

La golena, da questa parte è un emiciclo rotto da siepi e fossati, coperto da una vegetazione alta e fitta. Il terreno giocava tra schiene e fosse di vecchi alvei; ora è coltivata e se la si osserva distratti sembra piatta. Dietro l’argine il paese è cresciuto. Lontano, dall’altra parte, sull’argine sinistro, la strada sommitale compie una tra le più grandi curve d’Europa.

Il posto è silente, come dev’essere un campo dopo la battaglia.

ISBN 978-88-6643-538-9

17x24 116p. bn