IL FUTURO PARTE DALLE PERSONE.
E' dunque ai ragazzi che vogliono esprimersi liberamente sulla scuola, sui suoi insegnamenti , sui suoi insegnanti, su ciò che dà e ciò che prende, che lasciamo questa pagina. Perchè sono i ragazzi a pensare al domani e non solo al presente; perchè sono loro l'energia per un mondo nuovo.
Gap generazionale o conflitto generazionale il fenomeno che è sempre sulla bocca di tutti: ma perché i giovani sentono questo grande distacco?
Il gap generazionale non è un fenomeno “nuovo” o come si pensa inventato con la nuova generazione. Precedentemente conosciuto come “conflitto generazionale” compare per la prima volta durante gli anni Sessanta in alcuni Paesi occidentali per indicare le differenze culturali che si erano formate tra la generazione dei Baby Boomers, ovvero le persone nate tra il 1946 e il 1964, e quella dei loro genitori. Questo fenomeno segue le nuove generazioni a partire da quel momento.
Nell’ultimo periodo ha preso piede in modo particolare la versione inglese del termine: con l’aggiunta di “gap”, che si traduce in divario, rappresenta a pieno il suo significato in quanto il fenomeno tutt’ora racchiude quelle differenze di idee, di norme culturali e che indica il distinguersi delle varie epoche. Con i nuovi sviluppi della tecnologia, l’avvento di internet e dell'intelligenza artificiale, le differenze tra le vecchie e le nuove generazioni, dalla generazione dei Millennials (1980-1994) in poi, sono state ancora di più accentuate, creando ancora più odio e dissidio tra questi due macro-gruppi di persone.
Le scoperte fatte nel campo della tecnologia hanno rivoluzionato la vita di tutti e in particolare quella dei giovani nati in questa era digitalizzata: questo fenomeno globale influenza tutti gli aspetti della vita dei giovani a partire dalla socialità ed estendendosi ad altri campi, come la scuola e il lavoro. Sempre di più vengono criticati i metodi dei giovani come improduttivi e non necessari, il più delle volte accusandoli di essere pigri e poco creativi.
Agli occhi degli adulti, gli adolescenti di oggi sono sempre più distaccati dalla realtà e attaccati a cose più superficiali, come il telefono, i social media e i videogiochi: questa visione semplicistica fa sembrare i giovani d’oggi solamente come degli sfaticati.
Soprattutto in ambito scolastico i punti di vista delle diverse generazioni sono estremamente contrastanti: per le generazioni più vecchie, cresciute senza l’influenza delle tecnologie e l'intelligenza artificiale, è impensabile utilizzare questi strumenti nelle classi perché vedono l’apprendimento solo come una lezione frontale e non riescono a comprendere che esistono altri modi per arrivare spiegare ed imparare, modi che comprendono l’inclusione di strumenti progressivi e attuali come le intelligenze artificiali. Dall'altra parte i giovani sostengono che la scuola attuale sia antiquata e poco adatta ai sistemi moderni, non permettendo l’apprendimento ideale.
Attraversiamo i due punti di vista: I boomer, coloro nati dal 1945 all’1960, ritengono che il sussidio di queste tecnologie sia superfluo e compromettente in quanto non permette ai giovani di sviluppare delle competenze di autonomia e di ottenere una conoscenza approfondita, ai loro occhi acquisibile solo attraverso lo studio e il contatto con la fisicità dei manuali.
D’altra parte, i giovani sembrano avere una concezione totalmente contraria in quanto l’utilizzo di queste tecnologie porterebbe per loro ad un'aggiunta all’apprendimento “da manuale” rendendolo piú dinamico e interessante. E’ innegabile che queste nuove tecnologie che si sono scoperte in questi ultimi anni sono una notevole agevolazione; perché privarsene se il solo scopo è quello di raggiungere una conoscenza più “completa” ?
Inoltre è degno d’attenzione il sempre più evidente dato della necessità dell’attuale società di essere in grado di utilizzare questi nuovi strumenti tanto nel mondo scolastico quanto in quello lavorativo e in generale nella quotidianità. Non si può infatti mettere in secondo piano il fatto che le nuove generazioni abbiano acquisito delle conoscenze in questo ambito che le precedenti non hanno: nel mondo del futuro, le qualità e le abilità che le nuove generazioni stanno coltivando saranno indispensabili e utili per un futuro che è in constante evoluzione.
In conclusione, anche se abbiamo cercato di evidenziare le principali differenze tra generazioni vecchie e generazioni nuove, rimane come verità universale la consapevolezza che differenze di questo genere sono sempre esistite in tutte le epoche: non è certamente una novità che i nonni e i padri guardino dall’alto al basso e giudichino i nipoti e i figli per le scelte e le strade che questi prendono. Con molta probabilità questo fenomeno continuerà a ripetersi anche per le generazioni future, anche se resta la speranza che tutto ciò possa cambiare e che prima o poi tutti possano guardare in modo aperto e positivo al futuro.
Verifiche, interrogazioni di recupero e non, test, plichi di compiti da correggere che si accumulano sulle scrivanie dei professori e montagne di libri e di appunti sparsi su quelle di noi studenti: insomma, tutti possiamo convenire sul fatto che gli ultimi giorni siano stati particolarmente intensi dal punto di vista lavorativo.
Se da un lato ciò rende l’avvicinarsi delle vacanze natalizie ancora più allettante, dall’altro forse sarebbe opportuno fermarsi un attimo e riflettere sul perché e sul come si sia arrivati ad un tale accumulo di prove scritte o orali, da svolgere o da correggere e valutare.
Come afferma Roberto Saviano, “la soggettività non è da considerare come un elemento di debolezza, anzi è ciò che rende la testimonianza ancora più valida e potente”: seguendo il suo pensiero, l’osservazione che viene fatta è rinforzata dalle testimonianze di studenti e docenti che convengono tutte sullo stesso punto.
Solitamente le critiche rivolte al sistema scolastico che provengono dalla componente studentesca sono interpretate come semplici lamentele infondate: noi ragazzi vediamo la scuola solo come fatica e non come opportunità, come sforzo e non come diritto.
Tuttavia valutare questa istituzione come lavoro non sminuisce il fatto che essa non sia la sua sola natura, anche perché la stessa professione che in un futuro ci ritroveremo a svolgere sarà sicuramente fonte di stanchezza ma anche ciò che ci renderà liberi, attori attivi in questa società e anche realizzati e soddisfatti: d'altra parte, la stessa repubblica italiana si fonda proprio sul lavoro.
Inoltre il fatto che su questo siano d’accordo anche le stesse persone che hanno assegnato e concordato le date dei compiti può essere solo un'ulteriore conferma che almeno per una volta entrambi i fronti, spesso visti come opposti, si siano alleati contro un disagio comune.
I commenti, tra l’altro, non provengono solo dall’interno:
“L’Italia è uno dei Paesi con il più alto tasso di compiti assegnati per casa, eppure come conferma il Rapporto Censis il nostro è anche un vero e proprio Paese di ignoranti: quasi uno studente su due esce dalle scuole superiori senza essere in grado di comprendere un testo scritto in lingua italiana”, queste le parole allarmanti, ma tutto sommato nemmeno così sorprendenti, di Massimo Gramellini.
Il sistema scolastico, sia per esperienza diretta sia tramite i dati ufficiali, appare così raffigurato come ancorato ad un modello tradizionale ed intensivo che però non risulta del tutto efficace, non concentrando l’attenzione sulla conoscenza effettiva delle nozioni anche se la “verifica” proprio a questo dovrebbe servire.
Certamente cambiare non è mai semplice, la destinazione ignota e priva della certezza che ciò coincida con un miglioramento, ma di fronte ad una condizione che riguarda l’interesse comune è chiaro che da qualche parte sia necessario iniziare un percorso collaborativo verso un metodo ed un’organizzazione che rispetti i tempi e le esigenze di tutto il personale scolastico, senza sminuire il vero valore di questa istituzione:
“Gli ospedali salvano la vita, la scuola le dà un senso”.
Soprattutto negli ultimi anni la parola “resilienza” è diventata sempre più comune nel lessico quotidiano, utilizzata anche in ambiti distanti tra loro: dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), alle cosiddette "soft-skills" tanto valorizzate.
Frequentemente questa qualità viene definita come la capacità di risollevarsi dopo un errore, ovvero di rigenerare energia e speranza anche in seguito allo scontro con delle difficoltà.
In realtà, il vero significato del termine risiede nell’ambito della fisica, la quale fa coincidere la resilienza con la capacità di un corpo di assorbire un urto senza rompersi e deriva dal verbo latino “resilire”, rimbalzare.
Per quanto la definizione matematico-scientifica possa sembrare di poco differente, essa nasconde alla base un significato del tutto opposto. Infatti, se un corpo assorbe l’urto, quindi, trasportando l’esempio nella vita reale, l’uomo fa lo stesso con l’errore, allora non apparirà nessuna crepa, nessuna differenza e quindi nessuno, basandosi solo sull’apparenza, potrà dedurre che l’urto è avvenuto: nessun cambiamento, perfetti si è prima, perfetti si è dopo.
Purtroppo però, o per fortuna, la vita reale non funziona così ma anzi segue meccanismi totalmente diversi.
Come afferma Paolo Martin, “l’errore è utile per il progresso, quindi dimostrarne gli effetti porta solo a condizioni vantaggiose per l’individuo e la collettività”.
Perchè dunque si tende ad evitare per istinto l’errore o comunque a nasconderlo come se fosse una colpa?
Innanzi tutto è necessario riconoscere l’errore in quanto tale, e questo spesso implica anche una messa in discussione delle proprie, scelte, azioni e quella amata “copertina di Linus” chiamata identità, una costruzione sociale e psicologica che ogni mattina viene rispolverata per apparire immacolata e nuova, “instagrammabile” e capace di riportare l’Io in una condizione di normalità, una frase di senso logico che si conclude con un rassicurante punto fermo.
Il cantautore italiano Simone Cristicchi racconta attraverso la musica che i folli “sono punti di domanda senza frase”. I manicomi, edifici di cui ha fatto esperienza anche Torquato Tasso, non servivano tanto a “curare” la follia quanto ad evitare un pericoloso confronto tra “sani” e “pazzi”: chi tra i due è davvero malato? Chi necessità più urgentemente di terapie e trattamenti?
Chi veniva internato in strutture simili era classificato come irrazionale, etichetta che affonda le sue radici nella filosofia cartesiana.
Oltre alla famosa frase “cogito ergo sum”, René Descartes è anche l’inventore di un importante strumento matematico: il piano cartesiano, dove ogni punto è inscrivibile in coordinate sempre definibili: non potrebbero queste essere nient’altro che le sbarre di una gabbia, proprio come quelle che definivano i confini della cella di Tasso?
“Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola”: così scriveva Calvino in un passaggio di Lezioni Americane riflettendo sull’importanza di preservare un uso cauto ed attento della lingua orale.
A proposito di tale attenzione all’uso della parola, non posso che constatare con amarezza che un linguaggio rispettoso ed appropriato è proprio ciò che negli ultimi tempi è venuto a mancare nelle assemblee di istituto del nostro liceo. Queste giornate, dedicate allo scambio libero tra gli studenti, alla formazione del loro pensiero critico e all’approfondimento su temi d’attualità, si stanno trasformando in un vacuo accumulo di ore private per la maggior parte della loro funzione educativa. Un impoverimento tale è da imputare ad una partecipazione sempre più inopportuna da parte degli studenti, che hanno iniziato ad interpretare le assemblee di istituto come uno spazio ricreativo privo di ogni scopo in cui, pur di fare presenza, ci si può esimere dal prestare attenzione ai soggetti trattati.
Il decorso dell’ultima assemblea, che si è tenuta lo scorso 9 Marzo, ha dato prova di una mancanza di rispetto da parte dei partecipanti mai raggiunta prima. È stato riportato da più voci che la confusione creata dai liceali copriva gli interventi degli ospiti: in pochi prestavano davvero attenzione. Alcuni studenti, addirittura, trasmettevano musica ad alto volume in una cassa bluetooth, rispondendo anche in malo modo alle ripetute richieste di spegnerla.
Oltre ad una dimostrazione di totale disinteresse per il tema trattato, cosa già accaduta nell’assemblea del 24 e 25 Gennaio, appare opportuno mettere in luce la problematica della gestione degli interventi liberi dei ragazzi. In particolare, durante l’ultima assemblea i partecipanti si sono divisi in discussioni avulse dal contesto e dal fine ultimo della giornata stessa, ovvero quello di mettere a confronto il sistema educativo italiano e quello dei paesi esteri. Infatti, il biennio al Teatro Michelangelo ha perpetuato per lungo tempo un'accesa discussione sulla presunta inutilità di studiare le materie classiche, secondo gli studenti dell’indirizzo linguistico, e le lingue straniere, posizione sostenuta dai giovani classicisti. Le argomentazioni si orientavano su un calibro piuttosto basso: “Quando devo fare la spesa non ho bisogno di sapere il greco antico”, oppure “È inutile studiare francese e tedesco se in ogni Stato si può comunicare in inglese”. Tuttavia, la veemenza con cui sono stati espressi certi giudizi è sconcertante, e ancor più se si pensa che ad intrattenere questa contestazione sono stati i giovani studenti delle classi prime e seconde: sono queste le motivazioni che animano le scelte scolastiche degli adolescenti? I ragazzi non sono in grado di comprendere l’opportunità e l’estrema ricchezza culturale che viene loro offerta studiando in un luogo di condivisione e di continuo confronto tra cultura classica e modernità?
A questo proposito vorrei quindi far riflettere i giovani lettori di questa lettera sul fatto che il valore dell’istruzione che riceviamo non dovrebbe mai tradursi in discussioni campanilistiche tra indirizzi, per altro ormai riproposte in fin troppi contesti negli anni precedenti, ma in un’apertura verso una cultura unica e comunitaria.
Il triennio, poi, si è dedicato, come spesso accade, a discussioni politiche: per quanto siano importanti e stimolanti alla nostra età, non possono sfociare sempre in una cieca volontà di sopraffazione dell’opinione altrui, trasformando il dibattito in un litigio animato e superficiale.
In questo panorama, l’unico invito che si può indirizzare ai partecipanti delle assemblee di istituto è di non trasformare questi momenti in un’occasione per ottenere attenzioni narcisistiche, inutili ed ingiustificate: si invitano tutti gli studenti ad intervenire con un lessico appropriato, formulando le proprie affermazioni e domande in modo rispettoso, oltre a valutare se gli interventi che si intendono fare possono apportare spunti interessanti e pertinenti alla conversazione o se possono invece essere evitati. Le aspirazioni delle nostre assemblee sono, o dovrebbero essere, più alte del panem et circenses latino e dei talk show televisivi: se il tema dell’assemblea non è di nessun interesse, che almeno si assista in silenzio senza disturbare il suo decorso.
A questo proposito, ricordo inoltre il comportamento poco decoroso assunto dalle classi quinte durante l’incontro sulla poetica e sul pensiero di Pier Paolo Pasolini del 10 Dicembre. È stato scoraggiante vedere un così gran numero di diciottenni guardare il telefono, mangiare patatine e chiacchierare incessantemente durante l’esposizione della vita di un autore che sempre si è battuto contro la massificazione della cultura e l’impoverimento dei valori morali ed educativi del nostro Paese.
In conclusione, invito tutti i lettori a riflettere sulla reale importanza delle assemblee di istituto, e di calibrare il proprio ruolo personale nel loro svolgimento. In queste occasioni, infatti, una mancanza di attenzione e rispetto non può che riflettere una conseguente mancanza di senso civico, che, se riscontrata in adolescenti che costituiranno il futuro della nostra comunità, risulta triste e deludente. Infine, invito gli studenti più giovani a ricordare il valore della grande opportunità educativa che stanno ricevendo in questa scuola, e a combattere il declino morale e l’impoverimento espressivo che negli ultimi tempi affligge fortemente il nostro Paese.
Sottoscritto da: Carlotta Fiorini, Ilenia Martelli, Ginevra Salsi, Vittorio Cecconi, Alice Borghesani, 5 CL
Caro Riccardo Vaccari,
a farci riflettere è stata la lettera che hai indirizzato ai professori e agli studenti.
In un periodo sospeso, in cui il tempo è rallentato e dilatato, la maratona dei voti non si è mai fermata, come tu hai evidenziato.
Consultandoci in classe, ognuno di noi ha espresso le proprie opinioni condividendo ciò che hai scritto: sicuramente la didattica a distanza è stato un mezzo utile per mantenere i rapporti con la scuola e, per un primo periodo, anche una via di fuga dai compiti in classe settimanali e dall’ansia di interrogazioni vis a vis con i professori.
In seguito, però, si è rilevata una spietata seduttrice che ha lasciato troppa libertà e che ci ha permesso di sfuggire alle responsabilità con un semplice click.
Infatti, dopo un lungo periodo, la concentrazione e la costanza nello studio di molti studenti è diminuita, mettendo in difficoltà anche i professori, e il rientro a scuola è stato molto impegnativo e stressante. Una moltitudine di verifiche e interrogazioni ha riempito le nostre agende rendendoci ulteriormente ansiosi, per cercare di stare al passo con le innumerevoli prove, che professori stressati calendarizzano per terminare un programma imposto da vecchie convenzioni scolastiche.
Tutto ciò ha determinato un differente approccio allo studio: non più considerato un arricchimento personale, ma un dovere per non vedere sul registro elettronico i tanto famigerati voti rossi, ritenuti da molti di noi un’etichetta che spesso non riflette la reale essenza della persona.
La scuola deve far crescere a livello cognitivo, ma anche a livello di approccio alla vita, facendo sviluppare un pensiero personale e un senso critico, per affrontare al meglio le sfide di tutti i giorni, attuali e future.
Quindi, è così difficile provare a godersi una giornata scolastica senza dover rincorrere le interrogazioni e le prove scritte perse nei mesi precedenti?
Le lezioni non dovrebbero essere un’insieme di asettiche parole, frasi e concetti, ma momenti piacevoli, stimolanti, curiosi e coinvolgenti. Studenti e Professori sono gli attori responsabili per far sì che ciò sia possibile: è soddisfacente rendersi conto di aver imparato qualcosa che non rimane scritto solo sui libri scolastici, ma che fa parte anche della quotidianità.
“Il significato della parola sapere: viene dal latino “sapere”, ovvero “avere sapore, essere saporito”. Una lezione dovrebbe dunque essere un allegro banchetto a cui noi studenti partecipiamo, consapevoli di quanto siamo fortunati.”, proprio come tu ci hai scritto.
Con affetto,
La classe 2B
È da ormai un anno che l'umanità lotta contro questo ostinato nemico invisibile. È da ormai un anno che indossiamo mascherine, che ai TG non sentiamo altro che "Covid-19". È da ormai un anno che gli stadi sono vuoti, che i teatri sono affamati, vogliono spettatori, e che, ovviamente, i banchi di scuola piangono e prendono polvere sperando in un nostro ritorno.
Nonostante questo lasso di tempo, però, non sembra cambiato niente: anche da casa dobbiamo correre come dei matti, ossessionati dai voti. Ah, i voti, queste piccole particelle in grado di farci odiare una materia, con delle notti insonni spese a guardare un libro che tutto vorrebbe trasmetterci, meno che questa maledetta ansia da prestazione. Perché, proprio in un periodo così difficile, bisogna ancora rimanere attaccati a queste convenzioni? Perché per una volta non approfittiamo della situazione per poter focalizzarci su ciò che conta veramente, ovvero uscire da una lezione dicendo "Che bello, ho imparato cose nuove"?
Una volta un professore mi spiegò il significato della parola sapere: viene dal latino "sapere", ovvero "avere sapore, essere saporito". Una lezione dovrebbe dunque essere un allegro banchetto a cui noi studenti partecipiamo, consapevoli di quanto siamo fortunati.
Con la DAD le cose sono peggiorate, questo è vero, ma ciò non significa che l'ora di storia, per esempio, debba perdere il suo delizioso sapore. Questa convinzione deriva dall'ossessione di voler affiancare ai nomi che si vedono sul registro elettronico numeri verdi e rossi, perennemente convinti che non sarà il covid a fermare i macchinosi cicli del nostro sistema scolastico.
Ora, mi rivolgo ai ragazzi di quinta: dobbiamo seriamente puntare ad avere il massimo dei voti, ignorando totalmente il virus e guardando alla maturità come ad un ostacolo?
La nostra maturità la stiamo vivendo adesso, la prova che ci è stata messa davanti è molto chiara: dobbiamo tenere alta la testa, svegliarci la mattina con la convinzione di gustarci una buona lezione e non con l'ansia per un'anonima valutazione. Quando saremo grandi, dovremo ricordarci di Hegel come "L'autore della fenomenologia dello spirito" e non come "L'autore che mi ha fatto prendere 3".
In quanto a voi, cari professori e care professoresse, non sarebbe meglio insegnarci che si può amare il sapere anche in un periodo del genere, piuttosto che sperare in un rientro a scuola per rimpinzarci di verifiche? Se torniamo subito, con tutte le restrizioni del caso, cosa rimane della buona vecchia lezione in presenza, se non i test per cui tanto ci impegniamo e per cui portiamo delle pesantissime borse agli occhi?
Signore e signori, ragazze e ragazzi, impariamo, con il covid-19, ad amare la bellezza dell'istante, e non focalizziamoci sulle formalità che tutto sono tranne che pertinenti a questo contesto.
Con affetto,
Riccardo Vaccari, 5F