Dal resto del mondo

L'Unione Europea ed il divieto di Fumo

Sofia El Khattabi 3B, Lucia Idrato 3B I 24 febbraio 2025

Il fumo rappresenta uno dei problemi di salute pubblica più gravi a livello mondiale. Il consumo di tabacco continua a causare milioni di morti ogni anno, nonostante le campagne di sensibilizzazione adottate in molti paesi UE.Secondo l’organizzazione mondiale della Sanità (OMS) il Tabagismo è la principale causa di morte evitabile, responsabile di oltre 8 milioni di decessi annuali, di cui circa 1,2 milioni dovuti all’esposizione al fumo passivo. 

Alcuni dei principali motivi per la quale le persone iniziano a fumare è spesso legato a fattori sociali e psicologici come la pressione dei coetanei  ,la ricerca di un mezzo per affrontare stress e ansia ed inoltre la nicotina ,presente nelle sigarette, provoca una forte dipendenza fisica e psicologica. Il fumo ha effetti devastanti su quasi ogni organo del corpo umano e tra le principali malattie correlate al consumo di tabacco ci sono:


Il cancro,  le malattie cardiovascolari(aumenta il rischio di infarto e ictus),Patologie respiratorie(Bronchite cronica ,enfisema…), Effetti sul sistema immunitario e riproduttivo(mette a rischio la fertilità sia negli uomini che nelle donne e rende l’organismo più vulnerabile alle infezioni).

Anche dal punto di vista economico e sociale si estendono altre conseguenze: Le spese sanitarie per curare le malattie legate al fumo sono enormi e la perdita di riproduttività è un grande costo per l’economia globale. Come riportato prima, il fumo danneggia anche chi gli sta intorno. Il cosiddetto “Fumo passivo” infatti contiene molte sostanze chimiche e cancerogene tanto che per bambini e neonati possono portare direttamente alla morte improvvisa. In Italia circa il 21% della popolazione fuma in una fascia d’età tra i 18 e i 24 anni, anche se molti minorenni ne fanno abuso. 


Purtroppo il fumo si è radicato nelle nostre pratiche sociali e culturali associato alla ribellione e all’indipendenza, visto anche come simbolo di libertà anche se comporta pesanti conseguenze sulla nostra salute e sul nostro benessere.  

In Europa si sta cercando di eliminare il consumo del tabacco ormai da tempo con diversi interventi come la presentazione di una raccomandazione non vincolante: dove se ne vietava l’utilizzo in spazi aperti come terrazze di bar, piscine e parchi giochi. l’iniziativa rientra nell’ europe’s beating cancer plan, in cui si preservare i danni da fumo. il divieto venne respinto con 378 voti contrari, 152 a favore e 26 astensioni. 

La lotta contro il fumo dell’unione europea viene sicuramente ostacolata dall’industria del tabacco. 

Nonostante non dovrebbero influenzare le decisioni dell’UE, prevedendo che le politiche sanitarie e pubbliche debbano essere protette da interessi economici e politici. 


Tuttavia le sigarette elettroniche sono tutt’ora spacciate come strumenti per la cessazione del fumo, pur avendo già verificato che creano solamente più dipendenza nei giovani e contribuiscono all’inquinamento. in seguito è  stata fatta   “Analisi d’impatto della Raccomandazione” avviata già nel 2009, per approfondire il possibile danno economico dall’interruzione di vendita di sigarette, rivelando come li superino i benefici e i profitti : risparmiando sulla salute pubblica, miglioramento della qualità dell’aria e rifiuti ambientali. 


L’unione europea non sembra scoraggiata, ma del tutto intenzionata a continuare la lotta contro il fumo.







Il sonno pomeridiano dovrebbe essere incentivato nelle scuole?

Lucia Falzoni 4E, Valentina Pini 3D I 22 febbraio 2025

Uno studio condotto dal professore Gianfranco Parati, direttore scientifico di Auxologico, nonché docente presso l’Università degli Studi Milano-Bicocca, ha documentato che un breve riposo pomeridiano aumenta la vigilanza e l’attenzione, oltre che portare benefici sulla memoria procedurale e semantica. 

E’ dimostrato infatti che il sonno tra una sessione e l’altra di studio aiuta a consolidare le informazioni appena apprese.  


Il professore sottolinea che il sonno diurno è un toccasana per il corpo e per la mente. Infatti durante il sonno la pressione si abbassa e dopo il pisolino pomeridiano se ne può beneficiare. 


Nonostante questo si potrebbero identificare due “regole” per avere un maggiore beneficio dopo il sonno. Infatti il riposo non dovrebbe durare più di mezz’ora, altrimenti si rischia di entrare nella cosiddetta inerzia del sonno, che provoca intontimento. Inoltre sarebbe meglio dormire dopo pranzo perché in questo momento della giornata si intercetta il calo circadiano della vigilanza, quando la propensione al riposo è maggiore. Addormentarsi al pomeriggio inoltrato potrebbe indebolire il sonno notturno.


Gli stessi studi sono stati condotti dall’Università Pompeu Fabra di Barcellona che ha deciso di introdurre la siesta, ovvero sonnellini obbligatori dopo pranzo per studenti, docenti e collaboratori per favorire il benessere fisico e mentale. 

I dati hanno infatti evidenziato i benefici del sonno breve come una maggiore chiarezza mentale, una reazione più pronta, un miglioramento dell’umore e della memoria, oltre a un incremento della produttività fino al 20%.


Oltre a questo sono stati fatti anche dei test pilota per monitorare i livelli di serotonina prima, durante e dopo il pisolino. Il risultato è stato un aumento della serotonina dopo il sonnellino, con un conseguente aumento anche del rendimento accademico. 


Per questi motivi l’università ha deciso di modificare alcuni spazi nei vari campus. Sale riunioni, auditorium e aule saranno adattati per creare ambienti idonei al riposo, con luce soffusa e silenzio. Anche le mense saranno coinvolte, riducendo l’attività tra le 15 e le 16, trasformando questa fascia oraria in un'ora tranquilla per facilitare il riposo.


L’Università ha inoltre dichiarato che sta realizzando una linea di merchandising sostenibile per offrire coperte, tappetini e maschere per gli occhi per rendere più confortevole il sonno. Non solo, verranno anche distribuiti degli opuscoli con consigli medici su come trarre il massimo beneficio dal sonno.

Con questa iniziativa l’Università spera di promuovere il benessere fisico e psicologico e l’equilibrio tra vita accademica e personale, rendendo così le giornate di studio e lavoro più produttive e piacevoli. 

Anche noi abbiamo provato a chiedere ai ragazzi delle scuole di Modena se ritenessero utile inserire degli spazi appositi per consentire agli studenti di riposarsi prima dei vari impegni scolastici pomeridiani, come il biomedico o il giornalino.

Se siete curiosi trovate le loro risposte in un reel che abbiamo pubblicato su instagram.





Censura sui libri nelle scuole americane: un'ondata di divieti tra ideologia e diritti civili

Lucia Falzoni, Angelica Frappa 4E, Valentina Pini 3D I 20 febbraio 2025

Se con la fine dei regimi totalitari si pensava di aver raggiunto la piena libertà di espressione, gli ultimi anni hanno dimostrato che questa conquista è tutt’altro che scontata. Negli Stati Uniti, infatti, il fenomeno della censura sui libri ha registrato una crescita allarmante, con numerosi titoli rimossi, romanzi classici e contemporanei, da Sulla strada di Jack Kerouac a Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood, dagli scaffali di molte scuole con la motivazione di proteggere gli studenti da contenuti ritenuti inappropriati.

Secondo i dati raccolti da Pen America, associazione impegnata nella difesa della libertà di espressione, tra il 2022 e il 2023 sono stati censurati 3.362 libri, con un aumento del 33% rispetto agli anni precedenti. Ad oggi, sono 33 gli stati americani coinvolti in questa pratica, ma tra i più attivi figurano il Texas, la Florida, il Missouri, lo Utah e il South Carolina. In questi luoghi, ogni anno, viene richiesta la rimozione di decine di titoli considerati inappropriati per un pubblico minorenne. Tra i temi più contestati emergono razzismo, comunità LGBTQ+, salute mentale, bullismo, sessualità, pubertà e aborto.

Uno dei casi più emblematici riguarda la rimozione dal circuito scolastico texano di Il Diario di Anna Frank, con la giustificazione che il libro conterrebbe contenuti sessualmente espliciti. Una decisione che ha suscitato sconcerto a livello internazionale, dimostrando come la censura stia colpendo anche opere di valore storico e culturale universale.

La crescente ondata di divieti ha portato la politica americana a intervenire. L’amministrazione Biden aveva istituito la figura dei “book ban coordinator”, incaricati di monitorare e indagare sulle censure nei distretti scolastici. Tuttavia, questa misura è stata fortemente criticata dai gruppi conservatori, che hanno accusato il governo di voler limitare il diritto dei genitori di decidere sull’educazione dei propri figli.

Con l’elezione di Donald Trump, l’Ufficio dei Diritti Civili (OCR) del Dipartimento dell’Istruzione ha dichiarato decaduta questa iniziativa, respingendo 11 denunce sui “book ban” e affermando che la questione non riguarda i diritti civili degli studenti, bensì quelli dei genitori. Di fatto, il nuovo governo ha smantellato l’intervento di Biden, segnando una svolta a favore delle istanze censorie.

Questo fenomeno non riguarda solo gli Stati Uniti. Anche in Europa si registrano episodi simili, come dimostra la recente petizione per il ritiro dalle librerie italiane di Questo libro (non) parla di sesso, un manuale di educazione sessuale per adolescenti pubblicato da Edizioni Sonda. Il testo, che affronta tematiche come l’identità di genere e il consenso, è stato oggetto di contestazioni da parte di gruppi conservatori, i quali ritengono che simili argomenti non debbano essere trattati in età adolescenziale.

La crescente censura sui libri solleva preoccupazioni in merito al futuro della libertà di espressione. In un mondo che ha vissuto guerre e rivoluzioni per garantire i diritti civili, la rimozione di testi ritenuti “scomodi” sembra riportare la società a una nuova forma di oppressione. Il rischio è che, invece di progredire verso un’educazione più inclusiva e consapevole, si finisca per soffocare il dibattito culturale, lasciando le nuove generazioni senza strumenti per comprendere la realtà che le circonda.



Sicurezza stradale

Letizia Meglioli 4DL I 15 febbraio 2025

Sono circa le 6 del pomeriggio di un normalissimo giovedì di dicembre quando io e mia mamma ci troviamo in macchina in cerca di un parcheggio. Siamo di fronte al Palazzo dei musei ( dunque in pieno centro ) e non è ancora calato del tutto il sole, quando notiamo una bicicletta nel bel mezzo della strada. Spostiamo lo sguardo a sinistra sul ciglio del marciapiede, ed è proprio in quel momento che assistiamo ad una scena a dir poco terribile


Ben 5 ragazzi stranieri prendono a calci e pugni un ragazzo ( anch’egli di origine straniera ) completamente solo. Non so esattamente spiegare la sensazione che ho provato in quel momento, posso dire però di essere rimasta scioccata dalla brutalità e dalla cattiveria con cui queste persone avevano accerchiato il ragazzo ferito e continuavano a colpirlo senza fermarsi, nemmeno davanti ai gemiti di dolore. 


Passati i primi secondi di shock, mia madre ed io scendiamo dalla macchina e, assieme ad altri passanti, ci avviciniamo gridandogli di smetterla. Due degli aggressori si allontanano e riesco ad individuarne alcune caratteristiche, come i vestiti e il colore dei capelli; gli altri però purtroppo riescono a scappare inseguendo il ragazzo ferito e noi li perdiamo di vista. 

Decidiamo allora di chiamare immediatamente le forze dell’ordine, le quali arrivano all’incirca dopo un quarto d’ora. 


All’arrivo della polizia chiaramente gli aggressori si erano ormai allontanati, i poliziotti hanno poi proceduto mandando delle pattuglie nei dintorni, ma con scarsi risultati. Però perlomeno uno di quei 2 ragazzi, che si erano allontanati al nostro arrivo, passa nuovamente per di lì e viene portato via per fare delle verifiche.

La nostra esperienza si è conclusa con un verbale alla polizia, ma dalla conversazione con le forze dell’ordine è emerso un dato che mi ha spiazzata: di queste aggressioni ne capitano all'incirca 10 OGNI singolo giorno. 


Ció che ho provato é stata sicuramente tanta pena sia per il ragazzo ferito che invano tentava di difendersi, ma anche per quel branco di ragazzini ( saranno stati appena maggiorenni ) insensibili e privi di ogni scrupolo, che se la prendevano con qualcuno incapace di difendersi da solo. 


Quanto spesso ci capita di accendere la televisione o di leggere i giornali ed essere bombardati dalle notizie di baby gang che commettono atti spregevoli, dalle risse a quelli ancora più gravi che sfociano in veri e propri atti di violenza e crimini perseguibili? 

A me personalmente moltissime volte, bensì assistere ad un episodio del genere in prima persona è stato veramente tristissimo. Di fronte a queste scene di violenza il consiglio che mi sento di dare è quello di non restare indifferenti, bensì di agire ( chiaramente in sicurezza ) per quanto ciò alla fine possa avere dei risultati o meno. 


É ormai chiaro dunque come la sicurezza stradale stia diventando un problema emergente nella nostra città. Per affrontarlo è necessaria la collaborazione tra i consigli di Istituto di Modena, che a dicembre si sono riuniti per discutere del tema nelle scuole superiori e primarie; e fondamentale è anche l’impegno del singolo cittadino, che deve imparare a prendere misure di prevenzione per tutelare sé stesso e gli altri. 

Il paradosso della matematica

Alice Fontana 4EL I 12 Febbraio 2025

Una volta durante una lezione la prof. ha chiesto alla mia classe se e dove trovassimo la bellezza nella matematica. 

Inutile dire che c’è stata una risata generale, qualche verso di disperazione, e qualcuno che invece, come me, si è messo a riflettere.

Negli ultimi anni è stato studiato quanto l’odio verso questa materia sia irragionevolmente cresciuto. Molti giovani sviluppano un senso di disprezzo o paura verso la matematica per diversi motivi, spesso legati all'educazione, alla percezione sociale e alle esperienze personali. 

Stereotipi e pressioni sociali giocano un ruolo chiave nella diffusione dell’idea della matematica come una materia “difficile”, adatta solo a “persone intelligenti”. Ciò porta numerosi studenti a sentirsi scoraggiati e a partire prevenuti, sostenendo di “non essere portati” per la materia, non provando in realtà nemmeno ad impegnarsi. Inoltre, l’assenza di concretezza, di esempi o di applicazioni pratiche rende difficile da comprendere qualsiasi argomento, con conseguente perdita di interesse e motivazione. La mancanza di un collegamento chiaro con la realtà quotidiana è uno dei motivi principali che portano gli studenti a non applicarsi, non riconoscendo l’utilità o l’importanza dei numeri. 

Ma non è sempre stato così. 


Nell'antichità, la matematica era fondamentale perché serviva a risolvere problemi pratici, amministrare risorse e sviluppare conoscenze che hanno gettato le basi per il mondo moderno. Gli antichi amavano la matematica perché la vedevano come qualcosa di più di un semplice strumento pratico: per loro era una chiave per comprendere l'universo, un linguaggio della natura e persino un'espressione del divino. 

Gli Egizi associavano i numeri agli dèi e credevano che l’ordine matematico fosse una manifestazione del soprannaturale. Anche i Cinesi vedevano nel quadrato magico un simbolo sacro di equilibrio e armonia. 

Impossibile non citare inoltre, i filosofi greci come Pitagora e Platone, che sostenevano che la matematica fosse la struttura fondamentale della realtà. Soprattutto quest’ultimo insieme ai Pitagorici, riteneva che i numeri e le forme geometriche fossero entità perfette ed eterne, un riflesso del mondo ideale. I numeri erano studiati non solo per risolvere i problemi, ma per scoprire l’armonia e l’ordine del cosmo. 

Com’è possibile allora, che la nostra percezione di questa disciplina sia cambiata così radicalmente? 


La risposta è semplice: la matematica non è cambiata, è semplicemente cresciuta e si è evoluta con noi. Siamo noi a essere cambiati. 

È vero, a volte capita anche a me di detestarla, ma è un fastidio ingiustificato mosso da una pura insoddisfazione personale. Se davvero per ottenere la chiave di lettura della matematica basta trovarvi un’applicazione concreta, allora forse ho un paragone che potrebbe aiutare. 

Odiamo la matematica quando non la capiamo, quando gli esercizi non ci vengono, quando le spiegazioni appaiono scritte in una lingua incomprensibile. Che più le rileggi e meno ti sembra di capire. 

Ma pensandoci, non è lo stesso con le persone?

Non è forse quando l’equazione con una persona non dà il risultato che speravamo che l'incantesimo di positività e buona volontà si rompe? Che ci arrendiamo e semplicemente impariamo a convivere con l’idea che il fallimento fosse predestinato, e noi solo i poveri illusi che hanno provato a corrompere il destino. 

A volte capita che svolgi un’operazione e il risultato che ti viene non ti pare assolutamente plausibile. …. o giù di lì. Già senti l’amaro in bocca dell’errore e sulla lingua la frustrazione pizzica fastidiosamente. Così guardi il libro, già ormai quasi rassegnato al pensiero di dover ricominciare da capo. 

E poi scopri che è corretto.  

Incredulo osservi quei numeri, quegli stessi perfetti numeri stampati sulla pagina 394 che sono uguali a quelli sbilenchi colmi di inchiostro sul tuo quaderno stropicciato. 

Questa sì che è felicità. 

Questa sì che è soddisfazione. 

E ti senti un po’ Heisenberg e un po’ Einstein. Invece sei solo stato attento ai calcoli, e forse hai anche un po’ studiato. Sicuramente non ti sei distratto e non ti sei lasciato spaventare dalle tre stelline di difficoltà dell’esercizio. 

Funziona così anche con le persone. 

A volte sembra proprio impossibile che possa funzionare tra due individui. Incompatibili, tre stelle di difficoltà. 

Tuttavia, in qualche caso, per qualche strano incrocio degli astri o stretta di mano del destino, ti ritrovi davanti ad un incastro perfetto. I numeri combaciano, sul tuo quaderno e su quello dell’altro, e quell’operazione impossibile diviene la tua preferita. 

La matematica, come le relazioni, richiede un ragionamento, una pratica e un impegno costante. Soprattutto però, richiede pazienza. 

Noi studenti tendiamo a perdere la motivazione quando non vediamo miglioramenti immediati, tanto quanto noi giovani perdiamo la speranza davanti ai “No” e agli ostacoli. Odiare la matematica è una risposta necessaria ad una condizione che si presenta davanti ad ognuno di noi ogni giorno: la difficoltà. 


Forse, allora, non si tratta davvero di odiare la matematica, ma di temere ciò che essa rappresenta: la sfida, l’incertezza, il rischio di sbagliare. Ma proprio come nelle relazioni, la vera soddisfazione arriva dopo la fatica, quando un problema apparentemente insolubile trova la sua soluzione e tutto, improvvisamente, acquista senso. La matematica, dopotutto, non è solo numeri e formule: è logica, intuizione, perseveranza. È la dimostrazione che, con impegno e pazienza, anche ciò che sembra incomprensibile può diventare chiaro. Magari non la ameremo tutti, magari non è la persona adatta a noi, l’incastro perfetto per completare il nostro puzzle, ma forse, smettendo di vederla come un ostacolo insormontabile, possiamo almeno imparare a non averne paura. E chissà, inaspettatamente, anche a trovarvi un po’ di bellezza.

Baby Gang

Sofia El Khattabi 3B, Lucia Idrato 3B, Riccardo Laronca 3B I 29 Gennaio 2025

Con baby gang o banda giovanile si intende un fenomeno di microcriminalità organizzata, generalmente diffuso nei contesti urbani, per il quale minorenni, spesso guidati da maggiorenni, assumono comportamenti aggressivi ai danni di cose o persone. Ultimamente nel contesto di Modena e dintorni si sono verificati gravi episodi di violenza e disturbo della quiete pubblica, compiuti da minorenni tra i 14 e i 17 anni. Di recente infatti sulla Gazzetta di Modena è uscito un articolo riguardante questo episodio al quale ci siamo particolarmente interessati, anche per capirne meglio le dinamiche. Questi ragazzi agivano in gruppo di sera o all’uscita delle scuole, avvicinandosi ai passanti, principalmente loro coetanei, con svariate scuse per poi minacciarli con coltelli e picchiarli, in caso si rifiutassero di dare loro soldi. Uno degli episodi più gravi si è verificato il 14 novembre 2024, in Piazza della Pomposa a Modena, quando un gruppo di ragazzi si è avvicinato ad un coetaneo per chiedergli dei soldi. Dopo avergli sottratto gli auricolari, lo hanno colpito con uno schiaffo, facendolo cadere a terra, per poi picchiarlo ripetutamente, con calci alla schiena e allo stomaco. Tutto ciò ha provocato alla vittima ben 10 giorni di prognosi. Dalle indagini svolte dalla Polizia è emerso che questi ragazzi mandavano in una chat tutte le immagini delle aggressioni, compiute probabilmente per semplice divertimento. 

Ma qual è la motivazione dietro queste violenze? 

Abbiamo provato, insieme ai nostri compagni di classe, a ragionarci, ipotizzando alcune possibili risposte.

Che sia la musica? 

Alcuni sostengono che un fattore propagandistico della violenza siano proprio le canzoni; la maggior parte dei testi musicali, ascoltati dai più giovani, parla di violenza, volgarità, oscenità e disprezzo per l’autorità. La costante esposizione a questa aggressività porta inevitabilmente alla sua normalizzazione e, nei casi più estremi, al suo uso quotidiano. Anche film, serie TV e videogiochi, con i medesimi contenuti, potrebbero incentivare questi comportamenti. Fortunatamente a queste conseguenze estreme arriva solo una minoranza di giovani.

Che sia l’ambiente di vita? 

Questi ragazzi potrebbero essere cresciuti in luoghi poco accoglienti, nei quali nessuno si cura di loro o dove molto spesso si sentono emarginati. Questo potrebbe aver alimentato in loro un senso di rivalsa e il desiderio di attirare l’attenzione, assieme ad un gruppo di pari che si distingue per brutalità e aggressioni. 

Esiste un legame tra microcriminalità giovanile e immigrazione? 

Molti dei ragazzi che fanno parte delle baby gang sono minori stranieri non accompagnati o italiani di seconda generazione che, per legge, sono iscritti presso le scuole di Modena e provincia. Abbiamo provato ad immedesimarci nella loro situazione e, dopo averlo fatto, abbiamo compreso che forse il problema maggiore sta nell’assenza d’integrazione che può dipendere sia da fattori sociali sia da una mancanza di volontà in tal senso. La frequenza di questi reati ai danni di minori contribuisce ad alimentare una visione stereotipata nei confronti di tutti gli immigrati, facendoli apparire più facilmente e frequentemente come criminali.

Questo articolo ha avuto innanzitutto l’obiettivo di raccontare un problema sempre più presente nel contesto della nostra realtà cittadina, presentandolo però attraverso l’analisi di noi giovani studenti, ossia coloro che sono più colpiti da queste aggressioni.


Per non dimenticare

Aurora Vanacore, 5B I 27 gennaio

Per non dimenticare

Ma basta?

Basta semplicemente limitarsi a non dimenticare una data?

Basta semplicemente limitarsi a non dimenticare Auschwitz?

Basta semplicemente limitarsi a non dimenticare la dittatura di Hitler?

Basta semplicemente limitarsi a non dimenticare gli ebrei?

Basta semplicemente limitarsi a non essere indifferenti?


Forse si dovrebbe piuttosto ricordare

Ricordare non solo il 27 gennaio, ma tutti i giorni

Ricordare non solo Auschwitz, ma tutti i campi di concentramento e di lavoro forzato 

Ricordare non solo il nazismo, ma anche tutti gli altri regimi totalitari che hanno basato il loro potere sulla negazione dell’esistenza dell’Altro

Ricordare non solo gli ebrei, ma anche le ebree, gli omosessuali, gli zingari, gli infermi e tutte le altre categorie definite come nemiche e perseguitate per la loro semplice colpa di essere nate nel momento sbagliato al posto sbagliato.

Andare oltre la semplice non indifferenza, ma anche verso una protesta attiva e consapevole.

“Non esiste uomo tanto codardo che l'amore non renda coraggioso e trasformi in un eroe”, così diceva Platone.

Oltretutto, siamo esseri umani,

Mossi dalla passione.

E sia proprio questo stesso lato irrazionale e indomito

a guidare verso il cambiamento,

Verso la rivendicazione delle ingiustizie,

Verso la ricostruzione di basi su cui ripartire dopo che tutto è stato distrutto:

vite, 

famiglie, 

sogni, 

sentimenti.

In quei campi non sono solo morti degli esseri umani,

ma c’è una cosa che non può essere mai distrutta: la storia.

Il suo flusso scorre inesorabile

Nonostante tutto

Allora dunque è dovere dei cittadini dell’oggi

Fare in modo che questa corrente non ci travolga,

Né possiamo pensare di avere il lusso di poterci abbandonare 

e lasciarci trasportare.


Si deve ricordare

Si deve agire

Si deve cambiare

Per amore 

Di questa specie tanto strana

Che eravamo, 

siamo 

e saremo.


DIG Festival: carceri

Sara Ferri e Anna Pantusa, 4B

“Quando si parla di carcere si parla di numeri. Ma dietro ai numeri si nascondono storie che molti dimenticano o non ascoltano.”

Nell’ultimo periodo si è sentito parlare spesso di carceri, di rivolte, di sovraffollamento. Nelle scorse settimane al Sant’Anna di Modena si sono tolti la vita tre detenuti.

Il carcere dovrebbe rieducare, eppure varcare il cancello di un istituto penitenziario significa spesso assistere a scene di violenza. Se tutto questo viene permesso, dove trovare spazio per la rieducazione? Come può un detenuto essere inserito nuovamente in società?

Punire o ignorare la violenza è più facile che rieducare. L’educazione richiede risorse e tempo. Ma è lì che nasce una possibilità di miglioramento.

Le carceri si trovano spesso in zone periferiche, lontane dallo sguardo del mondo e forse anche delle istituzioni. 


Il 16 gennaio 120 studenti di diverse scuole si sono riuniti nella sala Truffaut di Modena per partecipare al terzo appuntamento del Dig Screen Education, la rassegna a cura di Associazione DIG. 

Sono stati presentati tre documentari sulle carceri nel mondo: “11 giorni” di Nicolò Zambelli, “Chi li ascolterà?” di Selena Frasson e Claudio Rosa, girati rispettivamente nell’istituto penitenziario di Brescia e nel Minorile Beccaria di Milano, e “Sons of Jihadists - The impossible return”, ambientato in un centro detentivo per i figli dei terroristi ISIS in Siria. 

La giornalista Selena Frasson ha raccontato della propria esperienza, della vita all’interno delle carceri e della critica situazione attuale. 

“Una delle difficoltà principali? Entrare in connessione coi ragazzi. La loro diffidenza iniziale è stata molto difficile da superare. Spesso sono abituati ad essere strumentalizzati per trasmissioni televisive. Veramente qualcuno ha voglia di ascoltarli? Il mio obiettivo non è stato quello di presentare un documentario al festival, ma di dare voce alle storie degli altri. A quelle storie così lontane dal mondo.”


DIG Festival: corruzione e criminalità organizzata a Roma

Alice Fontana 4EL

Nella giornata di giovedì 12 dicembre 2024 la classe 4EL si è recata presso la Sala Truffaut a Modena per assistere alla presentazione del docufilm “100 minuti”, scritto e condotto da Corrado Formigli e Alberto Nerazzini, ospite anche dell’evento organizzato dal DIG Festival. Dopo la visione del docufilm, è stata data ai ragazzi l’opportunità di porre domande al giornalista in persona, che ha risposto approfondendo alcune questioni e chiarendo i dubbi dei ragazzi. 

Dato che si tratta di un argomento che ha toccato molto i ragazzi, ci è sembrato importante riportare il contenuto della giornata in questo breve articolo riassuntivo, volto a introdurre brevemente un tema che merita oggi più che mai, la dovuta attenzione. 


“Roma città aperta” è il titolo della prima inchiesta al centro di ‘100 minuti’, il programma scritto e condotto da Corrado Formigli e Alberto Nerazzini. A partire da un episodio emblematico della storia della criminalità organizzata a Roma, l’omicidio di Fabrizio Piscitelli meglio detto “Diabolik”, il racconto prosegue sciogliendo i nodi più contorti di una storia occulta, rimasta archiviata negli ultimi anni. Ne risulta un viaggio agghiacciante che dimostra quanto in profondità la criminalità organizzata penetri il tessuto economico, politico e sociale della Capitale.

Un racconto costruito con immagini e video inediti ed esclusivi delle ultime ore di Diabolik, arricchito con intercettazioni telefoniche e audio, che arriva fino a presentare gli atti di svariati processi. Un racconto che non tratta solo di un uomo, ma che dalla sua figura parte per parlare di qualcosa di più grande ed ormai impossibile da ignorare.


“Tutte le strade della criminalità partono da Roma”, sentenziò in una famosa intervista il boss Raffaele Cutolo. Strade battute non solo dalla storica Banda della Magliana, che una volta deteneva il monopolio assoluto sulla criminalità romana, ma dove si trovano ormai le tracce anche della ‘ndrangheta, della Camorra, di Cosa Nostra e di nuove consorterie criminali quali il Clan Spada e Casamonica. Nel paesaggio criminale romano non mancano però anche collegamenti con l’estero e, soprattutto, con la mafia albanese. 

È ormai da diversi decenni infatti, che la criminalità organizzata a Roma ha assunto caratteristiche sempre più complesse e ramificate, configurandosi come un fenomeno che intreccia interessi economici, sociali e politici. Il narcotraffico è l’attività principale, ed è proprio nel contesto romano che vi si trovano i maggiori esponenti. Primo fra tutti, l’albanese Elvis Demce. 


Un episodio emblematico che ha acceso i riflettori su questo mondo è l’omicidio di Fabrizio Piscitelli, noto come “Diabolik”, avvenuto il 7 agosto 2019 nel Parco degli Acquedotti. Figura carismatica nel mondo degli ultrà della Lazio, la squadra di calcio romana, Piscitelli era noto non solo nella Curva Nord dell’Olimpico, ma anche e soprattutto nei vicoli stretti e nei quartieri nascosti di Roma. Importante personaggio nella criminalità organizzata romana e coinvolto nel narcotraffico della Capitale, l’uomo era conosciuto anche per i suoi stretti rapporti con la camorra Napoletana. In modo particolare con la famiglia dei Senese.

Il nome di Michele Senese non suona inaudito a nessuno a Roma. Figura centrale della mafia della città, fondatore e boss del clan Senese, gioca da sempre un ruolo cruciale nella mafia non solo nei quartieri romani e napoletani, ma in tutta Italia.

Queste due figure sono le prime ad emergere nel docufilm girato da Formigli e Nerazzini, dove viene prestata particolare attenzione al legame che si è consolidato negli anni proprio tra la Camorra e la criminalità romana.

Tuttavia, non è solo la figura di Michele Senese ad apparire come fondamentale nel programma, bensì anche quella del precedentemente citato, Elvis Demce. 

Amico, collega, forse pupillo dell’ex capo degli Irriducibili della Lazio Diabolik, Demce si presenta come il principale esponente e boss della Gomorra albanese. Da sempre un pezzo grosso dello scacchiere del narcotraffico a Roma, dall’omicidio di Piscitelli ha costantemente cercato di rimpiazzare il vuoto nel mercato della droga lasciato dal collega, e puntando a crescere sempre di più. 

A frapporsi tra Demce e il suo desiderio di espandersi, vi è Ermal Arapaj, anche lui albanese. 'Ufo', così lo chiamano i suoi, rappresenta negli ultimi decenni, un’altra pedina fondamentale nel narcotraffico romano e della provincia. Da anni i due si giocano il monopolio del mercato illegale della droga sul suolo romano e di provincia, alternando altalenanti periodi di carcere a supremazia insormontabile. Con l’uscita di Demce dalle sbarre però, il mazzo è stato rimescolato. 

Conversazioni inedite, video e audio, completano un quadro complesso, fatto di nomi e soprannomi, cognomi e famiglie, che si dimostra quanto mai intricatl e variopinto. 


Formigli e Nerazzini giocano proprio su questo aspetto: la difficoltà. Nonostante gli sforzi delle forze dell’ordine e della magistratura, la lotta alla criminalità organizzata a Roma si scontra con numerosi ostacoli. La corruzione, l'omertà e la capacità delle organizzazioni di mimetizzarsi all'interno del tessuto sociale rendono complesso il contrasto a questi fenomeni.


Il processo "Mafia Capitale" ha rappresentato un punto di svolta, svelando la connessione tra politica, imprenditoria e criminalità organizzata. Tuttavia, il cammino per debellare queste reti è ancora lungo. 

Corrado Formigli

Alberto Nerazzini

Social media e minori d'età: Australia e Italia a confronto

Sofia El Khattabi, Lucia Idrato e Riccardo Laronca 3B

Il 28 Novembre 2024, in seguito ad un lungo dibattito a livello nazionale, il Senato Australiano ha approvato il divieto di utilizzo dei social media da parte dei minori di 16 anni, che punta a diventare la prima e la più restrittiva legge al mondo per tener lontani i giovanissimi dai social.


La Ministra delle Comunicazioni, Michelle Rowland, ha dichiarato che questo nuovo provvedimento normativo garantirà comunque ai più giovani l’accesso alla messaggistica, ai giochi online e ai servizi di sicurezza e di istruzione. I social che sicuramente subiranno restrizioni sono Snapchat, Tiktok, Instagram e X. Questa legge entrerà in vigore a partire dal 1 Gennaio 2025 e le piattaforme che saranno sorprese a violarla verranno multate fino a 33 milioni di dollari. Sempre secondo la Ministra delle Comunicazioni quasi due terzi degli australiani di età compresa tra 14 e 17 anni hanno visualizzato contenuti estremamente dannosi sui social media, che riguardavano l’abuso di droga, il suicidio o l’autolesionismo.

Nonostante la forte approvazione del Primo Ministro Anthony Albanese, questo divieto ha ricevuto numerose critiche sia da parlamentari sia dalle Aziende dei social media che hanno giudicato vaga e poco specifica la legge. 


Per tutelare la privacy, non si potranno chiedere documenti d'identità agli utenti, ma questo renderà ancora più difficile verificarne l'età. Le piattaforme social avranno dieci mesi per sviluppare sistemi di verifica alternativi, ma nessuno sa ancora quali tecnologie potranno essere utilizzate. Inoltre, come riporta il Guardian, Elon Musk, patron di X, ha attaccato questo divieto, ritenendolo una limitazione della libertà personale.

Le conseguenze di questa legge potrebbero andare ben oltre i confini australiani. La Norvegia ha già annunciato di voler seguire l'esempio di Canberra, mentre nel Regno Unito il ministro della Tecnologia ha dichiarato di vagliare l’ipotesi di un divieto simile, anche se per il momento ne ha escluso la possibilità, riporta la Bbc. 


 ….E in Italia?

Secondo la normativa vigente, che si rifà al D.L. 10 agosto 2018, n.101 la soglia d’età per poter utilizzare un social network è quella dei 14 anni. Tra i 13 e i 14 anni è già possibile creare il proprio profilo, ma con la supervisione e il consenso dei genitori per la tutela dei minorenni. 

Il  20 Maggio 2024 le parlamentari Lavinia Mennuni (Fratelli d’Italia) e Marianna Madia (Partito Democratico) hanno presentato una proposta di legge bipartisan. L’obiettivo di questa iniziativa non è vietare l'accesso a social network e Internet ai minori, ma promuoverne un uso sicuro e consapevole, fornendo alle famiglie gli strumenti adeguati per contrastare l’utilizzo eccessivo. Tra gli obiettivi prefissati vi è anche il contrasto al cyberbullismo e all’esposizione a contenuti inappropriati.

Tra i punti cardine della proposta vi è l’innalzamento dell’età minima per accedere ai social media da 13 a 15 anni, garantendo anche un’effettiva verifica dell’età di modo che non sia più aggirabile, a cura di Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) e Garante della Privacy. Ad oggi, la maggioranza della popolazione, giovani in primis, si trova quotidianamente ad utilizzare i social media. Ognuno di noi dovrebbe essere chiamato a usare i social in modo consapevole e, nel suo piccolo, educare i propri cari ad un loro uso appropriato.Però è anche nostro dovere di cittadini lavorare affinché lo Stato, attraverso le Leggi, fornisca aiuti e regole per affrontare le nuove tecnologie che, giorno dopo giorno, presentano nuove sfide. Pur essendo un’operazione piuttosto complicata siamo direttamente sottoposti a questi rischi che per i giovani possono sembrare una grande valvola di divertimento che, però, quando viene interrotta o bloccata porta al disaccordo generale.


A dimostrazione di ciò nel 2024 l’Oxford Dictionary ha scelto “Brainrot” come parola dell’anno. Questo termine significa letteralmente “cervello marcio” e descrive quel senso di stanchezza mentale che proviamo quando si passano ore a guardare reel e video-meme. I contenuti brevi assorbono una parte sempre maggiore del nostro tempo. Il bombardamento di micro-contenuti sta riducendo drasticamente la capacità di interessarsi a contenuti piú lunghi e con piú spessore. In verità la mancanza di un senso di continuità di questi video appesantisce il nostro cervello, infatti é piú faticoso concentrarsi su un contenuto di intrattenimento strutturato. Il "Brainrot" alla lunga ci lascia senza strumenti per affrontare il mondo reale e connetterci con gli altri o noi stessi. 

Volontariato in Siria

Mattia Piva, Sara Ferri e Anna Pantusa, 4B

Trovare il coraggio e la motivazione di fare un’esperienza che esce da ogni canone della propria vita e nella quale si viene a contatto con un mondo nuovo, sommerso e nascosto, non è facile. Giovanni Neri, studente della classe 4^B, queste qualità le ha dimostrate nella sua esperienza di volontariato nella città di Kylis, città turca al confine con la Siria. 


   Alla nostra domanda su cosa lo abbia spinto a partire, Giovanni ha risposto così:  

  “Volevo fare qualcosa di nuovo, un’esperienza che non fosse un semplice viaggio di vacanza, ma piuttosto un motivo di soddisfazione per l’aiuto dato al prossimo”. Già dalle prime parole, risulta evidente l’elemento fondamentale per un viaggio del genere: la voglia di mettersi in gioco, di poter essere utile a qualcuno, sia come atto di solidarietà, ma anche come esperienza formativa e di crescita personale. 


   Per avere un’idea più chiara, però, di cosa significhi compiere un gesto di volontariato come questo, domandiamo cosa abbia fatto nel pratico durante questa esperienza. 

   “Il mio compito era quello di consegnare pacchi di alimenti, abiti, coperte, a queste persone fuggite dalla Siria che vivevano in condizioni pessime, spesso famiglie anche di tredici persone che vivevano per strade, in campi o in monolocali. Questi rifornimenti avevano anche un significato simbolico per le persone a cui li recapitavo, ovvero trasmettere loro speranza e la consapevolezza che ci sono tante persone disposte ad aiutarle”. Il giusto approccio in questo compito, quindi, è importantissimo anche e soprattutto per tentare di trasmettere sentimenti sinceri e positivi alle persone con cui si entra in contatto, che provengono da tragici scenari di guerra e da condizioni di vita al limite dell’umano. 

   “Anche stare a contatto con gli altri volontari, spostarsi nel piccolo baule di un furgone con loro, sono tutti elementi che hanno reso questa esperienza anche motivo di divertimento - prosegue Giovanni - Ho visto tanti posti nuovi, molto particolari. Oltre alla soddisfazione, insomma, è stata un’esperienza che mi ha arricchito sotto molti altri aspetti”. 



   “Con che tipo di realtà hai dovuto relazionarti? Hai trovato difficoltà?” chiediamo, interessati al confronto tra la vita di tutti i giorni e un mondo che sembra tanto distante. “Mi aspettavo di trovare una realtà del genere, in cui la povertà predomina su tutto - ammette lui -  Quindi non ho avuto particolari difficoltà ad ambientarmi. In ogni caso è un’esperienza che credo tutti dovrebbero fare almeno una volta nella vita, per affrontare un ambiente totalmente differente da quelli dell’Italia e dei paesi europei in generale e avere più consapevolezza”. 


   “Quindi è un’esperienza che consiglieresti ad altri?” gli chiediamo infine.

“Sì - risponde convinto - a molti altri. Come già detto, oltre all’impegno e alla fatica c’è anche modo di divertirsi, ma soprattutto di conoscere un mondo nuovo e affrontando faccia a faccia alcune delle tante diseguaglianze del nostro pianeta”.



Elezioni presidenziali americane: cosa ne pensano gli studenti del Muratori - San Carlo?

Anna Derya Di Finizio, 4E (Articolo); Alice Carli, 5CL (Raccolta ed elaborazione dati) | 9 dicembre 2024

I risultati delle elezioni presidenziali americane (tenutesi il 05/11/24)

La 60° edizione delle elezioni americane si è conclusa il 5 novembre 2024, confermando Donald Trump come 47° presidente degli Stati Uniti d’America. Una vittoria incerta fino all’ultimo istante.

Le elezioni del 2024 sono state segnate da molteplici eventi significativi che ne hanno caratterizzato l’andamento. Tra questi il ritiro di Joe Biden, inizialmente candidato di punta per il partito Democratico, avvenuto il 21 luglio 2024, data ben successiva all’inizio delle campagne elettorali. Inoltre i tentativi di attentato alla vita di Donald Trump hanno suscitato ulteriore clamore, contribuendo a rendere queste elezioni tra le più discusse della storia recente. Data l’importanza globale degli Stati Uniti, la copertura mediatica è stata imponente: molti giornali e statisti si sono occupati dell’evento, con un particolare occhio di riguardo per il coinvolgimento dei giovani.

Anche noi di Status Quo ci siamo interessati a capire nel dettaglio come gli studenti hanno percepito le elezioni americane e quindi abbiamo condotto un sondaggio.

Tra i giovani americani, circa il 53% degli adulti tra i 18 e i 29 anni ha dichiarato di seguire le notizie sui candidati almeno "abbastanza da vicino". Mentre, solo il 46% di questa fascia d’età afferma di prestare molta attenzione alle notizie elettorali. Nel nostro istituto tuttavia l'interesse per le elezioni è stato molto elevato: il 71% degli studenti ha dichiarato di aver seguito le elezioni con un coinvolgimento compreso tra 3 e 5 su una scala di massimo coinvolgimento, mentre solo il 5,6% dichiara di non averle seguite minimamente.

Questi dati sono stati confrontati con l’interesse generale degli studenti verso la politica. Il 26,3% dichiara di seguire la politica con un punteggio di 2 da una scala da 1 a 5, mentre il 33,1% dichiara di seguirla con un punteggio di 3. 

Per quel che riguarda le elezioni americane, il 29,4% degli studenti che ha dichiarato di averle seguite con un coinvolgimento superiore rispetto al loro interesse abituale per la politica.

Inoltre, è stato interessante esplorare come la scuola potesse essere un canale per stimolare questo interesse. Tuttavia, i risultati sono stati sorprendenti: il 60 % degli studenti ha dichiarato di aver sentito parlare delle elezioni in modo limitato, invece il 13,8% che non ha sentito parlare affatto di politica a scuola , confermando la frequente affermazione "a scuola non si parla di politica".

E’ interessante notare come il coinvolgimento nella politica rimanga invariato tra maggiorenni e minorenni. 

Lo stesso fenomeno si riflette anche nelle preferenze espresse per i candidati: il 20% ha dichiarato di supportare Donald Trump, mentre l’80% Kamala Harris.  Il supporto per Trump nella scuola è molto minore rispetto a quello dei giovani Americani (43% di preferenze).

Le percentuali per i candidati rimangono invariate anche se si considerano le persone più interessate alla politica (4-5).

La percentuale di sostenitori rimane stabile quando si chiede di esprimere il loro livello di soddisfazione riguardo i risultati delle elezioni. Infatti, il 74,4% si è dichiarato totalmente o estremamente insoddisfatto, mentre solo il 10,6% si è detto completamente soddisfatto, nonostante il 20% dei votanti abbia scelto Donald Trump. Questo contrasto evidenzia come, indipendentemente dalle preferenze politiche, la soddisfazione complessiva verso i risultati delle elezioni sia generalmente bassa.

In linea generale gli studenti della nostra scuola hanno dimostrato interesse verso queste elezioni, nonostante quella scolastica non sia la sede principale di discussione sull’argomento. I muratoriani-sancarlini si sono quindi dimostrati consapevoli e coinvolti dalla politica internazionale.

(Il sondaggio è stato condotto su un campione di 160 studenti del Liceo classico e linguistico Muratori - San Carlo durante il mese di dicembre 2024).

Il caso Puff Daddy: al di là delle fake news 

Christian Bianco, 4E | 21 novembre 2024

Sono passati ormai poco più di due mesi dall’arresto di Puff Daddy, al secolo Sean Diddy Combs, avvenuto il 16 settembre 2024, e quello che sin da subito è sembrato uno dei casi di cronaca più rilevanti degli ultimi anni, per via del fortissimo e, oserei dire a tratti dannoso, impatto mediatico riscosso ha iniziato ad assumere i contorni di una telenovela argentina di scarso livello grazie alla quale gli utenti sui social hanno potuto dare sfogo a tutta la loro creatività diffondendo fake news e congetture complottiste da quattro soldi di ogni tipo, trasformando una delle vicende di cronaca più intricate del mondo dell’intrattenimento in puro gossip, uno scandalo. A distanza di quasi due mesi dall'arresto, calatasi leggermente l’ossessione mediatica legata al caso, é quanto mai necessario cercare di riavvolgere il filo della vicenda e raccontare dall’inizio,in modo ordinato, gli episodi e le circostanze che hanno portato all’arresto del noto rapper americano e, soprattutto, che hanno reso possibile la creazione di un vero e proprio business costruito sulla base di abusi, minacce e ripetute violenze. Per avere piena contezza della grande complessità del caso occorre partire dal 1990 quando Combs, dopo aver lasciato la Howard University, decide di dare inizio alla propria carriera musicale iniziando a  lavorare per la Uptown Records, una famosa etichetta discografica americana,  per poi essere licenziato non appena tre anni dopo nel 1993. Pare, come conferma anche il celebre rapper americano Lord Jamar in un’intervista per The art of dialogue, che in merito al motivo del licenziamento sia sempre girata la voce che Combs sia stato costretto alle dimissioni dopo essere stato trovato in una situazione compromettente con un suo collega, “doing something very baby oil-ish in the office” riporta Lord Jamar, aggiungendo tuttavia “I don’t know, I am just saying this is the rumor since back then”. A partire da novembre del 2023 sono pervenute sul tavolo dei giudici due denunce che risalgono al suo periodo presso la Uptown Records; nella prima di queste due denunce vengono accusati di violenza sessuale da parte Liza Gardner, ai tempi una sedicenne, sia Combs che Aaron Hall, un cantante R&B i quali dopo un evento avrebbero violentato la vittima e un’amica a casa di Hall, per poi picchiare la querelante diversi giorni dopo. La seconda denuncia i cui fatti risalgono a quel periodo proviene da Joi Dickerson, la quale sarebbe stata vittima del classico schema degli abusi del rapper, ovvero prima sarebbe stata drogata per poi essere violentata e filmata senza consenso. Il licenziamento dalla Uptown Records offre al cantante la possibilità di creare la propria etichetta discografica, Bad Boy Records, mai nome fu più azzeccato mi verrebbe da dire; il potere ottenuto grazie al grande successo riscosso dall’etichetta in quel periodo pone le basi per rendere questi reati sempre più sistematici: infatti in base ad una denuncia ad Ottobre di quest’anno, nel 1995 avrebbe abusato di una ragazza con cui stava lavorando insieme al video musicale “One More Chance”, minacciandola in seguito di stare in silenzio altrimenti sarebbe scomparsa. Tra le denunce che fanno riferimento a questi primi anni di attività della Bad Boys Records, emergono quelle provenienti da April Lampros, ai tempi del suo primo incontro con Sean Combs una studentessa del New York’s Fashion Institute of Technology,la quale afferma di essere stata violentata  da Combs più volte, per l'esattezza quattro, tra la fine degli anni 90 e gli inizi del 2000. Il 1998 è un anno fondamentale per i risvolti della vicenda così come la conosciamo oggi: Combs inizia proprio in quest’anno a dare i suoi “all-white parties”, feste esclusive oltre ogni limite che gli sono valse il titolo di “modern-day Gatsby” il cui vero obiettivo a detta di molti era rendere Combs la persona più famosa del mondo, “He was just figuring out that how he could get the most attention was to become the party king of New York” dice Rob Shuter, un suo collaboratore nei primi anni 2000, in un’ intervista per la BBC. Queste feste, prima nella sua villa negli Hamptons e poi nella sua villa a Beverly Hills, a cui hanno preso parte personaggi notissimi del mondo dello spettacolo tra cui Leonardo diCaprio, Jay-Z, Beyoncé, Paris Hilton, Jennifer Lopez e Kim Kardashian, pare fossero divise in due momenti distinti: Il “White-Party”, la festa con un dress code bianco imprescindibile e poi in seguito i cosiddetti “Freak off” vere e proprie orge a cui partecipava solo una cerchia ristretta degli invitati e in cui donne e uomini subivano abusi di ogni genere venendo drogati e costretti ad idratarsi con delle flebo per poter far si che i rapporti continuassero. Gli inquirenti hanno già trovato video che riprendono questi momenti agghiaccianti in cui Combs e le altre persone presenti, la sua cerchia più stretta, avrebbero davvero superato qualsiasi limite, inducendo le vittime a temere per la propria vita. Il periodo dei “all-white parties” che va all’incirca dal 1998 al 2009 vede il rapper acquisire sempre più potere nell’industria e, di conseguenza, riesce in modo sempre più sistematico a vivere la propria popolarità come strumento di potere assoluto arrivando a toccare il cosiddetto “delirio di onnipotenza” che lo porta addirittura ad essere arrestato nel 1999 insieme a Jennifer Lopez, la fidanzata dell’epoca, e al rapper Shyne relativamente ad una sparatoria avvenuta fuori da una discoteca a New York per poi essere assolto dai giudici a termine del processo, nonostante Natalia Reuben, una delle tre persone colpite nella sparatoria, ancora oggi rimanga ferma sulla posizione che sia stato Combs a spararla quella notte. Le denunce presentate negli ultimi anni fanno per la maggior parte riferimento a questo periodo: solo nell’ultimo mese sono circa 120 le persone che hanno denunciato di cui 25 minorenni e tra queste emerge quella di un bambino di appena 10 anni ai tempi (2005) che in occasione di un'audizione  sarebbe stato abusato in una camere di hotel e costretto ad un rapporto orale in cambio di successo garantito all’interno del panorama musicale. Tuttavia a far scoppiare questa ondata di denunce è stata proprio l’ex fidanzata del rapper, Cassie Ventura la quale poco dopo che Combs ha addirittura ricevuto le chiavi della città di New York dal sindaco Eric Adams, il 16 novembre 2023 decide di sporgere denuncia affermando che il cantante l’avrebbe costretta dal 2005 al 2018 ad avere rapporti sotto effetto di droghe con uomini a pagamento. Diddy nega tutto sin dalla primissima denuncia eppure un video che risale al 5 marzo 2016 mostrato il 17 maggio 2024 dalla CNN in cui si vede chiaramente il cantante inseguire la propria fidanzata in un hotel, gettarla a terra e prenderla a calci più volte sembra mettere in crisi la linea difensiva di Combs che, mi verrebbe da dire piuttosto incredibilmente, ancora oggi continua a negare qualsiasi tipo di violenza professandosi innocente sotto ogni aspetto. Il 25 marzo 2024 gli agenti federali ispezionano le proprietà di Los Angeles e Miami del cantante in cui sono stati trovati narcotici, pistole e più di 1000 bottiglie d’olio per bambini e lubrificante, con altissima se non certa probabilità collegate ai “freaks-off”. Le scoperte degli inquirenti e il crescente numero di denunce a carico di Combs, ha portato il 16 settembre 2024 all’arresto dell’uomo a New York con le accuse di traffico sessuale con la frode, forza o coercizione,  racket (associazione a delinquere) e favoreggiamento alla prostituzione. In attesa dell’inizio del  processo, fissato per il 5 maggio 2025, Sean Combs rimarrà nel carcere di detenzione di Brooklyn nonostante le continue richieste da parte del suo team legale di detenzione domiciliare, restrizioni di viaggio e una cauzione di ben 50 milioni di dollari garantita dalla sua villa a Miami. Nonostante la situazione già di per sé complessa, i media non sono riusciti a trattenersi dal diffondere fake news assurde e tuttavia, estremamente verosimili per buona parte degli utenti sui social; tra le più diffuse ci tenevo a sottolineare quella secondo cui sotto la villa di Combs ci sarebbero dei veri e propri tunnel sotterranei ad uso del traffico degli esseri umani. Non serve nemmeno dirlo, si tratta di una teoria complottista già smentita più volte e che comunque continua a circolare senza criterio sui social. Si é creduto furbo, invece, chi, in prossimità delle elezioni americane, ha deciso di sfruttare questo caso per danneggiare l’immagine di Kamala Harris fabbricando non uno ma addirittura più fotomontaggi di lei in compagnia di Combs facendoli passare persino per amici. Questa vicenda piuttosto che stimolare una riflessione sugli aspetti oscuri del mondo dello spettacolo, su come tendiamo a idealizzare i nostri cantanti e attori preferiti non ha fatto altro che trasformarsi in una sorta di epidemia di appassionati di dettagli torbidi e sensazionalistici (chissene importa se sono veri o no), divulgatori fai da te e millantatori. 

Giornata della Terra 2024: Deadala tellus

Aurora Vanacore, 4B | 22 aprile 2024

Così cantava il poeta latino Lucrezio nel suo celeberrimo inno alla dea Venere.

La terra raffigurata come operosa, ben costruita, armoniosa e fertile: ma per chi?

Sin dal Medioevo la specie umana ha sempre avuto tendenze autoreferenziali, sempre mirate a rendere sé stessa centro di tutto: si crede spesso superiore a tutto, speciale ed unica, autorizzata grazie alle sue capacità a dominare su ogni cosa.

Nonostante ciò, anche il pianeta Terra non sembra essere da meno: l’atmosfera e il clima che sussistevano al momento della nascita dell’universo sono uniche e, ricerca scientifica a parte, nessun altro pianeta offre tali condizioni.

“There is no planet B” esclamano gli attivisti più radicali, insieme a tantissimi altri slogan che vengono utilizzati per diffondere l’importanza di queste tematiche, con la speranza che possano arrivare anche ai vertici della società e dell’economia contemporanea.


Oggi, 22 aprile, come ogni anno, si festeggia la Giornata Mondiale della Terra, festività che ricorre in questa data proprio per simboleggiare il rinnovamento della natura, ad un mese dall’equinozio di primavera.

Una celebrazione istituita dall’uomo, abitante, in onore della sua dimora: perché è questo che siamo, ospiti, ξενοι (stranieri) in una grande casa che, in tutto il sistema solare, è l’unico ad avere le caratteristiche ideali per lo sviluppo di vita (almeno per ora).

Questo è ciò che si deve ricordare in questa giornata: la natura è bella, ma non perché il genere umano l’ha resa tale, essa nasce bella, nasce libera, nasce viva ed è totalmente sbagliato reclamare qualsiasi diritto di possessione su di essa.

I poeti romantici, come Foscolo, lo avevano inteso ben prima che parole come "eco ansia" o “impronta digitale” potessero rientrare nei vocabolari o nelle enciclopedie: la natura è sublime, ovvero ricorda i limiti dell’uomo proprio grazie alla sua sconfinatezza, alla sua apparenza selvaggia ed indomita, affascinante e bella tanto quanto un parco cittadino ben curato.

Per quanto possa sembrare strano, anche dopo lo sviluppo sempre più invadente della civiltà la Terra e tutti i suoi abitanti, animali e vegetali, hanno gradualmente imparato a riacquisire ciò che gli era stato ingiustamente tolto: fiori che nascono tra le crepe delle strade, case ricoperte di rampicanti, nidi costruiti sotto i tetti con rifiuti.

Ma anche le forze meteorologiche, oltre che le festività istituzionali, fanno da continuo promemoria per evidenziare l’imminenza di quel famoso 2030 che incombe come spartiacque tra il presente e un punto di non ritorno: inondazioni, terremoti, eruzioni vulcaniche, per non parlare delle anomale temperature che fanno ripetere ai più anziani “non ci sono più le mezze stagioni”: per quanto si potrà ancora parlare di stagioni?

La risposta sta nell’incessante scorrere del Climate Clock, che, secondo dopo secondo, anno dopo anno, scandisce il tempo che ci è concesso in modo che qualcosa cambi, per chi vive qui ora, e per far sì che anche  altri in futuro possano essere ospitati in questa grande casa: 

tic… tac… 

tic… tac…

INVIVAVOCE: Intervista a Ginevra Maria Bianchi e Gabriele Parmeggiani

Sofia Palmisano, 5B | 26 marzo 2024

Ginevra Maria Bianchi, ex-studentessa del Liceo Muratori - San Carlo e giornalista della Gazzetta di Modena

Gabriele Parmeggiani, socio fondatore della cooperativa di comunità Casa Base e di Terzo Spazio (Castelfranco Emilia)

"Invivavoce" è un progetto organizzato da Gazzetta di Modena, CISL, CSI Modena e Lapam Confartigianato, portato al Teatro Storchi, il 12 marzo, al fine di sensibilizzare e di aprire gli occhi su situazioni vicinissime ad ogni realtà, dando voce a coloro la cui voce è sempre stata sommersa.

Gli episodi di violenza sulle donne e le testimonianze raccontate dal palco, sono stati il fil rouge dell'intera serata. Ginevra Maria Bianchi, ex-studentessa del Liceo Muratori - San Carlo e giornalista della Gazzetta di Modena, e Gabriele Parmeggiani, socio fondatore della cooperativa di comunità Casa Base e di Terzo Spazio (Castelfranco Emilia), sono due dei tanti protagonisti che hanno contribuito a rendere lo spettacolo impattante "per gridare a vivavoce che amore non è possesso, amore è libertà".


Cosa vi ha spinto a raccontare la vostra esperienza nell'ambito della disuguaglianza di genere?


GB: «Su quel palco io non ho raccontato direttamente la mia storia, ma ho letto e interpretato testimonianze vere di violenza di genere, giornalisticamente parlando. Però, è come se lo avessi fatto. Per mesi sono stata all’interno di una relazione tossica, e solo ora che ne sono uscita posso dire di essere guarita del tutto, in parte anche grazie a questo percorso di “Invivavoce”, che mi ha davvero aperto gli occhi in tutte le sue declinazioni. Ho quindi scoperto aspetti della violenza che non conoscevo, o che ignoravo. Ho potuto riflettermi nelle esperienze degli altri, e l’ho fatto condividendo l’esperienza coi miei colleghi. “Catartico”, direbbero i Greci.»


GP: «Sono stato coinvolto nell’iniziativa da Francesca Serafini, una delle organizzatrici, e mi è stato tutto presentato come un percorso per analizzarsi con una psicologa e cercare di mettere per iscritto ciò che ne usciva dalle sedute; mi ha aiutato a notare ciò in cui anche io pecco. Per di più, credo che il tema trattato dallo spettacolo sia di profonda rilevanza e mi sta molto a cuore, ma è fatto di veramente pochissime voci maschili a rinforzare il problema, affinché possano permettere anche ad altri uomini di vedere la realtà con una prospettiva diversa, al fine di rendere la società più consapevole e migliore.»


Ginevra, memore dell'episodio che hai portato sul palco, se ti dovesse capitare in prima persona, pensi che reagiresti allo stesso modo oppure ti comporteresti in maniera diversa?


GB: «Sicuramente davanti a fatti del genere sarei più preparata, più consapevole. Ma penso che di manipolatori sia pieno il mondo è che a tutti possa capitare di cadere o ricadere all’interno di questo grande vortice. Questo perché prima della violenza c’è l’isolamento, c’è l’abitudine al silenzio e c’è la paura, che impediscono alla vittima di ribellarsi o di esprimersi. Comunque, non penso che “Invivavoce” sia stato creato per andare a colpire la coscienza delle vittime, bensì quelle dei colpevoli. Sicuramente abbiamo ragionato sul concetto di violenza, cercando di far aprire gli occhi a tutti quanti, ma non è accettabile che dopo due ore e un quarto di spettacolo sulla violenza di genere, si chieda alle donne se hanno imparato a stare più attente, e non si chieda agli uomini se hanno iniziato a capire dove stanno i loro errori.»


Gabriele, invece del tuo intervento mi ha colpito particolarmente quando hai parlato "di portarsi a casa i propri stereotipi di genere", cosa intendi? le responsabilità che un uomo ha sul posto di lavoro, vengono associate convenzionalmente anche tra le mura di casa?


GP: «Tutto è legato al modo che la stereotipia ha di esprimersi: non è solo sul posto di lavoro, in cui le discriminazioni di genere si mostrano nel rapporto con i clienti, nel rapporto con le colleghe, ma anche nella distribuzione dei compiti, che è più o meno ciò che “mi porto anche a casa”, perché banalmente, io abito ancora con la mia famiglia e noto che il carico di lavori domestici è sbilanciato, ma in questo caso è un mea culpa


A livello locale, pensate che si stia facendo abbastanza per l'uguaglianza di genere o ritenete ancora ci sia tanto da fare?


GB: «Il 18/03 è uscito un articolo che ho scritto dove solo nel 2023 la consulta comunale per la parità di genere ha registrato 20 richieste di aiuto da parte di donne. Sono quasi due casi al mese e, per quanto sarebbe bello che la soglia si fermasse solo a questo numero, è perfettamente risaputo che questi siano dati parziali, perché la maggior parte delle vittime nemmeno denuncia. Che la causa sia la paura di poter perdere il lavoro, o l’abitudine a essere trattate così poco importa. Ho ascoltato storie di donne che non avevano più una scrivania solo perché di ritorno dalla maternità, oppure di ragazze a cui è stato annullato il contratto non appena i datori di lavoro hanno saputo da prassi che si trovava in dolce attesa. “Ha figli? Ne vuole avere? È sposata? Convive?” sono i quesiti più frequenti durante i colloqui di lavoro. E ci terrei a sottolineare che per legge non si potrebbero nemmeno porre durante un’assunzione. Quindi no, nel modenese, anche se sicuramente siamo messi meglio di altre province e regioni, non si fa ancora abbastanza per le cause femminili. Nel caso qualcuno se lo stia chiedendo, non ci sono fondi PNRR che tengano di fronte al patriarcato: bisogna ripartire dall’educazione scolastica e familiare. C’è poco da fare.»


GP: «A Castelfranco ci sono un buon numero di iniziative, ma sono purtroppo frequentate e note sempre alle stesse persone, se sono aperte alla cittadinanza. Per cui, la sensibilizzazione non arriva a chi deve essere realmente sensibilizzato. Reputo però molto utile agire nelle scuole, in particolare tramite approcci uno ad uno nelle medie e nei primi anni delle superiori.

Oltre a ciò, ritengo che ci sia ancora molto lavoro da fare su come comunicare a chi non vuole essere comunicato.»


Cosa pensate si possa fare nel proprio piccolo per evitare le disuguaglianze? E voi riuscite a mettere in pratica ciò a cui auspicate?


GB: «Io penso che gli uomini non arriveranno mai a comprendere cosa proviamo noi donne, almeno del tutto. Noi donne siamo legate ad un’esperienza universale che ci perseguita sin da quando siamo nate, che purtroppo gli uomini non vivranno mai, però spero vivamente che coloro che hanno compiuto atti di preludio dei più tragici fatti di cronaca, davanti alla quale restiamo tutti stupefatti ed inorriditi. Se tutti quegli uomini che non vogliono mettersi nei panni delle donne, che almeno si mettano nei panni delle loro figlie.

Per quanto riguarda le disuguaglianze, basterebbe del semplice rispetto e smetterla con la cultura del possesso, non vedendola più come qualcosa di fragile. È giusta la premura, ma non perché siamo donne, ma perché siamo esseri umani.

Spero che tutte le accezioni negative tornino a essere positive, in cui l’invidia si trasforma in stima e la gelosia malsana si trasformi in qualcosa di giocoso e si limiti a quello. Le donne fanno la loro parte, ma anche gli uomini dovrebbero fare la loro, affinché ciò a cui auspico (e auspichiamo) possa realmente diventare concreto.»


GP: «Io non riesco a mettere in pratica tutto quello a cui auspico, ma nel quotidiano penso che per elevare la propria condizione e il proprio modo di comportarsi, sia innanzitutto necessario notare e de-notare, estrarre fuori, estrarre da un contesto di normalità, in se stessi e negli altri. Senza sensi di colpa perché in questi casi sono sempre controproducenti.»

"Invivavoce": una sinergia di arti per una sinergia al femminile

Maria Sofia Vitetta, 4D | 8 marzo 2024

“Invivavoce - Storie sommerse di violenze di genere” è un evento che si terrà martedì 12 marzo alle ore 20.30 presso il Teatro Storchi di Modena. La mattina della stessa giornata lo spettacolo verrà proposto anche agli studenti delle scuole della provincia. Francesca Serafini, giovane studentessa coinvolta nell’ideazione della serata, ce ne ha parlato.

Mi piacerebbe che ti presentassi. 

«Mi chiamo Francesca Serafini, ho 24 anni. Sto studiando alla Ca’ Foscari, dove frequento il corso di laurea magistrale in Economia del Turismo. Ho una laurea triennale in Lingue conseguita a Trento. Da sempre sono attenta alle tematiche sociali, al femminismo ed alla violenza di genere, che mi hanno portata ad interessarmi ai fatti avvenuti dopo la morte di Giulia Cecchettin ed a collaborare a questo evento insieme a Davide Berti, giornalista della Gazzetta di Modena.»


Se avessi a disposizione solo una frase per raccontare “Invivavoce”, cosa diresti? 

«“Invivavoce” permette di dare luce a tutte quelle donne che hanno dovuto affrontare violenze nella loro vita quotidiana senza avere la possibilità di esprimerle davvero.»


In che modo sei stata coinvolta in questo progetto?

«Sono stata coinvolta grazie a Davide Berti, che un giorno mi ha chiamata perché era rimasto colpito da una storia pubblicata sul mio profilo social dopo la scomparsa di Giulia Cecchettin. Era una richiesta indirizzata ai miei coetanei maschi, ovvero quella di prendersi cura degli aspetti legati alla violenza di genere. Davide Berti ha condiviso con me la sua idea di fare uno spettacolo, un evento a Modena su queste tematiche, collaborando insieme a tante altre donne, tra cui anche professioniste, e non solo. Voleva che ci fossero delle ragazze e dei ragazzi, insomma dei giovani, in rappresentanza della nostra generazione.»


Come credi si possa affrontare il discorso sulla violenza di genere senza generalizzare / banalizzare? 

«La violenza di genere, per essere trattata davvero, deve partire dal presupposto che non si può accusare gli uomini in modo generico. Ho notato che dicendo agli uomini: “Voi non capite, voi siete colpevoli”, generalizzando ed additando il genere maschile, non si ottiene assolutamente niente. Penso che sia utile mostrare le storie delle persone che hanno subito violenze di ogni tipo (psicologico, fisico, relazionale, sessuale) per far entrare nell’ottica di chi ha vissuto tutto questo coloro che non hanno avuto simili esperienze, sia uomini che donne. Per capire la tematica bisogna essere empatici, riuscire ad entrare nella parte lesa, diciamo. E da lì, dalla condivisione di queste emozioni, parte poi un pensiero critico. Per fortuna si sta lavorando molto anche per il futuro, perché “lavorare” già sulle emozioni quando si è piccoli ci aiuta ad evitare certi sgarbi, certi atteggiamenti sin dall’adolescenza. Bisogna far leva sulle nuove generazioni, perché quelle vecchie ormai, mi viene da dire, hanno già preso le loro posizioni.»


Quale è per te il maggior punto di forza dello spettacolo?

«Ce ne sono due. Innanzitutto il fatto di portare sul palco tante storie di vita quotidiana. Emergeranno storie che possono riguardare ognuna di noi, cioè ogni donna può cadere dentro queste situazioni. Il secondo punto di forza è proprio il messaggio di luce e di speranza che lo spettacolo veicola. Esso si concluderà, infatti, con una visione positiva in cui emerge che l’amore reale, quello vero di cui tutti gli uomini sono capaci, esiste. È proprio quello che porta alla salvezza. Credere in un amore leale, condiviso è ciò che permette, poi, di uscire dalle relazioni tossiche.»


Se dovessi mostrare una piccola parte del lavoro “dietro le quinte” dello spettacolo e del progetto, quale metteresti in luce? 

«Gli incontri che abbiamo fatto praticamente ogni settimana io, un’altra ragazza della mia età, un musicista, molti professionisti, giornalisti e figure che si occupano di queste tematiche. C’è stato un bello scambio di idee, di opinioni, tanta condivisione formativa ed è stato per me estremamente arricchente.»


Basandoti sulla tua esperienza, in che modo il liceo Muratori San Carlo, e quindi l’istituzione scolastica,  è stata in parte d’aiuto nel farti sviluppare una sensibilità su certe tematiche? 

«Per me il liceo Muratori San Carlo è stato importante nel farmi sviluppare una particolare attenzione nei confronti di queste tematiche. Innanzitutto perché ho avuto la fortuna/sfortuna di essere in una classe solo al femminile. Fortuna perché avevamo un clima di sorellanza, c’era tanto supporto tra di noi, non era un ambiente competitivo come magari erano altre classi. Questo mi ha permesso di diventare molto più attenta e più “amica” nei confronti delle donne. Penso che a volte ci sia tanta competizione nel genere femminile. E quindi, invece, essere parte di una classe solo di ragazze mi ha permesso di vedere come tutte siamo accomunate da tante difficoltà, che a volte è anche una “pressione” che ci pone la società. E, quindi, quello sicuramente mi fatto vedere le donne più in un’ottica di sorellanza, di amicizia e di unione. Il liceo consente di riflettere su tanti temi anche grazie a molti professori. Il mio professore di italiano, ad esempio, a lezione ci faceva sempre analizzare le notizie del giorno. Anche questo ti fa avvicinare tantissimo a tematiche sociali.»


“Invivavoce” lo si può immaginare come una sinergia tra esperienze diverse, danza, canto, musica, testimonianze. In quale modo le “arti” si  valorizzano vicendevolmente “contaminandosi”? 

«La risposta sta nella domanda. Nel modo in cui sul palco si mettono in fila tutte queste forme di arti differenti al tempo stesso, emerge l’unicità e la bellezza di ognuna di loro. Avere questa voce collettiva, che in realtà è estremamente eterogenea all'interno, ti permette di vedere quanto è bella la danza, quanto è bella l’arte canora, quanto è bello veder suonare una persona. Secondo me l’unicità emerge dal confronto con l’alterità ed il pubblico avrà modo di vedere la bellezza di queste forme d’arte.» 


Invivavoce è stato ideato dalla Gazzetta di Modena, in collaborazione con Cisl, CSI (Centro Sportivo Italiano) Modena, Lapam Confartigianato Modena, ERT (Emilia Romagna Teatro) e con il patrocinio del comune di Modena

Fast fashion: un business model pericoloso

Alice Carli, 4CL | 9 febbraio 2024

Si stima che ogni anno vengano fabbricati circa 100 miliardi di nuovi capi di abbigliamento.


Dei 100 miliardi di articoli di vestiario prodotti all’anno, 92 milioni di tonnellate sono destinati a finire in discarica.


Nella sola Unione Europea, secondo i dati dalla Commissione, vengono generati 5,2 milioni di tonnellate di rifiuti provenienti dal settore dell’abbigliamento ogni anno. 


Il numero di utilizzi dell’indumento medio è diminuito di circa il 36% in soli 15 anni.

Negli ultimi decenni, infatti, il mondo della moda ha subito una trasformazione senza precedenti: il boom del fast fashion ha rivoluzionato il modo in cui le persone acquistano e indossano abiti. Tuttavia, dietro la brillante vetrina delle tendenze di moda a prezzi accessibili, si cela un lato oscuro che non può che destare grande preoccupazione.


Il termine "fast fashion" si riferisce a un modello di produzione che implica la produzione di capi di abbigliamento di ultima moda a basso prezzo e ad altissima velocità. Le collezioni vengono costantemente rinnovate per rispondere rapidamente alle tendenze del momento, spingendo i consumatori ad acquistare frequentemente nuovi capi per rimanere in. Tuttavia, questa strategia, focalizzata sull’ottenimento del massimo profitto possibile con il minor sforzo, porta inevitabilmente all’utilizzo di materiali di scarsa qualità e ad un tipo di manifattura non rispettosa dei diritti dell’uomo e dell’ambiente.


Basti pensare alla tipologia di fibre utilizzate nella produzione: il poliestere, ad esempio, frequentemente presente nelle etichette di molti capi, viene prodotto a partire da combustibili fossili ed è quindi estremamente difficile da riciclare. Degno di nota è anche l’impatto ambientale del cotone, la coltura che risulta avere un’impronta idrica altissima. Per realizzare una semplice ed apparentemente innocua maglietta di cotone, infatti, sono necessari in media 2700 litri d’acqua, corrispondenti al fabbisogno di acqua potabile di una persona per due anni e mezzo.

Come se non bastasse, l’industria della moda risulta essere responsabile di oltre il 20% delle acque reflue globali, provenienti da processi di produzione come la tintura e il finissaggio del colore.

Anche per quanto riguarda le stime legate alle emissioni di gas serra i numeri sono da capogiro: si ipotizza che ci si aggiri attorno ad una cifra che oscilla tra l'8 e il 10% del totale a livello mondiale.


Oltre agli impatti ambientali, il fast fashion solleva gravi preoccupazioni anche per quanto riguarda gli aspetti sociali ed etici. I lavoratori nel settore della moda, spesso impiegati in paesi in via di sviluppo, sono infatti frequentemente sottoposti a condizioni di lavoro insostenibili, con orari estenuanti e salari irrisori.


I consumatori hanno sicuramente un ruolo cruciale nel cambiare il panorama del fast fashion e, mentre la consapevolezza dei problemi legati a questo fenomeno cresce, sono sempre più le persone che cercano alternative sostenibili. Se anche tu vuoi fare la differenza dai un’occhiata a @weardifferent.msc, il progetto made in liceo Muratori-San Carlo che ti permette di liberarti dei capi che non usi più e di averne di nuovi nel massimo rispetto dell’ambiente!


Swap the old for something gold👚🏆♻️

IL PREZZO DI UN’ASTENSIONE

Di Sofia Palmisano, 5B

15 Gennaio 2024

Per una scelta responsabile, in previsione delle prossime elezioni dei rappresentanti del Parlamento

Europeo, è necessario fare luce sulle recenti votazioni alquanto controverse, che hanno dimostrato un

dietrofront italiano.

Il 15 Novembre 2023, si è tenuto il voto in plenaria in riferimento al rinnovo decennale dell’utilizzo in

ambito fitosanitario (pesticidi) del prodotto chimico, glifosato.

Il glifosato è usato come erbicida ed è divenuto di libera produzione nel 2001, dal 2015 dichiarato però,

dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro dell’OMS, potenziale cancerogeno per l’uomo.

Nonostante ciò, dagli anni Settanta, il suo uso si è notevolmente diffuso in più di 140 Paesi al mondo e tra

i massimi consumatori spiccano gli Stati Uniti d’America, l’Argentina, il Sudafrica e la Cina, che insieme

al Canada lo utilizzano anche come essicante nella fase di pre-raccolta del granturco.

Il boom economico del dopoguerra mondiale è stato la causa primaria dell’estensione dell’impiego del

glifosato anche nel processo di essiccazione del frumento: l’aumento della richiesta non consentiva il

rispetto della naturale maturazione e la necessità di soddisfare i Paesi con un clima più rigido, ha

inevitabilmente fatto ripiegare l’agricoltura al suo uso-abuso.

Inoltre, per il basso prezzo e la facile reperibilità, oggi viene addirittura utilizzato, seppur sia vietato, nella

manutenzione di parchi pubblici, nei giardini privati e ai margini delle strade.

Il Parlamento Europeo, nella sua scelta, si è avvalorato del parere dell’EFSA (Autorità Europea per la

Sicurezza Alimentare), la quale afferma che la pericolosità di tale erbicida non sia altamente dannosa per

l’uomo.

In realtà, il centro di ricerca scientifica di Bologna, Istituto Ramazzini, ha svolto il più accurato studio

tossicologico degli ultimi anni, nella quale si evidenziano i grandi rischi derivati dal contatto di qualunque

tipo con questa sostanza: leucemie, infertilità e alterazioni del microbioma intestinale, sono solo alcuni

esempi.

A sostegno delle analisi del glifosato del Ramazzini, sono note anche le numerose cause legali intentate

contro il colosso della chimica di sintesi Bayer, che hanno dato ragione agli agricoltori malati di cancro a

seguito dell’utilizzo del prodotto incriminato.

Per quanto concerne lo Stato Italiano, appare strano un cambio di scelta verso l’astensione, dopo un

passato in cui si è sempre votato contro all’utilizzo del glifosato:

«Il rapporto dell’EFSA è cambiato, ha emesso un “via libera” con alcune prescrizioni. Il governo

italiano mantiene una posizione di grande cautela, perché come erbicida, non ci sono alternative

tecnologiche.» Così spiega a un’intervista televisiva l’eurodeputato Commissione agricoltura e sviluppo

rurale, Nicola Procaccini.

Nella verità dei fatti, però, esistono soluzioni meno pericolose ed ecosostenibili: «L'agricoltura biologica

è un metodo agricolo volto a produrre alimenti con sostanze e processi naturali. Ciò significa che tende

ad avere un impatto ambientale limitato, in quanto incoraggia a usare l'energia e le risorse naturali in

modo responsabile, conservare la biodiversità, conservare gli equilibri ecologici regionali, migliorare la

fertilità del suolo e a mantenere la qualità delle acque.» (Fonte: Parlamento Europeo, Commissione

agricoltura e sviluppo rurale).

È quindi più conveniente spendere di più per un prodotto di qualità biologica o per le spese mediche e

sanitarie a rimedio di un prodotto chimicamente trattato?

Questa è la domanda da porsi per le scelte future e responsabili, che partono dal microcosmo del pane in

cassetta da comprare al supermercato e giungono all’importante consapevolezza di chi votare alle elezioni

europee come rappresentante dei singoli individui e dell’intero Stato Italiano.

Intervista a Federico Brancolini

Maria Sofia Vitetta, 4D | 1 dicembre 2023

E se, per parlare dell'importanza dello sport, “passassimo il pallone” al calciatore del Lecce Federico Brancolini? Abbiamo avuto l'occasione di farci raccontare fin dove la sua passione lo ha portato. 

Per Giulia

Sara Borghi, 5B | 25 novembre 2023

Oggi 25 novembre è il giorno in memoria della violenza sulle donne. Ma è davvero necessario stabilire un giorno per trattare questi argomenti? Ogni settantadue ore una donna muore, non per una malattia o per un incidente, ma per un omicidio. Giulia è solo una delle centinaia di donne che muoiono ogni giorno per la stessa colpa: essersi fidate di coloro che una volta dissero di amarle.  

In Italia sono passati settantasette anni da che è stato concesso alle donne il diritto di voto e quarantadue da che è stato abolito il delitto d'onore. Ma uno stato non può essere definito veramente tale se le sue leggi non sono concomitanti con le opinioni del popolo. Il patriarcato va avanti da secoli e aggiungere una mera pena a quello che era precedentemente considerato come  un omicidio "giustificato", senza intervenire anche sull'ambito psicologico, non basta. Non è possibile cancellare dall'ambito legale un'ideologia radicata aspettandosi che da un giorno all'altro ogni individuo che aveva agito diversamente fino a quel momento cambi. Non è così che funziona: i cristiani hanno impiegato centinaia di anni per essere riconosciuti, ma per quanto la storia possa essere ciclica, come possiamo noi, uomini e donne del ventesimo secolo, commettere gli stessi errori di individui così lontani nel tempo e nello spazio? 

La mancata evoluzione mentale non può vigere come costante capro espiatorio per ogni sbaglio commesso, nel caso di Giulia Cecchettin il fidanzato Filippo era ben capace sia di intendere che di volere e dichiararlo "pazzo", condonandoli così la pena che gli spetta scontare, non può essere assolutamente giustificato.

Ciò di cui molte persone mancano è la sensibilità, sensibilizzare le nuove generazioni al rispetto è certamente un impresa ardua, ma è anche l'unico modo per evitare i dolorosi sbagli che nella nostra generazione si stanno ripetendo. Il confronto svolge un ruolo fondamentale in questo processo, in quanto le critiche vengono accettate più facilmente quando provenienti da un coetaneo che da una persona a noi meno vicina. 

Attraverso il confronto è possibile raggiungere modelli di valori comunemente condivisi: "fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza", Dante nella sua più grande opera dà voce a donne vittime di femminicidio che, presentandosi come martiri ed eroine, spingono i lettori a riflettere riguardo gli errori commessi dai propri avi, per non commetterli loro stessi e dare una nuova speranza alle generazioni future.

In memoria di Matthew Perry 


Ema Voicu, 5B | 13 novembre 2023

Il giorno del 28 ottobre 2023  la notizia della morte dell’attore statunitense, Matthew Perry, ha sconvolto le pagine di tutti i giornali. 

Ma chi era Matthew e perché la sua morte ha avuto un tale impatto emotivo su milioni di persone? 

Matthew Perry nacque nel 1969 e visse fino all’età di quindici anni insieme alla madre in Canada. All’età di quindici anni egli si trasferisce a Los Angeles per intraprendere la carriera da attore vivendo assieme al  padre, anch’esso un attore. A seguito di alcune comparizioni meno rilevanti, all’attore viene dato il ruolo di Chazz Russell nel programma televisivo Second Chance che durò però per una sola stagione, dopo la quale l’attore tornò a ricoprire ruoli minori. 

All’inizio degli anni ‘90 , l’attore tenta un provino per la serie televisiva Six of One di Marta Kauffman e David Crane, il provino però non andò a buon fine. Quando però da Six of One i due co-creatori decisero di creare Friends, all’attore venne concessa nuovamente un’audizione dopo la quale egli venne scelto per interpretare uno dei protagonisti, Chandler Bing, nonché suo ruolo più importante e che lo definirà per tutta la vita. Dopo Friends l’attore prese  parte e vari altri progetti che gli portarono anche due nomination per l’Emmy Award, quello di Chandler rimase però fino alla sua morte il ruolo più riconosciuto e acclamato dal pubblico grazie al suo unico senso dell’umorismo  e spiccato uso del sarcasmo che ha portato molti sorrisi sui volti di numerose generazioni. 


La vita di Perry fu però caratterizzata anche da gravi problemi di salute, abuso di sostanze  e disturbi mentali. 

L’attore infatti fin dall’adolescenza inizia a sviluppare problemi di alcolismo e dopo un incidente in moto d’acqua nel 1997 diventa dipendente del Vicodin. Negli anni successivi  a causa della sua dipendenza da varie sostanze tra cui Vicodin, metadone, amfetamine, benzodiazepine e cocaina  sviluppa una pancreatine che gli procura grandi oscillazioni di peso, che riusciamo a vedere durante le varie stagioni di Friends. Nel corso della sua vita, Perry subì 2 ospedalizzazioni psichiatriche, proseguendo successivamente con una cura di ansiolitici e antidepressivi, decine di ricadute e ben 14 interventi chirurgici allo stomaco. Più recentemente Perry entrò in un coma nel 2018 ed ebbe un arresto cardiaco nel 2020. L’attore raccontò anche come egli non ricordasse almeno tre anni della produzione di Friends dalla terza alla sesta stagione. 


Matthew racconta la sua battaglia con le proprie dipendenze, l’esperienza di Friends  e molto altro nel suo libro autobiografico uscito nel  2022: “Friends, Lovers, and the Big Terrible Thing: A Memoir”.  Nel 2015 l’attore tenta inoltre di  creare una propria struttura riabilitativa ma il progetto non andò a compimento a causa di problemi finanziari. Nonostante ciò , l’attore non cessò di utilizzare la sua fama ed influenza  per aiutare persone che combattevano le sue stesse lotte e sensibilizzare su una realtà estremamente intrinseca nell'industria stessa dell’intrattenimento odierno . In una delle sue interviste recenti egli afferma “L’aspetto migliore di me è che se qualcuno viene da me e mi dice “Non riesco a smettere di bere, mi puoi aiutare?” Io posso dire di sì, è posso mantenere la parola” , l’attore poi prosegue “ Quando morirò, non voglio che Friends sia la prima cosa di cui si parlerà, voglio che quello lo sia “




LibriAmo 

Intervista ad Ilenia Monti


Maria Sofia Vitetta, 4D | 23 ottobre 2023

Vi è mai capitato di imbattervi in una pagina Instagram in cui gli “influencer” sono i poeti e gli scrittori dei grandi classici della letteratura italiana, latina e greca? 

Ilenia Monti, studentessa di Lettere Classiche, gestisce LibriAmo, un profilo Instagram in cui lascia che ad avere un proprio spazio siano proprio le parole delle lingue antiche, le frasi e le riflessioni di importanti pensatori ed autori. I social, spesso criticati e quasi demonizzati in diverse occasioni, diventano, così, uno strumento di diffusione e di condivisione della cultura classica. 


Rinascimento digitale

Marianna Casto, 5B | 9 ottobre 2023

  Nelle giornate dal 15 al 17 settembre 2023, dalle ore 9:30 alle 19:00, è stato possibile a Modena, in quello che è l’ex albergo diurno situato in piazza Mazzini, visitare una mostra che portava come principale contenuto quello dell'intelligenza artificiale, ma non solo. 

Difatti, in una stretta connessione fra passato e futuro, è stato esplorato il tema riguardante il rapporto dell’essere umano con la tecnologia, che si è recentemente evoluto radicalmente. 

Ma in che modo sono stati intersecati questi tempi tra loro così differenti eppure strettamente legati? 


   Grazie all’utilizzo dell’intelligenza artificiale, è stato possibile riprodurre l’immagine di scrittori del passato trasformati in cyborg. Questi affrontavano temi contemporanei, quali l’isolamento a cui in realtà porta spesso questa estrema connessione in rete, citata da Leopardi. Egli, inoltre, faceva riferimento all’infinito, collegato all’infinità di dati dai quali siamo bombardati in rete, che ci rendono schiavi del nostro desiderio e volere di sapere, ma allo stesso tempo ci alienano e allontanano dalla vera comprensione dell’essenza umana. 

Ma Giacomo Leopardi non era l’unico celebre scrittore reso androide: vi erano con lui Franz Kafka, George Orwell e Leonardo Da Vinci, ciascuno dei quali esponeva a turno la propria riflessione riguardo all’argomento. 


  Infine, il pubblico diveniva partecipe della mostra, grazie questa volta a tre celebri pittori divenuti anch'essi cyborg: si trattava di Van Gogh, Picasso e Salvador Dalì. Il loro compito era quello di interpretare le idee dei visitatori, dimostrando che l’intelligenza artificiale aiuta l’uomo nell’espressione di idee e pensieri attraverso il proprio potenziale.  

Quindi, descrivendo l’opera che si voleva commissionare e scegliendo uno fra i tre artisti, si riceveva successivamente una mail contenente l’immagine richiesta, composta secondo lo stile di ciascun pittore. 


   Così in pochi minuti i visitatori hanno avuto la possibilità di esplorare il tema del linguaggio e della parola nella società digitale contemporanea, confrontandosi ed immergendosi in un’esperienza immersiva in grado di creare un qualcosa di singolare, grazie all’intelligenza artificiale AIIO, e grazie al pubblico stesso, divenuto parte attiva della mostra. 

Intervista a Gian Marco Griffi

Maria Sofia Vitetta, 4D | 4 ottobre 2023

Gian Marco Griffi è autore del romanzo Ferrovie del Messico. Il libro è entrato a far parte della dozzina del Premio Strega 2023 dopo essere stato proposto dallo storico e scrittore Alessandro Barbero. Ha vinto il Premio Mastercard Letteratura 2022 ed ha ottenuto il riconoscimento Libro dell’anno di Fahrenheit



«Una persona a cui voglio molto bene un tempo mi disse: “Se un libro è bello, che cosa importa quante pagine ha?”. Lo stesso discorso si può fare di un libro brutto. Quindi, se un libro brutto ha 100 pagine rimane un libro brutto, se  un libro bello ha 800 pagine rimane un libro bello. Secondo me si potrebbe, intanto, cercare di spiegare che leggere deve essere un divertimento perchè, se non lo è, uno non legge. Se ti appassioni alla lettura, allora vedi la lettura come un divertimento e, quindi, le 800 pagine sono poche, non sono tante, perché se è qualcosa che ti diverte allora lo fai molto volentieri. Un po' come vedere una serie di 20 puntate, se ti appassiona è meglio che vedere una serie una di 8. La letteratura è anche tante altre cose, fondamentalmente però, deve essere divertimento, io credo.»



«Sicuramente c’è un intento preciso. Qualunque cosa io abbia scritto in Ferrovie del Messico ha una sua motivazione ed una sua logica. Non è questione di decidere a tavolino. I romanzi si fanno anche a tavolino. È ovvio che c’è un idea di base, l’idea di fondo ti viene e, magari, non è a tavolino. La costruzione generale di un romanzo complesso come Ferrovie del Messico deve per forza essere fatta “a tavolino”, cioè deve essere ragionata, studiata. In questo caso era necessario che ognuno dei personaggi avesse una propria voce, un proprio registro, perché il romanzo doveva essere corale. Ciascuno di noi parla in maniera diversa ed ha un suo codice linguistico. Soprattutto nel 1944, era veramente molto più ampio il divario sociale e, quindi, ti trovavi a dover parlare con un contadino, con un milite o con un conte. Ciascuno di loro ha un suo riferimento linguistico, un suo linguaggio. Ti trovavi a dover dialogare, per esempio, con quei poco di buono in quel locale che si chiama “Aquila Agonizzante” e che io ho scelto di far parlare con questa specie di argot che è la lingua zerga. È fondamentale in un romanzo, ma specialmente in quello che volevo scrivere io, trovare un ambiente linguistico, cioè un linguaggio che fosse in qualche modo comune. Nello stesso tempo, però, ciascuno dei personaggi doveva per forza avere una sua parlata, un suo modo di esprimersi. Quello era fondamentale, ma lo si fa a tavolino, non ti può venire così, anche perchè tu di base sei uno e quindi se mettessi solo quello che hai tu, parleresti e scriveresti sempre nello stesso modo, che è il tuo. Quindi devi anche un po’ sforzarti di scrivere in maniera diversa.»



«Gli occhi sono una parte dell’aspetto fisico che probabilmente riesce, nel mio immaginario, ad esprimere meglio di qualunque altro aspetto fisiognomico l’interiorità della persona. Anche se poi, naturalmente, queste sono tutte cose che lasciano il tempo che trovano: sappiamo perfettamente che nulla di questo è, in realtà, scientifico e, quindi, sono metafore, ma anche modi di vedere le persone e di descriverle per quello che sono da un punto di vista fisico. Quindi, gli occhi hanno un’importanza metaforica, simbolica. Poi, in realtà, una persona con un particolare tipo di occhi può avere un’interiorità che è completamente l’opposto.»



«Sono due, forse, le parti che mi vengono in mente così d'emblée. Una l’hai citata tu, ed è quella in cui Lito parla e dice, appunto, che la vita è un bruciare di domande. Io credo che la letteratura e il raccontare una storia siano proprio questo, fare delle domande per le quali probabilmente non abbiamo neanche noi che scriviamo, delle risposte. Però, è fondamentale farsi delle domande, cioè il chiederci cosa siamo, perché siamo qua, che fine facciamo. Ecco, questo, il bruciare delle domande, l’incendio che è in ciascuno di noi, in ciascun essere umano, credo sia una cosa fondamentale. L'amore, tu dicevi giustamente, è una risposta, perché sicuramente è qualcosa che ci fa credere che possa esistere qualcos’altro al di là di quello che noi vediamo e percepiamo. Noi proviamo questo sentimento che è l’amore. Naturalmente l’amore ha tantissime propaggini e tantissime manifestazioni. Anche se poi, alla fine,  la frase decisiva, e che è anche un po’ la mia poetica, è quella che pronuncia Tilde e che è scritta sul retro di copertina: “Essere lirici e ironici è la sola cosa che ci protegge dalla disperazione assoluta”. Ovvero: la nostra vita è comunque costellata da una serie di gravosità e, quindi, noi abbiamo bisogno di essere lirici, perché la poesia, secondo me, è qualcosa che ci può aiutare a comprendere veramente le cose. Io credo che la poesia, e quindi il linguaggio, ci possano aiutare realmente a nominare le cose, ovvero a comprendere la realtà che ci sta attorno ed i sentimenti che maturiamo in noi. Quindi il lirismo, l’essere lirici, ma anche cogliere la bellezza di ciò che ci sta attorno, significa comprendere. E comprendere significa anche scegliere, significa avere una cultura. E la cultura è proprio questo, secondo me, la capacità di nominare le cose, di rendersi conto della loro bellezza. E naturalmente, rendendoci conto della bellezza, riusciamo anche a renderci conto della bruttezza di alcune altre cose. Però, nello stesso tempo, tutto questo ci porta ad essere gravosi, ad una sorta di gravosità dell’essere. L’essere umano è gravoso, perché sappiamo dove andremo a finire, andremo a finire in una tomba, moriremo tutti. Questo, da un certo punto di vista, secondo me rende la vita meravigliosa. Nello stesso tempo, però, ce la complica, perché comunque è un viaggio destinato a finire così. E quindi, interviene in quello l'ironia, e l’ironia è fondamentale per tornare ad un piano, anche di conoscenza, meno gravosa. Non che l'ironia sia qualcosa di leggero. L’ironia è un altro modo per conoscere. La poesia è un modo per conoscere la realtà che ci circonda, l’ironia è un altro modo per comprenderla secondo altri aspetti o canoni. Però, entrambe sono fondamentali, si intrecciano magnificamente per ottenere la protezione da un pessimismo che altrimenti ci porterebbe alla disperazione.»



«Come abbiamo detto prima "La vita è un bruciare di domande", quello sicuramente è molto esemplificativo perché Ferrovie del Messico è un romanzo pieno di domande, anche senza risposte.»


Si ringrazia nuovamente Gian Marco Griffi per la pazienza ed il tempo dedicato all’intervista concessa successivamente all’appuntamento letterario “Levico incontra gli autori” svoltosi il 16 agosto 2023 a Levico Terme.


Notte Europea della Ricerca

Maria Sofia Vitetta, 4D | 28 settembre 2023

Di cosa si tratta?


La notte Europea della Ricerca è un evento di divulgazione scientifica promosso dalla Commissione Europea a partire dal 2005. Ogni anno permette ai cittadini di conoscere il lavoro svolto da ricercatori universitari e da istituzioni di ricerca presenti sul territorio. Anche quest'anno Unimore (Università di Modena e Reggio Emilia) organizza una serata di eventi aperta a tutti gli interessati. E perché, tra questi, non potrebbe esserci anche qualche studente del nostro liceo?


La Notte della Ricerca può essere un’occasione che, insieme all’orientamento in uscita, aiuti i ragazzi a scegliere con maggiore consapevolezza il loro percorso universitario in ambito scientifico e medico. Si potranno ascoltare presentazioni, ma specialmente assistere a dimostrazioni dal vivo e ad applicazioni pratiche riguardanti vari ambiti di studio tenute da docenti di Unimore e dai loro dottorandi. Le attività proposte sono organizzate in modo tale da poter essere comprese anche da chi non ha competenze in materia. 


A Modena l’evento si svolgerà nella serata di venerdì 29 settembre a partire dalle ore 20. Le presentazioni ed i laboratori si terranno nel Complesso San Geminiano (via San Geminiano, 3) e nel Complesso San Paolo (via Camatta, 15). 


Il programma completo della serata è disponibile al seguente link: https://www.unimore.it/nottericerca2023/

Un tuffo nel medioevo 

Ricordi di un'estate indimenticabile

Carlotta Fiorini 5CL | 27 aprile 2023

Per il secondo anno di fila ho deciso di dedicare una parte delle mie vacanze estive al volontariato: quest’anno, quasi per caso, sono diventata “médiévole”  (volontaria “medievale”) al festival medievale di Souvigny, in Francia. 

I workcamps sono dei progetti di volontariato rivolti ai giovani, di durata variabile: i campi brevi durano fino a tre settimane e sono organizzati in Unione Europea, mentre quelli a lungo termine, riservati ai maggiorenni, possono durare  più di un mese e sono disponibili in tutti i continenti. 

A partire dall’ultima settimana di luglio fino a metà agosto ho partecipato ad un campo di volontariato rivolto a giovani maggiorenni a Souvigny, un paesino nel centro della Francia. Il gruppo di volontari era formato da 11 persone provenienti da paesi con culture molto diverse: dall’Italia, Turchia, Armenia, Portogallo e persino Thailandia e Messico.

I leader del gruppo erano due ragazzi poco più grandi di me, ma la differenza di “ruoli” non ci ha impedito di formare un gruppo omogeneo, senza distinzioni: siamo diventati una famiglia dal primo giorno. Abbiamo dormito nella sala polivalente del paese, dove, oltre a un’ampia stanza con i nostri letti, avevamo a disposizione una cucina e un soggiorno. Come in ogni campo di volontariato, la collaborazione era un elemento fondamentale: settimanalmente ci dividevamo in piccoli gruppi, e ogni giorno ciascuno doveva svolgere un’attività diversa a rotazione (ad esempio, preparare i pasti, lavare i piatti, pulire). 

Parliamo ora dell’aspetto più interessante: di cosa ci dovevamo occupare?


Durante le tre settimane abbiamo collaborato con gli abitanti del paesino per organizzare il festival medievale di Souvigny. Dovete sapere che, dal 1994, ogni anno, a partire da fine luglio, il piccolo villaggio di Souvigny si trasforma in borgo medievale per nove giorni. Durante il festival si susseguono spettacoli di ogni genere che animano la fiera: musica, teatro, giocoleria, spettacoli di fuoco, artigiani al lavoro, cucina a tema, bancarelle… E cosa c'è di meglio di gustarsi un bicchiere di “limo pomme” - succo di limone e mela, che ben presto è diventato simbolo di questa edizione della fiera - nel bel mezzo di un concerto di una troupe? Sono proprio i “menestrelli e saltimbanchi” a ravvivare il piccolo borgo di Souvigny, che ci ha fatto fin da subito sentire accolti. La prima e l’ultima settimana sono state dedicate al montaggio e allo smontaggio di tutto l’occorrente: tavoli, panchine, taverna, chiostri. I giorni del festival sono stati invece i più memorabili, ovviamente, perché abbiamo partecipato attivamente all’organizzazione della fiera. Ogni mattina, quindi, incontravamo gli altri médiévoles per dividerci i compiti: bisognava essere veloci e in orario per potersi occupare delle prestazioni più ambite. Dopo pranzo, poi, indossavamo i nostri abiti medievali, e dalle tre del pomeriggio fino a mezzanotte eravamo parte integrante del festival. Ognuno di noi doveva occuparsi di almeno due attività, tra le quali la preparazione delle crêpes, barbecue, servizio in taverna o ai tavoli, pulizia; per il resto del tempo eravamo liberi di divertirci e di assistere agli spettacoli medievali.


Posso dire che è stata davvero un’esperienza indimenticabile: ho trascorso momenti magnifici sia con i componenti del campo di volontariato, sia con la popolazione locale. Non sono mancati i momenti di scambio: durante la prima settimana, ad esempio, abbiamo organizzato una cena "internazionale" aperta agli abitanti di Souvigny. È stato anche un ottimo esercizio di lingua: infatti ho praticato non solo l’inglese, con i ragazzi del campo di volontariato, ma anche il francese, con le persone del posto e con il pubblico che frequentava la fiera.

Partecipare ad un campo di volontariato non è una vacanza convenzionale, ma proprio per questo la consiglio a tutti. Attraverso queste esperienze è certamente possibile apprendere competenze tecniche, oltre che praticare una lingua straniera in situazioni quotidiane, ma una delle cose che apprezzo di più è la possibilità di potermi confrontare con persone con una cultura completamente diversa dalla mia. Abbiamo condiviso ricette, musica, racconti e aneddoti, ed abbiamo stretto legami veramente speciali.


Souvigny è un luogo unico, perchè una volta all’anno persone con storie diverse si riuniscono per diventare un'unica famiglia medievale in questo fantastico festival. Vi lascio con un video che mostra la fiera di quest’anno, e che racchiude pienamente l’anima di Souvigny.

Politiche antidroga: Svezia e Portogallo a confronto

Alice Carli, 3CL & Frida Fruggeri 3CL | 7 aprile 2023

Ascoltando la radio, guardando il telegiornale o leggendo qualche news online non è certo inusuale imbattersi in dibattiti e confronti legati alla legalizzazione delle droghe, leggere o pesanti che siano. Riguardo a questo ogni paese sta prendendo decisioni che vanno in direzioni anche molto diverse tra di loro: due esempi lampanti della varietà degli approcci adottati sono la Svezia e il Portogallo. 

La Svezia e il suo rapporto con la droga

La Svezia si situa tra 7° e 8° posto nelle classifiche mondiali per quanto riguarda la qualità di vita ma ha uno dei più alti tassi di mortalità legata alle droghe d’Europa. Come mai?

Una politica innovativa

A partire dal 1980, con il diffondersi del motto “Svezia: una società senza droghe”, l’attenzione e le risorse fisico-economiche della polizia si è concentrata sugli usufruitori di sostanze stupefacenti, piuttosto che sui produttori, importatori e spacciatori maggiori. In soli 2 anni, tra il 1979 e il 1981, il numero di criminali legati all’ambito della droga è raddoppiato. Nel 1988 venne ufficialmente criminalizzato il consumo di droghe ma la pena includeva una semplice multa di importo variabile.

Nel 1993 poi avviene una svolta: la polizia svedese ottenne il diritto di compiere test antidroga sui civili senza il consenso dei soggetti interessati. Quell’anno la polizia svedese ha agito in base alla legge conducendo circa 10.000 test delle urine forzati, numero che è poi gradualmente aumentato nel corso degli anni.  Nel 2007 più di 42.000 casi di consumo di droga sono stati registrati nelle statistiche della polizia, la grande maggioranza dei risultati positivi proveniva proprio da test delle urine forzati.

La stessa legge porta a un altro grande cambiamento: l’imprigionamento venne incluso come una possibile sanzione ai crimini legati al possesso e utilizzo di droga (fino ai 18 anni di reclusione) . 

Le conseguenze 

Lo scopo della legge era evidentemente quello di scoraggiare i giovani dall'iniziare ad utilizzare la droga. Avrà funzionato? 

I dati offrono una risposta negativa a questo quesito poiché tra il 1995 e il 2011 l’utilizzo di sostanze tra i giovani di 15-16 anni è aumentato dal 6% al 9%. Inoltre il Paese supera la media europea anche riguardo il quantitativo di tranquillanti e sedativi non-prescrivibili tra gli adolescenti. Ma la problematica non esiste solo nel mondo giovanile: l’assunzione di metanfetamine negli adulti è cresciuta dal 1,4% al 5% dal 1994 al 2008.

Trattamenti e disintossicazione

Un importante studio pubblicato nel 2011 ha riconosciuto la necessità del Paese di diminuire il danno creato dall’assunzione e la dipendenza di queste sostanze che è invece stato trascurato, privilegiando una politica basata sull’astinenza. Gli attuali servizi mirati alla disintossicazione sono scarsi rispetto alla media europea e i criteri suggeriti dalla OMS (Organizzazione mondiale della sanità) e dalla UNODC (Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine). Ad esempio esistono soltanto 5 strutture che distribuiscono gratuitamente siringhe e aghi per evitare la trasmissione di MST (e sono mal distribuiti nel territorio svedese). L’OST (Opiate Substitution Treatment, cioè il servizio di terapie sostitutive a base di oppiacei) è disponibile ma concesso soltanto sotto numerose e severe condizioni (soprattutto per quanto riguarda il metadone), permettendo soltanto a pochissime persone di completare le cure. I primi programmi di riabilitazione in prigione sono iniziati poi molto tardi, nel 2007 (e diventati programma nazionale nel 2010) e inoltre ricevono tuttora fondi insufficienti.

Un esempio estremamente esplicativo della mentalità svedese sul tema delle droghe è il seguente: la marijuana utilizzata a scopo medica è tecnicamente legale ma (oltre ad essere poco prescritta causa una grandissima disinformazione tra i medici)il possesso di soli 15 grammi è ancora un reato. 

Il “modello portoghese”

Secondo le stime, alla fine degli anni Novanta circa l'1% della popolazione portoghese faceva uso di eroina.  Alla ricerca di una soluzione a questa problematica sociale, nel 2001, il Portogallo è diventato il primo paese a livello mondiale ad aver depenalizzato il possesso di qualunque tipo di droga, dalla marijuana alle cosiddette “droghe pesanti”.

Legislazione

In Portogallo, a fronte della nuova legislazione, non è più previsto l’arresto per chi viene trovato in possesso di una dose pari al consumo medio individuale per massimo dieci giorni (corrispondente a un grammo di eroina, ecstasy o anfetamina, due grammi di cocaina, 25 grammi di cannabis).

L’atteggiamento che il Portogallo ha deciso di assumere nei confronti dei tossicodipendenti si basa sulla riabilitazione, piuttosto che sulla reclusione. Chi commette reati connessi alle droghe riceve, ad esempio, un mandato di comparizione, che lo obbliga a presentarsi davanti a dei "comitati di dissuasione" composti da giuristi, psicologi e assistenti sociali. Frequentemente (circa nell’80-85% dei casi) si tratta di persone che sono al loro primo crimine e hanno assunto sostanze a scopo ricreativo e per questo motivo i loro casi vengono sospesi. Tuttavia, dopo un certo numero di convocazioni davanti ai comitati, si viene considerati "tossicodipendenti" e si è assoggettabili a prescrizioni di trattamenti che variano da sedute con motivatori a terapie sostitutive. 

Chi fa uso ricreativo di droga può essere anche obbligato a pagare una sanzione o a prestare servizio per la comunità, ma se rifiuta di sottoporsi alle cure è tenuto a presentarsi a frequenti controlli presso il suo medico di base.

Se l’approccio nei confronti dei tossicodipendenti è caratterizzato dalla sua innovatività, è comunque necessario ricordare che le droghe sono ancora illegali in Portogallo, dove i trafficanti sono tuttora destinati alla prigione.

Un ruolo centrale nelle politiche antidroga intraprese dal Portogallo è sicuramente rappresentato dal lavoro dei gruppi di volontari che, unito agli sforzi del governo, è necessario per la distribuzione di aghi puliti e per la messa a disposizione di pipette, permettendo, inoltre, di entrare in contatto con il maggior numero di consumatori di droga possibile. 

Conseguenze

Dal 2001 il Portogallo ha visto concreti miglioramenti nel sistema di sanità pubblica; da quando le droghe sono meno stigmatizzate i consumatori si sono dimostrati, infatti, più inclini a cercare delle cure. 

Un altro dato interessante è rappresentato dal numero dei casi di Hiv nel paese, diminuiti drasticamente dal 2001, passando da 1016 a 56 nel solo 2012, mentre i decessi per overdose sono scesi da 80 a 16 [per poi però risalire negli anni successivi ndr]. 

Le morti legate alle droghe sono tre su un milione di abitanti, con un tasso oltre cinque volte più basso rispetto alla media dell'Unione Europea, pari a 17.3.

Anche il consumo di droga negli ultimi 22 anni è diminuito e rientra ora nella media europea.

Consumo di Cannabis in Portogallo

Consumo di cocaina in Portogallo

Consumo di MDMA in Portogal

Consumo di amfetamine in Portogallo

Quali conclusioni possiamo trarre da questa ricerca? Visti gli ottimi risultati ottenuti a seguito delle nuove politiche portoghesi la legalizzazione delle droghe rappresenta la soluzione ad ogni problema? Tutti gli stati dovrebbero imitare l'esempio del Portogallo? La questione non è così semplice: bisogna considerare fattori come la situazione politica ed economica dello Stato, i suoi abitanti, i loro valori morali, le loro paure, la storia pregressa del Paese e tanto altro. 

Ciò in cui crediamo noi è l’importanza di essere sempre pronti a mettere in dubbio le proprie scelte quando queste non portano ai risultati desiderati, al confronto e, quando possibile, all’opportunità di prendere ispirazione da altre realtà. 

Amnesty International, in prima linea nella difesa dei diritti umani

Carlotta Fiorini, 5CL | 22 gennaio 2023

Il 10 dicembre 1948, gli Stati membri delle Nazioni Unite firmarono a Parigi il primo documento della storia che sanciva i diritti dell'uomo riconosciuti universalmente. Ancora oggi, ogni 10 dicembre, si celebra la Giornata Mondiale dei Diritti Umani. È una data chiave per Amnesty, che manifesta sempre per rimarcare l’importanza della difesa dei diritti umani.


Amnesty International è un movimento globale che raggruppa più di 10 milioni di persone che combattono contro le ingiustizie. Amnesty è un movimento indipendente da qualsiasi ideologia politica, interessi economici o religioni. Investiga ed espone fatti, in caso vengano effettuati abusi. Pressa governi e altri gruppi influenti in modo che rispettino le loro promesse e la legge internazionale. Amnesty, poi, si mobilita attraverso i gruppi locali, che si trovano in 70 paesi, ed organizza eventi e manifestazioni per denunciare tutti gli abusi e le ingiustizie che riesce a verificare attorno al mondo. Un altro tipo di attività promossa da Amnesty è l’educazione ai diritti umani all’interno delle scuole. Infatti, non tutti sanno che anche a Modena esiste un gruppo attivo di volontari di Amnesty International, che opera sul territorio da almeno una ventina d’anni. Ma come nasce questo movimento rivoluzionario? 

Nel 1961, l’avvocato britannico Peter Benenson rimane sconvolto dalla notizia di due studenti portoghesi arrestati per aver brindato in nome della libertà. Scrive quindi un articolo per il giornale The Observer e lancia una campagna che, a sorpresa di tutti, provoca una risposta incredibile. Ristampata nei giornali attorno al mondo, la sua chiamata all’azione diffonde l’idea che le persone, ovunque, possono unirsi in solidarietà per giustizia e libertà. Questo momento è stato l’inizio di uno straordinario cambiamento sociale.


Durante gli anni, Amnesty, dalla focalizzazione alla ricerca del rilascio di prigionieri politici come obiettivo principale, ha espanso le sue azioni all’intero tema della tutela dei diritti umani. L’azione di Amnesty protegge e dà potere alle persone - dall’abolizione della pena di morte alla protezione dei diritti sessuali e riproduttivi, e dal combattimento contro la discriminazione alla difesa dei diritti dei rifugiati e dei migranti. Parla per chiunque veda la propria libertà e dignità minacciate.


Il 2022 è stato un anno difficile: una nuova guerra è scoppiata in Ucraina in febbraio, e le recenti proteste in Iran ci mostrano come la strada per ottenere diritti fondamentali, quali la libertà di espressione, sia ancora lunga. Grazie all’azione di Amnesty, però, siamo riusciti a raggiungere alcuni obiettivi importanti. Ad esempio:


Ancora una volta, è importante sottolineare l’importanza dell’azione collettiva. Infatti, sono soprattutto i piccoli gesti, come la partecipazione a una manifestazione, la condivisione di una campagna sui social, la firma per la scarcerazione di un prigioniero politico, a fare la differenza. Possiamo tutti contribuire alla difesa dei diritti umani, insieme. 

Il gioco: Una calamita a cui si sta staccando il magnete 

GinevraMaria Bianchi, 5B | 7 dicembre 2022

Spesso si sente promuovere da parte delle scuole l’apprendimento col gioco, un “divertimento educativo”. Non in Italia, dove la componente ludica dell’insegnamento viene persa circa in prima elementare. Un bambino di sei anni, considerato giá come un individuo in grado di collaborare, ragionare autonomamente e capace di pensare soluzioni alternative ,viene abituato ad una routine scolastica poco stimolante. Privato di soluzioni alternative, si adatterà all’individualità, alla schematicità ed alla stringatezza. La dimensione scolastica viene riflessa anche sulla sfera privata, ma anche lì non è più così semplice trovare famiglie disposte a mettersi in gioco, in tutti i sensi. I cambiamenti nelle dinamiche famigliari, hanno fatto in modo che per mancanza di tempo e volontà, non sia più tanto frequente passare momenti insieme davanti ad un gioco di società. Se succede avviene di rado e per circostanze speciali, come la tombola a Natale, ad esempio. Rimangono quindi sui tavoli delle sale da pranzo i grandi classici: Monopoly, RisiKo, Il gioco dell’oca, Briscola…ossia giochi ormai obsoleti e passati di moda, senza lasciare spazio a quelli nuovi, sicuramente più moderni e fruttuosi. È inevitabile associare questi passatempi démodé a momenti di condivisione forzati ed occasionali, proprio perché è più semplice giocare se le regole le conoscono tutti e le dinamiche sono ripetitive, piatte. Il “Festival del gioco”, o “Play 2023”, organizzato da ModenaFiere, ha il fine di arginare questo problema. Nelle tre giornate del 19, 20 e 21 Maggio 2023, sarà possibile osservare e testare tutte le novità sfornate dall’industria dei giochi. Molti ragazzi della nostra scuola avranno l’occasione di partecipare, collaborando tramite un percorso di PCTO. Lontani da stereotipi o scetticismi, sarà un’ottima occasione per partecipare ad un’attività con tante altre persone, che contrariamente da come si pensa non sono “nerd”. Un aggettivo genericamente affibbiato agli appassionati di questo mondo, spesso usato in tono dispregiativo, ma che non è il caso di utilizzare per questo contesto. A testimonianza della tesi esposta precedentemente,la componente di adolescenti che partecipano a questo evento, purtroppo, è inferiore al 20%. Inaspettatamente, invece, è facile trovare donne e uomini dai trent’anni in sù, nonostante si potrebbe pensare erroneamente che siano i soggetti più lontani da questo mondo. Il “Play 2023”, quindi, è un'opportunità per riscoprirsi bambini, o semplicemente continuare adesserlo. 

“L’uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare" G.B.Shaw. 

Una manifestazione per la libertà

Carlotta Fiorini, 5CL | 4 dicembre 2022

Donne, vita, libertà: sono queste le tre parole simbolo delle  proteste che in questi giorni stanno attraversando l’Iran e le piazze solidali di tutto il mondo. Il 13 settembre 2022, la donna curda iraniana Mahsa Amini è stata arrestata a Teheran dalla cosiddetta polizia “morale” iraniana, che sottopone regolarmente donne e ragazze ad arresti e detenzioni arbitrarie, torture e altri maltrattamenti per non aver rispettato l’obbligo di indossare il velo. 

Mahsa Amini è stata picchiata violentemente mentre veniva trasferita con la forza nel centro di detenzione di Teheran. In poche ore, è stata trasferita all’ospedale di Kasra dopo essere entrata in coma. È morta tre giorni dopo. Le autorità iraniane hanno annunciato indagini negando qualsiasi illecito, ma questo non è bastato a fermare le numerose mobilitazioni della società civile dilagate su tutto il territorio nazionale. 

Le autorità iraniane impongono leggi e regolamenti sul velo obbligatorio che violano i diritti umani delle donne e comportano anche trattamenti o punizioni crudeli, disumani e degradanti.

In Iran il clima quotidiano di intimidazione nei confronti delle donne si fa sempre più duro. In questi due mesi, la situazione non è migliorata, anzi, è peggiorata. Ed è proprio per questo motivo che, facendo parte del gruppo di Amnesty a Modena,  ho deciso di organizzare una manifestazione a supporto dei diritti delle donne in Iran. L’argomento rientra perfettamente nella nuova campagna globale promossa da Amnesty International, “Proteggo la protesta”. Amnesty sfida gli attacchi alle proteste pacifiche, sta dalla parte delle persone prese di mira e sostiene le cause dei movimenti sociali che premono per un cambiamento in favore dei diritti umani. Perché la libertà di espressione sia garantita. Perché si arrivi a rispettare migliaia di persone che lottano perché i loro diritti gli vengano riconosciuti.                      

Siamo scesi in piazza nel pomeriggio di sabato 12 novembre in Piazza Torre, e abbiamo coinvolto, oltre ad amici e conoscenti, le associazioni Donne in Nero, Non Una di Meno e Casa per la Pace - ODV. Ha partecipato alla nostra manifestazione anche la comunità iraniana, che ha condiviso con noi delle canzoni simbolo di protesta in Iran. É stato un evento molto movimentato: hanno iniziato le Donne in Nero con un flash mob silenzioso, che si sono poi unite al flash mob di Amnesty. Abbiamo gridato in piazza “Donne, Vita, Libertà”: sosteniamo le donne iraniane anche con questo piccolo gesto. Può sembrare un atto insignificante, ma è proprio con l’unione delle forze che si fa la differenza. É in questo modo che si può arrivare ad un vero cambiamento. Di fronte alle ingiustizie, è necessario agire.

Proprio mentre sto finendo di scrivere questo articolo, vengo a conoscenza del caso di Mahak: aveva solo 16 anni ed usciva da settimane senza velo. È stata uccisa dalla polizia perché indossava un berretto da baseball.

Amnesty continua a porre attenzione su questa terribile situazione: per sostenere le donne iraniane che stanno combattendo per i loro diritti, e perché questi crimini non vengano dimenticati presto. Perché ogni giorno la situazione delle donne peggiora. Perché va abolito l’obbligo di indossare il velo. Perché va garantito il diritto di protesta pacifica, che coincide con la libertà di espressione, e che sta venendo brutalmente represso in Iran ogni giorno. 

Una riflessione “in libertà” con Vito Mancuso

Maria Sofia Vitetta, 3D | 24 settembre 2022

“La mente non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere”. Con questa frase di Plutarco di Cheronea (I - II sec. d.C.), Vito Mancuso si è rivolto alla scuola, sottolineandone l’importanza non solo di istruire la mente, ma anche e soprattutto di educare alla libertà di pensiero. È accaduto durante uno degli INCONTRI DEGASPERIANI 2022 (che si svolgono ogni anno a Trento e in Valsugana) dal titolo “La libertà dentro di noi”. In questa occasione il filosofo ha posto anche una delle domande esistenziali più difficili: la libertà esiste? 

Nella cultura classica grandi pensatori la negano, altri la affermano. Per argomentare questa questione antinomica Mancuso ha, quindi, citato alcune tra le più importanti figure del mondo antico.

Nel 472 a.C. il drammaturgo Eschilo è uno tra i primi ad esprimersi riguardo al concetto di libertà. All’interno della sua opera I Persiani descrive, infatti, i greci come “sudditi di nessuno”, e quindi uomini liberi in ambito politico. Tuttavia, nell’Agamennone (e non solo), nomina “potenze divine che prepotenti governano il sacro timone del cosmo” sostenendo, così, un concetto contraddittorio rispetto al precedente significato della parola ἐλευθερία (libertà, appunto, in greco).

Nell’Edipo re (415- 412 a.C.) di Sofocle si ritrova la presenza di un destino, di un fato, di un ἀνάγκη a cui l’essere umano non può sfuggire in alcun modo e che limita totalmente la libertà individuale. Nell’Antigone, un’altra tragedia dello stesso autore, questo concetto viene, però, rovesciato: Antigone, infatti, agisce liberamente, decidendo di seppellire il fratello, nonostante sappia di rischiare la vita, poiché le è stato proibito. A seguito di questa sua scelta la donna, infatti, morirà. 

Per Seneca, invece, l’uomo è al cospetto di forze più grandi di sé, che non può far altro che assecondare. “I fati conducono il nolente, il volente lo trascinano (ducunt volentem fata, nolentem trahunt)”


Vito Mancuso ha citato anche altri filosofi e non solo che hanno espresso le loro considerazioni sull’argomento in epoche successive. Ha spaziato da Spinoza, Hume, Hegel, Nietzsche, Schopenhauer che negano  la libertà dell’uomo a Cartesio, Rousseau, Locke, Kant che ne sono ferventi sostenitori fino ad arrivare ad Hanna Arendt. Quest’ultima, nel 1954, parla dell’importanza della solitudine, solitudine nel senso di raccoglimento, quel raccoglimento necessario per il pensiero libero, per il ragionamento e la riflessione. 

“Un essere umano non può mantenere intatta la propria coscienza, se non può mettere in atto il dialogo con sé stesso, cioè se perde la possibilità della solitudine necessaria per ogni forma di pensiero.”


Cosa pensa Vito Mancuso al riguardo? Glielo abbiamo chiesto.

La ricerca della solitudine è una necessità di cui noi ragazzi del liceo classico sentiamo il bisogno per comprendere meglio i classici greci e latini, per sviluppare un nostro pensiero su di essi e per trovare, appunto, una nostra libertà di pensiero. È un bisogno, ma allo stesso tempo una difficoltà, come ha accennato anche lei dicendo “C’è tanto rumore dentro di noi”. Come crede sia possibile trovare o ritrovare, se l’abbiamo persa, la possibilità di questa solitudine,  di questa libertà? 


«È possibile ritrovare questa solitudine, oppure trovarla per la prima volta, stabilendo una certa disciplina, una regola di vita. Non bisogna farsi travolgere dalle cose, ma si deve, per quanto è possibile, dominare gli eventi. E, quindi, imporre a sé stessi, liberamente, una regola di vita, che significa prendere un foglio bianco ed una penna, perché credo nel contatto della mano che scrive e penso ci sia più personalità nell’esprimere i propri pensieri mediante la calligrafia. Se si vuole si può usare anche lo schermo di un computer o un di un telefonino, immaginare la propria giornata ideale ed all’interno di essa ritagliare un momento di silenzio, di raccoglimento. Per i credenti potrà essere una preghiera, per chi non crede potrà essere un incontro con il proprio sé, un incontro con le proprie domande, con i propri silenzi, con le proprie paure. 

Ecco, ritengo sia importante avere ogni giorno, possibilmente alla stessa ora, un momento di questo tipo. Poi ci sono tanti strumenti per imparare la cosiddetta “Mindfulness”, cioè il controllo della mente, perché è a quello che bisogna arrivare. Adesso, in questa risposta, mi posso solo limitare a dire che la via per giungere alla consapevolezza e, quindi, ad un ingrediente necessario per una vita libera è esattamente la disciplina che impone a noi stessi, ogni giorno, un momento di raccoglimento.»

“Una condizione indispensabile della libertà è la solitudine, quei pochi momenti nei quali non indossiamo più alcuna maschera perchè, essendo soli con noi stessi, non calchiamo nessun palcoscenico (tratto da Il coraggio di essere liberi, Vito Mancuso).

L’importanza del volontariato

Portobello, un’associazione di beneficenza

Maria Sofia Vitetta, 2D | 16 aprile 2022

Portobello è un’associazione di beneficenza modenese che ha anche supportato il nostro liceo nella spedizione di farmaci in Ucraina. Gestisce, inoltre, un emporio cioè un supermercato dove le persone con difficoltà economiche possono fare la spesa pagando con una tessera fornita dai servizi sociali. Alcune volontarie ci hanno raccontato la propria esperienza, descrivendo sia il sostegno economico offerto dall’associazione, sia la sensazione di “benessere interiore” che questa attività ogni volta regala loro. Il volontariato diventa, così, un aiuto reciproco che si costruisce giorno dopo giorno: confortando gli altri, allo stesso tempo si “rinnova” anche se stessi. Si prova un nuovo vigore, quello del piacere nello scorgere un sorriso sui volti di chi si aiuta, quello della gioia di scambiare un semplice buongiorno, di incontrare numerose persone, vite che, per qualche istante, diventano l’una parte dell’altra tra gli scaffali e la cassa dell’emporio. 

Sono molte le persone che usufruiscono di questo servizio, ma quali sono i criteri di accesso?

«Riceviamo gli “utenti”, così chiamiamo chi si rivolge a noi, controlliamo il numero dei punti, che è legato al loro ISEE ed al numero dei componenti del nucleo familiare. Si ottengono, così, i vari punteggi: ad esempio, una sola persona ha diritto a 60 punti, 2 dispongono di 90 punti e via dicendo. Sono inviate dai servizi sociali, con cui abbiamo dei contatti. Qui possono fare la spesa ogni sei mesi.»  


Facendo volontariato, è mai rimasta particolarmente colpita da un gesto o da una frase di un “utente”?

«Mi è capitato di ricevere una lettera di ringraziamento da parte di una signora che ha espresso la sua gratitudine, perché questo emporio sociale è stato per lei un grandissimo supporto. In molti ci ringraziano, anche se noi diciamo loro semplicemente una parola di conforto. Mi piace essere di aiuto e di sollievo per gli altri e gli altri lo sono per me, perché è bello vedere che le persone sono contente e soddisfatte. Nei giorni scorsi, invece, un’altra signora, mi ha chiesto: “Posso donare dieci dei miei punti per gli ucraini?”. Le ho risposto che al massimo poteva comprare qualcosa e donarlo dopo. Ecco, lei era un’utente disposta persino a regalare dieci punti della sua spesa.»


I prodotti che reperite dalle donazioni o dalle raccolte nei supermercati sono a scadenza stretta?

«Molti sì, ma non tutti. Se la merce è sugli scaffali, si può prendere anche se è scaduta, perchè ci sono alcuni giorni oltre la scadenza in cui i prodotti sono ancora buoni.»

E per quanto riguarda i volontari?

«Di volontari ce ne sono. Alcuni sono giovani degli scout, altre sono persone della parrocchia o pensionati. Molti utenti diventano a loro volta dei volontari. In questo modo capiscono da dove hanno ricevuto l’aiuto e tutto ciò che c’è dietro, come si reperisce e arriva la merce, come si svolgono le raccolte. Questo è anche uno dei lati positivi.»

Portobello dispone anche del “villaggio per crescere”, uno spazio per i bambini dove i genitori possono lasciare i propri figli mentre fanno la spesa. Questa proposta fa parte dal progetto “Nati per leggere” e “Nati per la musica”. «Il pensiero che c’è dietro è che la povertà economica si possa affiancare anche ad una povertà culturale». Qual è l’obiettivo di questa iniziativa?

«L’intenzione è quella di stimolare i più piccoli anche in situazioni che non sono normalmente fruibili. Noi qui accogliamo bambini 0-6, cercando di valorizzare il momento della lettura, della condivisione e l’utilizzo del gioco come strumento di mediazione, anche con oggetti poverissimi e di nessuna importanza. Ci sono tappi, fogli di carta, giornali, materiali che non vengono pensati come giocattoli, ma qui lo sono, lo diventano e sono fondamentali. Questo perché la maggioranza dei genitori, anche se in difficoltà, dà ai propri figli il cellulare come primo strumento, anche se questo non si dovrebbe fare. La scusa è quella che un giocattolo ed un libro costano, mentre in realtà ci si può divertire tantissimo ed essere stimolati anche solo con una bottiglia di plastica, senza usare necessariamente il cellulare. Noi cerchiamo di ricostruire un ambiente che possa essere stimolante.»

Qual è il modo con cui preferite stimolare i più piccoli?

«Qui a Portobello abbiamo molti dei libri donati dalle famiglie modenesi a Porta Aperta. Noi volontari  li andiamo regolarmente a prendere, scegliamo tra ciò che viene proposto e regaliamo un libro a ogni bambino che viene al “villaggio per crescere”. Lo facciamo per dare loro uno stimolo, perché gli studi da 20 anni a questa parte dimostrano che è molto importante venire a contatto con i libri in età precocissima. Normalmente solo le persone che hanno una motivazione alta vanno in biblioteca. I nostri utenti generalmente no, perché i bisogni sono grandi, spesso economici o di sopravvivenza, magari le famiglie non hanno nemmeno una casa. I genitori prima devono risolvere quei problemi, senza poter pensare al resto.»

Gli altri: indagine sui nuovissimi mostri

Palazzo Martina e Tastan Yagmur, 4GL | 24 marzo 2022

Il 23 marzo 2022, la nostra classe, 4Gl, accompagnata dalle prof Maria Paola Fregni e Anna Fantini, ha assistito a uno spettacolo teatrale al Teatro Tempio di Modena come progetto PCTO. Abbiamo deciso di raccontarlo perché ci è sembrata una fantastica e illuminante esperienza sulla conoscenza del mondo e della società odierna.

"Gli altri” è uno spettacolo teatrale creato dai Kepler-452, inscenato da Nicola Borghesi e registrato insieme a Riccardo Tabilio. Lo spettacolo si apre tramite la visione di un breve filmato, dove si mostra Mario Lombardino, un pizzaiolo di Lampedusa, il quale attacca verbalmente, in modo estremamente violento, Carola Rackete, un’ambientalista, attivista e comandante di nave tedesca che viene arrestata scendendo dalla sua nave da salvataggio Sea-Watch, con a bordo 42 migranti stremati. 

Nella prima scena l'attore fa un monologo sul breve video e si sofferma in particolare sul quanto lui e Mario siano tanto diversi ma allo stesso tempo simili.  

La rappresentazione è poi proseguita con la riflessione del regista-protagonista sulla differenza tra loro e noi, e per fare ciò ha inscenato una seduta dallo psicologo, non riuscendo però a trovare più di tante differenze tra i cosiddetti loro e noi, in questo caso se stesso. 

La scena successiva, molto coinvolgente è quella del bar, dove viene trattato un altro argomento: la rabbia. Qua viene mostrato Nicola, che racconta di una sua esperienza personale in relazione con questa emozione: una serata, inizialmente tranquilla, si trova con una sua amica dentro questo bar. Quando il luogo inizia ad affollarsi, iniziano ad affollarsi anche i sentimenti dentro l’attore, il quale voleva trascorrere una semplice serata con la sua amica e finisce per passare la serata con la sua rabbia. Verso la fine dello spettacolo, si impersona in Mario Lombardino, tramite un climax di rabbia che si conclude con lui che arriva davanti alla nave di Carola Rackete e ripete le parole dette inizialmente nel video. 

Un altro punto su ci fanno riflettere i Kepler-452 è che tutti abbiamo della rabbia interiore, che forse non è sempre esplicita, ma che anche chi non la mostra apertamente ne ha e non si può sopprimere questo sentimento, bensì cercare di usarlo a nostro vantaggio. 

Siamo tutti uguali ma allo stesso tempo diversi, com’è possibile? Siamo uguali in quanto esseri umani, con due gambe, due braccia, due occhi, un naso e una bocca. Siamo uguali in quanto esseri viventi dotati di intelletto e ragione, che riescono a scegliere ciò che è meglio per loro, ma nonostante ciò siamo molto diversi tra di noi. Diversi siccome ognuno di noi ha una sua personalità, una sua caratteristica, un proprio modo di fare. In sintesi siamo esseri unici e irripetibili: questo è il bello della diversità. Esiste un tipo di uomo migliore degli altri? A questa domanda non tutti daranno la stessa risposta: c’è chi dirà che esistono persone migliori di altre per bizzarre ragioni, e chi dirà che non esiste un tipo che prevale sugli altri. 

Nella vita di tutti i giorni, siamo in relazione con gli altri, spesso senza pensarci più di tanto, ma possiamo riflettere su questi punti tramite anche questo spettacolo, inscenato da questo giovane artista, Nicola Borghesi. 

Sinceramente il teatro non ci appassiona tanto, perché lo sentiamo distante da noi. Questo spettacolo, però, è stato particolare, coinvolgente ed istruttivo: i Kepler-452 sono riusciti ad affrontare un argomento molto complesso e trattando i punti principali, rendendo lo spettacolo adatto anche una fascia d’età delicata, come quella adolescenziale. Vorremmo concludere dicendo che è stata un’esperienza davvero bella, che ci ha dato molti spunti di riflessione su come si rapporta una persona con la propria rabbia, sulla dignità delle persone, sul peso delle parole, sulla diversità, sul confine tra la nostra identità reale e virtuale, sulle nostre identità e come si agisce quando ci si trova in mezzo agli altri.

GIORNATA DELLA MEMORIA IN RICORDO DELLE VITTIME INNOCENTI DELLE MAFIE

Non dimentichiamole

Letizia Lancellotti e Giulia Nora, 4B | 22 marzo 2022

Il 21 Marzo, nella sede dell’Università di giurisprudenza a Modena, è stata celebrata la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, organizzata ogni anno da Libera. Associazioni, Nomi e Numeri contro le Mafie.

La Giornata , inaugurata nel 1996 e giunta alla sua XXVII edizione, è stata riconosciuta ufficialmente dallo Stato, attraverso la legge n. 20 dell'8 marzo 2017.

Come ogni anno, durante l' incontro, è stato letto il lungo elenco dei nomi delle vittime conosciute, che ormai ammontano a 1055 persone.

Questa volta c' eravamo anche noi, ragazze e ragazzi della 4B, coinvolti dopo aver partecipato proprio con Libera Modena al PCTO sulla Legalità. Come tutti gli altri partecipanti, rappresentanti delle istituzioni e semplici cittadini , ci siamo commossi.

Pronunciando ogni nome, tante storie ancora non conosciute,tante vite di persone che sono state strappate ingiustamente alle loro famiglie, ritornano a vivere nel ricordo. 

Ripetere i loro nomi in pubblico è ripetere la verità che si cela dietro spietati e inumani omicidi. Il diritto alla verità non appartiene solo alle famiglie delle vittime, ma a tutti noi.

Grazie a queste iniziative, la comunità ha la possibilità di indirizzare il proprio coraggio, la propria passione e il proprio impegno nel dare un segno significativo, per dire: "ci siamo e agiamo, non dimentichiamo".

Tutti infatti possiamo contribuire a ricucire le ferite, soprattutto possiamo contribuire a prevenirle. Partecipare a questa giornata è stato quindi il nostro modo di opporci a chi nasconde la verità e ci ruba la speranza. 

Esplode lo sciopero: 

Le scuole d’Italia sono una polveriera e Bianchi annuncia il secondo scritto.

Francesco Dembech, 5B | 4 febbraio 2022

“Ci ha dato un esame carico di ansia e stress, venerdì gli facciamo un corteo fin sotto le finestre”. Queste le parole che fin dall’inaspettato annuncio hanno messo in guardia il ministro Bianchi e il suo gruppo di lavoro che da pochi giorni a questa parte hanno annunciato fieramente il cambio di rotta. Niente più tesina o altre diavolerie da pandemia: si torna alla Maturità classica con il secondo scritto.  Una decisione che ha sconvolto non solo gli studenti ma anche i professori e i presidi di molte scuole, che hanno prontamente reagito chiedendo un passo indietro. I pareri sono vari e vari sono gli ideali che hanno spinto gli studenti a manifestare il proprio dissenso in tutta Italia, da Roma a Torino. 



Qualche grido di lamento si è levato anche da Modena, precisamente presso il lato delle tribune del parco Novi Sad, la mattina di venerdì 4 febbraio. Niente di paragonabile alle grandi città della penisola, e certamente la scarsa partecipazione o la mancata presa di posizione da parte dei modenesi ha fatto riflettere giovani e adulti: “Sono felice che una parte di noi sia pronta a battersi e a esprimere la propria opinione, ma saltare la scuola e rimanere a dormire non è il giusto metodo per ottenere dei risultati: non deve apparire come una perdita di tempo, ma lo può diventare se si mette da parte l’obiettivo vero che si vuole raggiungere”. 



Un obiettivo che non consiste solamente nel rivalutare la questione del secondo scritto, che “ha colto impreparati tutti”, che “sottovaluta gli effetti negativi di tre anni di didattica a distanza e di difficoltà di apprendimento", che “non si confronta con il parere reale delle scuole”. 



Questa è per molti manifestanti, modenesi e non, solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso di una rete molto più complessa di mancanze e malessere e di una generale assenza di dialogo e di confronto concreto, da tempi antichi e molto più antichi del Covid, tra i governi e l’Istruzione da una parte e studenti, professori e scuole dall’altra. “Sono qui anche per Lorenzo Parelli, perché è importante ricordare che la seconda prova scritta non è l’unico affronto che viene fatto a noi studenti”. 

Maturità 2022: un solo scritto

Francesco Dembech e Ernesto Bossù, 5B | 28 novembre 2021

Giovedì 18 novembre. Il quotidiano Repubblica esce con una notizia bomba: «Un'altra maturità snella con orale e tesina, ma niente prove scritte». E il polverone si alza. I sindacati salgono in cattedra, tanto per rimanere in ambito scolastico, e la CISL, tramite la segretaria nazionale della scuola Maddalena Gissi, giudica l’ipotesi «un danno enorme per il sistema di istruzione, per il paese e per i ragazzi stessi». Ma controbattono decine di migliaia di firme di adolescenti, più di 40mila, che chiedono l'abrogazione temporanea della prima parte della prova di maturità. Insomma, gli attori della scuola si scontrano. Anche tra gli insegnanti ci sono divisioni. Alcuni ritengono inutile stressare ulteriormente i ragazzi dopo un periodo difficile, per altri emulare l'ultimo vero esame, risalente al giugno del 2019, significherebbe tornare alla normalità. 

Ma alla fine a decidere è (forse più corretto dire sarà, visto che al momento si sta rimandando sempre più in là la scelta), il ministro dell'istruzione Patrizio Bianchi. Il quale tenterà con tutta probabilità di mediare tra le due posizioni, apparentemente inconciliabili, proponendo una soluzione di questo tipo: esame con tesina, commissari interni e prova scritta unica in tutte le scuole di italiano.

Attendendo una presa di posizione netta del ministro Bianchi, sentiamo cosa ne pensano i maturandi.


 

“Credo che la prova scritta di italiano sia un’opportunità in più per esprimere le proprie conoscenze a livello linguistico ma anche per esprimere opinioni e punti di vista su argomenti di attualità, e quindi un modo per lasciare che gli studenti aprano la mente e il cuore su ciò che è nelle loro corde”. 

Emma

 


“La prova di italiano la farei, e in generale penso sia giusto fare almeno una prova scritta, perché ci sarebbe così la possibilità di fare un barlume di -maturità normale-, e perché questo sarebbe la conferma che si sta tornando verso una semi-normalità”. 

Beatrice 

 


Se i pareri sono discordanti già in qualsiasi ambito della vita in una società, ugualmente non possiamo che aspettarci nette differenze e contrastanti punti di vista se si parla di maturità nell’ambito del liceo classico, o se si parla di maturità in un altro liceo, o in un qualunque tipo di istituto, dove la materia di italiano è vista chiaramente con peso diverso. 

 


“A me andrebbe bene fare la prova scritta di italiano, perché mi piace molto scrivere, e perché è sicuramente più semplice che fare una versione di latino o di greco”. 

Margherita, liceo classico

 


“Non mi lamento, matematica e fisica non sono il mio forte. Ma penso che, anche se per certi versi lo scritto di italiano potrebbe essere una bella fonte di ispirazione per dimostrare la propria -maturità-, potrebbe essere abbastanza limitativo in scuole come un liceo scientifico o altri istituti dove sarebbe più utile essere valutati in matematica e fisica.”

Gaia, liceo scientifico

 


“Lo scritto di italiano può facilitare alcuni ma può mettere in difficoltà molti altri, la cosa migliore sarebbe andare incontro agli studenti per tutto ciò che hanno perso negli ultimi anni. Ma mi rendo conto che almeno ad oggi le condizioni siano più affrontabili di quelle che hanno affrontato i maturandi del 2020, e quindi già una prova scritta sarebbe sintomo di miglioramento”.

Andrea, istituto tecnico

Un'estate diversa dal solito: i campi di volontariato come nuova opportunità per crescere

Carlotta Fiorini, 4CL | 10 novembre 2021

Lo scorso anno ho scoperto il mondo dei campi di volontariato, di cui non avevo mai sentito parlare prima e che hanno stravolto la mia idea di estate. 


I workcamps sono dei progetti di volontariato rivolti ai giovani a partire dai 16 anni con durata variabile: i campi brevi durano fino a tre settimane e sono organizzati in Unione Europea, mentre quelli a lungo termine (per maggiorenni) possono durare anche vari mesi e sono aperti a tutti i continenti.

A luglio ho avuto l’occasione di partecipare ad un campo di volontariato di due settimane rivolto a giovani tra i 14 ai 17 anni a Nomeny, un paesino nella regione Meurthe-et-Moselle, nel nord-est della Francia. A mia sorpresa ero l’unica partecipante straniera tra altre 5 ragazze francesi, ma allo stesso tempo è stata una fortuna perché ho avuto l'occasione di praticare il francese con persone madrelingua in ambiti quotidiani. Eravamo accompagnati da una animatrice per quanto riguarda il soggiorno, mentre i lavori erano diretti da un tecnico ebanista, un ragazzo apparentemente fuori dagli schemi ma molto esperto in materia. Aveva portato con sé la sua cagnolina, anche lei diventata immediatamente compagna di esperienza. Abbiamo alloggiato in tende singole disposte ai margini di un campo da calcio del paese, e abbiamo potuto utilizzare la cucina, gli spogliatoi e i bagni degli sportivi. 


L’obiettivo del progetto ci è stato spiegato fin da subito: spingerci a diventare più indipendenti e a collaborare tra noi partecipanti. La collaborazione è infatti elemento chiave di questi campi: ogni giorno ciascuno deve occuparsi di un’attività diversa a rotazione (preparare la colazione, i pasti, lavare i piatti). Per quanto riguarda i lavori, abbiamo continuato i lavori di restauro della chiesa medievale di Nomeny, già iniziati l’anno precedente da altri volontari. Abbiamo levigato sia a mano che a macchina porte e finestre di legno, infine verniciato con pittura naturale prodotta da un esperto che ci ha aiutati. Durante le pause dal lavoro e la sera organizzavamo giochi di società o di gruppo; eravamo quindi sempre stimolati a socializzare con gli altri partecipanti. Non ho mai imparato così tanti giochi nuovi in così poco tempo! La preparazione dei pasti era ogni volta un'avventura: avevamo pentole o troppo grandi o troppo piccole, la temperatura del frigorifero era instabile e l'acqua arrivava a bollore dopo almeno mezz'ora. Per lavare i piatti, poi, scaldavamo l'acqua con un bollitore elettrico, che portavamo anche in chiesa quando restavamo lì a pranzare. Io, ovviamente, ho cucinato prevalentemente piatti di pasta, anche se venivo puntualmente corretta dai francesi su quali ingredienti era meglio utilizzare per cucinare (le ricette italiane!). 


Non sono mancate attività ricreative: gite nelle città vicine e passeggiate al lago o nel bosco. Per spostarci abbiamo utilizzato un mitico minibus noleggiato, che puntualmente aveva dei problemi: la maniglia della portiera era sempre rotta e per qualche giorno abbiamo dovuto entrare dal bagagliaio o da davanti perché la portiera di mezzo si era bloccata. Non sono mancati nemmeno momenti di condivisione e di incontro con gli abitanti del paese di Nomeny! Abbiamo anche organizzato un aperitivo insieme al sindaco, dove erano presenti anche giornalisti che hanno raccontato le nostre avventure sul quotidiano locale. Per l'occasione io mi sono occupata della preparazione del rinfresco, e ho avuto l'idea di  far loro assaggiare delle bruschette (ma anche in questo caso erano convinti fossero specialità francesi di Marsiglia…). 


Questa esperienza mi ha aiutata molto: ho imparato dei lavori pratici, sono riuscita a migliorare il mio francese, ma soprattutto ho avuto l’occasione di stringere rapporti con tante persone nuove. Ci siamo confrontati sulle nostre due culture diverse, e anche se i disguidi erano all’ordine del giorno non è mai mancata la voglia di stare insieme e di imparare. L’unico elemento negativo è stato, ironicamente, la durata: dopo due intense settimane di condivisione totale è stato difficile dire addio ai miei compagni di viaggio. Ma non solo: anche a Nomeny. Vedere finalmente i lavori finiti dopo tutti i nostri sforzi è stato davvero soddisfacente. Chi avrebbe mai detto che avrei lasciato una parte di me in un paesino sperduto tra le colline della Lorraine?

Muratori-San Carlo fuori sede

Le vostre esperienze all'estero

Martina De Prisco, 4CL | 25 ottobre 2021

Da molti anni la nostra scuola appoggia viaggi all’estero come per esempio Francia o Inghilterra, e per i più coraggiosi la Germania. La ragione per avventurarsi in questa nuova sfida? Beh, ovviamente per imparare meglio la lingua, ma soprattutto  vivere un’esperienza indimenticabile. 

In questo momento in cui la pandemia limita i nostri contatti e le nostre relazioni, i viaggi scolastici non si sono fermati, o meglio hanno trovato il modo per ripartire e farci sognare nuovamente di queste esperienze. Al momento i mitici stage linguistici, con una bella compagnia ad accompagnare un lungo viaggio, non sono adatti perché non consentirebbero un viaggio sicuro e in linea alle norme vigenti per il Covid-19. Ma ciò non significa che a scuola non ci siano progetti di questo tipo: è il caso del progetto Erasmus+. Ovviamente c’è la possibilità anche di rivolgersi a delle agenzie, facilmente tracciabili sul territorio modenese, ma con il progetto Erasmus+ sei catapultato anche in realtà poco ‘convenzionali’ come ad esempio la Bulgaria (una delle mete Erasmus bando 2019). Questo tipo di viaggio  è consigliato soprattutto per gli studenti del triennio, ma ciò non toglie che con un buon livello d’inglese, lingua scelta dal progetto per comunicare, anche studenti più piccoli possano aspirare alla partenza. Quindi se siete interessati a lanciarvi in questa avventura, e saltare ore scolastiche (fate finta di essere dispiaciuti), state molto attenti durante le lezioni d’inglese. 

Inoltre è in corso anche la possibilità per gli studenti di quarta di mobilità di un mese e di fare un tirocinio in aziende europee. Perché farlo vi chiederete? Prima di tutto è una delle prime possibilità di questo genere che la scuola offre; secondo tutte le ore di tirocinio saranno cumulate in ore di PCTO e quindi crediti; terzo iniziare a farsi un’idea di cosa fare dopo aver finito, finalmente oserei dire, il liceo. Perché la vera vita inizia dopo la fine della scuola, dopo tutte le emozioni , belle e brutte, che ci hanno accompagnato durante questi anni scolastici.

Fare questo tipo di viaggio, ma in generale ogni tipo di stage, dovrebbe essere uno spunto per migliorarci, non solo come studenti ma prima di tutto come persone. Oltre a voti e studio, c’è molto di più ed è grazie a  questo tipo di esperienze che dovrebbe uscire: la vostra vera persona, senza le pressioni che la scuola, in un modo o nell’altro provoca. Perché ammettiamolo decidere di partire e stare lontano dalla propria comfort zone non è facile. Inizialmente vi sentirete fuori luogo, spesso da soli e dovrete cavarvela solo con le vostre forze. Ci saranno dei momenti no, ma non per questo dovrete lasciarvi abbattere. Tenete duro e andate avanti. Quando tornerete sarete cresciuti e maturati e potrete raccontare quelle esperienze che adesso faranno parte di voi. Come scrisse il filosofo Voltaire nella sua opera Candido e l’Ottimismo: ”E’ certo che bisogna viaggiare”. 

L’augurio e lo scopo che auspichiamo per questa rubrica non è farvi la cronaca di viaggi,  perché potreste benissimo andarle a chiedere ai diretti interessati. Sono le emozioni e le sensazioni quelle più interessanti da indagare. Vedere il luccichio nei loro occhi al solo ricordo di un momento felice, la naturalezza nel raccontare un episodio esilarante. Perché che si voglia o meno si lascia sempre un pezzo di cuore in queste esperienze, ed è questo che dovrebbe emergere. 

Questo è solo l’inizio di quella che sarà questa rubrica, anche se forse diario sarebbe più appropriato. Se siete interessati , mi raccomando stay tuned. Presto ci saranno interviste ai ragazzi di ritorno dalla Francia, aneddoti da muratoriani fuori sede e tanto altro...

«Questo atto d’amore estremo, grandissimo che è l’insegnamento»

Tre domande a Beppe Menegatti*

Maria Sofia Vitetta, 2D | 28 settembre 2021

Da ragazzo, aveva un idolo o, comunque, una persona che ammirava e da cui prendeva esempio?

Da giovanissimo avevo un riferimento preciso in un personaggio politico importante, Giorgio La Pira, che, per un periodo, divenne anche sindaco di Firenze. Nel mondo del teatro, se si vuol sapere qualcosa, una persona che ho ammirato straordinariamente, fino a che lei se n'è andata, era una grande danzatrice russa, Galina Ulanova. Per me è stata, come si può dire, un’insigne maestra. Poi ho avuto una grande fortuna, quella di avere due professori di italiano. Uno si chiamava Fallacara, ottimo scrittore, e un grande maestro, il professore Navarria, catanese, che mi hanno aperto il cervello. E su quello è iniziata la mia vita ed è andata avanti.


Avrebbe qualche consiglio per avvicinare i ragazzi al teatro?

Vorrei dare dei consigli ai professori perché, in questo momento storico, credo che la responsabilità massima sia degli insegnanti: non ci sono politici, non ci sono imbonitori. Ci sono i maestri prima e i professori dopo, perché la grande formazione morale e, oserei dire anche fisico-morale, si fa veramente attraverso un insegnamento preciso, morale appunto. Credo che le persone che hanno un ruolo fondamentale in questo momento siano i maestri, per quel che riguarda la scuola elementare, e certi professori, per  quel che riguarda la vita scolastica successiva. Lo dico perché è molto più importante di qualsiasi altra cosa, sia la preparazione, sia questo atto d’amore estremo, grandissimo che è l’insegnamento.

Si va perdendo assolutamente una cosa che è validissima, si va perdendo la grande tradizione della nazione. Non c'è da lamentarsi sulla diffusione scolastica, poiché in molti frequentano la scuola. In questo momento, però, c’è da supplicare che i professori siano all’altezza dell’amore che devono avere nell’insegnamento, allora lì sarà la salvezza.

Cosa direbbe ai giovani per superare questo momento di difficoltà?

Avere una grande pazienza. Chiedere dei consigli a dei vecchi. Ad esempio, io posso dare dei consigli perchè ho vissuto un momento molto più grave di questo del covid. Ai miei quattordici/quindici anni ho vissuto la fine della tremenda ed orrenda storia della Seconda Guerra Mondiale. Fidarsi con oculatezza, con sapienza dei consigli dei vecchi. Vedere di fare una discriminazione tra vecchi buoni e vecchi cattivi, proprio come qualità. Seguire veramente i consigli dei professori. Perché questo suscita una dinamica interna. Io so che chi vuol capire capisce. Oserei dire che questo è un momento in cui c'è bisogno di salvezza. C’è l’adeguatezza intellettuale dei giovani, perché sono molto più preparati di come eravamo noi ottanta anni fa. D’altra parte, però, c'è anche questa specie di stupidaggine di non avere, oserei dire, pietà di se stessi. Chi vuol capire capisce.

*Beppe Menegatti, regista teatrale fiorentino. Durante la sua carriera ha collaborato con Luchino Visconti, Eduardo De Filippo e Vittorio De Sica. È stato il marito della ballerina classica Carla Fracci. 

Gli studenti ad una voce:

i dettagli dello sciopero del 30/04

Francesco Dembech e Ernesto Bossù, 4B | 15 maggio 2021

Venerdì 30 aprile è stata una giornata storica. Per la prima volta dopo anni gli studenti si sono uniti spontaneamente e sono tornati a mobilitarsi, in una galassia di città, per far sentire la propria voce e le loro richieste: l’abrogazione dei doppi turni, ideati dalla Prefettura locale per consentire la presenza al 70% imposta da Decreto, per le controproducenti conseguenze sui trasporti e sulle vite di ognuno dei singoli studenti. In moltissimi istituti di Modena e Provincia migliaia di adolescenti hanno scioperato e sottoscritto il “Manifesto per preservare i diritti delle studentesse e degli studenti”, documento redatto da Rappresentanti d’Istituto di tutta la Provincia che mette in luce problematiche e soluzioni possibili: 

 


“(...) Sono già giunte segnalazioni di decine e decine di adolescenti che non hanno la corriera nell’orario di uscita da scuola e che, tramite una giustificazione fornita dalla scuola ma proveniente dalla Provincia, hanno l’autorizzazione ad uscire anche mezz’ora prima della fine naturale delle lezioni. Per noi questo è inaccettabile. Non vogliamo pagare per carenze di altri perdendo ore di istruzione. Cosa fare?

Oggi, è necessario abolire i doppi turni e rielaborare gli orari dei trasporti, per consentire ai maturandi e non solo di lavorare in modo tranquillo ed efficiente in quest'ultimo mese (...). Domani, bisogna investire in modo deciso sull’istruzione pubblica. A settembre la presenza al 100%, con una situazione epidemica favorevole, deve essere garantita (...).


 

Paradossalmente, gli studenti non avrebbero potuto conciliare la scuola con lo studio. E questo ha interessato in particolare gli studenti della provincia che, in queste circostanze, tornando a casa in orario serale, e senza probabilmente aver pranzato, avrebbero dovuto fiondarsi subito sulla scrivania per evitare di tornare impreparati in classe il giorno successivo, mettendo da parte qualsiasi tipo di impegno pomeridiano, dalle lezioni private alle ore di scuola guida, dai corsi formativi alle attività sportive. D’altra parte, ci sarebbe stato anche il problema di adattare, in questo via vai di persone ad ogni ora del giorno, un trasporto pubblico che si è dimostrato fragile e limitato da tempi anche precedenti alla pandemia. 

 


Il tavolo di lavoro centrale è stato coordinato da React, associazione studentesca che con i propri rappresentanti d’istituto ha contribuito alla realizzazione della manifestazione e alla diffusione sui canali social del “Manifesto” rivolto alle istituzioni, attraverso una petizione pacifica che ha raggiunto in poco tempo quasi 1500 firme. E nonostante la Consulta provinciale studentesca abbia constatato che i doppi turni erano “l’unica decisione possibile”, dopo che gli studenti hanno dimostrato uniti la loro profonda disapprovazione, il Presidente della Provincia Tomei ha dichiarato che si sarebbe lavorato “per garantire l’entrata a turno unico alle 8:00”.

La Didattica a Distanza e le sue conseguenze: parlano gli esperti

Ernesto Bossù, 4B

Da Lunedì 15 marzo 9 studenti su 10, nella nostra penisola, sono in DAD. Il covid-19 colpisce ancora una volta le scuole, accusate di essere uno dei luoghi preferiti per la diffusioni del virus, in particolare dopo la diffusione della variante inglese. Secondo l’ISS, “In Italia, si è stimato che la cosiddetta ‘variante inglese’ del virus Sars-CoV-2 ha una trasmissibilità superiore del 37% rispetto ai ceppi non varianti, con una grande incertezza statistica (tra il 18% ed il 60%). Questi valori sono in linea con quelli riportati in altri paesi, anche se leggermente più bassi, che induce a considerare l’opportunità di più stringenti misure di controllo che possono andare dal contenimento di focolai nascenti alla mitigazione”. Aumenta il carico Gianni Rezza, Direttore generale della Prevenzione presso il Ministero della Salute, che in conferenza stampa parla di una “Variante inglese di coronavirus che colpirebbe più i bambini e i giovani in generale.”


Ma parliamo di dati: a livello regionale dal 14 settembre, tra licei, tecnici e professionali, ci sono stati 5.456 casi, su una popolazione studentesca e di docenti delle superiori che complessivamente vanta circa 200 mila persone. Tra il 7 gennaio e il primo marzo, si sono verificati 83 focolai, con 400 positivi in totale, sempre tra alunni e docenti. I positivi sono dunque meno del 3%, da inizio anno scolastico. Nonostante questo il presidente della nostra regione, Stefano Bonaccini, ha varato un'ordinanza, il 4 marzo, valida per la provincia di Modena e per la città metropolitana di Bologna che prevedeva il passaggio diretto da zona arancione a rossa e quindi DAD al 100% alle superiori nei territori citati, poi ampliata dal ministero con il passaggio dell’intera regione nella fascia di massimo rischio 10 giorni dopo.


Una situazione, dunque, abbastanza complicata. La DAD porta con sè disagio, soprattutto sociale, ma anche economico e mentale. Le superiori fanno storia a sé, gli studenti sono maggiormente autonomi rispetto ai più piccoli e i congedi parentali, sebbene siano destinati alle famiglie con minori di 16 anni, verranno usati poco dalle stesse con teen-ager in casa. Rimane però un enorme problema sociale e mentale. Susanna Esposito, infettivologa e docente universitaria a Parma, ha detto all’Avvenire che “ci sono decine di pazienti con problemi psichiatrici seri che hanno richiesto assistenza ospedaliera solo negli ultimi due o tre mesi nella gran parte delle città italiane.”. “Un fenomeno mai visto” - continua l’Esposito - “che nell’età compresa tra i 13 e i 17 anni ci siano molti minori con tendenze suicidarie e  bambini con meno di 10 anni che riportano complicanze di anoressia”. 


“Durante il primo lockdown” - commenta a Modena Today Maria Corvese, Responsabile dell'Unità operativa Centro Adolescenza di Modena - “gli studenti avevano preso la DAD come una novità, per dedicarsi anche a ciò che gli piaceva (la tecnologia). Ma nell’anno scolastico corrente” - sottolinea - “dopo un breve periodo di Didattica in Presenza, la scuola in DAD ha cominciato a chiedere più attenzione e più compiti”. Questo porta inevitabilmente uno stress maggiore, e la stessa Corvese fa notare come, al Centro Adolescenza Provinciale, siano arrivati molti ragazzi “tristi”. Vista da una  prospettiva più ampia, il momento difficile lo sta passando gran parte della popolazione italiana, dai più giovani agli anziani. “Anche se” - fa presente la dottoressa - “i giovani si stanno formando, hanno bisogno di socialità. Questo preciso momento storico è caratterizzato da due spinte, che coinvolgono gli studenti: da una parte il ritiro sociale, il non uscire, perché o non ne vale la pena o pensano di non farcela in un periodo così complicato, dall’altra l’arrabbiarsi, soprattutto per una promessa non mantenuta (vedi l’esempio del Natale) e protestare, o in piazza, canalizzando così la rabbia, o uscendo con gli amici in gruppo”. La deflessione delle prestazioni scolastiche è il sintomo più evidente della depressione giovanile, che si può però combattere, parlandone anche con i genitori. “Tantissimi ragazzi” - conclude la dottoressa - “ce la possono fare a superare il momento triste, parlandone con i genitori, che si devono però aprire con i figli”. 


La nostra è stata una delle poche scuole che ha offerto, costantemente, uno spazio d’ascolto con una esperta. Silvia Paris, psicologa della scuola, fa il punto della situazione a livello d’istituto: “Lo sportello d’ascolto della vostra scuola ha da sempre registrato un alto numero di richieste di colloqui, che non corrisponde assolutamente ad un alto numero di problematiche psicologiche nei ragazzi, quanto ad una profonda consapevolezza e maturità rispetto alla necessità di confronto e riflessione rispetto ai compiti evolutivi della vostra età e a tematiche emotivamente profonde che vi trovate ad affrontare come adolescenti. Quello che ho sicuramente registrato tuttavia nell’ultimo anno è un aumento non tanto numerico quanto un cambiamento di tipo qualitativo delle richieste”. Questo è un po’ controtendenza rispetto alla situazione nazionale, dove invece aumenta, il numero di richiedenti di aiuto psicologico. “Molti ragazzi” - continua la Paris - “non portano tematiche legate ad aspetti relazionali o tipici della costruzione del progetto di vita, ma piuttosto malesseri psicologici e preoccupazioni profonde che hanno la loro manifestazione talvolta sia in termini di sintomi psicopatologici che di ritiro sociale”. 


Il ministro dell'istruzione Patrizio Bianchi ha rilasciato a inizio marzo, al quotidiano “La Stampa”, un'intervista nella quale afferma che “faremo formazione mirata per i nostri docenti sulle nuove forme di didattica. Investiremo risorse per affrontare questa fase. Attiveremo la rete del volontariato a supporto della scuola, favoriremo i patti di comunità con il territorio, guardando anche oltre l’emergenza, considerando la DAD non come ripiego ma come integrazione e arricchimento per costruire una scuola nuova”. Facile dedurre, dunque, che nelle idee dell’ex-assessore emiliano-romagnolo, ci sia l’idea di conservare la DAD, con i suoi aspetti positivi. Secondo la Paris, “L’utilizzo della DAD al termine della pandemia potrebbe essere una buona integrazione al programma scolastico tradizionale, se sfruttata nelle sue caratteristiche migliori, ma mantenendola appunto solamente come una integrazione in momenti ed aspetti specifici della vita scolastica”. “La scuola in presenza” - continua - “seppur sia certamente stressante per alcuni aspetti, contribuisce alla costruzione di relazioni sociali fondamentali per l’equilibrio e la crescita dei ragazzi”. 


Viene poi poco considerato un altro enorme problema: quello linguistico. Come sottolineato dal linguista Tavoni nell’intervista curata da Francesco Dembech proprio per Status Quo, “un terzo (della popolazione studentesca) è quella degli studenti che sembra non siano mai stati alfabetizzati. Ed è inaccettabile, in termini di spreco di risorse umane e sociali, che un terzo degli studenti spenda circa 13 anni della propria vita a scuola senza aver concluso niente, niente di concreto e utile per sé.”. E ancora “dilaga un analfabetismo spaventoso, e la scarsa cultura media si riversa inevitabilmente nei comportamenti sociali e civili e nella capacità di esercizio della cittadinanza”. Un sondaggio condotto a gennaio dall'associazione studentesca React e diffuso anche nella nostra scuola, considerate le abbondanti 1800 risposte ha reso noto il fatto che più dell’80% degli studenti non riescano a concentrarsi, o riescano solo in parte, in DAD. Dunque è evidente che a livello di grammatica e di lingua italiana gli studenti stiano perdendo in Didattica Digitale ore importantissime di lezione. Rischiamo, e l’ipotesi non è così remota, di perdere una generazione intera e di avere milioni di analfabeti funzionali in futuro. O si interviene adesso, o la sfida con noi stessi per un futuro migliore si perde in partenza.

La nostra lingua non è petalosa; e non tutti oggi sono geni come Dante. Conversazione con Mirko Tavoni

Francesco Dembech, 4B | 14 marzo 2021

Alcuni studenti della nostra scuola, assieme ad altri ragazzi di “React”, associazione studentesca che promuove cultura, informazione e partecipazione alla vita scolastica e sociale, hanno avuto l’occasione di incontrare ed intervistare, in una riunione su Google Meet aperta a tutti gli interessati, una grande personalità nel panorama intellettuale del nostro paese, Mirko Tavoni. Ma cosa possiamo dire di lui?

Mirko Tavoni nasce nel 1949 a Modena. A 19 anni vince una borsa di studio per la Normale di Pisa, e qui si laurea in lettere con 110 e lode. Tra le tante faccende culturali che compongono il suo curriculum, possiamo ricordare che dal 2017 è accademico ordinario della Crusca e ha insegnato, fino a due anni fa, all’università di Pisa. Attualmente è presidente onorario di ICoN (“Italian Culture on the Net”), la più importante unione di Università che si occupa di studi danteschi. 


Viviamo un periodo storico in cui la lingua italiana subisce continue semplificazioni a livello sintattico e morfologico. Questo nuoce, secondo lei, alla comunità?

Dagli anni del dopoguerra in poi gli storici della lingua hanno notato che l'italiano che si stava affermando era sempre più disinvolto e rilassato, in conseguenza del fatto che stava diventando la lingua parlata da tutti. Cosa che prima non era, anzi aveva alle spalle la tradizione secolare di una lingua elitaria, colta e letteraria. Non veniva utilizzata come lingua di comunicazione, e ancora a metà del Novecento l’Italia aveva una lingua prevalentemente dialettofona. L’Italia ha raggiunto l'unità politica molto in ritardo rispetto agli altri paesi, le cui lingue hanno abbandonato molto prima la loro matrice letteraria. L'italiano è rimasto una lingua esclusivamente letteraria fino a tempi recenti, e perciò è ovvio che ad oggi tenda a semplificarsi: è un fatto positivo perchè sintomo dello sviluppo della lingua. 


Cosa ci può dire dell’Accademia della Crusca?

L’Accademia della Crusca nacque alla fine del Cinquecento a Firenze, come istituzione tradizionalista con lo scopo di vigilare sulla purezza della cultura e della lingua italiana. E da allora in tutta Europa si iniziò la costruzione di accademie linguistiche proprio su modello dell’Accademia della Crusca. Negli ultimi trent’ anni l'Accademia si è molto liberalizzata grazie agli studiosi illuminati che l’hanno presieduta, e ad oggi si prefigge vari scopi, tra cui favorire l’utilizzo internazionale dell'italiano per lo scambio di idee, ma soprattutto per l’attività economica nella comunità europea, e offrire un servizio di consulenza linguistica e di monitoraggio, cercando quando possibile di opporsi al dilagare degli anglicismi superflui.


Si ricorda le discussioni dopo l’introduzione di “petaloso”?

Petaloso” è il perfetto esempio di come ciò che ha un seguito nei media è spesso irrilevante. Non è questo che importa. L'italiano è una lingua viva, produce continuamente parole nuove, e se ci sono parole che servono, entrano nell’uso comune, senza il bisogno di guardiani che dicano cosa si può e cosa non si può fare. 

E ciò che non serve viene rimosso, dimenticato. Vi faccio un esempio. Se dico che “sono arrivati molti studenti”, poi posso dire anche che “ne sono arrivati molti.” Ma se dico “qui hanno passeggiato molti turisti”, posso dire “ne hanno passeggiati molti”? Nessuno direbbe mai una frase del genere. Ma effettivamente si può dire, e questa è la prova della ricchezza di regole grammaticali che la lingua italiana, dalla sua nascita e in modo naturale, secondo logica, è riuscita a formare. 


Ha in mente qualcosa di particolare per il Dantedì? 

In realtà tutto l’anno è ricco di festeggiamenti per Dante. Faccio continuamente conferenze, o letture di canti. Il 22 marzo poi sarà pubblicato un film che descrive la figura di Virgilio nella Divina Commedia, e io ho dato il mio contributo per una parte delle scene, in una breve intervista in Piazza dei Miracoli. 


Ho sempre pensato che Dante fosse ossessionato da Beatrice, ma lui la amava veramente?

C’è anche chi si è chiesto se Beatrice sia esistita veramente o sia invece un mito letterario. Sicuramente è esistita, ma è anche probabile che abbia avuto pochi rapporti reali con Dante. Egli racconta di averla vista solo poche volte, a 9 anni e a 18, e in realtà in queste occasioni non reggeva la presenza fisica della ragazza, anzi si metteva  a tremare e si sentiva svenire. Il fatto che abbia per lui un ruolo tanto importante significa che probabilmente Dante ha sviluppato veri e propri fenomeni psichici di dipendenza, e che spesso ciò che descrive è frutto di immaginazione, visioni, allucinazioni. 


Diverse pubblicazioni a riguardo testimoniano la centralità di Dante Alighieri nei suoi studi, ma da dove nasce questa sua passione?

Di mestiere sono stato professore di storia della lingua italiana, e mi sono accostato a Dante nello studiare il suo pensiero linguistico. Alla sua epoca urgeva capire in quale lingua bisognasse scrivere in poesia, e la risposta non era affatto ovvia, ma lui tenta di trovarla, nel trattato del “De vulgari eloquentia”, con una genialità unica. Di fatto ogni opera che scrisse è un prototipo che prima del suo intervento ancora non esisteva. Dante rientra tra i primi poeti di tutte le letterature di tutte le epoche di tutto il mondo, e ancora oggi interessa ed affascina, oltre che per la sua poesia, anche per il suo personaggio. Non manca la considerazione di Dante nella cultura popolare, e molto significativo nella popolarizzazione di Dante è banalmente anche quello che recita Benigni nell’ambito delle sue letture pubbliche; e lo fa a memoria, con grande maestria e con la grande capacità di coinvolgere il pubblico. 


E a proposito di cultura, cosa pensa dell’educazione di oggi in Italia?

In quanto insegnante del primo anno di università, per decenni ho sperimentato il livello degli studenti in uscita dalle superiori, che ad oggi si può essenzialmente dividere in tre categorie: si può dire che un terzo degli studenti sia alfabetizzato normalmente; per un altro terzo gli studenti si possono considerare bravi o anche molto bravi; ma il restante terzo è quello degli studenti che sembra non siano mai stati alfabetizzati. Ed è inaccettabile, in termini di spreco di risorse umane e sociali, che un terzo degli studenti spenda circa 13 anni della propria vita a scuola senza aver concluso niente, niente di concreto e utile per sé. La frontiera di Internet si può considerare una vera e propria miniera d'oro, in quanto si tratta della concreta possibilità di accedere all'informazione, una possibilità come l'umanità non ha mai avuto in tutta la sua storia. Ma nonostante questo dilaga un analfabetismo spaventoso, e la scarsa cultura media si riversa inevitabilmente nei comportamenti sociali e civili e nella capacità di esercizio della cittadinanza. 

Quando la traduzione incontra la scrittura: intervista a Mirko Zilahy

Carlotta Fiorini, 3CL | 13 marzo 2021

Il 19 febbraio alle ore 18.30 ha avuto luogo l'ultima intervista riguardante il filone dei Mestieri Creativi organizzato da Biblioteche Modena. Grazie alla sua trasmissione in live streaming su YouTube, decine di studenti hanno potuto seguire virtualmente l'incontro. L’evento ha coinvolto l’organizzatrice della rassegna Francesca Canovi, Giulia Ciarapica, scrittrice che collabora con Il Messaggero e Il Foglio, e Mirko Zilahy, traduttore e scrittore. Infatti, l’intervista si è incentrata su coloro che si occupano delle traduzioni di libri stranieri: i traduttori. L’intervista è stata piena di spunti interessanti, ma soprattutto utilissimi per chiunque voglia intraprendere questa carriera. 


Mirko Zilahy ha conseguito un PhD (dottorato) su Giorgio Manganelli, sua grande ispirazione, al Trinity College di Dublino, dove è stato insegnante di lingua e letteratura italiana. Infatti non ha intrapreso fin dall’inizio la strada della traduzione, che invece scopre in seguito. Decide poi di tornare in Italia, dove lavora come redattore e scopre una nuova passione: la traduzione. Ne viene incontro casualmente, grazie a un’amica che gli consiglia di intraprendere questo mestiere data la sua buona conoscenza di inglese e italiano. Da qui, dopo la sua prima traduzione del libro “John The Revelator”, ha poi iniziato a tradurre libri, passione che lo coinvolge pienamente, e ha intrapreso altre due strade: quella dello scrittore e dell’editor.

Mirko Zilahy ha indicato alcune difficoltà riguardanti questa carriera. In primo luogo, ha affermato che si tratta di un mestiere nel quale non importa lo studio accademico o quanto si abbia studiato, siccome si impara nel campo, facendolo. Si tratta di una professione dove devi approcciarti direttamente alla traduzione: solo in questo modo si riesce a migliorare. Col passare del tempo e attraverso la sua professione è riuscito a individuare i due tipi di lettori: il lettore “ingenuo”, ovvero chi legge semplicemente per il gusto di farlo, e il lettore “consapevole”, cioè chi percepisce immediatamente il retroscena, ciò che c’è stato dietro. A quest’ultima categoria fa parte Mirko, che dopo anni di esperienza, alla prima lettura pensa immediatamente al lavoro che si è impiegato per comporre un certo elemento del libro, per esempio.

Parlando in maniera specifica del ruolo di traduttore in Italia, Zilahy ha sottolineato una difficoltà di carattere sistematico: nel nostro Paese, questo lavoro non viene riconosciuto come all’estero, e per questo motivo il mestiere, difficilissimo, diventa frustrante per il traduttore. Oltretutto non viene nemmeno riconosciuto economicamente come in altri Stati, e perciò spesso accade che i traduttori affianchino a questa professione quella dello scrittore di romanzi. Un’altra conseguenza al basso compenso è trovare tutti i libri scritti da traduttori ancora alle prime armi di una certa casa editrice nella stessa “lingua”. Tuttavia, tradurre è un lavoro molto complicato ed impegnativo, dato che si ha la responsabilità enorme, ad esempio parlando di libri classici, di rendere al meglio l’opera originale. 

Secondo Mirko, in più, la traduzione sarebbe un “tradimento necessario”, e il mestiere lunghissimo e difficile del traduttore non può in ogni modo escludere l’Io, ovvero la personalità di chi la svolge. Infatti spesso si pensa utopisticamente che la traduzione perfetta e idealistica sia quella “invisibile”, quella dove non si percepisce alcuna differenza tra opera originale e resa in lingua straniera. Naturalmente ciò è impossibile: ognuno possiede un bagaglio culturale diverso, e per questo motivo la comprensione di un libro varia a seconda della persona, in questo caso dei traduttori che si occupano della trascrizione in un’altra lingua. La forma è anche condizionata da altri fattori, ovvero dall’influenza di un lavoro di “squadra” tra team e casa editrice, e il rapporto con l’autore del libro originale è sempre presente. La sua traduzione preferita è stata quella del libro “Mystic River”, di Dennis Lehane, romanzo interessantissimo per il quale però ha dovuto “disimmaginare” le scene dell’adattamento cinematografico, per poter svolgere la sua opera al meglio. Mirko Zilahy ha anche dovuto rileggere alcuni dei libri dell’autore in questione per comprendere pienamente le scelte stilistiche, i campi semantici utilizzati e i termini o tematiche ricorrenti, oltre ovviamente al background e a ciò che ha vissuto. Sebbene spesso non si ha il tempo materiale per farlo date le scadenze stringenti, essenziale sarebbe leggere il libro in questione e prendere appunti su un quadernino, per segnarsi ogni scelta stilistica compiuta dall’autore. Ognuno di questi passaggi è fondamentale per svolgere una traduzione ottimamente, perché permettono di capire dopo una riflessione adeguata il lavoro dello scrittore di partenza e di trasmettere nella tua lingua i medesimi concetti. Certamente è chiaro come talvolta sia complesso rendere il significato di certe parole, in quanto intraducibili. Essendo responsabile del buon rendimento dell’opera originale, il traduttore può andare incontro a una “frustrazione”. Lo stesso Mirko Zilahy si è imbattuto in questa situazione, ben diversa dal “blocco dello scrittore”. Infatti, il traduttore non ha mai a che fare con un foglio bianco , e non deve lottare con la propria fantasia e immaginazione per riempirlo, siccome possiede sempre un testo a cui fare riferimento. La “frustrazione” del traduttore è causata dal non riuscire a trovare un termine che corrisponda a una determinata parola, quasi impossibile da rendere allo stesso modo nella propria traduzione. Di fronte a questi momenti il traduttore può soffermarsi e avere dubbi per mesi o addirittura per anni sulla scelta migliore per la resa. 

Altri consigli utili per il lavoro in questione dati da Zilahy sono naturalmente possedere una buona conoscenza della lingua di partenza e di quella in cui devi tradurre. Per approcciarsi al meglio consiglia anche di intraprendere percorsi universitari specifici, presenti in varie città italiane, e conseguire specializzazioni in traduzione, senz’altro validissimi per iniziare ad approcciarsi a questa strada. In più, oltre allo studio scolastico è necessario documentarsi e leggere manuali a riguardo. 

Attraverso un lavoro del genere bisogna senza dubbio essere in grado di ricreare la voce e l’atmosfera del libro originale, e si tratta di un’attività tutt’altro che semplice, che mette in gioco completamente il traduttore, diventando una sorta di sfida. 

E così si intrecciano magicamente le due strade di scrittura e traduzione, due mestieri che si influenzano a vicenda e che occupano lo stesso spazio di tempo. Esattamente come nella vita di Mirko Zilahy, che inizia a tradurre libri e a svolgere la professione di editor, che poi incontra la passione per la scrittura vera e propria. Le due strade possiedono elementi simili, e tra questi un bisogno comune di tradurre linguaggi: nel caso della scrittura, infatti, si cerca di tradurre segni non verbali in verbali attraverso le parole. 

Maria Sofia Vitetta, 3D | 24 settembre 2022

Sono circa le 6 del pomeriggio di un normalissimo giovedì di dicembre quando io e mia mamma ci troviamo in macchina in cerca di un parcheggio. Siamo di fronte al Palazzo dei musei ( dunque in pieno centro ) e non è ancora calato del tutto il sole, quando notiamo una bicicletta nel bel mezzo della strada. Spostiamo lo sguardo a sinistra sul ciglio del marciapiede, ed è proprio in quel momento che assistiamo ad una scena a dir poco terribile. 


Ben 5 ragazzi stranieri prendono a calci e pugni un ragazzo ( anch’egli di origine straniera ) completamente solo. Non so esattamente spiegare la sensazione che ho provato in quel momento, posso dire però di essere rimasta scioccata dalla brutalità e dalla cattiveria con cui queste persone avevano accerchiato il ragazzo ferito e continuavano a colpirlo senza fermarsi, nemmeno davanti ai gemiti di dolore. 


Passati i primi secondi di shock, mia madre ed io scendiamo dalla macchina e, assieme ad altri passanti, ci avviciniamo gridandogli di smetterla. Due degli aggressori si allontanano e riesco ad individuarne alcune caratteristiche, come i vestiti e il colore dei capelli; gli altri però purtroppo riescono a scappare inseguendo il ragazzo ferito e noi li perdiamo di vista. 

Decidiamo allora di chiamare immediatamente le forze dell’ordine, le quali arrivano all’incirca dopo un quarto d’ora. 


All’arrivo della polizia chiaramente gli aggressori si erano ormai allontanati, i poliziotti hanno poi proceduto mandando delle pattuglie nei dintorni, ma con scarsi risultati. Però perlomeno uno di quei 2 ragazzi, che si erano allontanati al nostro arrivo, passa nuovamente per di lì e viene portato via per fare delle verifiche.

La nostra esperienza si è conclusa con un verbale alla polizia, ma dalla conversazione con le forze dell’ordine è emerso un dato che mi ha spiazzata: di queste aggressioni ne capitano all'incirca 10 OGNI singolo giorno. 


Ció che ho provato é stata sicuramente tanta pena sia per il ragazzo ferito che invano tentava di difendersi, ma anche per quel branco di ragazzini ( saranno stati appena maggiorenni ) insensibili e privi di ogni scrupolo, che se la prendevano con qualcuno incapace di difendersi da solo. 


Quanto spesso ci capita di accendere la televisione o di leggere i giornali ed essere bombardati dalle notizie di baby gang che commettono atti spregevoli, dalle risse a quelli ancora più gravi che sfociano in veri e propri atti di violenza e crimini perseguibili? 

A me personalmente moltissime volte, bensì assistere ad un episodio del genere in prima persona è stato veramente tristissimo. Di fronte a queste scene di violenza il consiglio che mi sento di dare è quello di non restare indifferenti, bensì di agire ( chiaramente in sicurezza ) per quanto ciò alla fine possa avere dei risultati o meno. 


É ormai chiaro dunque come la sicurezza stradale stia diventando un problema emergente nella nostra città. Per affrontarlo è necessaria la collaborazione tra i consigli di Istituto di Modena, che a dicembre si sono riuniti per discutere del tema nelle scuole superiori e primarie; e fondamentale è anche l’impegno del singolo cittadino, che deve imparare a prendere misure di prevenzione per tutelare sé stesso e gli altri.