Alice Fontana 4EL, Rebecca Palandri 4AL
Cos’è un referendum?
Il referendum è uno strumento di democrazia diretta, che permette ai cittadini di esprimere la propria opinione su una legge o una questione attuale ed importante votando "sì" o "no". In Italia esistono diversi tipi di referendum, ma il più comune è quello abrogativo, con cui si chiede di eliminare (abrogare) una legge o parte di essa.
Come funziona e chi può votare?
Possono votare tutti i cittadini italiani che hanno più di 18 anni e sono iscritti alle liste elettorali. Perché il referendum sia valido, è necessario che vada a votare almeno il 50% + 1 degli aventi diritto (quorum). Se il quorum non viene raggiunto, il risultato del voto non ha effetto.
Modalità di voto e quesiti
Si vota in presenza, presentando un documento d'identità e la tessera elettorale. Si riceve una scheda con un quesito, a cui si risponde barrando "Sì" (per abrogare la norma) o "No" (per mantenerla). I quesiti referendari devono essere chiari, legittimi e ammessi dalla Corte Costituzionale.
Perché è importante votare?
Il referendum dà ai cittadini la possibilità di partecipare attivamente alla vita politica del Paese. È un’occasione per far sentire la propria voce, informarsi e contribuire alle decisioni che ci riguardano da vicino.
In occasione del referendum che si terrà l’8 e il 9 giugno, i partiti di maggioranza, come Forza Italia e Fratelli d’Italia, hanno invitato i cittadini ad astenersi, in segno di disaccordo con i 5 quesiti proposti. Viceversa, i partiti di opposizione, tra cui il Movimento 5 Stelle, i Verdi e il Partito Democratico, hanno incoraggiato i propri elettori a recarsi alle urne e a votare sì, sostenendo i contenuti proposti dal referendum.
I cittadini italiani saranno chiamati a votare 5 quesiti, di cui 4 sul lavoro e 1 sulla cittadinanza. I quesiti saranno su schede diverse e si votano singolarmente (non è obbligatorio votare per tutti i quesiti). Ecco quali sono e di cosa trattano:
«Contratto di lavoro a tutele crescenti - Disciplina dei licenziamenti illegittimi: Abrogazione» (scheda verde)
Il primo quesito del referendum propone l'abrogazione di uno dei decreti presenti nel Jobs Act, la riforma del lavoro introdotta nel 2015. In particolare, si chiede di abrogare il decreto che regola il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Questo contratto prevede che, in caso di licenziamento illegittimo (persino se stabilito da un giudice), il lavoratore non venga più reintegrato automaticamente nel posto di lavoro (come succedeva prima del 7 marzo 2015), ma riceva solo un indennizzo economico compreso tra le 6 le 36 mensilità di stipendio, tarato in base all’anzianità di servizio. Il referendum è volto al ripristino del diritto al reintegro in tutti i casi di licenziamento ingiusto previsto prima dell’entrata in vigore del Jobs Act, per i lavoratori assunti dopo il 2015 in aziende con più di 15 dipendenti.
In sintesi, in caso di licenziamento visto come illegittimo dalla legge italiana, sarebbe nuovamente possibile il reintegro della persona nel posto di lavoro, oltre ad un risarcimento economico stabilito dal giudice.
Cos’è un licenziamento illegittimo? Si tratta di un licenziamento ingiusto, detto tale in quanto intimato sulla base di ragioni di natura diverse, da discriminazioni di genere, di orientamento politico o di religione all’assenza di una giusta causa o il mancato allineamento con le modalità procedurali stabilite dalla legge.
Indennità in caso di licenziamento nelle piccole imprese (scheda arancione)
Il secondo quesito richiede di eliminare il limite all’indennità per i lavoratori licenziati ingiustamente nelle aziende con meno di 15 dipendenti. Attualmente, se un lavoratore viene licenziato ingiustamente in tali imprese, è presente un tetto massimo per l’indennizzo economico che può ricevere pari a 6 mesi di stipendio. Con la riforma proposta dal referendum questo limite verrebbe abrogato, delegando ad un giudice la libertà di decidere l’importo dell’indennità in base ad una serie di criteri quali la gravità della violazione, l’età del lavoratore, i carichi di famiglia e la capacità economica dell’azienda. In sintesi, si chiede che il risarcimento sia più flessibile e proporzionato al danno subito dal lavoratore.
Contratti a durata determinata (scheda grigia)
Il terzo quesito riguarda di nuovo il Jobs Act ed è volto all'abrogazione di alcune norme sull’impiego dei contratti a tempo determinato. In Italia, circa 2 milioni e 300 mila persone lavorano con questa tipologia di contratto. Attualmente, il datore di lavoro ha il diritto di non indicare una causale per stipulare questo genere di contratti se la durata è inferiore a 12 mesi. Il referendum propone di tornare alla regola precedente al 2015 che obbligava le imprese a giustificare l’uso di questi contratti anche se di durata breve. In sintesi, si chiede ai cittadini se vogliono rendere più rigide le condizioni per l’uso dei contratti di lavoro a tempo determinato.
Responsabilità solidale negli appalti: responsabilità dell’imprenditore committente in caso di infortuni sul lavoro (scheda rosa)
Quest’ultimo quesito è volto ad aumentare la responsabilità dell'imprenditore committente in caso di infortuni sul lavoro o malattie professionali quando un’azienda delega un determinato lavoro ad un’altra azienda. Oggi, se un lavoratore ha un infortunio causato dai rischi dell’attività, il committente (chi affida il lavoro) non è ritenuto responsabile: risponde solo chi esegue direttamente il lavoro (appaltatore o subappaltatore). Il referendum propone di riformare questa regola e introdurre la cosiddetta “responsabilità solidale”, cioè far sì che tutti i soggetti coinvolti, incluso il committente, siano ugualmente responsabili e siano obbligati a risarcire il danno dell’infortunio.
Cittadinanza (scheda gialla)
L’obiettivo del referendum è ridurre da 10 anni a 5 gli anni di residenza regolare necessari per poter richiedere la cittadinanza italiana. Tale riforma riguarderebbe 2,3 milioni di persone in Italia e permetterebbe di trasmettere la cittadinanza ottenuta anche ai figli minorenni.
Tuttavia, il quesito non modifica gli altri requisiti per ottenere la cittadinanza italiana, come conoscere la lingua, avere un reddito stabile e non avere commesso reati.
Spunto di riflessione: anche oggi gli anni di ottenimento della cittadinanza non sono esattamente 10 in quanto a questa quota fissa vanno necessariamente aggiunte lungaggini burocratiche che possono aumentare le procedure fino a 3 anni. Quindi, effettivamente, si passerebbe da 13 a 8 anni.
I seggi elettorali saranno aperti dalle 7 alle 23 di domenica 8 giugno e dalle 7 alle 15 di lunedì 9 giugno.
Ilaria De Feo 2D
Gli scienziati e gli astronomi da anni cercano di rispondere ad una domanda cruciale: esiste la vita oltre la Terra e al sistema solare?
Sembrerebbe di si!!!!
I ricercatori dell’università di Cambridge, infatti, hanno trovato sostanze chimiche su un esopianeta ( pianeti che si trovano al di fuori del nostro sistema solare) chiamato K2-18b, che orbita attorno alla nana rossa K2-18, situata a circa 124 anni luce dalla Terra, nella costellazione del Leone.
Grazie al più grande telescopio mai costruito, ovvero il telescopio James Webb della NASA, è stata evidenziata la presenza di gas e sostanze chimiche che solo organismi viventi come batteri e fitoplancton sono in grado di produrre.
Nonostante gli astronomi indipendenti affermino che per determinare questi risultati servirebbero ulteriori dati ed esami, i ricercatori affermano che, se si dovessero fare ulteriori accertamenti, il pianeta potrebbe avere molta possibilità di ospitare organismi extraterrestri.
Il ricercatore principale, il professore Nikku Madhusudhan dell’Istituto di Astronomia dell'Università di Cambridge, dice che la scoperta potrebbe dimostrare che nell’universo non siamo soli.
“Se confermiamo che c’e vita su K2-18b questo significherebbe anche che nella galassia la vita è molto comune” dice il professore che afferma anche che la quantità di gas, trovato dal team in una singola finestra, è un buon segno per indicare la presenza di vita ultraterrena.
“Questa è l’evidenza più forte sino ad ora che suggerisce l'esistenza di vita al di là del pianeta Terra”.
Il team ora vuole fare delle ricerche aggiuntive in laboratorio per vedere se le sostanze chimiche, che hanno trovato, possano essere collegate a qualche altra cosa oltre ad organismi viventi.
Ovviamente è necessaria ancora molta cautela perché i risultati ad oggi raggiunti dimostrano che la scoperta ha un livello di significatività statistica “tre sigma”, ossia che c'è una probabilità dello 0,3% che siano frutto di un caso fortuito mentre una scoperta scientifica, per considerarsi tale, deve superare la soglia dei “cinque sigma”.
Sofia El Khattabi 3B, Lucia Idrato 3B
Il ministro Valditara ha recentemente inviato una circolare, relativa alla programmazione delle verifiche in classe e all’assegnazione dei compiti da svolgere a casa.
Come prima cosa valditara si raccomanda di programmare verifiche e assegnare i compiti tenendo conto di quanto già stabilito dagli altri professori. In particolare per la questione “compiti” si raccomanda una distribuzione equa e corretta secondo il calendario della settimana in modo tale da evitare situazioni eccessive o di accumulamento. Di conseguenza sono esortati anche gli stessi studenti ad organizzare meglio ed in modo più efficiente il loro studio con l’utilizzo di un diario,in questo modo si migliora anche la responsabilità del singolo studente nella gestione dei suoi impegni scolastici.
Invita, inoltre, i professori a non assegnare compiti sul registro elettronico in serata per il giorno successivo, e di non programmare più verifiche nello stesso giorno per evitare un carico troppo gravoso sugli studenti.
Tra i commenti sotto il post rilasciato dal ministero dell’istruzione si è espresso un forte dissenso verso queste raccomandazioni che dovrebbero essere ovvietà. Nonostante questo gli studenti ritengono necessario ricordare queste prerogative, che talvolta non vengono rispettate.
Il Ministro Valditara ha annunciato modifiche significative nell'esame di maturità, con l'introduzione del voto in condotta come criterio per l'ammissione all'esame. Gli studenti con una valutazione inferiore a sei decimi in comportamento non saranno ammessi, mentre quelli con un voto pari o superiore a nove decimi potranno ottenere il punteggio massimo. Questa misura mira a premiare il merito e a educare al rispetto e alla responsabilità.
L'atto di indirizzo politico-istituzionale per il 2025 del Ministro Valditara delinea dieci priorità strategiche per il sistema educativo italiano: Promuovere il miglioramento del sistema nazionale di istruzione e formazione attraverso la valorizzazione del personale della scuola.
Garantire il rispetto della persona e contrastare il bullismo.
Valorizzare la filiera tecnologico-professionale e rafforzare il raccordo scuola-lavoro
Garantire a tutte le studentesse e a tutti gli studenti il diritto allo studio, promuovere l'inclusione scolastica dei più fragili e l'integrazione degli studenti stranieri, contrastare la dispersione scolastica e i divari territoriali negli apprendimenti, favorire l'accesso precoce al sistema integrato 0-6.
Sostenere le autonomie scolastiche e rafforzare il sistema nazionale di valutazione, anche ai fini dell'internazionalizzazione del sistema scolastico.
Supportare il processo di riqualificazione del patrimonio edilizio scolastico.
Potenziare l'offerta formativa nelle istituzioni scolastiche del sistema educativo di istruzione e formazione in chiave di personalizzazione .
Ilaria de Feo 2D
Camminare per Modena in modo sicuro è un’impresa sia per i guidatori che per i pedoni. È possibile notare, infatti, che a molti incroci pedoni e autovetture si trovano a passare nello stesso momento senza alcuna sicurezza.
Un esempio è proprio quello che troviamo vicino alla nostra scuola. Quando si percorre Viale Monte Kosica le macchine, che svoltano a destra per entrare in Viale Cittadella, trovano spesso volentieri studenti che attraversano regolarmente sulle strisce.
Ma perché avviene ciò? I ragazzi passano con il rosso? La risposta è no!
Ciò accade proprio perché entrambi i semafori diventano verdi nello stesso momento e, per il pedone, il rischio di essere investito è alto, soprattutto se il guidatore è disattento.
Ovviamente tale problematica riguarda anche le autovetture. Spesso capita che agli incroci (es. Viale Sigonio e Buon Pastore; Via Ciro Menotti e Via Emilia Centro) gli autoveicoli che vogliono immettersi da una strada ad un’altra si “incrociano” con quelli che invece procedono dritto. Questi sono solo alcuni esempi ma potrebbero essere indicati tanti altri incroci “pericolosi” di Modena
Un modenese conosce le dinamiche di questi semafori (che, a quanto pare, a Modena rappresentano una regola), ma se a guidare sono persone non modenesi?
Tutti, sia pedoni che automobilisti, hanno il diritto di muoversi in sicurezza per le strade della città.
Riccardo Laronca 3B
21 Aprile 2025: Lunedì dell’Angelo, festività in cui si commemora l’annuncio della Resurrezione di Gesù Cristo, il Santo Padre lascia questo mondo, dopo 12 intensi anni di Pontificato.
Solo il giorno prima il Pontefice era tra la folla in Piazza San Pietro, come per dare l’ultimo saluto ai suoi fedeli e al mondo intero, impartendo la benedizione Urbi et Orbi.
Come ha fatto quest’uomo a diventare la guida religiosa più potente e influente del mondo?
Jorge Mario Bergoglio nasce il 17 Dicembre 1936 a Buenos Aires in una famiglia di origini genovesi e piemontesi. Ottenuto il diploma di tecnico chimico, lavora fino a quando non riceve la chiamata al sacerdozio, entrando così a 22 anni in un seminario gesuita.
Viene ordinato sacerdote dall’arcivescovo di Cordoba nel 1969 e negli anni a venire sviluppa la sua principale convinzione, secondo la quale l’uomo si può sempre redimere e beneficiare dell’infinita misericordia di Dio, che ama incondizionatamente tutte le persone.
Nel 1992 viene richiamato a Buenos Aires, dove viene nominato vescovo ausiliare, tra il 1997 e il 1998 diventa arcivescovo della città e nel 2001 viene fatto cardinale da Papa Giovanni Paolo II.
Bergoglio nel 2005, diventato presidente della Conferenza Episcopale Argentina, mette al centro della sua presidenza le condizioni dei poveri nel suo Paese, esortando a risolvere questo problema attraverso il risveglio della coscienza sociale nella Chiesa nell’America Latina.
Nel 2013, contro le previsioni di tutti gli analisti, Bergoglio è eletto Papa al quinto scrutinio con 85 voti su 115.
In una Chiesa instabile, sconvolta da giochi di potere interni, scandali e una fiducia ai minimi storici Bergoglio, vestito non di porpora ma di solo bianco, si affaccia per la prima volta dal balcone di Piazza San Pietro dopo aver scelto il nome di Francesco, il poverello di Assisi, figlio di un ricco mercante che ha deciso di spogliarsi dei propri beni per vivere all’insegna della predicazione e della povertà evangelica.
Francesco è il primo Papa gesuita, proveniente dall’Argentina e dal continente americano in generale che, eletto al soglio pontificio, saluta i fedeli con un semplice “Buonasera” e di lì a poco rifiuta di andare ad abitare nella tradizionale residenza papale, preferendo Casa Santa Marta, che è poco più di una pensione.
Sicuramente è stato un Papa moderno e innovatore.
Mai un Pontefice prima di lui aveva avuto un account Instagram e si era speso così tanto per l’attenzione alle nuove tecnologie nella comunicazione e nell’intelligenza artificiale. Per adeguare il messaggio della Santa Sede ai nuovi tempi e per diffondere meglio il Vangelo, ha istituito una Segreteria per la comunicazione.
Il Papa si è anche occupato del dialogo interreligioso, gettando ponti con le altre confessioni cristiane, soprattutto ortodossi e protestanti, e tessendo relazioni con le altre religioni, nella convinzione che il mancato rispetto dei valori religiosi porti all’intolleranza nel mondo.
Si ricordano in particolare l’incontro con il Patriarca ortodosso Kirill, il viaggio in Sud Sudan in compagnia dell’arcivescovo anglicano di Canterbury e del moderatore della Chiesa di Scozia e la firma del Documento sulla fratellanza umana insieme ad uno dei più grandi esponenti dell’Islam sunnita.
Il suo lavoro non si è però limitato al solo dialogo. Infatti Francesco ha lavorato anche per proteggere i cristiani perseguitati, soprattutto in Asia, dove ha firmato accordi con la Cina per legalizzare la Chiesa e ha offerto la sua vicinanza ai cristiani Assiri precedentemente perseguitati dall’Isis.
Ma non è tutto.
Papa Francesco ha chiesto pubblicamente perdono per gli abusi sessuali perpetrati da sacerdoti ai danni di minori, istituendo una Commissione per combattere questa piaga interna alla Chiesa. Ha aperto nel 2024 una Porta Santa in un penitenziario durante un Giubileo ordinario. E’ stato il primo Pontefice a nominare nel 2025 una donna, Suor Raffaella Petrini, alla presidenza del Governatorato dello Stato Vaticano.
Durante il suo Pontificato, Papa Francesco mette al centro l'opera missionaria e l’attenzione e la cura dei poveri, degli ultimi e dei dimenticati. Non è un caso, infatti, se il suo primo viaggio da Papa è stato a Lampedusa, uno dei più grandi luoghi di sbarco d’Europa, dove all’epoca era avvenuto il naufragio di una nave, con 368 morti e 20 dispersi tra i migranti. In quell’occasione il Pontefice definì il Mar Mediterraneo come “Il cimitero più grande d’Europa” e “Un cimitero senza lapidi”, dichiarando che il “Mare Nostrum” si stava trasformando nel “Mare Mortuum”, denunciando la globalizzazione dell’indifferenza.
Nella sua enciclica più importante, Laudato si, emanata nel Maggio del 2015, istituisce una giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato, invitando l’uomo a prendersi cura della Terra in quanto parte del Creato e casa comune dell’umanità.
E’ stato un Papa che non si è mai risparmiato, instancabile operatore di pace, arrivando a visitare 66 Paesi in 47 Viaggi Apostolici, compiendo anche 40 Visite Pastorali in Italia.
Israele, Palestina, Repubblica Centrafricana e Sud Sudan sono solo alcuni dei luoghi in cui il Pontefice ha portato la sua idea di fraternità e riconciliazione tra i popoli, pregando davanti al Muro del pianto e di fronte al confine israelo palestinese, aprendo una Porta Santa, visitando il quartiere musulmano di Bangui e baciando i piedi di alcuni leader di fazioni rivali.
Papa Francesco è stato anche un riformatore coraggioso.
Ha rinnovato la giustizia vaticana e ha armonizzato l’economia della Santa Sede, garantendo una maggiore ed effettiva trasparenza finanziaria.
Questo Papa, “venuto dalla fine del mondo”, come disse lui stesso la sera dell’elezione, sempre a fianco degli emarginati e instancabile promotore della pace tra i popoli, ha avuto un rapporto speciale anche con i giovani.
Francesco infatti è stato il Papa che più si è avvicinato alle nuove generazioni, alle quali ha ricordato l’importanza della fede e della spiritualità.
E’ riuscito a trasmettere i valori cristiani in modo semplice e diretto, aiutando così molti giovani ad avvicinarsi alla fede che, fino a quel momento, sentivano molto lontana. Li ha esortati a viverla non in chiave esclusivamente interiore e personale, che si ferma alla messa domenicale e alla preghiera del singolo, ma piuttosto come un modo di vivere e uno strumento per prodigarsi nell’impegno sociale, nella solidarietà, nella fraternità e nella costruzione di una comunità sempre pronta ad aiutare il prossimo, senza escludere nessuno.
Il Papa ha compreso la necessità, oggi più che mai, di trasmettere degli autentici valori ai giovani che si ritrovano in un mondo sempre più instabile, privo di certezze, un mondo che li vorrebbe schiavi della logica del consumismo e anestetizzati al punto da rimanere indifferenti a tutto ciò che accade intorno a loro.
Il Pontefice ha ribadito che l’importante è camminare, non fermarsi perché chi lo fa diventa stanco, fa come l’acqua, ristagna ed è la prima a corrompersi.
Ha esortato i giovani a fare rumore, nel senso di andare controcorrente, imparando a dire no all’alcol e alle droghe, per continuare ad andare avanti con coraggio e con gioia. Ha invitato tutti a non avere paura di sognare, a non temere il futuro e a continuare ad avere speranza.
È stato un Papa che si è adoperato talmente tanto per la pace che è riuscito a promuoverla anche dopo la sua morte.
E’ rimasta impressa nella mente di tutti l’immagine, poco prima del suo funerale, dell’incontro avvenuto nella Basilica di San Pietro, tra Trump e Zelensky, seduti faccia a faccia, l'uno di fronte all'altro, per parlare della situazione in Ucraina.
Un’altra immagine significativa, che rappresenta l’essenza di ciò che è stato il Papa, è quella che ci ha mostrato l’attesa degli ultimi, detenuti, rifugiati, poveri, transessuali, senza tetto, tanto cari a Francesco, davanti al sagrato della Basilica di Santa Maria Maggiore, per rendergli l’estremo saluto.
Francesco, il Papa con la croce di alpacca, raffigurante il buon pastore, ha trovato i suoi fedeli come un gregge smarrito e li ha lasciati come peregrinantes in spem, in attesa di una guida che possa continuare a condurli ora e nei secoli a venire.
Valentina Pini 3D, Lucia Falzoni 4E
Il giorno 8 aprile 2025 nel Liceo classico musicale e scienze umane “Casardi” di Barletta è comparsa per mano di alcuni studenti della scuola sul muro del bagno delle ragazze l'agghiacciante scritta “Viva Turetta”. La scritta accompagnata da frasi sessiste e simboli nazisti, ha fatto molto scalpore, in seguito al recente caso di cronaca nera che vede Filippo Turetta incriminato per il femminicidio di Giulia Cecchettin.
L’episodio è stato denunciato da alcuni studenti del liceo stesso, dopo che per problemi strutturali, i bagni maschili erano stati chiusi e momentaneamente i ragazzi avevano usufruito di quelli femminili.
Si è espresso a riguardo Francesco Strignano il rappresentante di istituto, e parlando a nome degli studenti ha espresso l’indignazione totale di ragazzi e ragazze, affermando che non si tratta più di libertà di espressione, ma di cattiveria gratuita.
Anche due ex studenti hanno rilasciato una dichiarazione riguardo la vicenda:”Non sono ragazzate, sono segnali politici chiarissimi, vanno dati segnali forti. Questi rifiuti umani devono essere fermati prima che possano passare dalle parole ai fatti.”
L’8 aprile davanti la scuola si è tenuto un sit-in di protesta, durante il quale si è espressa la dirigente scolastica Serafina Ardito, che ha condannato l’accaduto con decisione “Deturpare le porte dei bagni con questi contenuti è un atto vile che offende la dignità della nostra comunità”.
La preside del Casardi ha ipotizzato che l’autore possa essere un individuo esterno alla scuola, poiché le scritte sono apparse in seguito alla “Notte dei Licei”, cercando di salvaguardare la reputazione dei suoi studenti, aggiungendo di sentirsi in dovere di dissociare la comunità scolastica da tale episodio. Tuttavia ha anche concluso che avrebbe promosso incontri di sensibilizzazione contro la violenza di genere.
Troppo spesso le persone vengono giudicate in base al tipo di percorso scolastico, senza tener conto delle loro azioni, venendo giustificati poiché impensabile che studenti del Liceo classico possano compiere tali gesti così scellerati. E l’esempio ci è dato proprio dalla preside del Liceo.
In seguito anche ai più recenti casi di cronaca nera riguardanti femminicidi e stupri di donne di ogni fascia di età, è fondamentale che le scuole sensibilizzino profondamente su questi temi così importanti e che non stiano in silenzio cercando di giustificare i propri studenti.
Mattia Piva, Sara Ferri 4B
Cinque giorni di lutto nazionale.
Cinque giorni, quelli proclamati dal Governo italiano, per onorare la memoria di Papa Francesco. Tutto normale a prima vista, ma in realtà si possono individuare due particolarità, apparentemente insignificanti a loro volta, ma che, unite, possono fornire un quadro piuttosto chiaro del perché la decisione abbia scatenato tante polemiche.
In primis, il caso di Papa Bergoglio è unico, un vero e proprio record. Per nessuno si era decretato un periodo di lutto tanto lungo, tant'è che di norma la scelta ricade su uno o al massimo tre giorni. Un episodio che ha suscitato uno scandalo simile, tra i più recenti, è stato quello in seguito alla morte di Silvio Berlusconi, che portò però a una sola giornata di lutto nazionale. Per gli altri papi si ritorna sempre sui soliti numeri: uno e tre.
In secundis, il quarto giorno di lutto nazionale cade proprio oggi, venerdì 25 aprile. Anniversario della Liberazione d'Italia. Coincidenze? Può darsi, anche perché teoricamente le due cose non sono in contrasto. Teoricamente. Nello Musumeci, ministro per la protezione civile, ha affermato, nei giorni scorsi, che le celebrazioni per il 25 aprile potranno svolgersi regolarmente, a patto che si mantenga la sobrietà. Qualcuno aveva già iniziato a storcere il naso, ma le direttive, tanto quanto le restrizioni, erano generiche e vaghe. Non sembravano certo più limitanti di tante altre frasi pronunciate da certi ministri nel corso degli ultimi decenni. Le proteste vere e proprie cominciano a sorgere quando vari comuni, con amministrazioni sia di centro-destra che di centro-sinistra, iniziano a vietare ufficialmente le manifestazioni e le celebrazioni e, in alcuni casi, addirittura di cantare "Bella Ciao".
Le celebrazioni alla fine si terranno, con o senza il permesso del governo, e non è una frase fatta, populista. La situazione ha dei precedenti e in tutti i casi è finita esattamente così. Nel 2002, per esempio, sotto il governo Berlusconi, la Rai vietò le canzoni politiche durante il concerto del primo maggio, con riferimento soprattutto a "Bella Ciao". Le direttive furono seguite? No, i “Modena City Ramblers” dal palco del concerto in diretta nazionale intonarono come da scaletta la canzone. Le privazioni e i divieti sono molto spesso più una prova di forza e di imposizione ideologica, che degli impedimenti effettivi.
In tutto questo scontro tra le due parti, come spesso accade, il focus si è spostato, impercettibilmente ma radicalmente, dal piano pratico e materiale a quello ideologico, perdendo di vista il nocciolo della questione. Che la Giornata della Liberazione dia fastidio a una certa fazione politica, è chiaro da più o meno sempre. Ma cos'è veramente il 25 aprile? Cosa festeggiamo? La liberazione dai nazifascisti, i cattivi, grazie ai partigiani, i buonissimi e purissimi eroi della Seconda Guerra Mondiale? No, la festa della liberazione non dovrebbe avere un colore, una fazione politica. È il simbolo della nostra libertà in quanto italiani, della caduta definitiva di un assolutismo. Non festeggiare vuol dire essere contro a tutto ciò in cui crediamo oggi, la società democratica in cui viviamo e i diritti per cui ancora combattiamo. Eppure c'è chi non la festeggia, anche chi ha giurato su quella Costituzione che si fonda sui valori che nascono proprio con la liberazione dal fascismo in Italia. La verità è che purtroppo la guerra ideologica già citata porta le fazioni ad allontanarsi, a estremizzarsi, ad arroccarsi sulle proprie idee e a difenderle anche di fronte all’indifendibile, come se fossero partite di calcio. Il dialogo e il pensiero critico hanno lasciato spazio al becero tifo da stadio. Così come la destra ha difficoltà a festeggiare il 25 aprile, allo stesso modo la sinistra sembra avere la memoria corta quando si parla delle foibe. E di questo passo anche le cose che andrebbero condivise, festeggiate come figli dell'antifascismo, prendono un colore, una fazione, una parte.
Questa coincidenza del 25 aprile capitato durante i giorni di lutto nazionale per il papa ci riportano infine, al tema più importante: la separazione dello Stato e della Chiesa. Al di là della solita frase "L'Italia è uno stato laico", trita e ritrita in tutte le salse, strumentalizzare la morte del papa per evitare di ricordare i morti che hanno procurato la libertà a tutti noi è un gesto becero e irrispettoso per la memoria del defunto. Quando finalmente riusciremo a scindere totalmente ogni forma di religione o culto dall'amministrazione dei cittadini, allora potremmo parlare di un vero Stato laico. Già Dante a suo tempo, con la teoria dei due soli, aveva riconosciuto l'importanza di mantenere in due sfere ben distinte e riconoscibili lo Stato e la Chiesa. Più si mischia la politica e il culto personale, più ci si allontana da una amministrazione oggettiva e benefica per ogni cittadino.
Sofia El Khattabi 3B
L’incontro di Seul è stato il primo in cinque anni tra Corea del Sud, Giappone e Cina, e si è svolto qualche giorno dopo l’annuncio di nuovi dazi sulle auto da parte del presidente statunitense Donald Trump che interesseranno soprattutto il settore automobilistico giapponese e sudcoreano.
La Cina, la Corea del Sud e il Giappone hanno dato il via a una storica collaborazione commerciale che segna una nuova era di integrazione economica in Asia. Questo accordo non solo rafforza i legami tra le tre potenze asiatiche, ma promette di avere un impatto significativo sull'economia globale.
L’iniziativa prevede una serie di misure per la cooperazione nei settori chiave come la tecnologia o l’intelligenza artificiale.In primo luogo la Cina nota per la sua capacità industriale,la Corea del Sud leader di semiconduttori e display, e il Giappone noto per l’intelligenza artificiale, uniscono le forze per sviluppare soluzioni all’avanguardia infatti i tre paesi investiranno insieme in centri di ricerca e sviluppo per accelerare il progresso.
Anche l'energia rinnovabile gioca un ruolo cruciale in questa nuova alleanza: con l'intenzione di ridurre le emissioni di carbonio e raggiungere gli obiettivi climatici globali, i tre paesi collaboreranno in progetti condivisi per sviluppare soluzioni energetiche più verdi, tra cui il solare, l’eolico e la mobilità sostenibile. Pechino, Seoul e Tokyo hanno concordato di investire insieme in infrastrutture per la produzione di energia pulita, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili.
La cooperazione tra queste tre potenze economiche ha anche un impatto profondo sulla geopolitica regionale. Da un lato, la Cina mira a consolidare la sua posizione di leader economico globale, mentre la Corea del Sud e il Giappone cercano di diversificare le loro economie e ridurre la loro dipendenza dalle tradizionali alleanze con gli Stati Uniti. Dall'altro, questo accordo sembra segnare un passo verso una maggiore stabilità e cooperazione in un'area che è stata storicamente segnata da rivalità territoriali e politiche. Il 2025 segna un capitolo decisivo per la geopolitica e il commercio in Asia.
La collaborazione tra la Cina, la Corea del Sud e il Giappone rappresenta un passo fondamentale verso un futuro di innovazione, sostenibilità e prosperità. Mentre l'Europa e gli Stati Uniti osservano con interesse, l’Asia sta dimostrando di essere pronta a formare un nuovo ordine economico globale.
Frappa Angelica 4E- 15 Aprile 2025
In un panorama televisivo ormai saturo di proposte teen, Adolescence è riuscita in qualcosa di raro: imporsi con forza e originalità, diventando nel giro di poche settimane un vero e proprio fenomeno culturale. Non si tratta soltanto di un successo di numeri, che pure sono impressionanti, con milioni di visualizzazioni in streaming e una pioggia di commenti sui social, ma soprattutto di un impatto profondo sul pubblico giovane (e non solo), che nella serie ha trovato un riflesso autentico delle proprie fragilità, delle proprie lotte interiori, e delle complessità dell’età più contraddittoria di tutte.
La trama ruota attorno a un gruppo di adolescenti che frequentano lo stesso liceo e che si confrontano con esperienze di crescita, traumi familiari, identità sessuale, amicizie tossiche e sogni spesso in conflitto con la realtà. Ma ciò che distingue Adolescence da tante altre narrazioni simili è la capacità di raccontare questi temi con una scrittura sincera, priva di moralismi e, soprattutto, senza mai perdere di vista la dimensione emotiva dei personaggi.
In Adolescence gli adulti parlano, ma raramente comunicano davvero. E questa distanza diventa uno dei drammi silenziosi che attraversa tutta la narrazione: il senso di essere incompresi, giudicati o semplicemente ignorati.
Questa frattura generazionale non viene però trattata con ostilità, ma con uno sguardo empatico da entrambe le parti. Se è vero che gli adulti spesso faticano a capire, è anche vero che sono a loro volta vittime di una società che cambia troppo in fretta, incapace di fornire strumenti adeguati per dialogare con i figli. Adolescence non punta il dito: invita a un confronto. È forse questo il suo merito più grande.
Altri punti di forza della serie sono il modo in cui affronta la salute mentale, l’identità, l’amicizia e il rapporto con i social network. Non sono solo “temi” messi in scena, ma esperienze vissute dai personaggi in modo autentico e riconoscibile. Il filtro dei social, con la sua pressione a mostrarsi sempre vincenti e felici, si intreccia con l’insicurezza e il bisogno di appartenenza, raccontando con lucidità la complessità dell’essere giovani oggi.
Molti critici hanno lodato la regia e la fotografia della serie, che alterna toni intimi a momenti visivamente potenti, ed è perfettamente aderente al mondo interiore dei protagonisti. Ma, soprattutto, a colpire è la recitazione: il cast, composto in gran parte da volti emergenti, è straordinariamente credibile, e contribuisce a rendere ogni episodio un’esperienza emotiva intensa.
Il successo di Adolescence è anche un segnale di qualcosa di più ampio: un bisogno, da parte del pubblico, di autenticità. Non più racconti edulcorati o costruiti su misura per rassicurare gli adulti, ma storie che parlano con onestà delle incertezze, delle paure e delle contraddizioni che definiscono l’adolescenza contemporanea. E, forse, proprio per questo, la serie ha trovato un pubblico così vasto: perché non cerca di insegnare nulla, ma di capire. E in questo, riesce meglio di molte altre.
Rita Madama 2D - 13 Aprile 2025
Ormai da 8 anni la Finlandia è considerata la nazione più felice al mondo, ma com’è possibile? Ascoltando le interviste degli abitanti ne abbiamo la conferma, anche gli italiani che si sono trasferiti là, dichiarano di beneficiare incredibilmente del clima più sereno e leggero rispetto all’Italia. Sicuramente la vicinanza con la natura e lo stato di welfare rendono la vita più piacevole ai finlandesi. Inoltre c’è una sensazione di libertà quasi assoluta grazie all’estrema sicurezza delle città e la quasi assenza di corruzione. Dal punto di vista economico non ci sono grosse difficoltà e non è difficile avviare aziende o attività, anche per persone straniere. Certo però, per un italiano, il cambiamento potrebbe essere drammatico, proprio a causa della cultura assolutamente diversa dalla nostra e dal clima differente. E’ questione di sapersi adattare, abbandonare le abitudini vecchie per abbracciare uno stile di vita nuovo e più felice, senza portarsi dietro pregiudizi e chiusura mentale. La felicità in Finlandia non è una sensazione euforica di pancia ma più una tranquillità regolata e costante, un equilibrio nella vita senza drammatici sali e scendi. C’è lo stereotipo che i finlandesi siano freddi e rigidi ma si tratta di un falso mito, infatti possono apparire a questo modo di primo impatto, ma parlandoci sentirete subito la tranquillità e pace che sprigionano.
Questo si verifica perché la popolazione è abituata a non fare caso alle apparenze e quindi non si sente in obbligo, contrariamente a noi, di esibire le loro emozioni. In Finlandia c’è un detto che dice “chi è realmente felice non lo dimostra”. Qui si sintetizza tutta la filosofia dietro allo stile di vita. Gli abitanti infatti nutrono un profondo senso di gratitudine e apprezzamento alla vita, ma senza esaltarlo pubblicamente, convinti che la vera felicità sia silenziosa, intima e personale. E’ vero che gli italiani sono più espansivi e sia la condivisione che la compagnia sono due valori fondamentali per la felicità di un individuo nel suo piccolo sistema, ma i finlandesi ci dicono il contrario. La felicità viene da sé stessi, dai propri successi e raggiungimenti personali. E’ importante dedicarsi momenti da soli di cura ma anche alla scoperta delle proprie capacità e unicità, andando a sviluppare la propria persona in un percorso individuale assolutamente originale, non influenzato dalla propria comunità. Prova dei benefici di questo modello educativo è la straordinaria autonomia nei bambini piccoli e la capacità di problem solving.
Certo che una domanda ci pare scontata: come fanno ad essere felici con quel clima?? Infatti la penisola scandinava è caratterizzata da lunghi periodi di completo buio alternati a periodi dove il sole non tramonta mai. Certo che un ritmo di questo tipo non deve essere facile per il bioregolamento del corpo umano, portando sfasamenti, difficoltà nel dormire e gravi disturbi mentali. Infatti, anche se sembra un controsenso a quello che abbiamo detto finora, la Finlandia ha il tasso tra i più alti in Europa di casi di depressione e suicidi. Com’ è possibile conciliare le due cose? Si tratta della capacità della gente di sopportare le difficili condizioni climatiche, come in tutte le cose, gli esseri umani si differenziano per le loro diverse reazioni agli stimoli esterni. Molte persone non sarebbero in grado di adattarsi, ed è anche per questo che la Finlandia ha il tasso minore di immigrazione, ma allo stesso tempo una volta che ci si abitua non risulta più un grave problema. Il governo bilancia questo grave disagio con esaustivi servizi ai cittadini, comfort e agevolazioni. Ad esempio gli innumerevoli parchi giochi per i bambini, un numero di saune davvero impressionante (una ogni 2 abitanti), piste sciistiche agevoli, boschi pubblici, acqua pulita ovunque, programmi per la maternità e la salute dei bambini e infine programmi di parità di genere fin dall’asilo. Insomma, il welfare della Finlandia è davvero invidiabile e riesce a compensare i disagi del clima.
In conclusione, come possiamo aiutare la nostra nazione a diventare più felice? Curando la nostra salute mentale, prioritizzando le nostre passioni e ciò che nella quotidianità ci fa stare meglio. Abbandonando la ricerca del lusso, del marchio e dell’esclusività per rifugiarci in una vita semplice ma libera da mille regole sociali. Dimenticando le apparenze, vivendo il presente al meglio e smettendo di paragonarci agli altri, per creare un mondo di diversità, in cui ogni individuo ha lo spazio di esprimere la sua unicità.
Sofia El Khattabi 3B, Lucia Idrato 3B
Un interessante studio pubblicato sulla rivista Archives of Surgery ha svelato un legame sorprendente tra l’esperienza nei videogiochi e le competenze chirurgiche.
I chirurghi con esperienza nei videogiochi commettono il 37% di errori in meno durante le procedure chirurgiche, lavorano il 27% più velocemente e ottengono punteggi più alti del 42% nei test di precisione e accuratezza. Secondo gli esperti, queste statistiche dimostrano che i videogiochi contribuiscono a sviluppare competenze fondamentali per la chirurgia, come la coordinazione occhio-mano, la consapevolezza spaziale e la rapidità decisionale, tutte essenziali per la riuscita delle operazioni,che richiedono grande precisione.L’esperienza nei videogiochi, in particolare nei giochi d'azione, migliora il controllo motorio fine e le capacità cognitive.
Questi giochi richiedono una gestione attenta dei movimenti e una reazione rapida a situazioni impreviste, caratteristiche che si riflettono positivamente nelle tecniche chirurgiche. I giochi d'azione, infatti, stimolano l'abilità di prendere decisioni rapide in contesti complessi, proprio come accade durante un intervento, dove ogni secondo può fare la differenza.Questo studio ha suscitato nuove discussioni nel campo della formazione medica:da un lato la formazione pratica in sala operatoria resta insostituibile, dall'altro lato l’uso dei videogiochi potrebbe rivelarsi un valido strumento complementare, soprattutto per sviluppare e perfezionare le abilità tecniche in un ambiente sicuro e controllato. Nonostante i risultati promettenti, ci sono molte critiche poiché competenze come l’interazione diretta con i pazienti, la gestione dello stress e il lavoro di squadra possono essere affinate esclusivamente con l’esperienza sul campo.
In sintesi i videogiochi, se utilizzati correttamente, possono affinare competenze fondamentali, migliorare la precisione e ridurre gli errori in sala operatoria. Anche se non possano sostituire la pratica tradizionale, questi strumenti innovativi potrebbero diventare un elemento prezioso nel percorso di formazione medica.
Angelica Frappa, Anna Derya Di Finizio 4E
Negli ultimi anni, alcune delle principali elezioni mondiali – dalle parlamentari in Italia alle presidenziali negli Stati Uniti, fino a quelle europee – hanno offerto dati significativi per analizzare l’evoluzione del comportamento elettorale. Un trend emerge con chiarezza: l’elettorato è sempre più polarizzato, ma il dato più sorprendente riguarda la fascia giovanile.
Nelle ultime elezioni Italiane, il voto giovanile si è distribuito tra partiti populisti e movimenti anti-establishment, rivelando un elettorato diviso e disilluso nei confronti delle istituzioni tradizionali. La medesima situazione è stata riscontrata in Francia, dove sia la sinistra estrema che il partito di Marine Le Pen hanno guadagnato terreno, e in Spagna, con l’ascesa del partito di destra VOX.
Ciò che colpisce è la polarizzazione di genere che caratterizza le nuove generazioni. I giovani appaiono radicalizzati, instabili nelle preferenze e profondamente divisi: le giovani donne tendono a orientarsi verso posizioni progressiste, mentre i coetanei maschi mostrano una maggiore propensione verso forze di destra o antisistema. Questa tendenza non è esclusiva dell’Italia: Stati Uniti alla Germania, e che trova conferma nei dati italiani raccolti dall’Osservatorio Monitoring Democracy del Dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’Università Bocconi.
L’analisi delle preferenze elettorali degli under 30 evidenzia differenze marcate tra i generi. Fratelli d’Italia, ad esempio, ottiene il 15% dei consensi tra i giovani uomini, ma solo il 4,2% tra le giovani donne. Il Partito Democratico si attesta invece all’11% tra le ragazze e all’8,4% tra i ragazzi. Ancora più marcata la distanza nel caso di Forza Italia, che raccoglie il 5,1% tra i maschi e solo l’1,4% tra le femmine. All’opposto, il Movimento 5 Stelle registra un 18% di consensi tra le giovani donne, contro il 5,1% tra i coetanei uomini.
Alcune formazioni politiche evidenziano invece una distribuzione più equilibrata: è il caso della Lega, che si attesta al 3% per entrambi i sessi, o dell’Alleanza Verdi e Sinistra, con un lieve vantaggio tra le donne (4% contro il 3% degli uomini). I partiti dell’area centrista – come Azione, Italia Viva e +Europa – risultano infine leggermente più apprezzati dal pubblico maschile (10,7%) rispetto a quello femminile (8,7%).
Guardando agli orientamenti ideologici più ampi, i dati mostrano che il 34% dei giovani uomini si identifica nel centrodestra, e il 35% nel centrosinistra. Le giovani donne, invece, si collocano in misura maggiore nel centrosinistra (41%), mentre solo l’11% si riconosce nell’area di centrodestra. L’area centrista raccoglie il 5% delle preferenze maschili e il 14% di quelle femminili.
Questi dati, tuttavia, non si limitano alle urne: hanno un impatto concreto anche nella vita quotidiana, un fenomeno noto come polarizzazione affettiva.
«Con polarizzazione affettiva ci si riferisce al sentimento negativo che una persona, identificandosi con un partito politico, nutre verso gli “avversari politici”, ossia coloro che sostengono un partito diverso», spiega Maria Carrieri, professoressa all’Università della California, Berkeley, e all’Università Bocconi.
Questa dinamica quindi non resta confinata alla sfera politica, ma influenza anche le relazioni personali, accentuando divisioni sociali già esistenti. Riconoscerla e comprenderne le cause diventa fondamentale, soprattutto perché contribuisce ad aggravare ulteriormente il divario di genere, già particolarmente marcato nella società odierna.
«Queste tendenze confermano dinamiche già emerse in altri contesti internazionali», spiega Vincenzo Galasso, direttore del Dipartimento di Scienze sociali e politiche della Bocconi. «Si può ipotizzare che vi sia una reazione alla crescente enfasi sul politically correct da parte delle élite liberali. Tuttavia, la polarizzazione politica sembra concentrarsi prevalentemente tra i giovanissimi, mentre le generazioni dei trentenni e dei quarantenni mostrano maggiore moderazione, pur manifestando anch’esse un certo disagio nei confronti del politicamente corretto».
Galasso conclude sottolineando l’incognita rappresentata dall’attuale fase politica internazionale: «Resta da capire se il ritorno del trumpismo contribuirà a intensificare questa frattura generazionale e ideologica, oppure se, al contrario, i suoi eccessi favoriranno un riavvicinamento a posizioni più centrali».
Lucia Falzoni 4E, Valentina Pini 3D - 7 Aprile 2025
Donne, ebrei, stranieri, musulmani, persone con disabilità, omosessuali e transessuali sono le sei categorie più colpite dai messaggi d’odio sulla piattaforma X (ex Twitter). Questo dato è stato evidenziato dall’ottava edizione della Mappa dell’Intolleranza, un progetto ideato da Vox, l’Osservatorio Italiano sui diritti, in collaborazione con le università di Milano, Roma e Bari. Per questo si può ringraziare anche The Fool che ha permesso alla Mappa dell’Intolleranza di vedere la luce.
I numeri calcolati sono molto preoccupanti: pare infatti che da gennaio a novembre i messaggi discriminatori e di odio siano stati più di un milione, oltre la metà del totale. Tra questi la maggior parte sono indirizzati nei confronti delle donne, che rappresentano circa il 50% delle vittime di hate speech sui social media. Ma ancora più inquietante è il fatto che un messaggio misogino su cinque è scritto dalle stesse donne.
Non solo, dopo lo sterminio dei musulmani nella Striscia di Gaza l’antisemitismo ha avuto iun incremento drammatico, nel 2024 è infatti salito circa del 24%. Inoltre sono aumentati anche l’islamofobia e la xenofobia, sintomi di una società attraversata da forti pulsioni di rigetto nei confronti del “diverso”, percepito come una minaccia. Quindi non stupisce anche un incremento dell’abilismo, ovvero l’odio nei confronti delle persone disabili.
Diversi ricercatori hanno addirittura parlato di una verticalizzazione del fenomeno di odio online. Infatti fino a qualche anno fa l’odio sul web si diffondeva in modo più uniforme, toccando vari argomenti e gruppi sociali con intensità distribuita: era perciò un fenomeno ampio, ma spesso superficiale. Oggi invece questi messaggi d’odio non si sviluppano più orizzontalmente, ma si concentrano in profondità su bersagli specifici, sono diventati più intensi, mirati e soprattutto polarizzati.
Un dato incredibile è che le città italiane si confermano epicentri dell’odio digitale. Milano infatti risulta la città più misogina e xenofoba, seguita da Roma in cui l’hate speech è di matrice più antisemita e omotransfobica. Questo dato è maggiormente influenzato dalla diffusione della piattaforma X nei grandi centri urbani.
Per la prima volta i ricercatori hanno utilizzato i Large Language Models per analizzare l’incidenza degli stereotipi negativi sulla formazione e diffusione dell’hate speech. L’Ai ha rivelato che background culturali molto radicati creano e favoriscono la propagazione di messaggi d’odio. Sull’argomento Vox parla delle “echo chambers”, ovvero camere d’odio, in cui i discorsi discriminatori trovano un terreno fertile per moltiplicarsi, creando la cosiddetta “Piramide dell’odio” che si basa proprio sugli stereotipi radicati nella società.
Il fatto ancora più grave è che questo hate speech causa delle conseguenze gravissime. L’odio espresso online infatti la maggior parte delle volte si trasforma in azioni violente concrete come i femminicidi o gli episodi di bullismo. Nel dettaglio l’ottava edizione della Mappa dell’intolleranza spiega il rapporto tra linguaggio d’odio e violenza fisica: i ricercatori suggeriscono l’esistenza di un legame tra la normalizzazione dell’hate speech sui social e l’aumento di atti violenti nella vita reale. Quando l’odio diventa un elemento accettato nel discorso pubblico digitale, può abbassare la soglia di inibizione verso comportamenti aggressivi nella vita quotidiana. Riguardo a questo tema non si parla solo dei femminicidi, ma anche di azioni di bullismo “tradizionale” che si intrecciano con gli episodi di cyberbullismo.
Sulla base di questi dati emerge sempre di più la necessità di educare all’uso dei social media. La soluzione infatti non può limitarsi alla responsabilità individuale, ma deve coinvolgere tutti gli attori dell’ecosistema informativo. Non si tratta solo di insegnare il galateo digitale, ma di promuovere una cultura della consapevolezza, affinché ogni utente comprenda le conseguenze reali delle parole scritte online.
Riccardo Laronca 3B - 7 Aprile 2025
9 Settembre 2024: Mario Draghi, economista, dirigente pubblico, banchiere ed ex Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana, consegna alla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen il rapporto “The Future of European Competitiveness".
Questo rapporto, molto critico e, allo stesso tempo, molto criticato, ha rafforzato o, addirittura, risollevato l’interesse per alcune tematiche di ambito europeo come l’indipendenza economica, la lotta al cambiamento climatico e la difesa comune.
Il rapporto Draghi, di ben 412 pagine scritte interamente in inglese, non lascia spazio a fraintendimenti: l’Unione europea non può più continuare sulla stessa linea d’onda; è necessario agire. Il piano d’azione è suddiviso in tre parti: INNOVAZIONE, DECARBONIZZAZIONE e SICUREZZA.
Nella prima parte del Rapporto si punta a investire e rafforzare un’innovazione che, seppur non assente sul suolo europeo, fa fatica a ingranare, soprattutto dal punto di vista tecnologico, a causa delle eccessive barriere geografiche e burocratiche che cambiano da Stato a Stato, costringendo così migliaia di giovani a spostare la propria startup all’estero, soprattutto negli Stati Uniti d’America. Nel rapporto si critica inoltre l’AI Act, giudicato insufficiente e troppo frammentato per poter garantire veramente all’Ue la possibilità di concorrere con USA e Cina, mostrando anche il desiderio di superarli sia sul piano educativo che su quello delle opportunità lavorative.
La seconda parte è invece votata alla decarbonizzazione al fine di creare un’industria più sostenibile e differenziata nelle fonti rinnovabili di modo da garantire una maggiore autosufficienza energetica europea, promuovendo attivamente l’attuazione del Green Deal poiché “questa è la via”, proponendo in aggiunta fondi per attuarlo ed estenderlo più rapidamente, affrontando così la sempre più presente e subdola crisi climatica.
Infine nella terza e ultima parte l’ex Presidente del Consiglio punta a promuovere una difesa comune poiché, nonostante nel complesso l’Unione europea rappresenti il secondo investitore mondiale in ambito militare, l’industria bellica risulta eccessivamente frammentata, esponendo così l’Ue sia a minacce esterne come la Russia di Putin, sia a enormi e spropositate dipendenze in chiave difensiva come nel caso degli Stati Uniti d’America.
Il contributo di Mario Draghi risulta pertanto oggi più che mai fondamentale in un’Europa provata dalla guerra in Ucraina e in Medio Oriente, dal calo demografico, dalla fuga dei cervelli, dalla rivalità tra Stati, dai recenti dazi americani e dalla ormai travolgente potenza economica cinese che non si fa scrupoli a mandare in totale crisi il settore automobilistico europeo, mettendo così a rischio milioni di posti di lavoro.
maria agnese neri 5b - 31 marzo 2025
A Gaza contro la guerra e contro Hamas
Non si vedevano manifestazioni simili dalla fine del 2024.
Centinaia di palestinesi sono scesi in piazza per protestare contro il governo di Hamas e la continua escalation della guerra. I video diffusi sui social mostrano i residenti nel nord della Striscia di Gaza con cartelli con scritte come «Stop alla guerra» e «I bambini in Palestina vogliono vivere». Tra i cori si sentivano slogan come «Fuori Hamas», «Terroristi di Hamas», «La gente vuole rovesciare Hamas» e «Sì alla pace, no alla guerra». «Ho partecipato per inviare un messaggio a nome del popolo: basta con la guerra», ha dichiarato uno dei manifestanti al Times of Israel, spiegando di aver visto «membri delle forze di sicurezza di Hamas in abiti civili disperdere la protesta».
Nel frattempo, la situazione umanitaria nella Striscia di Gaza continua a deteriorarsi. Le agenzie umanitarie sono sotto forte pressione a causa degli attacchi che hanno colpito anche le loro sedi, come è accaduto nei giorni scorsi con l’UNICEF. Secondo fonti della stampa internazionale, tra cui Financial Times, Washington Post, Wall Street Journal e CNN, l’IDF (Forze di Difesa Israeliane) sta preparando piani per un’operazione militare su vasta scala che potrebbe portare all’occupazione della Striscia di Gaza. L’operazione includerebbe la gestione degli aiuti umanitari e costringerebbe i civili rimasti a vivere in una “bolla” al confine meridionale.
Le proteste non si sono limitate a Gaza. Anche a Gerusalemme, ieri migliaia di dimostranti si sono radunati fuori dall’ufficio del primo ministro Netanyahu. I manifestanti, compresi alcuni familiari di ostaggi, hanno gridato: «La pressione militare uccide gli ostaggi, la pressione militare aumenta le vittime». Diversi attivisti, tra cui Nili Margalit, una delle ostaggi liberate durante l’ultimo cessate il fuoco, hanno implorato il governo israeliano di negoziare un accordo per liberare gli ostaggi.
I palestinesi che manifestano non sono in alcun modo fautori della violenza o del conflitto, come spesso ci vorrebbero far credere , ma sono semplici civili che denunciano le violazioni dei loro diritti . Le loro proteste, quindi, non devono essere viste come un’opposizione verso la loro terra e patria o tantomeno alla loro cultura, ma come un grido di dolore contro una guerra che sta distruggendo la loro vita. Non sono i cittadini a creare il conflitto, ma sono loro a pagarne il prezzo, spesso senza voce in capitolo nelle scelte politiche e militari che li riguardano.
ANNA DERYA DI FINIZIO 4E- 20 MARZO 2025
“Siamo degli spreconi”: così inizia il preoccupante post della rinomata testata giornalistica online “Will Media”, solo uno dei tanti articoli pubblicati in onore del 5 febbraio, giornata internazionale contro lo spreco alimentare. Si tratta, purtroppo, di un problema che risulta ancora estremamente presente in tutto il mondo. La giornata è stata istituita nel 2014 grazie all’università di Bologna che seguita dal ministero dell’Ambiente ha fondato la Campagna Spreco Zero per sensibilizzare le persone sullo spreco alimentare, e sulle cause e conseguenze del fenomeno.
La sensibilizzazione è un processo fondamentale se si ha come obiettivo la limitazione di questo dannosissimo evento. Le stime parlano di addirittura un terzo di tutti gli alimenti prodotti per il consumo umano sprecati. Non si tratta solo degli scarti che vengono buttati ma di cibo che ancora è commestibile e potrebbe essere utilizzato, arrivando fino a un totale di 1 miliardo di tonnellate di cibo sprecato all’anno. I maggiori responsabili provengono da paesi ricchi, come già si immagina: una persona che vive in Europa spreca in media circa 132 kg all’anno di alimenti, in contrasto con il numero a una cifra dell’Africa Subsahariana. Il problema quindi parte e deve essere combattuto a partire da questi paesi. Ciò che solitamente coglie di sorpresa è che sono gli stessi consumatori che incidono su questo fenomeno Il 60% ha come responsabili le famiglie, il 28% la ristorazione e il settore della vendita al dettaglio del 12%.
La nostra penisola, che detiene il primato europeo in cucina, si presenta però con lo stesso titolo per quanto riguarda lo spreco, in Europa seconda solo al Portogallo. Le classifiche inoltre, nonostante la apparentemente crescente sensibilizzazione e consapevolezza, non sembrano migliorare: analizzando i dati dell’ANSA infatti risulta un incremento dell’8 %. Nelle case si passa da 75 grammi di cibo buttato ogni giorno a testa nel 2023, a quasi 81 grammi nel 2024.
Il problema non è soltanto nel grandissimo impatto ecologico che queste risorse non utilizzate hanno ma è anche una questione finanziaria: in Europa il totale di cibo sprecato corrisponde a circa 132 miliardi di euro, una cifra simile a quella che l'Italia investe nel settore sanitario ogni anno. Se le risorse venissero sfruttate al meglio si registrerebbe un miglioramento ovviamente verso diversi punti dell’agenda 2030 come il numero 12 consumo e produzione responsabili e il numero 2 sconfiggere la fame. Inoltre attraverso il risparmio di finanze potrebbe portare ad un miglioramento nell’economia dei singoli cittadini.
Per incentivare il combattimento contro questa grande problematica l’Unione Europea attraverso il fondo Horizon Europe (per la ricerca e l’innovazione) ha finanziato un progetto chiamato “Scrap The Food Waste”. Il progetto si occupa di ridurre gli sprechi all’interno delle case italiane attraverso studi, azioni concrete e campagne di sensibilizzazione sugli aspetti legati ai rifiuti alimentari prodotti dai consumatori in condizioni domestiche. Basandosi soprattutto sulla consapevolezza del consumatore che come i dati mostrano è colui che influisce di più su questo problema, la community in particolare cerca di aiutare nelle scelte che riguardano il modo in cui pianificano, acquistano, conservano, preparano e consumano il cibo.
Rimane di fondamentale importanza questo argomento e l’istituzione di una giornata comporta sempre più informazione a riguardo. Nonostante ciò è fondamentale accorgersi di quanto i nostri comportamenti impattano sull’ambiente circostante, non solo per salvaguardare il nostro pianeta ma anche per avere più soldi in tasca, lo spreco di cibo comporta anche una grande perdita nelle singole famiglie. Bisogna analizzare i dati e accorgersi che le azioni intraprese fino ad oggi non portano a sufficienti risultati e agire di conseguenza, trovando metodi sempre più innovativi per contrastare il problema
LETIZIA MEGLIOLI 4DL, ANNA PANTUSA 4B, SARA FERRI 4B- 18 MARZO 2025
Si sente spesso parlare di “fuga di cervelli”, fenomeno che dopo il rallentamento legato alla pandemia del Covid-19 è incrementato notevolmente: tra il 2022 e il 2023 sono circa 100mila i giovani che hanno lasciato l’Italia per trasferirsi all’estero.
L’Enciclopedia Britannica definisce la fuga di cervelli (il “brain drain”) come “abbandono di un paese a favore di un altro da parte di professionisti o persone con un alto livello di istruzione, generalmente in seguito all’offerta di condizioni migliori di paga o di vita”.
Come mai questo fenomeno, che dura ormai da anni, è sempre più in crescita? Perché i giovani preferiscono trasferirsi all’estero?
Secondo un sondaggio della Fondazione Nord Est, il 28% di loro parte per necessità: alcuni indotti dalla ricerca di migliori opportunità di lavoro che l’Italia non riesce ad offrire, altri per migliorare le proprie qualità di vita.
Il 23% si sposta all’estero per scelta, in cerca di maggiori opportunità di studio, formazione e lavoro. Intorno al 10% ricerca invece un salario più elevato.
La prima occupazione post laurea in Italia infatti non permette di raggiungere quell’autonomia finanziaria a cui giovani ambiscono per potersi rendere indipendenti dalle proprie famiglie. Nella maggior parte dei casi viene infatti presentata come prima proposta uno stage dai 600 ai 1000 euro mensili. Mentre in Germania e in Francia le retribuzioni lorde di partenza vanno dai 30.000- 40.000 euro annuali.
Un giovane non riceve dunque prime offerte di lavoro paragonabili al livello di prestigio e al livello economico.
Per di più, nel 1997 un rapporto dell’Ocse ( Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ) sui movimenti di personale qualificato, ha messo in luce diversi nuovi aspetti che si sono aggiunti alla questione del “brain drain". Ad esempio la brain circulation, vale a dire lo spostamento all’estero per consolidare e migliorare le proprie nozioni, per poi fare ritorno al proprio paese d’origine e mettere in atto le strategie accumulate per avanzare nella carriera lavorativa. In questo caso l’esperienza all’estero è una tappa del percorso formativo di un giovane, ma non ne costituisce il destino finale. Il problema dell’Italia è però che non c’è alcun rientro, bensì solo fuga, le cui dimensioni stanno diventando sempre più significative.
La fuga dei cervelli è indice di un regime contributivo eccessivo subito dalle aziende italiane rispetto alla concorrenza straniera. Bisognerebbe quindi a livello governativo prenderne coscienza e agire con politiche lavorative che permettano alle aziende del Made in Italy di essere competitive anche sotto questo punto di vista. Ciò aiuterebbe le industrie a mantenere nei propri organici nuove ed efficienti forze lavoro, senza incentivare la fuga verso l’estero.
Aiuterebbero a dissuadere i giovani dal “Sogno Americano” anche politiche di welfare aziendale mirate ad una maggiore qualità di vita sul posto di lavoro. Questo succede purtroppo solo tra alcune eccellenze italiane, che hanno un alto tasso di fidelizzazione tra le proprie maestranze, al contrario le PMI ( piccole e medie imprese ) poco formate, incentivate e altamente tassate fanno fatica a garantirlo.
Alla luce di tutto ciò si evince che bisogna lavorare in sinergia tra lo Stato e le associazioni di categoria per arrivare a restituire ai giovani la possibilità di realizzarsi appieno senza dover cercare altrove ciò che dovrebbero poter trovare in patria.
MARIA AGNESE NERI 5B - 16 MARZO 2025
50 mila persone in piazza il 15 marzo per l’Europa, per raccogliere la proposta di Michele Serra contro i populismi, i sovranismi e contro chi ci vede o ci vorrebbe divisi: “Una piazza per l’Europa”. Una voce corale che ha avuto come obiettivo quello di superare le divisioni delle bandiere di partito, dimostrando che la coesione non deve essere solo una speranza, ma un’azione concreta.
Tra le oltre 30 testimonianze sul palco della manifestazione, due sono, a mio avviso, gli interventi più significativi e toccanti. Quello di Fabrizio Bentivoglio è quello di Antonio Scurati.
Prima fra tutti, sicuramente, quella di Fabrizio Bentivoglio, che ci insegna che per unirci non è necessario compiere azioni eclatanti o agire secondo strategie avanguardiste, ma basta ricordare le nostre radici. Ed è proprio così che, davanti alla gente in Piazza del Popolo, ha scelto di leggere il celebre discorso di Pericle agli Ateniesi, pronunciato nel 461 a.C., tra le guerre persiane e la guerra del Peloponneso, per esaltare i valori di unità e comunità.
“Qui ad Atene noi facciamo così.
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa. E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita a una politica, tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma che la libertà sia solo il frutto del valore. Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice verbalità, la fiducia in sé stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.”
Fabrizio Bentivoglio ci permette, quindi, in maniera apartitica, di riflettere sulle nostre responsabilità in quanto cittadini europei. Comprendere appieno questa testimonianza di 2486 anni fa, funge, all’interno della nostra coscienza, da antidoto alla tendenza sempre più comune di abdicare ai nostri doveri da cittadini…
…
Ma per avere una visione globale di ciò che questa manifestazione ha significato è necessario riportare anche l’intervento di Antonio Scurati.
Lo scrittore ha scelto di prendersi la responsabilità di affermare, davanti alla piazza affollata, che nessuno possiede risposte definitive. Tuttavia, nonostante le differenze ideologiche, ciò che resta comune a tutti sono le domande che dobbiamo porci collettivamente . Inizia dicendo che, sebbene il panorama europeo attuale possa sembrare troppo confuso per determinare con certezza cosa siamo, è ormai sufficientemente chiaro per comprendere con altrettanta certezza cosa non siamo. : “Non siamo gente che invade paesi confinanti, non siamo gente che rade al suolo le città, non massacriamo e torturiamo civili con gusto sadico, non deportiamo bambini per usarli come riscatto. Lo abbiamo fatto, fino a 80 anni fa, ma proprio per questo abbiamo smesso. Noi non siamo gente che deporta clandestini in catene a favore di telecamera, non tagliamo finanziamenti ad associazioni umanitarie, non neghiamo la scienza, non umiliamo in mondovisione il leader di un paese che combatte per la propria sopravvivenza. Non vogliamo essere così.
Ripudiare la guerra non significa essere vigliacchi.
Aver studiato il nazismo e il fascismo mi ha insegnato che la lotta è diversa dalla guerra. Essere contro la guerra non significa non lottare, e democrazia vuol dire sempre lotta per la democrazia.”
Queste due testimonianze, così come le altre, insieme alla partecipazione delle persone presenti e a quella di coloro che, anche a distanza, esprimono la loro solidarietà, ci permettono di immaginare un’Europa unita attraverso le sue origini e grazie all'identità dei suoi cittadini.
Sofia El Khattabi 3B, Lucia Idrato 3B I 24 febbraio 2025
Il fumo rappresenta uno dei problemi di salute pubblica più gravi a livello mondiale. Il consumo di tabacco continua a causare milioni di morti ogni anno, nonostante le campagne di sensibilizzazione adottate in molti paesi UE.Secondo l’organizzazione vmondiale della Sanità (OMS) il Tabagismo è la principale causa di morte evitabile, responsabile di oltre 8 milioni di decessi annuali, di cui circa 1,2 milioni dovuti all’esposizione al fumo passivo.
Alcuni dei principali motivi per la quale le persone iniziano a fumare è spesso legato a fattori sociali e psicologici come la pressione dei coetanei ,la ricerca di un mezzo per affrontare stress e ansia ed inoltre la nicotina ,presente nelle sigarette, provoca una forte dipendenza fisica e psicologica. Il fumo ha effetti devastanti su quasi ogni organo del corpo umano e tra le principali malattie correlate al consumo di tabacco ci sono:
Il cancro, le malattie cardiovascolari(aumenta il rischio di infarto e ictus),Patologie respiratorie(Bronchite cronica ,enfisema…), Effetti sul sistema immunitario e riproduttivo(mette a rischio la fertilità sia negli uomini che nelle donne e rende l’organismo più vulnerabile alle infezioni).
Anche dal punto di vista economico e sociale si estendono altre conseguenze: Le spese sanitarie per curare le malattie legate al fumo sono enormi e la perdita di riproduttività è un grande costo per l’economia globale. Come riportato prima, il fumo danneggia anche chi gli sta intorno. Il cosiddetto “Fumo passivo” infatti contiene molte sostanze chimiche e cancerogene tanto che per bambini e neonati possono portare direttamente alla morte improvvisa. In Italia circa il 21% della popolazione fuma in una fascia d’età tra i 18 e i 24 anni, anche se molti minorenni ne fanno abuso.
Purtroppo il fumo si è radicato nelle nostre pratiche sociali e culturali associato alla ribellione e all’indipendenza, visto anche come simbolo di libertà anche se comporta pesanti conseguenze sulla nostra salute e sul nostro benessere.
In Europa si sta cercando di eliminare il consumo del tabacco ormai da tempo con diversi interventi come la presentazione di una raccomandazione non vincolante: dove se ne vietava l’utilizzo in spazi aperti come terrazze di bar, piscine e parchi giochi. l’iniziativa rientra nell’ europe’s beating cancer plan, in cui si preservare i danni da fumo. il divieto venne respinto con 378 voti contrari, 152 a favore e 26 astensioni.
La lotta contro il fumo dell’unione europea viene sicuramente ostacolata dall’industria del tabacco.
Nonostante non dovrebbero influenzare le decisioni dell’UE, prevedendo che le politiche sanitarie e pubbliche debbano essere protette da interessi economici e politici.
Tuttavia le sigarette elettroniche sono tutt’ora spacciate come strumenti per la cessazione del fumo, pur avendo già verificato che creano solamente più dipendenza nei giovani e contribuiscono all’inquinamento. in seguito è stata fatta “Analisi d’impatto della Raccomandazione” avviata già nel 2009, per approfondire il possibile danno economico dall’interruzione di vendita di sigarette, rivelando come li superino i benefici e i profitti : risparmiando sulla salute pubblica, miglioramento della qualità dell’aria e rifiuti ambientali.
L’unione europea non sembra scoraggiata, ma del tutto intenzionata a continuare la lotta contro il fumo.
Lucia Falzoni 4E, Valentina Pini 3D I 22 febbraio 2025
Uno studio condotto dal professore Gianfranco Parati, direttore scientifico di Auxologico, nonché docente presso l’Università degli Studi Milano-Bicocca, ha documentato che un breve riposo pomeridiano aumenta la vigilanza e l’attenzione, oltre che portare benefici sulla memoria procedurale e semantica.
E’ dimostrato infatti che il sonno tra una sessione e l’altra di studio aiuta a consolidare le informazioni appena apprese.
Il professore sottolinea che il sonno diurno è un toccasana per il corpo e per la mente. Infatti durante il sonno la pressione si abbassa e dopo il pisolino pomeridiano se ne può beneficiare.
Nonostante questo si potrebbero identificare due “regole” per avere un maggiore beneficio dopo il sonno. Infatti il riposo non dovrebbe durare più di mezz’ora, altrimenti si rischia di entrare nella cosiddetta inerzia del sonno, che provoca intontimento. Inoltre sarebbe meglio dormire dopo pranzo perché in questo momento della giornata si intercetta il calo circadiano della vigilanza, quando la propensione al riposo è maggiore. Addormentarsi al pomeriggio inoltrato potrebbe indebolire il sonno notturno.
Gli stessi studi sono stati condotti dall’Università Pompeu Fabra di Barcellona che ha deciso di introdurre la siesta, ovvero sonnellini obbligatori dopo pranzo per studenti, docenti e collaboratori per favorire il benessere fisico e mentale.
I dati hanno infatti evidenziato i benefici del sonno breve come una maggiore chiarezza mentale, una reazione più pronta, un miglioramento dell’umore e della memoria, oltre a un incremento della produttività fino al 20%.
Oltre a questo sono stati fatti anche dei test pilota per monitorare i livelli di serotonina prima, durante e dopo il pisolino. Il risultato è stato un aumento della serotonina dopo il sonnellino, con un conseguente aumento anche del rendimento accademico.
Per questi motivi l’università ha deciso di modificare alcuni spazi nei vari campus. Sale riunioni, auditorium e aule saranno adattati per creare ambienti idonei al riposo, con luce soffusa e silenzio. Anche le mense saranno coinvolte, riducendo l’attività tra le 15 e le 16, trasformando questa fascia oraria in un'ora tranquilla per facilitare il riposo.
L’Università ha inoltre dichiarato che sta realizzando una linea di merchandising sostenibile per offrire coperte, tappetini e maschere per gli occhi per rendere più confortevole il sonno. Non solo, verranno anche distribuiti degli opuscoli con consigli medici su come trarre il massimo beneficio dal sonno.
Con questa iniziativa l’Università spera di promuovere il benessere fisico e psicologico e l’equilibrio tra vita accademica e personale, rendendo così le giornate di studio e lavoro più produttive e piacevoli.
Anche noi abbiamo provato a chiedere ai ragazzi delle scuole di Modena se ritenessero utile inserire degli spazi appositi per consentire agli studenti di riposarsi prima dei vari impegni scolastici pomeridiani, come il biomedico o il giornalino.
Se siete curiosi trovate le loro risposte in un reel che abbiamo pubblicato su instagram.
Lucia Falzoni, Angelica Frappa 4E, Valentina Pini 3D I 20 febbraio 2025
Se con la fine dei regimi totalitari si pensava di aver raggiunto la piena libertà di espressione, gli ultimi anni hanno dimostrato che questa conquista è tutt’altro che scontata. Negli Stati Uniti, infatti, il fenomeno della censura sui libri ha registrato una crescita allarmante, con numerosi titoli rimossi, romanzi classici e contemporanei, da Sulla strada di Jack Kerouac a Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood, dagli scaffali di molte scuole con la motivazione di proteggere gli studenti da contenuti ritenuti inappropriati.
Secondo i dati raccolti da Pen America, associazione impegnata nella difesa della libertà di espressione, tra il 2022 e il 2023 sono stati censurati 3.362 libri, con un aumento del 33% rispetto agli anni precedenti. Ad oggi, sono 33 gli stati americani coinvolti in questa pratica, ma tra i più attivi figurano il Texas, la Florida, il Missouri, lo Utah e il South Carolina. In questi luoghi, ogni anno, viene richiesta la rimozione di decine di titoli considerati inappropriati per un pubblico minorenne. Tra i temi più contestati emergono razzismo, comunità LGBTQ+, salute mentale, bullismo, sessualità, pubertà e aborto.
Uno dei casi più emblematici riguarda la rimozione dal circuito scolastico texano di Il Diario di Anna Frank, con la giustificazione che il libro conterrebbe contenuti sessualmente espliciti. Una decisione che ha suscitato sconcerto a livello internazionale, dimostrando come la censura stia colpendo anche opere di valore storico e culturale universale.
La crescente ondata di divieti ha portato la politica americana a intervenire. L’amministrazione Biden aveva istituito la figura dei “book ban coordinator”, incaricati di monitorare e indagare sulle censure nei distretti scolastici. Tuttavia, questa misura è stata fortemente criticata dai gruppi conservatori, che hanno accusato il governo di voler limitare il diritto dei genitori di decidere sull’educazione dei propri figli.
Con l’elezione di Donald Trump, l’Ufficio dei Diritti Civili (OCR) del Dipartimento dell’Istruzione ha dichiarato decaduta questa iniziativa, respingendo 11 denunce sui “book ban” e affermando che la questione non riguarda i diritti civili degli studenti, bensì quelli dei genitori. Di fatto, il nuovo governo ha smantellato l’intervento di Biden, segnando una svolta a favore delle istanze censorie.
Questo fenomeno non riguarda solo gli Stati Uniti. Anche in Europa si registrano episodi simili, come dimostra la recente petizione per il ritiro dalle librerie italiane di Questo libro (non) parla di sesso, un manuale di educazione sessuale per adolescenti pubblicato da Edizioni Sonda. Il testo, che affronta tematiche come l’identità di genere e il consenso, è stato oggetto di contestazioni da parte di gruppi conservatori, i quali ritengono che simili argomenti non debbano essere trattati in età adolescenziale.
La crescente censura sui libri solleva preoccupazioni in merito al futuro della libertà di espressione. In un mondo che ha vissuto guerre e rivoluzioni per garantire i diritti civili, la rimozione di testi ritenuti “scomodi” sembra riportare la società a una nuova forma di oppressione. Il rischio è che, invece di progredire verso un’educazione più inclusiva e consapevole, si finisca per soffocare il dibattito culturale, lasciando le nuove generazioni senza strumenti per comprendere la realtà che le circonda.
Letizia Meglioli 4DL I 15 febbraio 2025
Sono circa le 6 del pomeriggio di un normalissimo giovedì di dicembre quando io e mia mamma ci troviamo in macchina in cerca di un parcheggio. Siamo di fronte al Palazzo dei musei ( dunque in pieno centro ) e non è ancora calato del tutto il sole, quando notiamo una bicicletta nel bel mezzo della strada. Spostiamo lo sguardo a sinistra sul ciglio del marciapiede, ed è proprio in quel momento che assistiamo ad una scena a dir poco terribile
Ben 5 ragazzi stranieri prendono a calci e pugni un ragazzo ( anch’egli di origine straniera ) completamente solo. Non so esattamente spiegare la sensazione che ho provato in quel momento, posso dire però di essere rimasta scioccata dalla brutalità e dalla cattiveria con cui queste persone avevano accerchiato il ragazzo ferito e continuavano a colpirlo senza fermarsi, nemmeno davanti ai gemiti di dolore.
Passati i primi secondi di shock, mia madre ed io scendiamo dalla macchina e, assieme ad altri passanti, ci avviciniamo gridandogli di smetterla. Due degli aggressori si allontanano e riesco ad individuarne alcune caratteristiche, come i vestiti e il colore dei capelli; gli altri però purtroppo riescono a scappare inseguendo il ragazzo ferito e noi li perdiamo di vista.
Decidiamo allora di chiamare immediatamente le forze dell’ordine, le quali arrivano all’incirca dopo un quarto d’ora.
All’arrivo della polizia chiaramente gli aggressori si erano ormai allontanati, i poliziotti hanno poi proceduto mandando delle pattuglie nei dintorni, ma con scarsi risultati. Però perlomeno uno di quei 2 ragazzi, che si erano allontanati al nostro arrivo, passa nuovamente per di lì e viene portato via per fare delle verifiche.
La nostra esperienza si è conclusa con un verbale alla polizia, ma dalla conversazione con le forze dell’ordine è emerso un dato che mi ha spiazzata: di queste aggressioni ne capitano all'incirca 10 OGNI singolo giorno.
Ció che ho provato é stata sicuramente tanta pena sia per il ragazzo ferito che invano tentava di difendersi, ma anche per quel branco di ragazzini ( saranno stati appena maggiorenni ) insensibili e privi di ogni scrupolo, che se la prendevano con qualcuno incapace di difendersi da solo.
Quanto spesso ci capita di accendere la televisione o di leggere i giornali ed essere bombardati dalle notizie di baby gang che commettono atti spregevoli, dalle risse a quelli ancora più gravi che sfociano in veri e propri atti di violenza e crimini perseguibili?
A me personalmente moltissime volte, bensì assistere ad un episodio del genere in prima persona è stato veramente tristissimo. Di fronte a queste scene di violenza il consiglio che mi sento di dare è quello di non restare indifferenti, bensì di agire ( chiaramente in sicurezza ) per quanto ciò alla fine possa avere dei risultati o meno.
É ormai chiaro dunque come la sicurezza stradale stia diventando un problema emergente nella nostra città. Per affrontarlo è necessaria la collaborazione tra i consigli di Istituto di Modena, che a dicembre si sono riuniti per discutere del tema nelle scuole superiori e primarie; e fondamentale è anche l’impegno del singolo cittadino, che deve imparare a prendere misure di prevenzione per tutelare sé stesso e gli altri.
Alice Fontana 4EL I 12 Febbraio 2025
Una volta durante una lezione la prof. ha chiesto alla mia classe se e dove trovassimo la bellezza nella matematica.
Inutile dire che c’è stata una risata generale, qualche verso di disperazione, e qualcuno che invece, come me, si è messo a riflettere.
Negli ultimi anni è stato studiato quanto l’odio verso questa materia sia irragionevolmente cresciuto. Molti giovani sviluppano un senso di disprezzo o paura verso la matematica per diversi motivi, spesso legati all'educazione, alla percezione sociale e alle esperienze personali.
Stereotipi e pressioni sociali giocano un ruolo chiave nella diffusione dell’idea della matematica come una materia “difficile”, adatta solo a “persone intelligenti”. Ciò porta numerosi studenti a sentirsi scoraggiati e a partire prevenuti, sostenendo di “non essere portati” per la materia, non provando in realtà nemmeno ad impegnarsi. Inoltre, l’assenza di concretezza, di esempi o di applicazioni pratiche rende difficile da comprendere qualsiasi argomento, con conseguente perdita di interesse e motivazione. La mancanza di un collegamento chiaro con la realtà quotidiana è uno dei motivi principali che portano gli studenti a non applicarsi, non riconoscendo l’utilità o l’importanza dei numeri.
Ma non è sempre stato così.
Nell'antichità, la matematica era fondamentale perché serviva a risolvere problemi pratici, amministrare risorse e sviluppare conoscenze che hanno gettato le basi per il mondo moderno. Gli antichi amavano la matematica perché la vedevano come qualcosa di più di un semplice strumento pratico: per loro era una chiave per comprendere l'universo, un linguaggio della natura e persino un'espressione del divino.
Gli Egizi associavano i numeri agli dèi e credevano che l’ordine matematico fosse una manifestazione del soprannaturale. Anche i Cinesi vedevano nel quadrato magico un simbolo sacro di equilibrio e armonia.
Impossibile non citare inoltre, i filosofi greci come Pitagora e Platone, che sostenevano che la matematica fosse la struttura fondamentale della realtà. Soprattutto quest’ultimo insieme ai Pitagorici, riteneva che i numeri e le forme geometriche fossero entità perfette ed eterne, un riflesso del mondo ideale. I numeri erano studiati non solo per risolvere i problemi, ma per scoprire l’armonia e l’ordine del cosmo.
Com’è possibile allora, che la nostra percezione di questa disciplina sia cambiata così radicalmente?
La risposta è semplice: la matematica non è cambiata, è semplicemente cresciuta e si è evoluta con noi. Siamo noi a essere cambiati.
È vero, a volte capita anche a me di detestarla, ma è un fastidio ingiustificato mosso da una pura insoddisfazione personale. Se davvero per ottenere la chiave di lettura della matematica basta trovarvi un’applicazione concreta, allora forse ho un paragone che potrebbe aiutare.
Odiamo la matematica quando non la capiamo, quando gli esercizi non ci vengono, quando le spiegazioni appaiono scritte in una lingua incomprensibile. Che più le rileggi e meno ti sembra di capire.
Ma pensandoci, non è lo stesso con le persone?
Non è forse quando l’equazione con una persona non dà il risultato che speravamo che l'incantesimo di positività e buona volontà si rompe? Che ci arrendiamo e semplicemente impariamo a convivere con l’idea che il fallimento fosse predestinato, e noi solo i poveri illusi che hanno provato a corrompere il destino.
A volte capita che svolgi un’operazione e il risultato che ti viene non ti pare assolutamente plausibile. …. o giù di lì. Già senti l’amaro in bocca dell’errore e sulla lingua la frustrazione pizzica fastidiosamente. Così guardi il libro, già ormai quasi rassegnato al pensiero di dover ricominciare da capo.
E poi scopri che è corretto.
Incredulo osservi quei numeri, quegli stessi perfetti numeri stampati sulla pagina 394 che sono uguali a quelli sbilenchi colmi di inchiostro sul tuo quaderno stropicciato.
Questa sì che è felicità.
Questa sì che è soddisfazione.
E ti senti un po’ Heisenberg e un po’ Einstein. Invece sei solo stato attento ai calcoli, e forse hai anche un po’ studiato. Sicuramente non ti sei distratto e non ti sei lasciato spaventare dalle tre stelline di difficoltà dell’esercizio.
Funziona così anche con le persone.
A volte sembra proprio impossibile che possa funzionare tra due individui. Incompatibili, tre stelle di difficoltà.
Tuttavia, in qualche caso, per qualche strano incrocio degli astri o stretta di mano del destino, ti ritrovi davanti ad un incastro perfetto. I numeri combaciano, sul tuo quaderno e su quello dell’altro, e quell’operazione impossibile diviene la tua preferita.
La matematica, come le relazioni, richiede un ragionamento, una pratica e un impegno costante. Soprattutto però, richiede pazienza.
Noi studenti tendiamo a perdere la motivazione quando non vediamo miglioramenti immediati, tanto quanto noi giovani perdiamo la speranza davanti ai “No” e agli ostacoli. Odiare la matematica è una risposta necessaria ad una condizione che si presenta davanti ad ognuno di noi ogni giorno: la difficoltà.
Forse, allora, non si tratta davvero di odiare la matematica, ma di temere ciò che essa rappresenta: la sfida, l’incertezza, il rischio di sbagliare. Ma proprio come nelle relazioni, la vera soddisfazione arriva dopo la fatica, quando un problema apparentemente insolubile trova la sua soluzione e tutto, improvvisamente, acquista senso. La matematica, dopotutto, non è solo numeri e formule: è logica, intuizione, perseveranza. È la dimostrazione che, con impegno e pazienza, anche ciò che sembra incomprensibile può diventare chiaro. Magari non la ameremo tutti, magari non è la persona adatta a noi, l’incastro perfetto per completare il nostro puzzle, ma forse, smettendo di vederla come un ostacolo insormontabile, possiamo almeno imparare a non averne paura. E chissà, inaspettatamente, anche a trovarvi un po’ di bellezza.
Sofia El Khattabi 3B, Lucia Idrato 3B, Riccardo Laronca 3B I 29 Gennaio 2025
Con baby gang o banda giovanile si intende un fenomeno di microcriminalità organizzata, generalmente diffuso nei contesti urbani, per il quale minorenni, spesso guidati da maggiorenni, assumono comportamenti aggressivi ai danni di cose o persone. Ultimamente nel contesto di Modena e dintorni si sono verificati gravi episodi di violenza e disturbo della quiete pubblica, compiuti da minorenni tra i 14 e i 17 anni. Di recente infatti sulla Gazzetta di Modena è uscito un articolo riguardante questo episodio al quale ci siamo particolarmente interessati, anche per capirne meglio le dinamiche. Questi ragazzi agivano in gruppo di sera o all’uscita delle scuole, avvicinandosi ai passanti, principalmente loro coetanei, con svariate scuse per poi minacciarli con coltelli e picchiarli, in caso si rifiutassero di dare loro soldi. Uno degli episodi più gravi si è verificato il 14 novembre 2024, in Piazza della Pomposa a Modena, quando un gruppo di ragazzi si è avvicinato ad un coetaneo per chiedergli dei soldi. Dopo avergli sottratto gli auricolari, lo hanno colpito con uno schiaffo, facendolo cadere a terra, per poi picchiarlo ripetutamente, con calci alla schiena e allo stomaco. Tutto ciò ha provocato alla vittima ben 10 giorni di prognosi. Dalle indagini svolte dalla Polizia è emerso che questi ragazzi mandavano in una chat tutte le immagini delle aggressioni, compiute probabilmente per semplice divertimento.
Ma qual è la motivazione dietro queste violenze?
Abbiamo provato, insieme ai nostri compagni di classe, a ragionarci, ipotizzando alcune possibili risposte.
Che sia la musica?
Alcuni sostengono che un fattore propagandistico della violenza siano proprio le canzoni; la maggior parte dei testi musicali, ascoltati dai più giovani, parla di violenza, volgarità, oscenità e disprezzo per l’autorità. La costante esposizione a questa aggressività porta inevitabilmente alla sua normalizzazione e, nei casi più estremi, al suo uso quotidiano. Anche film, serie TV e videogiochi, con i medesimi contenuti, potrebbero incentivare questi comportamenti. Fortunatamente a queste conseguenze estreme arriva solo una minoranza di giovani.
Che sia l’ambiente di vita?
Questi ragazzi potrebbero essere cresciuti in luoghi poco accoglienti, nei quali nessuno si cura di loro o dove molto spesso si sentono emarginati. Questo potrebbe aver alimentato in loro un senso di rivalsa e il desiderio di attirare l’attenzione, assieme ad un gruppo di pari che si distingue per brutalità e aggressioni.
Esiste un legame tra microcriminalità giovanile e immigrazione?
Molti dei ragazzi che fanno parte delle baby gang sono minori stranieri non accompagnati o italiani di seconda generazione che, per legge, sono iscritti presso le scuole di Modena e provincia. Abbiamo provato ad immedesimarci nella loro situazione e, dopo averlo fatto, abbiamo compreso che forse il problema maggiore sta nell’assenza d’integrazione che può dipendere sia da fattori sociali sia da una mancanza di volontà in tal senso. La frequenza di questi reati ai danni di minori contribuisce ad alimentare una visione stereotipata nei confronti di tutti gli immigrati, facendoli apparire più facilmente e frequentemente come criminali.
Questo articolo ha avuto innanzitutto l’obiettivo di raccontare un problema sempre più presente nel contesto della nostra realtà cittadina, presentandolo però attraverso l’analisi di noi giovani studenti, ossia coloro che sono più colpiti da queste aggressioni.
Aurora Vanacore, 5B I 27 gennaio
Per non dimenticare
Ma basta?
Basta semplicemente limitarsi a non dimenticare una data?
Basta semplicemente limitarsi a non dimenticare Auschwitz?
Basta semplicemente limitarsi a non dimenticare la dittatura di Hitler?
Basta semplicemente limitarsi a non dimenticare gli ebrei?
Basta semplicemente limitarsi a non essere indifferenti?
Forse si dovrebbe piuttosto ricordare
Ricordare non solo il 27 gennaio, ma tutti i giorni
Ricordare non solo Auschwitz, ma tutti i campi di concentramento e di lavoro forzato
Ricordare non solo il nazismo, ma anche tutti gli altri regimi totalitari che hanno basato il loro potere sulla negazione dell’esistenza dell’Altro
Ricordare non solo gli ebrei, ma anche le ebree, gli omosessuali, gli zingari, gli infermi e tutte le altre categorie definite come nemiche e perseguitate per la loro semplice colpa di essere nate nel momento sbagliato al posto sbagliato.
Andare oltre la semplice non indifferenza, ma anche verso una protesta attiva e consapevole.
“Non esiste uomo tanto codardo che l'amore non renda coraggioso e trasformi in un eroe”, così diceva Platone.
Oltretutto, siamo esseri umani,
Mossi dalla passione.
E sia proprio questo stesso lato irrazionale e indomito
a guidare verso il cambiamento,
Verso la rivendicazione delle ingiustizie,
Verso la ricostruzione di basi su cui ripartire dopo che tutto è stato distrutto:
vite,
famiglie,
sogni,
sentimenti.
In quei campi non sono solo morti degli esseri umani,
ma c’è una cosa che non può essere mai distrutta: la storia.
Il suo flusso scorre inesorabile
Nonostante tutto
Allora dunque è dovere dei cittadini dell’oggi
Fare in modo che questa corrente non ci travolga,
Né possiamo pensare di avere il lusso di poterci abbandonare
e lasciarci trasportare.
Si deve ricordare
Si deve agire
Si deve cambiare
Per amore
Di questa specie tanto strana
Che eravamo,
siamo
e saremo.
Sara Ferri e Anna Pantusa, 4B
“Quando si parla di carcere si parla di numeri. Ma dietro ai numeri si nascondono storie che molti dimenticano o non ascoltano.”
Nell’ultimo periodo si è sentito parlare spesso di carceri, di rivolte, di sovraffollamento. Nelle scorse settimane al Sant’Anna di Modena si sono tolti la vita tre detenuti.
Il carcere dovrebbe rieducare, eppure varcare il cancello di un istituto penitenziario significa spesso assistere a scene di violenza. Se tutto questo viene permesso, dove trovare spazio per la rieducazione? Come può un detenuto essere inserito nuovamente in società?
Punire o ignorare la violenza è più facile che rieducare. L’educazione richiede risorse e tempo. Ma è lì che nasce una possibilità di miglioramento.
Le carceri si trovano spesso in zone periferiche, lontane dallo sguardo del mondo e forse anche delle istituzioni.
Il 16 gennaio 120 studenti di diverse scuole si sono riuniti nella sala Truffaut di Modena per partecipare al terzo appuntamento del Dig Screen Education, la rassegna a cura di Associazione DIG.
Sono stati presentati tre documentari sulle carceri nel mondo: “11 giorni” di Nicolò Zambelli, “Chi li ascolterà?” di Selena Frasson e Claudio Rosa, girati rispettivamente nell’istituto penitenziario di Brescia e nel Minorile Beccaria di Milano, e “Sons of Jihadists - The impossible return”, ambientato in un centro detentivo per i figli dei terroristi ISIS in Siria.
La giornalista Selena Frasson ha raccontato della propria esperienza, della vita all’interno delle carceri e della critica situazione attuale.
“Una delle difficoltà principali? Entrare in connessione coi ragazzi. La loro diffidenza iniziale è stata molto difficile da superare. Spesso sono abituati ad essere strumentalizzati per trasmissioni televisive. Veramente qualcuno ha voglia di ascoltarli? Il mio obiettivo non è stato quello di presentare un documentario al festival, ma di dare voce alle storie degli altri. A quelle storie così lontane dal mondo.”
Alice Fontana 4EL
Nella giornata di giovedì 12 dicembre 2024 la classe 4EL si è recata presso la Sala Truffaut a Modena per assistere alla presentazione del docufilm “100 minuti”, scritto e condotto da Corrado Formigli e Alberto Nerazzini, ospite anche dell’evento organizzato dal DIG Festival. Dopo la visione del docufilm, è stata data ai ragazzi l’opportunità di porre domande al giornalista in persona, che ha risposto approfondendo alcune questioni e chiarendo i dubbi dei ragazzi.
Dato che si tratta di un argomento che ha toccato molto i ragazzi, ci è sembrato importante riportare il contenuto della giornata in questo breve articolo riassuntivo, volto a introdurre brevemente un tema che merita oggi più che mai, la dovuta attenzione.
“Roma città aperta” è il titolo della prima inchiesta al centro di ‘100 minuti’, il programma scritto e condotto da Corrado Formigli e Alberto Nerazzini. A partire da un episodio emblematico della storia della criminalità organizzata a Roma, l’omicidio di Fabrizio Piscitelli meglio detto “Diabolik”, il racconto prosegue sciogliendo i nodi più contorti di una storia occulta, rimasta archiviata negli ultimi anni. Ne risulta un viaggio agghiacciante che dimostra quanto in profondità la criminalità organizzata penetri il tessuto economico, politico e sociale della Capitale.
Un racconto costruito con immagini e video inediti ed esclusivi delle ultime ore di Diabolik, arricchito con intercettazioni telefoniche e audio, che arriva fino a presentare gli atti di svariati processi. Un racconto che non tratta solo di un uomo, ma che dalla sua figura parte per parlare di qualcosa di più grande ed ormai impossibile da ignorare.
“Tutte le strade della criminalità partono da Roma”, sentenziò in una famosa intervista il boss Raffaele Cutolo. Strade battute non solo dalla storica Banda della Magliana, che una volta deteneva il monopolio assoluto sulla criminalità romana, ma dove si trovano ormai le tracce anche della ‘ndrangheta, della Camorra, di Cosa Nostra e di nuove consorterie criminali quali il Clan Spada e Casamonica. Nel paesaggio criminale romano non mancano però anche collegamenti con l’estero e, soprattutto, con la mafia albanese.
È ormai da diversi decenni infatti, che la criminalità organizzata a Roma ha assunto caratteristiche sempre più complesse e ramificate, configurandosi come un fenomeno che intreccia interessi economici, sociali e politici. Il narcotraffico è l’attività principale, ed è proprio nel contesto romano che vi si trovano i maggiori esponenti. Primo fra tutti, l’albanese Elvis Demce.
Un episodio emblematico che ha acceso i riflettori su questo mondo è l’omicidio di Fabrizio Piscitelli, noto come “Diabolik”, avvenuto il 7 agosto 2019 nel Parco degli Acquedotti. Figura carismatica nel mondo degli ultrà della Lazio, la squadra di calcio romana, Piscitelli era noto non solo nella Curva Nord dell’Olimpico, ma anche e soprattutto nei vicoli stretti e nei quartieri nascosti di Roma. Importante personaggio nella criminalità organizzata romana e coinvolto nel narcotraffico della Capitale, l’uomo era conosciuto anche per i suoi stretti rapporti con la camorra Napoletana. In modo particolare con la famiglia dei Senese.
Il nome di Michele Senese non suona inaudito a nessuno a Roma. Figura centrale della mafia della città, fondatore e boss del clan Senese, gioca da sempre un ruolo cruciale nella mafia non solo nei quartieri romani e napoletani, ma in tutta Italia.
Queste due figure sono le prime ad emergere nel docufilm girato da Formigli e Nerazzini, dove viene prestata particolare attenzione al legame che si è consolidato negli anni proprio tra la Camorra e la criminalità romana.
Tuttavia, non è solo la figura di Michele Senese ad apparire come fondamentale nel programma, bensì anche quella del precedentemente citato, Elvis Demce.
Amico, collega, forse pupillo dell’ex capo degli Irriducibili della Lazio Diabolik, Demce si presenta come il principale esponente e boss della Gomorra albanese. Da sempre un pezzo grosso dello scacchiere del narcotraffico a Roma, dall’omicidio di Piscitelli ha costantemente cercato di rimpiazzare il vuoto nel mercato della droga lasciato dal collega, e puntando a crescere sempre di più.
A frapporsi tra Demce e il suo desiderio di espandersi, vi è Ermal Arapaj, anche lui albanese. 'Ufo', così lo chiamano i suoi, rappresenta negli ultimi decenni, un’altra pedina fondamentale nel narcotraffico romano e della provincia. Da anni i due si giocano il monopolio del mercato illegale della droga sul suolo romano e di provincia, alternando altalenanti periodi di carcere a supremazia insormontabile. Con l’uscita di Demce dalle sbarre però, il mazzo è stato rimescolato.
Conversazioni inedite, video e audio, completano un quadro complesso, fatto di nomi e soprannomi, cognomi e famiglie, che si dimostra quanto mai intricatl e variopinto.
Formigli e Nerazzini giocano proprio su questo aspetto: la difficoltà. Nonostante gli sforzi delle forze dell’ordine e della magistratura, la lotta alla criminalità organizzata a Roma si scontra con numerosi ostacoli. La corruzione, l'omertà e la capacità delle organizzazioni di mimetizzarsi all'interno del tessuto sociale rendono complesso il contrasto a questi fenomeni.
Il processo "Mafia Capitale" ha rappresentato un punto di svolta, svelando la connessione tra politica, imprenditoria e criminalità organizzata. Tuttavia, il cammino per debellare queste reti è ancora lungo.
Corrado Formigli
Alberto Nerazzini
Sofia El Khattabi, Lucia Idrato e Riccardo Laronca 3B
Il 28 Novembre 2024, in seguito ad un lungo dibattito a livello nazionale, il Senato Australiano ha approvato il divieto di utilizzo dei social media da parte dei minori di 16 anni, che punta a diventare la prima e la più restrittiva legge al mondo per tener lontani i giovanissimi dai social.
La Ministra delle Comunicazioni, Michelle Rowland, ha dichiarato che questo nuovo provvedimento normativo garantirà comunque ai più giovani l’accesso alla messaggistica, ai giochi online e ai servizi di sicurezza e di istruzione. I social che sicuramente subiranno restrizioni sono Snapchat, Tiktok, Instagram e X. Questa legge entrerà in vigore a partire dal 1 Gennaio 2025 e le piattaforme che saranno sorprese a violarla verranno multate fino a 33 milioni di dollari. Sempre secondo la Ministra delle Comunicazioni quasi due terzi degli australiani di età compresa tra 14 e 17 anni hanno visualizzato contenuti estremamente dannosi sui social media, che riguardavano l’abuso di droga, il suicidio o l’autolesionismo.
Nonostante la forte approvazione del Primo Ministro Anthony Albanese, questo divieto ha ricevuto numerose critiche sia da parlamentari sia dalle Aziende dei social media che hanno giudicato vaga e poco specifica la legge.
Per tutelare la privacy, non si potranno chiedere documenti d'identità agli utenti, ma questo renderà ancora più difficile verificarne l'età. Le piattaforme social avranno dieci mesi per sviluppare sistemi di verifica alternativi, ma nessuno sa ancora quali tecnologie potranno essere utilizzate. Inoltre, come riporta il Guardian, Elon Musk, patron di X, ha attaccato questo divieto, ritenendolo una limitazione della libertà personale.
Le conseguenze di questa legge potrebbero andare ben oltre i confini australiani. La Norvegia ha già annunciato di voler seguire l'esempio di Canberra, mentre nel Regno Unito il ministro della Tecnologia ha dichiarato di vagliare l’ipotesi di un divieto simile, anche se per il momento ne ha escluso la possibilità, riporta la Bbc.
….E in Italia?
Secondo la normativa vigente, che si rifà al D.L. 10 agosto 2018, n.101 la soglia d’età per poter utilizzare un social network è quella dei 14 anni. Tra i 13 e i 14 anni è già possibile creare il proprio profilo, ma con la supervisione e il consenso dei genitori per la tutela dei minorenni.
Il 20 Maggio 2024 le parlamentari Lavinia Mennuni (Fratelli d’Italia) e Marianna Madia (Partito Democratico) hanno presentato una proposta di legge bipartisan. L’obiettivo di questa iniziativa non è vietare l'accesso a social network e Internet ai minori, ma promuoverne un uso sicuro e consapevole, fornendo alle famiglie gli strumenti adeguati per contrastare l’utilizzo eccessivo. Tra gli obiettivi prefissati vi è anche il contrasto al cyberbullismo e all’esposizione a contenuti inappropriati.
Tra i punti cardine della proposta vi è l’innalzamento dell’età minima per accedere ai social media da 13 a 15 anni, garantendo anche un’effettiva verifica dell’età di modo che non sia più aggirabile, a cura di Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) e Garante della Privacy. Ad oggi, la maggioranza della popolazione, giovani in primis, si trova quotidianamente ad utilizzare i social media. Ognuno di noi dovrebbe essere chiamato a usare i social in modo consapevole e, nel suo piccolo, educare i propri cari ad un loro uso appropriato.Però è anche nostro dovere di cittadini lavorare affinché lo Stato, attraverso le Leggi, fornisca aiuti e regole per affrontare le nuove tecnologie che, giorno dopo giorno, presentano nuove sfide. Pur essendo un’operazione piuttosto complicata siamo direttamente sottoposti a questi rischi che per i giovani possono sembrare una grande valvola di divertimento che, però, quando viene interrotta o bloccata porta al disaccordo generale.
A dimostrazione di ciò nel 2024 l’Oxford Dictionary ha scelto “Brainrot” come parola dell’anno. Questo termine significa letteralmente “cervello marcio” e descrive quel senso di stanchezza mentale che proviamo quando si passano ore a guardare reel e video-meme. I contenuti brevi assorbono una parte sempre maggiore del nostro tempo. Il bombardamento di micro-contenuti sta riducendo drasticamente la capacità di interessarsi a contenuti piú lunghi e con piú spessore. In verità la mancanza di un senso di continuità di questi video appesantisce il nostro cervello, infatti é piú faticoso concentrarsi su un contenuto di intrattenimento strutturato. Il "Brainrot" alla lunga ci lascia senza strumenti per affrontare il mondo reale e connetterci con gli altri o noi stessi.
Mattia Piva, Sara Ferri e Anna Pantusa, 4B
Trovare il coraggio e la motivazione di fare un’esperienza che esce da ogni canone della propria vita e nella quale si viene a contatto con un mondo nuovo, sommerso e nascosto, non è facile. Giovanni Neri, studente della classe 4^B, queste qualità le ha dimostrate nella sua esperienza di volontariato nella città di Kylis, città turca al confine con la Siria.
Alla nostra domanda su cosa lo abbia spinto a partire, Giovanni ha risposto così:
“Volevo fare qualcosa di nuovo, un’esperienza che non fosse un semplice viaggio di vacanza, ma piuttosto un motivo di soddisfazione per l’aiuto dato al prossimo”. Già dalle prime parole, risulta evidente l’elemento fondamentale per un viaggio del genere: la voglia di mettersi in gioco, di poter essere utile a qualcuno, sia come atto di solidarietà, ma anche come esperienza formativa e di crescita personale.
Per avere un’idea più chiara, però, di cosa significhi compiere un gesto di volontariato come questo, domandiamo cosa abbia fatto nel pratico durante questa esperienza.
“Il mio compito era quello di consegnare pacchi di alimenti, abiti, coperte, a queste persone fuggite dalla Siria che vivevano in condizioni pessime, spesso famiglie anche di tredici persone che vivevano per strade, in campi o in monolocali. Questi rifornimenti avevano anche un significato simbolico per le persone a cui li recapitavo, ovvero trasmettere loro speranza e la consapevolezza che ci sono tante persone disposte ad aiutarle”. Il giusto approccio in questo compito, quindi, è importantissimo anche e soprattutto per tentare di trasmettere sentimenti sinceri e positivi alle persone con cui si entra in contatto, che provengono da tragici scenari di guerra e da condizioni di vita al limite dell’umano.
“Anche stare a contatto con gli altri volontari, spostarsi nel piccolo baule di un furgone con loro, sono tutti elementi che hanno reso questa esperienza anche motivo di divertimento - prosegue Giovanni - Ho visto tanti posti nuovi, molto particolari. Oltre alla soddisfazione, insomma, è stata un’esperienza che mi ha arricchito sotto molti altri aspetti”.
“Con che tipo di realtà hai dovuto relazionarti? Hai trovato difficoltà?” chiediamo, interessati al confronto tra la vita di tutti i giorni e un mondo che sembra tanto distante. “Mi aspettavo di trovare una realtà del genere, in cui la povertà predomina su tutto - ammette lui - Quindi non ho avuto particolari difficoltà ad ambientarmi. In ogni caso è un’esperienza che credo tutti dovrebbero fare almeno una volta nella vita, per affrontare un ambiente totalmente differente da quelli dell’Italia e dei paesi europei in generale e avere più consapevolezza”.
“Quindi è un’esperienza che consiglieresti ad altri?” gli chiediamo infine.
“Sì - risponde convinto - a molti altri. Come già detto, oltre all’impegno e alla fatica c’è anche modo di divertirsi, ma soprattutto di conoscere un mondo nuovo e affrontando faccia a faccia alcune delle tante diseguaglianze del nostro pianeta”.
Anna Derya Di Finizio, 4E (Articolo); Alice Carli, 5CL (Raccolta ed elaborazione dati) | 9 dicembre 2024
I risultati delle elezioni presidenziali americane (tenutesi il 05/11/24)
La 60° edizione delle elezioni americane si è conclusa il 5 novembre 2024, confermando Donald Trump come 47° presidente degli Stati Uniti d’America. Una vittoria incerta fino all’ultimo istante.
Le elezioni del 2024 sono state segnate da molteplici eventi significativi che ne hanno caratterizzato l’andamento. Tra questi il ritiro di Joe Biden, inizialmente candidato di punta per il partito Democratico, avvenuto il 21 luglio 2024, data ben successiva all’inizio delle campagne elettorali. Inoltre i tentativi di attentato alla vita di Donald Trump hanno suscitato ulteriore clamore, contribuendo a rendere queste elezioni tra le più discusse della storia recente. Data l’importanza globale degli Stati Uniti, la copertura mediatica è stata imponente: molti giornali e statisti si sono occupati dell’evento, con un particolare occhio di riguardo per il coinvolgimento dei giovani.
Anche noi di Status Quo ci siamo interessati a capire nel dettaglio come gli studenti hanno percepito le elezioni americane e quindi abbiamo condotto un sondaggio.
Tra i giovani americani, circa il 53% degli adulti tra i 18 e i 29 anni ha dichiarato di seguire le notizie sui candidati almeno "abbastanza da vicino". Mentre, solo il 46% di questa fascia d’età afferma di prestare molta attenzione alle notizie elettorali. Nel nostro istituto tuttavia l'interesse per le elezioni è stato molto elevato: il 71% degli studenti ha dichiarato di aver seguito le elezioni con un coinvolgimento compreso tra 3 e 5 su una scala di massimo coinvolgimento, mentre solo il 5,6% dichiara di non averle seguite minimamente.
Questi dati sono stati confrontati con l’interesse generale degli studenti verso la politica. Il 26,3% dichiara di seguire la politica con un punteggio di 2 da una scala da 1 a 5, mentre il 33,1% dichiara di seguirla con un punteggio di 3.
Per quel che riguarda le elezioni americane, il 29,4% degli studenti che ha dichiarato di averle seguite con un coinvolgimento superiore rispetto al loro interesse abituale per la politica.
Inoltre, è stato interessante esplorare come la scuola potesse essere un canale per stimolare questo interesse. Tuttavia, i risultati sono stati sorprendenti: il 60 % degli studenti ha dichiarato di aver sentito parlare delle elezioni in modo limitato, invece il 13,8% che non ha sentito parlare affatto di politica a scuola , confermando la frequente affermazione "a scuola non si parla di politica".
E’ interessante notare come il coinvolgimento nella politica rimanga invariato tra maggiorenni e minorenni.
Lo stesso fenomeno si riflette anche nelle preferenze espresse per i candidati: il 20% ha dichiarato di supportare Donald Trump, mentre l’80% Kamala Harris. Il supporto per Trump nella scuola è molto minore rispetto a quello dei giovani Americani (43% di preferenze).
Le percentuali per i candidati rimangono invariate anche se si considerano le persone più interessate alla politica (4-5).
La percentuale di sostenitori rimane stabile quando si chiede di esprimere il loro livello di soddisfazione riguardo i risultati delle elezioni. Infatti, il 74,4% si è dichiarato totalmente o estremamente insoddisfatto, mentre solo il 10,6% si è detto completamente soddisfatto, nonostante il 20% dei votanti abbia scelto Donald Trump. Questo contrasto evidenzia come, indipendentemente dalle preferenze politiche, la soddisfazione complessiva verso i risultati delle elezioni sia generalmente bassa.
In linea generale gli studenti della nostra scuola hanno dimostrato interesse verso queste elezioni, nonostante quella scolastica non sia la sede principale di discussione sull’argomento. I muratoriani-sancarlini si sono quindi dimostrati consapevoli e coinvolti dalla politica internazionale.
Christian Bianco, 4E | 21 novembre 2024
Sono passati ormai poco più di due mesi dall’arresto di Puff Daddy, al secolo Sean Diddy Combs, avvenuto il 16 settembre 2024, e quello che sin da subito è sembrato uno dei casi di cronaca più rilevanti degli ultimi anni, per via del fortissimo e, oserei dire a tratti dannoso, impatto mediatico riscosso ha iniziato ad assumere i contorni di una telenovela argentina di scarso livello grazie alla quale gli utenti sui social hanno potuto dare sfogo a tutta la loro creatività diffondendo fake news e congetture complottiste da quattro soldi di ogni tipo, trasformando una delle vicende di cronaca più intricate del mondo dell’intrattenimento in puro gossip, uno scandalo. A distanza di quasi due mesi dall'arresto, calatasi leggermente l’ossessione mediatica legata al caso, é quanto mai necessario cercare di riavvolgere il filo della vicenda e raccontare dall’inizio,in modo ordinato, gli episodi e le circostanze che hanno portato all’arresto del noto rapper americano e, soprattutto, che hanno reso possibile la creazione di un vero e proprio business costruito sulla base di abusi, minacce e ripetute violenze. Per avere piena contezza della grande complessità del caso occorre partire dal 1990 quando Combs, dopo aver lasciato la Howard University, decide di dare inizio alla propria carriera musicale iniziando a lavorare per la Uptown Records, una famosa etichetta discografica americana, per poi essere licenziato non appena tre anni dopo nel 1993. Pare, come conferma anche il celebre rapper americano Lord Jamar in un’intervista per The art of dialogue, che in merito al motivo del licenziamento sia sempre girata la voce che Combs sia stato costretto alle dimissioni dopo essere stato trovato in una situazione compromettente con un suo collega, “doing something very baby oil-ish in the office” riporta Lord Jamar, aggiungendo tuttavia “I don’t know, I am just saying this is the rumor since back then”. A partire da novembre del 2023 sono pervenute sul tavolo dei giudici due denunce che risalgono al suo periodo presso la Uptown Records; nella prima di queste due denunce vengono accusati di violenza sessuale da parte Liza Gardner, ai tempi una sedicenne, sia Combs che Aaron Hall, un cantante R&B i quali dopo un evento avrebbero violentato la vittima e un’amica a casa di Hall, per poi picchiare la querelante diversi giorni dopo. La seconda denuncia i cui fatti risalgono a quel periodo proviene da Joi Dickerson, la quale sarebbe stata vittima del classico schema degli abusi del rapper, ovvero prima sarebbe stata drogata per poi essere violentata e filmata senza consenso. Il licenziamento dalla Uptown Records offre al cantante la possibilità di creare la propria etichetta discografica, Bad Boy Records, mai nome fu più azzeccato mi verrebbe da dire; il potere ottenuto grazie al grande successo riscosso dall’etichetta in quel periodo pone le basi per rendere questi reati sempre più sistematici: infatti in base ad una denuncia ad Ottobre di quest’anno, nel 1995 avrebbe abusato di una ragazza con cui stava lavorando insieme al video musicale “One More Chance”, minacciandola in seguito di stare in silenzio altrimenti sarebbe scomparsa. Tra le denunce che fanno riferimento a questi primi anni di attività della Bad Boys Records, emergono quelle provenienti da April Lampros, ai tempi del suo primo incontro con Sean Combs una studentessa del New York’s Fashion Institute of Technology,la quale afferma di essere stata violentata da Combs più volte, per l'esattezza quattro, tra la fine degli anni 90 e gli inizi del 2000. Il 1998 è un anno fondamentale per i risvolti della vicenda così come la conosciamo oggi: Combs inizia proprio in quest’anno a dare i suoi “all-white parties”, feste esclusive oltre ogni limite che gli sono valse il titolo di “modern-day Gatsby” il cui vero obiettivo a detta di molti era rendere Combs la persona più famosa del mondo, “He was just figuring out that how he could get the most attention was to become the party king of New York” dice Rob Shuter, un suo collaboratore nei primi anni 2000, in un’ intervista per la BBC. Queste feste, prima nella sua villa negli Hamptons e poi nella sua villa a Beverly Hills, a cui hanno preso parte personaggi notissimi del mondo dello spettacolo tra cui Leonardo diCaprio, Jay-Z, Beyoncé, Paris Hilton, Jennifer Lopez e Kim Kardashian, pare fossero divise in due momenti distinti: Il “White-Party”, la festa con un dress code bianco imprescindibile e poi in seguito i cosiddetti “Freak off” vere e proprie orge a cui partecipava solo una cerchia ristretta degli invitati e in cui donne e uomini subivano abusi di ogni genere venendo drogati e costretti ad idratarsi con delle flebo per poter far si che i rapporti continuassero. Gli inquirenti hanno già trovato video che riprendono questi momenti agghiaccianti in cui Combs e le altre persone presenti, la sua cerchia più stretta, avrebbero davvero superato qualsiasi limite, inducendo le vittime a temere per la propria vita. Il periodo dei “all-white parties” che va all’incirca dal 1998 al 2009 vede il rapper acquisire sempre più potere nell’industria e, di conseguenza, riesce in modo sempre più sistematico a vivere la propria popolarità come strumento di potere assoluto arrivando a toccare il cosiddetto “delirio di onnipotenza” che lo porta addirittura ad essere arrestato nel 1999 insieme a Jennifer Lopez, la fidanzata dell’epoca, e al rapper Shyne relativamente ad una sparatoria avvenuta fuori da una discoteca a New York per poi essere assolto dai giudici a termine del processo, nonostante Natalia Reuben, una delle tre persone colpite nella sparatoria, ancora oggi rimanga ferma sulla posizione che sia stato Combs a spararla quella notte. Le denunce presentate negli ultimi anni fanno per la maggior parte riferimento a questo periodo: solo nell’ultimo mese sono circa 120 le persone che hanno denunciato di cui 25 minorenni e tra queste emerge quella di un bambino di appena 10 anni ai tempi (2005) che in occasione di un'audizione sarebbe stato abusato in una camere di hotel e costretto ad un rapporto orale in cambio di successo garantito all’interno del panorama musicale. Tuttavia a far scoppiare questa ondata di denunce è stata proprio l’ex fidanzata del rapper, Cassie Ventura la quale poco dopo che Combs ha addirittura ricevuto le chiavi della città di New York dal sindaco Eric Adams, il 16 novembre 2023 decide di sporgere denuncia affermando che il cantante l’avrebbe costretta dal 2005 al 2018 ad avere rapporti sotto effetto di droghe con uomini a pagamento. Diddy nega tutto sin dalla primissima denuncia eppure un video che risale al 5 marzo 2016 mostrato il 17 maggio 2024 dalla CNN in cui si vede chiaramente il cantante inseguire la propria fidanzata in un hotel, gettarla a terra e prenderla a calci più volte sembra mettere in crisi la linea difensiva di Combs che, mi verrebbe da dire piuttosto incredibilmente, ancora oggi continua a negare qualsiasi tipo di violenza professandosi innocente sotto ogni aspetto. Il 25 marzo 2024 gli agenti federali ispezionano le proprietà di Los Angeles e Miami del cantante in cui sono stati trovati narcotici, pistole e più di 1000 bottiglie d’olio per bambini e lubrificante, con altissima se non certa probabilità collegate ai “freaks-off”. Le scoperte degli inquirenti e il crescente numero di denunce a carico di Combs, ha portato il 16 settembre 2024 all’arresto dell’uomo a New York con le accuse di traffico sessuale con la frode, forza o coercizione, racket (associazione a delinquere) e favoreggiamento alla prostituzione. In attesa dell’inizio del processo, fissato per il 5 maggio 2025, Sean Combs rimarrà nel carcere di detenzione di Brooklyn nonostante le continue richieste da parte del suo team legale di detenzione domiciliare, restrizioni di viaggio e una cauzione di ben 50 milioni di dollari garantita dalla sua villa a Miami. Nonostante la situazione già di per sé complessa, i media non sono riusciti a trattenersi dal diffondere fake news assurde e tuttavia, estremamente verosimili per buona parte degli utenti sui social; tra le più diffuse ci tenevo a sottolineare quella secondo cui sotto la villa di Combs ci sarebbero dei veri e propri tunnel sotterranei ad uso del traffico degli esseri umani. Non serve nemmeno dirlo, si tratta di una teoria complottista già smentita più volte e che comunque continua a circolare senza criterio sui social. Si é creduto furbo, invece, chi, in prossimità delle elezioni americane, ha deciso di sfruttare questo caso per danneggiare l’immagine di Kamala Harris fabbricando non uno ma addirittura più fotomontaggi di lei in compagnia di Combs facendoli passare persino per amici. Questa vicenda piuttosto che stimolare una riflessione sugli aspetti oscuri del mondo dello spettacolo, su come tendiamo a idealizzare i nostri cantanti e attori preferiti non ha fatto altro che trasformarsi in una sorta di epidemia di appassionati di dettagli torbidi e sensazionalistici (chissene importa se sono veri o no), divulgatori fai da te e millantatori.
Aurora Vanacore, 4B | 22 aprile 2024
Così cantava il poeta latino Lucrezio nel suo celeberrimo inno alla dea Venere.
La terra raffigurata come operosa, ben costruita, armoniosa e fertile: ma per chi?
Sin dal Medioevo la specie umana ha sempre avuto tendenze autoreferenziali, sempre mirate a rendere sé stessa centro di tutto: si crede spesso superiore a tutto, speciale ed unica, autorizzata grazie alle sue capacità a dominare su ogni cosa.
Nonostante ciò, anche il pianeta Terra non sembra essere da meno: l’atmosfera e il clima che sussistevano al momento della nascita dell’universo sono uniche e, ricerca scientifica a parte, nessun altro pianeta offre tali condizioni.
“There is no planet B” esclamano gli attivisti più radicali, insieme a tantissimi altri slogan che vengono utilizzati per diffondere l’importanza di queste tematiche, con la speranza che possano arrivare anche ai vertici della società e dell’economia contemporanea.
Oggi, 22 aprile, come ogni anno, si festeggia la Giornata Mondiale della Terra, festività che ricorre in questa data proprio per simboleggiare il rinnovamento della natura, ad un mese dall’equinozio di primavera.
Una celebrazione istituita dall’uomo, abitante, in onore della sua dimora: perché è questo che siamo, ospiti, ξενοι (stranieri) in una grande casa che, in tutto il sistema solare, è l’unico ad avere le caratteristiche ideali per lo sviluppo di vita (almeno per ora).
Questo è ciò che si deve ricordare in questa giornata: la natura è bella, ma non perché il genere umano l’ha resa tale, essa nasce bella, nasce libera, nasce viva ed è totalmente sbagliato reclamare qualsiasi diritto di possessione su di essa.
I poeti romantici, come Foscolo, lo avevano inteso ben prima che parole come "eco ansia" o “impronta digitale” potessero rientrare nei vocabolari o nelle enciclopedie: la natura è sublime, ovvero ricorda i limiti dell’uomo proprio grazie alla sua sconfinatezza, alla sua apparenza selvaggia ed indomita, affascinante e bella tanto quanto un parco cittadino ben curato.
Per quanto possa sembrare strano, anche dopo lo sviluppo sempre più invadente della civiltà la Terra e tutti i suoi abitanti, animali e vegetali, hanno gradualmente imparato a riacquisire ciò che gli era stato ingiustamente tolto: fiori che nascono tra le crepe delle strade, case ricoperte di rampicanti, nidi costruiti sotto i tetti con rifiuti.
Ma anche le forze meteorologiche, oltre che le festività istituzionali, fanno da continuo promemoria per evidenziare l’imminenza di quel famoso 2030 che incombe come spartiacque tra il presente e un punto di non ritorno: inondazioni, terremoti, eruzioni vulcaniche, per non parlare delle anomale temperature che fanno ripetere ai più anziani “non ci sono più le mezze stagioni”: per quanto si potrà ancora parlare di stagioni?
La risposta sta nell’incessante scorrere del Climate Clock, che, secondo dopo secondo, anno dopo anno, scandisce il tempo che ci è concesso in modo che qualcosa cambi, per chi vive qui ora, e per far sì che anche altri in futuro possano essere ospitati in questa grande casa:
tic… tac…
tic… tac…
Sofia Palmisano, 5B | 26 marzo 2024
Ginevra Maria Bianchi, ex-studentessa del Liceo Muratori - San Carlo e giornalista della Gazzetta di Modena
Gabriele Parmeggiani, socio fondatore della cooperativa di comunità Casa Base e di Terzo Spazio (Castelfranco Emilia)
"Invivavoce" è un progetto organizzato da Gazzetta di Modena, CISL, CSI Modena e Lapam Confartigianato, portato al Teatro Storchi, il 12 marzo, al fine di sensibilizzare e di aprire gli occhi su situazioni vicinissime ad ogni realtà, dando voce a coloro la cui voce è sempre stata sommersa.
Gli episodi di violenza sulle donne e le testimonianze raccontate dal palco, sono stati il fil rouge dell'intera serata. Ginevra Maria Bianchi, ex-studentessa del Liceo Muratori - San Carlo e giornalista della Gazzetta di Modena, e Gabriele Parmeggiani, socio fondatore della cooperativa di comunità Casa Base e di Terzo Spazio (Castelfranco Emilia), sono due dei tanti protagonisti che hanno contribuito a rendere lo spettacolo impattante "per gridare a vivavoce che amore non è possesso, amore è libertà".
Cosa vi ha spinto a raccontare la vostra esperienza nell'ambito della disuguaglianza di genere?
GB: «Su quel palco io non ho raccontato direttamente la mia storia, ma ho letto e interpretato testimonianze vere di violenza di genere, giornalisticamente parlando. Però, è come se lo avessi fatto. Per mesi sono stata all’interno di una relazione tossica, e solo ora che ne sono uscita posso dire di essere guarita del tutto, in parte anche grazie a questo percorso di “Invivavoce”, che mi ha davvero aperto gli occhi in tutte le sue declinazioni. Ho quindi scoperto aspetti della violenza che non conoscevo, o che ignoravo. Ho potuto riflettermi nelle esperienze degli altri, e l’ho fatto condividendo l’esperienza coi miei colleghi. “Catartico”, direbbero i Greci.»
GP: «Sono stato coinvolto nell’iniziativa da Francesca Serafini, una delle organizzatrici, e mi è stato tutto presentato come un percorso per analizzarsi con una psicologa e cercare di mettere per iscritto ciò che ne usciva dalle sedute; mi ha aiutato a notare ciò in cui anche io pecco. Per di più, credo che il tema trattato dallo spettacolo sia di profonda rilevanza e mi sta molto a cuore, ma è fatto di veramente pochissime voci maschili a rinforzare il problema, affinché possano permettere anche ad altri uomini di vedere la realtà con una prospettiva diversa, al fine di rendere la società più consapevole e migliore.»
Ginevra, memore dell'episodio che hai portato sul palco, se ti dovesse capitare in prima persona, pensi che reagiresti allo stesso modo oppure ti comporteresti in maniera diversa?
GB: «Sicuramente davanti a fatti del genere sarei più preparata, più consapevole. Ma penso che di manipolatori sia pieno il mondo è che a tutti possa capitare di cadere o ricadere all’interno di questo grande vortice. Questo perché prima della violenza c’è l’isolamento, c’è l’abitudine al silenzio e c’è la paura, che impediscono alla vittima di ribellarsi o di esprimersi. Comunque, non penso che “Invivavoce” sia stato creato per andare a colpire la coscienza delle vittime, bensì quelle dei colpevoli. Sicuramente abbiamo ragionato sul concetto di violenza, cercando di far aprire gli occhi a tutti quanti, ma non è accettabile che dopo due ore e un quarto di spettacolo sulla violenza di genere, si chieda alle donne se hanno imparato a stare più attente, e non si chieda agli uomini se hanno iniziato a capire dove stanno i loro errori.»
Gabriele, invece del tuo intervento mi ha colpito particolarmente quando hai parlato "di portarsi a casa i propri stereotipi di genere", cosa intendi? le responsabilità che un uomo ha sul posto di lavoro, vengono associate convenzionalmente anche tra le mura di casa?
GP: «Tutto è legato al modo che la stereotipia ha di esprimersi: non è solo sul posto di lavoro, in cui le discriminazioni di genere si mostrano nel rapporto con i clienti, nel rapporto con le colleghe, ma anche nella distribuzione dei compiti, che è più o meno ciò che “mi porto anche a casa”, perché banalmente, io abito ancora con la mia famiglia e noto che il carico di lavori domestici è sbilanciato, ma in questo caso è un mea culpa.»
A livello locale, pensate che si stia facendo abbastanza per l'uguaglianza di genere o ritenete ancora ci sia tanto da fare?
GB: «Il 18/03 è uscito un articolo che ho scritto dove solo nel 2023 la consulta comunale per la parità di genere ha registrato 20 richieste di aiuto da parte di donne. Sono quasi due casi al mese e, per quanto sarebbe bello che la soglia si fermasse solo a questo numero, è perfettamente risaputo che questi siano dati parziali, perché la maggior parte delle vittime nemmeno denuncia. Che la causa sia la paura di poter perdere il lavoro, o l’abitudine a essere trattate così poco importa. Ho ascoltato storie di donne che non avevano più una scrivania solo perché di ritorno dalla maternità, oppure di ragazze a cui è stato annullato il contratto non appena i datori di lavoro hanno saputo da prassi che si trovava in dolce attesa. “Ha figli? Ne vuole avere? È sposata? Convive?” sono i quesiti più frequenti durante i colloqui di lavoro. E ci terrei a sottolineare che per legge non si potrebbero nemmeno porre durante un’assunzione. Quindi no, nel modenese, anche se sicuramente siamo messi meglio di altre province e regioni, non si fa ancora abbastanza per le cause femminili. Nel caso qualcuno se lo stia chiedendo, non ci sono fondi PNRR che tengano di fronte al patriarcato: bisogna ripartire dall’educazione scolastica e familiare. C’è poco da fare.»
GP: «A Castelfranco ci sono un buon numero di iniziative, ma sono purtroppo frequentate e note sempre alle stesse persone, se sono aperte alla cittadinanza. Per cui, la sensibilizzazione non arriva a chi deve essere realmente sensibilizzato. Reputo però molto utile agire nelle scuole, in particolare tramite approcci uno ad uno nelle medie e nei primi anni delle superiori.
Oltre a ciò, ritengo che ci sia ancora molto lavoro da fare su come comunicare a chi non vuole essere comunicato.»
Cosa pensate si possa fare nel proprio piccolo per evitare le disuguaglianze? E voi riuscite a mettere in pratica ciò a cui auspicate?
GB: «Io penso che gli uomini non arriveranno mai a comprendere cosa proviamo noi donne, almeno del tutto. Noi donne siamo legate ad un’esperienza universale che ci perseguita sin da quando siamo nate, che purtroppo gli uomini non vivranno mai, però spero vivamente che coloro che hanno compiuto atti di preludio dei più tragici fatti di cronaca, davanti alla quale restiamo tutti stupefatti ed inorriditi. Se tutti quegli uomini che non vogliono mettersi nei panni delle donne, che almeno si mettano nei panni delle loro figlie.
Per quanto riguarda le disuguaglianze, basterebbe del semplice rispetto e smetterla con la cultura del possesso, non vedendola più come qualcosa di fragile. È giusta la premura, ma non perché siamo donne, ma perché siamo esseri umani.
Spero che tutte le accezioni negative tornino a essere positive, in cui l’invidia si trasforma in stima e la gelosia malsana si trasformi in qualcosa di giocoso e si limiti a quello. Le donne fanno la loro parte, ma anche gli uomini dovrebbero fare la loro, affinché ciò a cui auspico (e auspichiamo) possa realmente diventare concreto.»
GP: «Io non riesco a mettere in pratica tutto quello a cui auspico, ma nel quotidiano penso che per elevare la propria condizione e il proprio modo di comportarsi, sia innanzitutto necessario notare e de-notare, estrarre fuori, estrarre da un contesto di normalità, in se stessi e negli altri. Senza sensi di colpa perché in questi casi sono sempre controproducenti.»
Maria Sofia Vitetta, 4D | 8 marzo 2024
“Invivavoce - Storie sommerse di violenze di genere” è un evento che si terrà martedì 12 marzo alle ore 20.30 presso il Teatro Storchi di Modena. La mattina della stessa giornata lo spettacolo verrà proposto anche agli studenti delle scuole della provincia. Francesca Serafini, giovane studentessa coinvolta nell’ideazione della serata, ce ne ha parlato.
Mi piacerebbe che ti presentassi.
«Mi chiamo Francesca Serafini, ho 24 anni. Sto studiando alla Ca’ Foscari, dove frequento il corso di laurea magistrale in Economia del Turismo. Ho una laurea triennale in Lingue conseguita a Trento. Da sempre sono attenta alle tematiche sociali, al femminismo ed alla violenza di genere, che mi hanno portata ad interessarmi ai fatti avvenuti dopo la morte di Giulia Cecchettin ed a collaborare a questo evento insieme a Davide Berti, giornalista della Gazzetta di Modena.»
Se avessi a disposizione solo una frase per raccontare “Invivavoce”, cosa diresti?
«“Invivavoce” permette di dare luce a tutte quelle donne che hanno dovuto affrontare violenze nella loro vita quotidiana senza avere la possibilità di esprimerle davvero.»
In che modo sei stata coinvolta in questo progetto?
«Sono stata coinvolta grazie a Davide Berti, che un giorno mi ha chiamata perché era rimasto colpito da una storia pubblicata sul mio profilo social dopo la scomparsa di Giulia Cecchettin. Era una richiesta indirizzata ai miei coetanei maschi, ovvero quella di prendersi cura degli aspetti legati alla violenza di genere. Davide Berti ha condiviso con me la sua idea di fare uno spettacolo, un evento a Modena su queste tematiche, collaborando insieme a tante altre donne, tra cui anche professioniste, e non solo. Voleva che ci fossero delle ragazze e dei ragazzi, insomma dei giovani, in rappresentanza della nostra generazione.»
Come credi si possa affrontare il discorso sulla violenza di genere senza generalizzare / banalizzare?
«La violenza di genere, per essere trattata davvero, deve partire dal presupposto che non si può accusare gli uomini in modo generico. Ho notato che dicendo agli uomini: “Voi non capite, voi siete colpevoli”, generalizzando ed additando il genere maschile, non si ottiene assolutamente niente. Penso che sia utile mostrare le storie delle persone che hanno subito violenze di ogni tipo (psicologico, fisico, relazionale, sessuale) per far entrare nell’ottica di chi ha vissuto tutto questo coloro che non hanno avuto simili esperienze, sia uomini che donne. Per capire la tematica bisogna essere empatici, riuscire ad entrare nella parte lesa, diciamo. E da lì, dalla condivisione di queste emozioni, parte poi un pensiero critico. Per fortuna si sta lavorando molto anche per il futuro, perché “lavorare” già sulle emozioni quando si è piccoli ci aiuta ad evitare certi sgarbi, certi atteggiamenti sin dall’adolescenza. Bisogna far leva sulle nuove generazioni, perché quelle vecchie ormai, mi viene da dire, hanno già preso le loro posizioni.»
Quale è per te il maggior punto di forza dello spettacolo?
«Ce ne sono due. Innanzitutto il fatto di portare sul palco tante storie di vita quotidiana. Emergeranno storie che possono riguardare ognuna di noi, cioè ogni donna può cadere dentro queste situazioni. Il secondo punto di forza è proprio il messaggio di luce e di speranza che lo spettacolo veicola. Esso si concluderà, infatti, con una visione positiva in cui emerge che l’amore reale, quello vero di cui tutti gli uomini sono capaci, esiste. È proprio quello che porta alla salvezza. Credere in un amore leale, condiviso è ciò che permette, poi, di uscire dalle relazioni tossiche.»
Se dovessi mostrare una piccola parte del lavoro “dietro le quinte” dello spettacolo e del progetto, quale metteresti in luce?
«Gli incontri che abbiamo fatto praticamente ogni settimana io, un’altra ragazza della mia età, un musicista, molti professionisti, giornalisti e figure che si occupano di queste tematiche. C’è stato un bello scambio di idee, di opinioni, tanta condivisione formativa ed è stato per me estremamente arricchente.»
Basandoti sulla tua esperienza, in che modo il liceo Muratori San Carlo, e quindi l’istituzione scolastica, è stata in parte d’aiuto nel farti sviluppare una sensibilità su certe tematiche?
«Per me il liceo Muratori San Carlo è stato importante nel farmi sviluppare una particolare attenzione nei confronti di queste tematiche. Innanzitutto perché ho avuto la fortuna/sfortuna di essere in una classe solo al femminile. Fortuna perché avevamo un clima di sorellanza, c’era tanto supporto tra di noi, non era un ambiente competitivo come magari erano altre classi. Questo mi ha permesso di diventare molto più attenta e più “amica” nei confronti delle donne. Penso che a volte ci sia tanta competizione nel genere femminile. E quindi, invece, essere parte di una classe solo di ragazze mi ha permesso di vedere come tutte siamo accomunate da tante difficoltà, che a volte è anche una “pressione” che ci pone la società. E, quindi, quello sicuramente mi fatto vedere le donne più in un’ottica di sorellanza, di amicizia e di unione. Il liceo consente di riflettere su tanti temi anche grazie a molti professori. Il mio professore di italiano, ad esempio, a lezione ci faceva sempre analizzare le notizie del giorno. Anche questo ti fa avvicinare tantissimo a tematiche sociali.»
“Invivavoce” lo si può immaginare come una sinergia tra esperienze diverse, danza, canto, musica, testimonianze. In quale modo le “arti” si valorizzano vicendevolmente “contaminandosi”?
«La risposta sta nella domanda. Nel modo in cui sul palco si mettono in fila tutte queste forme di arti differenti al tempo stesso, emerge l’unicità e la bellezza di ognuna di loro. Avere questa voce collettiva, che in realtà è estremamente eterogenea all'interno, ti permette di vedere quanto è bella la danza, quanto è bella l’arte canora, quanto è bello veder suonare una persona. Secondo me l’unicità emerge dal confronto con l’alterità ed il pubblico avrà modo di vedere la bellezza di queste forme d’arte.»
Invivavoce è stato ideato dalla Gazzetta di Modena, in collaborazione con Cisl, CSI (Centro Sportivo Italiano) Modena, Lapam Confartigianato Modena, ERT (Emilia Romagna Teatro) e con il patrocinio del comune di Modena
Alice Carli, 4CL | 9 febbraio 2024
Si stima che ogni anno vengano fabbricati circa 100 miliardi di nuovi capi di abbigliamento.
Dei 100 miliardi di articoli di vestiario prodotti all’anno, 92 milioni di tonnellate sono destinati a finire in discarica.
Nella sola Unione Europea, secondo i dati dalla Commissione, vengono generati 5,2 milioni di tonnellate di rifiuti provenienti dal settore dell’abbigliamento ogni anno.
Il numero di utilizzi dell’indumento medio è diminuito di circa il 36% in soli 15 anni.
Negli ultimi decenni, infatti, il mondo della moda ha subito una trasformazione senza precedenti: il boom del fast fashion ha rivoluzionato il modo in cui le persone acquistano e indossano abiti. Tuttavia, dietro la brillante vetrina delle tendenze di moda a prezzi accessibili, si cela un lato oscuro che non può che destare grande preoccupazione.
Il termine "fast fashion" si riferisce a un modello di produzione che implica la produzione di capi di abbigliamento di ultima moda a basso prezzo e ad altissima velocità. Le collezioni vengono costantemente rinnovate per rispondere rapidamente alle tendenze del momento, spingendo i consumatori ad acquistare frequentemente nuovi capi per rimanere in. Tuttavia, questa strategia, focalizzata sull’ottenimento del massimo profitto possibile con il minor sforzo, porta inevitabilmente all’utilizzo di materiali di scarsa qualità e ad un tipo di manifattura non rispettosa dei diritti dell’uomo e dell’ambiente.
Basti pensare alla tipologia di fibre utilizzate nella produzione: il poliestere, ad esempio, frequentemente presente nelle etichette di molti capi, viene prodotto a partire da combustibili fossili ed è quindi estremamente difficile da riciclare. Degno di nota è anche l’impatto ambientale del cotone, la coltura che risulta avere un’impronta idrica altissima. Per realizzare una semplice ed apparentemente innocua maglietta di cotone, infatti, sono necessari in media 2700 litri d’acqua, corrispondenti al fabbisogno di acqua potabile di una persona per due anni e mezzo.
Come se non bastasse, l’industria della moda risulta essere responsabile di oltre il 20% delle acque reflue globali, provenienti da processi di produzione come la tintura e il finissaggio del colore.
Anche per quanto riguarda le stime legate alle emissioni di gas serra i numeri sono da capogiro: si ipotizza che ci si aggiri attorno ad una cifra che oscilla tra l'8 e il 10% del totale a livello mondiale.
Oltre agli impatti ambientali, il fast fashion solleva gravi preoccupazioni anche per quanto riguarda gli aspetti sociali ed etici. I lavoratori nel settore della moda, spesso impiegati in paesi in via di sviluppo, sono infatti frequentemente sottoposti a condizioni di lavoro insostenibili, con orari estenuanti e salari irrisori.
I consumatori hanno sicuramente un ruolo cruciale nel cambiare il panorama del fast fashion e, mentre la consapevolezza dei problemi legati a questo fenomeno cresce, sono sempre più le persone che cercano alternative sostenibili. Se anche tu vuoi fare la differenza dai un’occhiata a @weardifferent.msc, il progetto made in liceo Muratori-San Carlo che ti permette di liberarti dei capi che non usi più e di averne di nuovi nel massimo rispetto dell’ambiente!
Swap the old for something gold👚🏆♻️
Per una scelta responsabile, in previsione delle prossime elezioni dei rappresentanti del Parlamento
Europeo, è necessario fare luce sulle recenti votazioni alquanto controverse, che hanno dimostrato un
dietrofront italiano.
Il 15 Novembre 2023, si è tenuto il voto in plenaria in riferimento al rinnovo decennale dell’utilizzo in
ambito fitosanitario (pesticidi) del prodotto chimico, glifosato.
Il glifosato è usato come erbicida ed è divenuto di libera produzione nel 2001, dal 2015 dichiarato però,
dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro dell’OMS, potenziale cancerogeno per l’uomo.
Nonostante ciò, dagli anni Settanta, il suo uso si è notevolmente diffuso in più di 140 Paesi al mondo e tra
i massimi consumatori spiccano gli Stati Uniti d’America, l’Argentina, il Sudafrica e la Cina, che insieme
al Canada lo utilizzano anche come essicante nella fase di pre-raccolta del granturco.
Il boom economico del dopoguerra mondiale è stato la causa primaria dell’estensione dell’impiego del
glifosato anche nel processo di essiccazione del frumento: l’aumento della richiesta non consentiva il
rispetto della naturale maturazione e la necessità di soddisfare i Paesi con un clima più rigido, ha
inevitabilmente fatto ripiegare l’agricoltura al suo uso-abuso.
Inoltre, per il basso prezzo e la facile reperibilità, oggi viene addirittura utilizzato, seppur sia vietato, nella
manutenzione di parchi pubblici, nei giardini privati e ai margini delle strade.
Il Parlamento Europeo, nella sua scelta, si è avvalorato del parere dell’EFSA (Autorità Europea per la
Sicurezza Alimentare), la quale afferma che la pericolosità di tale erbicida non sia altamente dannosa per
l’uomo.
In realtà, il centro di ricerca scientifica di Bologna, Istituto Ramazzini, ha svolto il più accurato studio
tossicologico degli ultimi anni, nella quale si evidenziano i grandi rischi derivati dal contatto di qualunque
tipo con questa sostanza: leucemie, infertilità e alterazioni del microbioma intestinale, sono solo alcuni
esempi.
A sostegno delle analisi del glifosato del Ramazzini, sono note anche le numerose cause legali intentate
contro il colosso della chimica di sintesi Bayer, che hanno dato ragione agli agricoltori malati di cancro a
seguito dell’utilizzo del prodotto incriminato.
Per quanto concerne lo Stato Italiano, appare strano un cambio di scelta verso l’astensione, dopo un
passato in cui si è sempre votato contro all’utilizzo del glifosato:
«Il rapporto dell’EFSA è cambiato, ha emesso un “via libera” con alcune prescrizioni. Il governo
italiano mantiene una posizione di grande cautela, perché come erbicida, non ci sono alternative
tecnologiche.» Così spiega a un’intervista televisiva l’eurodeputato Commissione agricoltura e sviluppo
rurale, Nicola Procaccini.
Nella verità dei fatti, però, esistono soluzioni meno pericolose ed ecosostenibili: «L'agricoltura biologica
è un metodo agricolo volto a produrre alimenti con sostanze e processi naturali. Ciò significa che tende
ad avere un impatto ambientale limitato, in quanto incoraggia a usare l'energia e le risorse naturali in
modo responsabile, conservare la biodiversità, conservare gli equilibri ecologici regionali, migliorare la
fertilità del suolo e a mantenere la qualità delle acque.» (Fonte: Parlamento Europeo, Commissione
agricoltura e sviluppo rurale).
È quindi più conveniente spendere di più per un prodotto di qualità biologica o per le spese mediche e
sanitarie a rimedio di un prodotto chimicamente trattato?
Questa è la domanda da porsi per le scelte future e responsabili, che partono dal microcosmo del pane in
cassetta da comprare al supermercato e giungono all’importante consapevolezza di chi votare alle elezioni
europee come rappresentante dei singoli individui e dell’intero Stato Italiano.
Maria Sofia Vitetta, 4D | 1 dicembre 2023
E se, per parlare dell'importanza dello sport, “passassimo il pallone” al calciatore del Lecce Federico Brancolini? Abbiamo avuto l'occasione di farci raccontare fin dove la sua passione lo ha portato.
Sara Borghi, 5B | 25 novembre 2023
Oggi 25 novembre è il giorno in memoria della violenza sulle donne. Ma è davvero necessario stabilire un giorno per trattare questi argomenti? Ogni settantadue ore una donna muore, non per una malattia o per un incidente, ma per un omicidio. Giulia è solo una delle centinaia di donne che muoiono ogni giorno per la stessa colpa: essersi fidate di coloro che una volta dissero di amarle.
In Italia sono passati settantasette anni da che è stato concesso alle donne il diritto di voto e quarantadue da che è stato abolito il delitto d'onore. Ma uno stato non può essere definito veramente tale se le sue leggi non sono concomitanti con le opinioni del popolo. Il patriarcato va avanti da secoli e aggiungere una mera pena a quello che era precedentemente considerato come un omicidio "giustificato", senza intervenire anche sull'ambito psicologico, non basta. Non è possibile cancellare dall'ambito legale un'ideologia radicata aspettandosi che da un giorno all'altro ogni individuo che aveva agito diversamente fino a quel momento cambi. Non è così che funziona: i cristiani hanno impiegato centinaia di anni per essere riconosciuti, ma per quanto la storia possa essere ciclica, come possiamo noi, uomini e donne del ventesimo secolo, commettere gli stessi errori di individui così lontani nel tempo e nello spazio?
La mancata evoluzione mentale non può vigere come costante capro espiatorio per ogni sbaglio commesso, nel caso di Giulia Cecchettin il fidanzato Filippo era ben capace sia di intendere che di volere e dichiararlo "pazzo", condonandoli così la pena che gli spetta scontare, non può essere assolutamente giustificato.
Ciò di cui molte persone mancano è la sensibilità, sensibilizzare le nuove generazioni al rispetto è certamente un impresa ardua, ma è anche l'unico modo per evitare i dolorosi sbagli che nella nostra generazione si stanno ripetendo. Il confronto svolge un ruolo fondamentale in questo processo, in quanto le critiche vengono accettate più facilmente quando provenienti da un coetaneo che da una persona a noi meno vicina.
Attraverso il confronto è possibile raggiungere modelli di valori comunemente condivisi: "fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza", Dante nella sua più grande opera dà voce a donne vittime di femminicidio che, presentandosi come martiri ed eroine, spingono i lettori a riflettere riguardo gli errori commessi dai propri avi, per non commetterli loro stessi e dare una nuova speranza alle generazioni future.
Ema Voicu, 5B | 13 novembre 2023
Il giorno del 28 ottobre 2023 la notizia della morte dell’attore statunitense, Matthew Perry, ha sconvolto le pagine di tutti i giornali.
Ma chi era Matthew e perché la sua morte ha avuto un tale impatto emotivo su milioni di persone?
Matthew Perry nacque nel 1969 e visse fino all’età di quindici anni insieme alla madre in Canada. All’età di quindici anni egli si trasferisce a Los Angeles per intraprendere la carriera da attore vivendo assieme al padre, anch’esso un attore. A seguito di alcune comparizioni meno rilevanti, all’attore viene dato il ruolo di Chazz Russell nel programma televisivo Second Chance che durò però per una sola stagione, dopo la quale l’attore tornò a ricoprire ruoli minori.
All’inizio degli anni ‘90 , l’attore tenta un provino per la serie televisiva Six of One di Marta Kauffman e David Crane, il provino però non andò a buon fine. Quando però da Six of One i due co-creatori decisero di creare Friends, all’attore venne concessa nuovamente un’audizione dopo la quale egli venne scelto per interpretare uno dei protagonisti, Chandler Bing, nonché suo ruolo più importante e che lo definirà per tutta la vita. Dopo Friends l’attore prese parte e vari altri progetti che gli portarono anche due nomination per l’Emmy Award, quello di Chandler rimase però fino alla sua morte il ruolo più riconosciuto e acclamato dal pubblico grazie al suo unico senso dell’umorismo e spiccato uso del sarcasmo che ha portato molti sorrisi sui volti di numerose generazioni.
La vita di Perry fu però caratterizzata anche da gravi problemi di salute, abuso di sostanze e disturbi mentali.
L’attore infatti fin dall’adolescenza inizia a sviluppare problemi di alcolismo e dopo un incidente in moto d’acqua nel 1997 diventa dipendente del Vicodin. Negli anni successivi a causa della sua dipendenza da varie sostanze tra cui Vicodin, metadone, amfetamine, benzodiazepine e cocaina sviluppa una pancreatine che gli procura grandi oscillazioni di peso, che riusciamo a vedere durante le varie stagioni di Friends. Nel corso della sua vita, Perry subì 2 ospedalizzazioni psichiatriche, proseguendo successivamente con una cura di ansiolitici e antidepressivi, decine di ricadute e ben 14 interventi chirurgici allo stomaco. Più recentemente Perry entrò in un coma nel 2018 ed ebbe un arresto cardiaco nel 2020. L’attore raccontò anche come egli non ricordasse almeno tre anni della produzione di Friends dalla terza alla sesta stagione.
Matthew racconta la sua battaglia con le proprie dipendenze, l’esperienza di Friends e molto altro nel suo libro autobiografico uscito nel 2022: “Friends, Lovers, and the Big Terrible Thing: A Memoir”. Nel 2015 l’attore tenta inoltre di creare una propria struttura riabilitativa ma il progetto non andò a compimento a causa di problemi finanziari. Nonostante ciò , l’attore non cessò di utilizzare la sua fama ed influenza per aiutare persone che combattevano le sue stesse lotte e sensibilizzare su una realtà estremamente intrinseca nell'industria stessa dell’intrattenimento odierno . In una delle sue interviste recenti egli afferma “L’aspetto migliore di me è che se qualcuno viene da me e mi dice “Non riesco a smettere di bere, mi puoi aiutare?” Io posso dire di sì, è posso mantenere la parola” , l’attore poi prosegue “ Quando morirò, non voglio che Friends sia la prima cosa di cui si parlerà, voglio che quello lo sia “
Maria Sofia Vitetta, 4D | 23 ottobre 2023
Vi è mai capitato di imbattervi in una pagina Instagram in cui gli “influencer” sono i poeti e gli scrittori dei grandi classici della letteratura italiana, latina e greca?
Ilenia Monti, studentessa di Lettere Classiche, gestisce LibriAmo, un profilo Instagram in cui lascia che ad avere un proprio spazio siano proprio le parole delle lingue antiche, le frasi e le riflessioni di importanti pensatori ed autori. I social, spesso criticati e quasi demonizzati in diverse occasioni, diventano, così, uno strumento di diffusione e di condivisione della cultura classica.
Marianna Casto, 5B | 9 ottobre 2023
Nelle giornate dal 15 al 17 settembre 2023, dalle ore 9:30 alle 19:00, è stato possibile a Modena, in quello che è l’ex albergo diurno situato in piazza Mazzini, visitare una mostra che portava come principale contenuto quello dell'intelligenza artificiale, ma non solo.
Difatti, in una stretta connessione fra passato e futuro, è stato esplorato il tema riguardante il rapporto dell’essere umano con la tecnologia, che si è recentemente evoluto radicalmente.
Ma in che modo sono stati intersecati questi tempi tra loro così differenti eppure strettamente legati?
Grazie all’utilizzo dell’intelligenza artificiale, è stato possibile riprodurre l’immagine di scrittori del passato trasformati in cyborg. Questi affrontavano temi contemporanei, quali l’isolamento a cui in realtà porta spesso questa estrema connessione in rete, citata da Leopardi. Egli, inoltre, faceva riferimento all’infinito, collegato all’infinità di dati dai quali siamo bombardati in rete, che ci rendono schiavi del nostro desiderio e volere di sapere, ma allo stesso tempo ci alienano e allontanano dalla vera comprensione dell’essenza umana.
Ma Giacomo Leopardi non era l’unico celebre scrittore reso androide: vi erano con lui Franz Kafka, George Orwell e Leonardo Da Vinci, ciascuno dei quali esponeva a turno la propria riflessione riguardo all’argomento.
Infine, il pubblico diveniva partecipe della mostra, grazie questa volta a tre celebri pittori divenuti anch'essi cyborg: si trattava di Van Gogh, Picasso e Salvador Dalì. Il loro compito era quello di interpretare le idee dei visitatori, dimostrando che l’intelligenza artificiale aiuta l’uomo nell’espressione di idee e pensieri attraverso il proprio potenziale.
Quindi, descrivendo l’opera che si voleva commissionare e scegliendo uno fra i tre artisti, si riceveva successivamente una mail contenente l’immagine richiesta, composta secondo lo stile di ciascun pittore.
Così in pochi minuti i visitatori hanno avuto la possibilità di esplorare il tema del linguaggio e della parola nella società digitale contemporanea, confrontandosi ed immergendosi in un’esperienza immersiva in grado di creare un qualcosa di singolare, grazie all’intelligenza artificiale AIIO, e grazie al pubblico stesso, divenuto parte attiva della mostra.
Maria Sofia Vitetta, 4D | 4 ottobre 2023
Gian Marco Griffi è autore del romanzo Ferrovie del Messico. Il libro è entrato a far parte della dozzina del Premio Strega 2023 dopo essere stato proposto dallo storico e scrittore Alessandro Barbero. Ha vinto il Premio Mastercard Letteratura 2022 ed ha ottenuto il riconoscimento Libro dell’anno di Fahrenheit.
Al giorno d'oggi molti giovani sono intimoriti dall'idea di leggere libri voluminosi. Un romanzo con un numero importante di pagine viene a volte erroneamente criticato perché "troppo lungo". Secondo lei, in quale modo si potrebbe incentivare e stimolare sia la riscoperta sia la lettura dei libri voluminosi come Ferrovie del Messico?
«Una persona a cui voglio molto bene un tempo mi disse: “Se un libro è bello, che cosa importa quante pagine ha?”. Lo stesso discorso si può fare di un libro brutto. Quindi, se un libro brutto ha 100 pagine rimane un libro brutto, se un libro bello ha 800 pagine rimane un libro bello. Secondo me si potrebbe, intanto, cercare di spiegare che leggere deve essere un divertimento perchè, se non lo è, uno non legge. Se ti appassioni alla lettura, allora vedi la lettura come un divertimento e, quindi, le 800 pagine sono poche, non sono tante, perché se è qualcosa che ti diverte allora lo fai molto volentieri. Un po' come vedere una serie di 20 puntate, se ti appassiona è meglio che vedere una serie una di 8. La letteratura è anche tante altre cose, fondamentalmente però, deve essere divertimento, io credo.»
Le molteplici voci narranti del romanzo si rivelano ironiche e accattivanti, ma spesso anche poetiche o volgari. Questa è una scelta stilistica decisa “a tavolino” o è frutto di una stesura “spontanea” e senza un intento preciso?
«Sicuramente c’è un intento preciso. Qualunque cosa io abbia scritto in Ferrovie del Messico ha una sua motivazione ed una sua logica. Non è questione di decidere a tavolino. I romanzi si fanno anche a tavolino. È ovvio che c’è un idea di base, l’idea di fondo ti viene e, magari, non è a tavolino. La costruzione generale di un romanzo complesso come Ferrovie del Messico deve per forza essere fatta “a tavolino”, cioè deve essere ragionata, studiata. In questo caso era necessario che ognuno dei personaggi avesse una propria voce, un proprio registro, perché il romanzo doveva essere corale. Ciascuno di noi parla in maniera diversa ed ha un suo codice linguistico. Soprattutto nel 1944, era veramente molto più ampio il divario sociale e, quindi, ti trovavi a dover parlare con un contadino, con un milite o con un conte. Ciascuno di loro ha un suo riferimento linguistico, un suo linguaggio. Ti trovavi a dover dialogare, per esempio, con quei poco di buono in quel locale che si chiama “Aquila Agonizzante” e che io ho scelto di far parlare con questa specie di argot che è la lingua zerga. È fondamentale in un romanzo, ma specialmente in quello che volevo scrivere io, trovare un ambiente linguistico, cioè un linguaggio che fosse in qualche modo comune. Nello stesso tempo, però, ciascuno dei personaggi doveva per forza avere una sua parlata, un suo modo di esprimersi. Quello era fondamentale, ma lo si fa a tavolino, non ti può venire così, anche perchè tu di base sei uno e quindi se mettessi solo quello che hai tu, parleresti e scriveresti sempre nello stesso modo, che è il tuo. Quindi devi anche un po’ sforzarti di scrivere in maniera diversa.»
Cesco crede che gli occhi verdi di Tilde siano simili a “certi boschi della Turingia” e che si rischiarino e si rabbuino “come le luci della contraerea sul crinale di una collina buia”. Con il passare del tempo il colore nelle sue iridi diventa sempre più assente, quasi ingoiato dal “gorgo di malinconia” che ha nella pupilla. Nel presentare personaggi come Tilde, Firmino, Achille Brera, la "curandera" ed altri, vengono spesso messe in risalto le caratteristiche degli occhi, perché?
«Gli occhi sono una parte dell’aspetto fisico che probabilmente riesce, nel mio immaginario, ad esprimere meglio di qualunque altro aspetto fisiognomico l’interiorità della persona. Anche se poi, naturalmente, queste sono tutte cose che lasciano il tempo che trovano: sappiamo perfettamente che nulla di questo è, in realtà, scientifico e, quindi, sono metafore, ma anche modi di vedere le persone e di descriverle per quello che sono da un punto di vista fisico. Quindi, gli occhi hanno un’importanza metaforica, simbolica. Poi, in realtà, una persona con un particolare tipo di occhi può avere un’interiorità che è completamente l’opposto.»
Ferrovie del Messico è un viaggio tra i sentimenti dei protagonisti, come l'amore che dà a Steno la forza di nuotare fino in Islanda alla ricerca di un pesce-follia che possa salvare la fidanzata Tilde. È un inno alle passioni personali, come quella di Epa, un cartografo samoano innamorato “di qualunque genere di mappa”, tanto da accarezzare le sue cartine come fossero groppe di cavalli. È un romanzo che riflette sul senso della vita: secondo Lito, becchino del cimitero di Asti, siamo tutti pompieri che tentano di spegnere le domande che divampano in noi come incendi. Le storie dei singoli personaggi fanno emergere, pagina dopo pagina, spunti di riflessione e tematiche profonde. Quale è, per lei, la parte più affascinante del libro per il suo significato? E perché?
«Sono due, forse, le parti che mi vengono in mente così d'emblée. Una l’hai citata tu, ed è quella in cui Lito parla e dice, appunto, che la vita è un bruciare di domande. Io credo che la letteratura e il raccontare una storia siano proprio questo, fare delle domande per le quali probabilmente non abbiamo neanche noi che scriviamo, delle risposte. Però, è fondamentale farsi delle domande, cioè il chiederci cosa siamo, perché siamo qua, che fine facciamo. Ecco, questo, il bruciare delle domande, l’incendio che è in ciascuno di noi, in ciascun essere umano, credo sia una cosa fondamentale. L'amore, tu dicevi giustamente, è una risposta, perché sicuramente è qualcosa che ci fa credere che possa esistere qualcos’altro al di là di quello che noi vediamo e percepiamo. Noi proviamo questo sentimento che è l’amore. Naturalmente l’amore ha tantissime propaggini e tantissime manifestazioni. Anche se poi, alla fine, la frase decisiva, e che è anche un po’ la mia poetica, è quella che pronuncia Tilde e che è scritta sul retro di copertina: “Essere lirici e ironici è la sola cosa che ci protegge dalla disperazione assoluta”. Ovvero: la nostra vita è comunque costellata da una serie di gravosità e, quindi, noi abbiamo bisogno di essere lirici, perché la poesia, secondo me, è qualcosa che ci può aiutare a comprendere veramente le cose. Io credo che la poesia, e quindi il linguaggio, ci possano aiutare realmente a nominare le cose, ovvero a comprendere la realtà che ci sta attorno ed i sentimenti che maturiamo in noi. Quindi il lirismo, l’essere lirici, ma anche cogliere la bellezza di ciò che ci sta attorno, significa comprendere. E comprendere significa anche scegliere, significa avere una cultura. E la cultura è proprio questo, secondo me, la capacità di nominare le cose, di rendersi conto della loro bellezza. E naturalmente, rendendoci conto della bellezza, riusciamo anche a renderci conto della bruttezza di alcune altre cose. Però, nello stesso tempo, tutto questo ci porta ad essere gravosi, ad una sorta di gravosità dell’essere. L’essere umano è gravoso, perché sappiamo dove andremo a finire, andremo a finire in una tomba, moriremo tutti. Questo, da un certo punto di vista, secondo me rende la vita meravigliosa. Nello stesso tempo, però, ce la complica, perché comunque è un viaggio destinato a finire così. E quindi, interviene in quello l'ironia, e l’ironia è fondamentale per tornare ad un piano, anche di conoscenza, meno gravosa. Non che l'ironia sia qualcosa di leggero. L’ironia è un altro modo per conoscere. La poesia è un modo per conoscere la realtà che ci circonda, l’ironia è un altro modo per comprenderla secondo altri aspetti o canoni. Però, entrambe sono fondamentali, si intrecciano magnificamente per ottenere la protezione da un pessimismo che altrimenti ci porterebbe alla disperazione.»
Se dovesse scegliere una frase esemplificativa del suo romanzo (/per descrivere il suo romanzo), quale sarebbe?
«Come abbiamo detto prima "La vita è un bruciare di domande", quello sicuramente è molto esemplificativo perché Ferrovie del Messico è un romanzo pieno di domande, anche senza risposte.»
Si ringrazia nuovamente Gian Marco Griffi per la pazienza ed il tempo dedicato all’intervista concessa successivamente all’appuntamento letterario “Levico incontra gli autori” svoltosi il 16 agosto 2023 a Levico Terme.
Maria Sofia Vitetta, 4D | 28 settembre 2023
Di cosa si tratta?
La notte Europea della Ricerca è un evento di divulgazione scientifica promosso dalla Commissione Europea a partire dal 2005. Ogni anno permette ai cittadini di conoscere il lavoro svolto da ricercatori universitari e da istituzioni di ricerca presenti sul territorio. Anche quest'anno Unimore (Università di Modena e Reggio Emilia) organizza una serata di eventi aperta a tutti gli interessati. E perché, tra questi, non potrebbe esserci anche qualche studente del nostro liceo?
La Notte della Ricerca può essere un’occasione che, insieme all’orientamento in uscita, aiuti i ragazzi a scegliere con maggiore consapevolezza il loro percorso universitario in ambito scientifico e medico. Si potranno ascoltare presentazioni, ma specialmente assistere a dimostrazioni dal vivo e ad applicazioni pratiche riguardanti vari ambiti di studio tenute da docenti di Unimore e dai loro dottorandi. Le attività proposte sono organizzate in modo tale da poter essere comprese anche da chi non ha competenze in materia.
A Modena l’evento si svolgerà nella serata di venerdì 29 settembre a partire dalle ore 20. Le presentazioni ed i laboratori si terranno nel Complesso San Geminiano (via San Geminiano, 3) e nel Complesso San Paolo (via Camatta, 15).
Il programma completo della serata è disponibile al seguente link: https://www.unimore.it/nottericerca2023/
Carlotta Fiorini 5CL | 27 aprile 2023
Per il secondo anno di fila ho deciso di dedicare una parte delle mie vacanze estive al volontariato: quest’anno, quasi per caso, sono diventata “médiévole” (volontaria “medievale”) al festival medievale di Souvigny, in Francia.
I workcamps sono dei progetti di volontariato rivolti ai giovani, di durata variabile: i campi brevi durano fino a tre settimane e sono organizzati in Unione Europea, mentre quelli a lungo termine, riservati ai maggiorenni, possono durare più di un mese e sono disponibili in tutti i continenti.
A partire dall’ultima settimana di luglio fino a metà agosto ho partecipato ad un campo di volontariato rivolto a giovani maggiorenni a Souvigny, un paesino nel centro della Francia. Il gruppo di volontari era formato da 11 persone provenienti da paesi con culture molto diverse: dall’Italia, Turchia, Armenia, Portogallo e persino Thailandia e Messico.
I leader del gruppo erano due ragazzi poco più grandi di me, ma la differenza di “ruoli” non ci ha impedito di formare un gruppo omogeneo, senza distinzioni: siamo diventati una famiglia dal primo giorno. Abbiamo dormito nella sala polivalente del paese, dove, oltre a un’ampia stanza con i nostri letti, avevamo a disposizione una cucina e un soggiorno. Come in ogni campo di volontariato, la collaborazione era un elemento fondamentale: settimanalmente ci dividevamo in piccoli gruppi, e ogni giorno ciascuno doveva svolgere un’attività diversa a rotazione (ad esempio, preparare i pasti, lavare i piatti, pulire).
Parliamo ora dell’aspetto più interessante: di cosa ci dovevamo occupare?
Durante le tre settimane abbiamo collaborato con gli abitanti del paesino per organizzare il festival medievale di Souvigny. Dovete sapere che, dal 1994, ogni anno, a partire da fine luglio, il piccolo villaggio di Souvigny si trasforma in borgo medievale per nove giorni. Durante il festival si susseguono spettacoli di ogni genere che animano la fiera: musica, teatro, giocoleria, spettacoli di fuoco, artigiani al lavoro, cucina a tema, bancarelle… E cosa c'è di meglio di gustarsi un bicchiere di “limo pomme” - succo di limone e mela, che ben presto è diventato simbolo di questa edizione della fiera - nel bel mezzo di un concerto di una troupe? Sono proprio i “menestrelli e saltimbanchi” a ravvivare il piccolo borgo di Souvigny, che ci ha fatto fin da subito sentire accolti. La prima e l’ultima settimana sono state dedicate al montaggio e allo smontaggio di tutto l’occorrente: tavoli, panchine, taverna, chiostri. I giorni del festival sono stati invece i più memorabili, ovviamente, perché abbiamo partecipato attivamente all’organizzazione della fiera. Ogni mattina, quindi, incontravamo gli altri médiévoles per dividerci i compiti: bisognava essere veloci e in orario per potersi occupare delle prestazioni più ambite. Dopo pranzo, poi, indossavamo i nostri abiti medievali, e dalle tre del pomeriggio fino a mezzanotte eravamo parte integrante del festival. Ognuno di noi doveva occuparsi di almeno due attività, tra le quali la preparazione delle crêpes, barbecue, servizio in taverna o ai tavoli, pulizia; per il resto del tempo eravamo liberi di divertirci e di assistere agli spettacoli medievali.
Posso dire che è stata davvero un’esperienza indimenticabile: ho trascorso momenti magnifici sia con i componenti del campo di volontariato, sia con la popolazione locale. Non sono mancati i momenti di scambio: durante la prima settimana, ad esempio, abbiamo organizzato una cena "internazionale" aperta agli abitanti di Souvigny. È stato anche un ottimo esercizio di lingua: infatti ho praticato non solo l’inglese, con i ragazzi del campo di volontariato, ma anche il francese, con le persone del posto e con il pubblico che frequentava la fiera.
Partecipare ad un campo di volontariato non è una vacanza convenzionale, ma proprio per questo la consiglio a tutti. Attraverso queste esperienze è certamente possibile apprendere competenze tecniche, oltre che praticare una lingua straniera in situazioni quotidiane, ma una delle cose che apprezzo di più è la possibilità di potermi confrontare con persone con una cultura completamente diversa dalla mia. Abbiamo condiviso ricette, musica, racconti e aneddoti, ed abbiamo stretto legami veramente speciali.
Souvigny è un luogo unico, perchè una volta all’anno persone con storie diverse si riuniscono per diventare un'unica famiglia medievale in questo fantastico festival. Vi lascio con un video che mostra la fiera di quest’anno, e che racchiude pienamente l’anima di Souvigny.
Alice Carli, 3CL & Frida Fruggeri 3CL | 7 aprile 2023
Ascoltando la radio, guardando il telegiornale o leggendo qualche news online non è certo inusuale imbattersi in dibattiti e confronti legati alla legalizzazione delle droghe, leggere o pesanti che siano. Riguardo a questo ogni paese sta prendendo decisioni che vanno in direzioni anche molto diverse tra di loro: due esempi lampanti della varietà degli approcci adottati sono la Svezia e il Portogallo.
La Svezia e il suo rapporto con la droga
La Svezia si situa tra 7° e 8° posto nelle classifiche mondiali per quanto riguarda la qualità di vita ma ha uno dei più alti tassi di mortalità legata alle droghe d’Europa. Come mai?
Una politica innovativa
A partire dal 1980, con il diffondersi del motto “Svezia: una società senza droghe”, l’attenzione e le risorse fisico-economiche della polizia si è concentrata sugli usufruitori di sostanze stupefacenti, piuttosto che sui produttori, importatori e spacciatori maggiori. In soli 2 anni, tra il 1979 e il 1981, il numero di criminali legati all’ambito della droga è raddoppiato. Nel 1988 venne ufficialmente criminalizzato il consumo di droghe ma la pena includeva una semplice multa di importo variabile.
Nel 1993 poi avviene una svolta: la polizia svedese ottenne il diritto di compiere test antidroga sui civili senza il consenso dei soggetti interessati. Quell’anno la polizia svedese ha agito in base alla legge conducendo circa 10.000 test delle urine forzati, numero che è poi gradualmente aumentato nel corso degli anni. Nel 2007 più di 42.000 casi di consumo di droga sono stati registrati nelle statistiche della polizia, la grande maggioranza dei risultati positivi proveniva proprio da test delle urine forzati.
La stessa legge porta a un altro grande cambiamento: l’imprigionamento venne incluso come una possibile sanzione ai crimini legati al possesso e utilizzo di droga (fino ai 18 anni di reclusione) .
Le conseguenze
Lo scopo della legge era evidentemente quello di scoraggiare i giovani dall'iniziare ad utilizzare la droga. Avrà funzionato?
I dati offrono una risposta negativa a questo quesito poiché tra il 1995 e il 2011 l’utilizzo di sostanze tra i giovani di 15-16 anni è aumentato dal 6% al 9%. Inoltre il Paese supera la media europea anche riguardo il quantitativo di tranquillanti e sedativi non-prescrivibili tra gli adolescenti. Ma la problematica non esiste solo nel mondo giovanile: l’assunzione di metanfetamine negli adulti è cresciuta dal 1,4% al 5% dal 1994 al 2008.
Trattamenti e disintossicazione
Un importante studio pubblicato nel 2011 ha riconosciuto la necessità del Paese di diminuire il danno creato dall’assunzione e la dipendenza di queste sostanze che è invece stato trascurato, privilegiando una politica basata sull’astinenza. Gli attuali servizi mirati alla disintossicazione sono scarsi rispetto alla media europea e i criteri suggeriti dalla OMS (Organizzazione mondiale della sanità) e dalla UNODC (Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine). Ad esempio esistono soltanto 5 strutture che distribuiscono gratuitamente siringhe e aghi per evitare la trasmissione di MST (e sono mal distribuiti nel territorio svedese). L’OST (Opiate Substitution Treatment, cioè il servizio di terapie sostitutive a base di oppiacei) è disponibile ma concesso soltanto sotto numerose e severe condizioni (soprattutto per quanto riguarda il metadone), permettendo soltanto a pochissime persone di completare le cure. I primi programmi di riabilitazione in prigione sono iniziati poi molto tardi, nel 2007 (e diventati programma nazionale nel 2010) e inoltre ricevono tuttora fondi insufficienti.
Un esempio estremamente esplicativo della mentalità svedese sul tema delle droghe è il seguente: la marijuana utilizzata a scopo medica è tecnicamente legale ma (oltre ad essere poco prescritta causa una grandissima disinformazione tra i medici)il possesso di soli 15 grammi è ancora un reato.
Il “modello portoghese”
Secondo le stime, alla fine degli anni Novanta circa l'1% della popolazione portoghese faceva uso di eroina. Alla ricerca di una soluzione a questa problematica sociale, nel 2001, il Portogallo è diventato il primo paese a livello mondiale ad aver depenalizzato il possesso di qualunque tipo di droga, dalla marijuana alle cosiddette “droghe pesanti”.
Legislazione
In Portogallo, a fronte della nuova legislazione, non è più previsto l’arresto per chi viene trovato in possesso di una dose pari al consumo medio individuale per massimo dieci giorni (corrispondente a un grammo di eroina, ecstasy o anfetamina, due grammi di cocaina, 25 grammi di cannabis).
L’atteggiamento che il Portogallo ha deciso di assumere nei confronti dei tossicodipendenti si basa sulla riabilitazione, piuttosto che sulla reclusione. Chi commette reati connessi alle droghe riceve, ad esempio, un mandato di comparizione, che lo obbliga a presentarsi davanti a dei "comitati di dissuasione" composti da giuristi, psicologi e assistenti sociali. Frequentemente (circa nell’80-85% dei casi) si tratta di persone che sono al loro primo crimine e hanno assunto sostanze a scopo ricreativo e per questo motivo i loro casi vengono sospesi. Tuttavia, dopo un certo numero di convocazioni davanti ai comitati, si viene considerati "tossicodipendenti" e si è assoggettabili a prescrizioni di trattamenti che variano da sedute con motivatori a terapie sostitutive.
Chi fa uso ricreativo di droga può essere anche obbligato a pagare una sanzione o a prestare servizio per la comunità, ma se rifiuta di sottoporsi alle cure è tenuto a presentarsi a frequenti controlli presso il suo medico di base.
Se l’approccio nei confronti dei tossicodipendenti è caratterizzato dalla sua innovatività, è comunque necessario ricordare che le droghe sono ancora illegali in Portogallo, dove i trafficanti sono tuttora destinati alla prigione.
Un ruolo centrale nelle politiche antidroga intraprese dal Portogallo è sicuramente rappresentato dal lavoro dei gruppi di volontari che, unito agli sforzi del governo, è necessario per la distribuzione di aghi puliti e per la messa a disposizione di pipette, permettendo, inoltre, di entrare in contatto con il maggior numero di consumatori di droga possibile.
Conseguenze
Dal 2001 il Portogallo ha visto concreti miglioramenti nel sistema di sanità pubblica; da quando le droghe sono meno stigmatizzate i consumatori si sono dimostrati, infatti, più inclini a cercare delle cure.
Un altro dato interessante è rappresentato dal numero dei casi di Hiv nel paese, diminuiti drasticamente dal 2001, passando da 1016 a 56 nel solo 2012, mentre i decessi per overdose sono scesi da 80 a 16 [per poi però risalire negli anni successivi ndr].
Le morti legate alle droghe sono tre su un milione di abitanti, con un tasso oltre cinque volte più basso rispetto alla media dell'Unione Europea, pari a 17.3.
Anche il consumo di droga negli ultimi 22 anni è diminuito e rientra ora nella media europea.
Consumo di Cannabis in Portogallo
Consumo di cocaina in Portogallo
Consumo di MDMA in Portogal
Consumo di amfetamine in Portogallo
Quali conclusioni possiamo trarre da questa ricerca? Visti gli ottimi risultati ottenuti a seguito delle nuove politiche portoghesi la legalizzazione delle droghe rappresenta la soluzione ad ogni problema? Tutti gli stati dovrebbero imitare l'esempio del Portogallo? La questione non è così semplice: bisogna considerare fattori come la situazione politica ed economica dello Stato, i suoi abitanti, i loro valori morali, le loro paure, la storia pregressa del Paese e tanto altro.
Ciò in cui crediamo noi è l’importanza di essere sempre pronti a mettere in dubbio le proprie scelte quando queste non portano ai risultati desiderati, al confronto e, quando possibile, all’opportunità di prendere ispirazione da altre realtà.
Carlotta Fiorini, 5CL | 22 gennaio 2023
Il 10 dicembre 1948, gli Stati membri delle Nazioni Unite firmarono a Parigi il primo documento della storia che sanciva i diritti dell'uomo riconosciuti universalmente. Ancora oggi, ogni 10 dicembre, si celebra la Giornata Mondiale dei Diritti Umani. È una data chiave per Amnesty, che manifesta sempre per rimarcare l’importanza della difesa dei diritti umani.
Amnesty International è un movimento globale che raggruppa più di 10 milioni di persone che combattono contro le ingiustizie. Amnesty è un movimento indipendente da qualsiasi ideologia politica, interessi economici o religioni. Investiga ed espone fatti, in caso vengano effettuati abusi. Pressa governi e altri gruppi influenti in modo che rispettino le loro promesse e la legge internazionale. Amnesty, poi, si mobilita attraverso i gruppi locali, che si trovano in 70 paesi, ed organizza eventi e manifestazioni per denunciare tutti gli abusi e le ingiustizie che riesce a verificare attorno al mondo. Un altro tipo di attività promossa da Amnesty è l’educazione ai diritti umani all’interno delle scuole. Infatti, non tutti sanno che anche a Modena esiste un gruppo attivo di volontari di Amnesty International, che opera sul territorio da almeno una ventina d’anni. Ma come nasce questo movimento rivoluzionario?
Nel 1961, l’avvocato britannico Peter Benenson rimane sconvolto dalla notizia di due studenti portoghesi arrestati per aver brindato in nome della libertà. Scrive quindi un articolo per il giornale The Observer e lancia una campagna che, a sorpresa di tutti, provoca una risposta incredibile. Ristampata nei giornali attorno al mondo, la sua chiamata all’azione diffonde l’idea che le persone, ovunque, possono unirsi in solidarietà per giustizia e libertà. Questo momento è stato l’inizio di uno straordinario cambiamento sociale.
Durante gli anni, Amnesty, dalla focalizzazione alla ricerca del rilascio di prigionieri politici come obiettivo principale, ha espanso le sue azioni all’intero tema della tutela dei diritti umani. L’azione di Amnesty protegge e dà potere alle persone - dall’abolizione della pena di morte alla protezione dei diritti sessuali e riproduttivi, e dal combattimento contro la discriminazione alla difesa dei diritti dei rifugiati e dei migranti. Parla per chiunque veda la propria libertà e dignità minacciate.
Il 2022 è stato un anno difficile: una nuova guerra è scoppiata in Ucraina in febbraio, e le recenti proteste in Iran ci mostrano come la strada per ottenere diritti fondamentali, quali la libertà di espressione, sia ancora lunga. Grazie all’azione di Amnesty, però, siamo riusciti a raggiungere alcuni obiettivi importanti. Ad esempio:
La pena di morte è stata abolita in Papua Nuova Guinea, Zambia, Liberia e Repubblica Centrafricana.
Diversi prigionieri di coscienza sono stati liberati, tra cui Nazanin, cittadina iraniana-britannica detenuta in Iran dal 2016 colpevole di complotto contro il governo iraniano, e Rami, prigioniero in Egitto dal 2019 per aver partecipato a proteste contro il governo.
Svizzera e Cuba hanno approvato i matrimoni egualitari. A Singapore e nelle Barbados le relazioni tra persone dello stesso sesso non sono più reato.
In Colombia l’aborto non è più reato. A San Marino è diventato ufficialmente legale.
Le Nazioni Unite hanno riconosciuto il diritto ad un ambiente sano.
Confermate definitivamente le condanne dei carabinieri colpevoli dell’omicidio di Stefano Cucchi.
Le Filippine hanno vietato i matrimoni precoci dando una fine al fenomeno delle spose bambine.
Ancora una volta, è importante sottolineare l’importanza dell’azione collettiva. Infatti, sono soprattutto i piccoli gesti, come la partecipazione a una manifestazione, la condivisione di una campagna sui social, la firma per la scarcerazione di un prigioniero politico, a fare la differenza. Possiamo tutti contribuire alla difesa dei diritti umani, insieme.
GinevraMaria Bianchi, 5B | 7 dicembre 2022
Spesso si sente promuovere da parte delle scuole l’apprendimento col gioco, un “divertimento educativo”. Non in Italia, dove la componente ludica dell’insegnamento viene persa circa in prima elementare. Un bambino di sei anni, considerato giá come un individuo in grado di collaborare, ragionare autonomamente e capace di pensare soluzioni alternative ,viene abituato ad una routine scolastica poco stimolante. Privato di soluzioni alternative, si adatterà all’individualità, alla schematicità ed alla stringatezza. La dimensione scolastica viene riflessa anche sulla sfera privata, ma anche lì non è più così semplice trovare famiglie disposte a mettersi in gioco, in tutti i sensi. I cambiamenti nelle dinamiche famigliari, hanno fatto in modo che per mancanza di tempo e volontà, non sia più tanto frequente passare momenti insieme davanti ad un gioco di società. Se succede avviene di rado e per circostanze speciali, come la tombola a Natale, ad esempio. Rimangono quindi sui tavoli delle sale da pranzo i grandi classici: Monopoly, RisiKo, Il gioco dell’oca, Briscola…ossia giochi ormai obsoleti e passati di moda, senza lasciare spazio a quelli nuovi, sicuramente più moderni e fruttuosi. È inevitabile associare questi passatempi démodé a momenti di condivisione forzati ed occasionali, proprio perché è più semplice giocare se le regole le conoscono tutti e le dinamiche sono ripetitive, piatte. Il “Festival del gioco”, o “Play 2023”, organizzato da ModenaFiere, ha il fine di arginare questo problema. Nelle tre giornate del 19, 20 e 21 Maggio 2023, sarà possibile osservare e testare tutte le novità sfornate dall’industria dei giochi. Molti ragazzi della nostra scuola avranno l’occasione di partecipare, collaborando tramite un percorso di PCTO. Lontani da stereotipi o scetticismi, sarà un’ottima occasione per partecipare ad un’attività con tante altre persone, che contrariamente da come si pensa non sono “nerd”. Un aggettivo genericamente affibbiato agli appassionati di questo mondo, spesso usato in tono dispregiativo, ma che non è il caso di utilizzare per questo contesto. A testimonianza della tesi esposta precedentemente,la componente di adolescenti che partecipano a questo evento, purtroppo, è inferiore al 20%. Inaspettatamente, invece, è facile trovare donne e uomini dai trent’anni in sù, nonostante si potrebbe pensare erroneamente che siano i soggetti più lontani da questo mondo. Il “Play 2023”, quindi, è un'opportunità per riscoprirsi bambini, o semplicemente continuare adesserlo.
“L’uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare" G.B.Shaw.
Carlotta Fiorini, 5CL | 4 dicembre 2022
Donne, vita, libertà: sono queste le tre parole simbolo delle proteste che in questi giorni stanno attraversando l’Iran e le piazze solidali di tutto il mondo. Il 13 settembre 2022, la donna curda iraniana Mahsa Amini è stata arrestata a Teheran dalla cosiddetta polizia “morale” iraniana, che sottopone regolarmente donne e ragazze ad arresti e detenzioni arbitrarie, torture e altri maltrattamenti per non aver rispettato l’obbligo di indossare il velo.
Mahsa Amini è stata picchiata violentemente mentre veniva trasferita con la forza nel centro di detenzione di Teheran. In poche ore, è stata trasferita all’ospedale di Kasra dopo essere entrata in coma. È morta tre giorni dopo. Le autorità iraniane hanno annunciato indagini negando qualsiasi illecito, ma questo non è bastato a fermare le numerose mobilitazioni della società civile dilagate su tutto il territorio nazionale.
Le autorità iraniane impongono leggi e regolamenti sul velo obbligatorio che violano i diritti umani delle donne e comportano anche trattamenti o punizioni crudeli, disumani e degradanti.
In Iran il clima quotidiano di intimidazione nei confronti delle donne si fa sempre più duro. In questi due mesi, la situazione non è migliorata, anzi, è peggiorata. Ed è proprio per questo motivo che, facendo parte del gruppo di Amnesty a Modena, ho deciso di organizzare una manifestazione a supporto dei diritti delle donne in Iran. L’argomento rientra perfettamente nella nuova campagna globale promossa da Amnesty International, “Proteggo la protesta”. Amnesty sfida gli attacchi alle proteste pacifiche, sta dalla parte delle persone prese di mira e sostiene le cause dei movimenti sociali che premono per un cambiamento in favore dei diritti umani. Perché la libertà di espressione sia garantita. Perché si arrivi a rispettare migliaia di persone che lottano perché i loro diritti gli vengano riconosciuti.
Siamo scesi in piazza nel pomeriggio di sabato 12 novembre in Piazza Torre, e abbiamo coinvolto, oltre ad amici e conoscenti, le associazioni Donne in Nero, Non Una di Meno e Casa per la Pace - ODV. Ha partecipato alla nostra manifestazione anche la comunità iraniana, che ha condiviso con noi delle canzoni simbolo di protesta in Iran. É stato un evento molto movimentato: hanno iniziato le Donne in Nero con un flash mob silenzioso, che si sono poi unite al flash mob di Amnesty. Abbiamo gridato in piazza “Donne, Vita, Libertà”: sosteniamo le donne iraniane anche con questo piccolo gesto. Può sembrare un atto insignificante, ma è proprio con l’unione delle forze che si fa la differenza. É in questo modo che si può arrivare ad un vero cambiamento. Di fronte alle ingiustizie, è necessario agire.
Proprio mentre sto finendo di scrivere questo articolo, vengo a conoscenza del caso di Mahak: aveva solo 16 anni ed usciva da settimane senza velo. È stata uccisa dalla polizia perché indossava un berretto da baseball.
Amnesty continua a porre attenzione su questa terribile situazione: per sostenere le donne iraniane che stanno combattendo per i loro diritti, e perché questi crimini non vengano dimenticati presto. Perché ogni giorno la situazione delle donne peggiora. Perché va abolito l’obbligo di indossare il velo. Perché va garantito il diritto di protesta pacifica, che coincide con la libertà di espressione, e che sta venendo brutalmente represso in Iran ogni giorno.
“La mente non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere”. Con questa frase di Plutarco di Cheronea (I - II sec. d.C.), Vito Mancuso si è rivolto alla scuola, sottolineandone l’importanza non solo di istruire la mente, ma anche e soprattutto di educare alla libertà di pensiero. È accaduto durante uno degli INCONTRI DEGASPERIANI 2022 (che si svolgono ogni anno a Trento e in Valsugana) dal titolo “La libertà dentro di noi”. In questa occasione il filosofo ha posto anche una delle domande esistenziali più difficili: la libertà esiste?
Nella cultura classica grandi pensatori la negano, altri la affermano. Per argomentare questa questione antinomica Mancuso ha, quindi, citato alcune tra le più importanti figure del mondo antico.
Nel 472 a.C. il drammaturgo Eschilo è uno tra i primi ad esprimersi riguardo al concetto di libertà. All’interno della sua opera I Persiani descrive, infatti, i greci come “sudditi di nessuno”, e quindi uomini liberi in ambito politico. Tuttavia, nell’Agamennone (e non solo), nomina “potenze divine che prepotenti governano il sacro timone del cosmo” sostenendo, così, un concetto contraddittorio rispetto al precedente significato della parola ἐλευθερία (libertà, appunto, in greco).
Nell’Edipo re (415- 412 a.C.) di Sofocle si ritrova la presenza di un destino, di un fato, di un ἀνάγκη a cui l’essere umano non può sfuggire in alcun modo e che limita totalmente la libertà individuale. Nell’Antigone, un’altra tragedia dello stesso autore, questo concetto viene, però, rovesciato: Antigone, infatti, agisce liberamente, decidendo di seppellire il fratello, nonostante sappia di rischiare la vita, poiché le è stato proibito. A seguito di questa sua scelta la donna, infatti, morirà.
Per Seneca, invece, l’uomo è al cospetto di forze più grandi di sé, che non può far altro che assecondare. “I fati conducono il nolente, il volente lo trascinano (ducunt volentem fata, nolentem trahunt)”.
Vito Mancuso ha citato anche altri filosofi e non solo che hanno espresso le loro considerazioni sull’argomento in epoche successive. Ha spaziato da Spinoza, Hume, Hegel, Nietzsche, Schopenhauer che negano la libertà dell’uomo a Cartesio, Rousseau, Locke, Kant che ne sono ferventi sostenitori fino ad arrivare ad Hanna Arendt. Quest’ultima, nel 1954, parla dell’importanza della solitudine, solitudine nel senso di raccoglimento, quel raccoglimento necessario per il pensiero libero, per il ragionamento e la riflessione.
“Un essere umano non può mantenere intatta la propria coscienza, se non può mettere in atto il dialogo con sé stesso, cioè se perde la possibilità della solitudine necessaria per ogni forma di pensiero.”
Cosa pensa Vito Mancuso al riguardo? Glielo abbiamo chiesto.
La ricerca della solitudine è una necessità di cui noi ragazzi del liceo classico sentiamo il bisogno per comprendere meglio i classici greci e latini, per sviluppare un nostro pensiero su di essi e per trovare, appunto, una nostra libertà di pensiero. È un bisogno, ma allo stesso tempo una difficoltà, come ha accennato anche lei dicendo “C’è tanto rumore dentro di noi”. Come crede sia possibile trovare o ritrovare, se l’abbiamo persa, la possibilità di questa solitudine, di questa libertà?
«È possibile ritrovare questa solitudine, oppure trovarla per la prima volta, stabilendo una certa disciplina, una regola di vita. Non bisogna farsi travolgere dalle cose, ma si deve, per quanto è possibile, dominare gli eventi. E, quindi, imporre a sé stessi, liberamente, una regola di vita, che significa prendere un foglio bianco ed una penna, perché credo nel contatto della mano che scrive e penso ci sia più personalità nell’esprimere i propri pensieri mediante la calligrafia. Se si vuole si può usare anche lo schermo di un computer o un di un telefonino, immaginare la propria giornata ideale ed all’interno di essa ritagliare un momento di silenzio, di raccoglimento. Per i credenti potrà essere una preghiera, per chi non crede potrà essere un incontro con il proprio sé, un incontro con le proprie domande, con i propri silenzi, con le proprie paure.
Ecco, ritengo sia importante avere ogni giorno, possibilmente alla stessa ora, un momento di questo tipo. Poi ci sono tanti strumenti per imparare la cosiddetta “Mindfulness”, cioè il controllo della mente, perché è a quello che bisogna arrivare. Adesso, in questa risposta, mi posso solo limitare a dire che la via per giungere alla consapevolezza e, quindi, ad un ingrediente necessario per una vita libera è esattamente la disciplina che impone a noi stessi, ogni giorno, un momento di raccoglimento.»
“Una condizione indispensabile della libertà è la solitudine, quei pochi momenti nei quali non indossiamo più alcuna maschera perchè, essendo soli con noi stessi, non calchiamo nessun palcoscenico (tratto da Il coraggio di essere liberi, Vito Mancuso).”
Portobello è un’associazione di beneficenza modenese che ha anche supportato il nostro liceo nella spedizione di farmaci in Ucraina. Gestisce, inoltre, un emporio cioè un supermercato dove le persone con difficoltà economiche possono fare la spesa pagando con una tessera fornita dai servizi sociali. Alcune volontarie ci hanno raccontato la propria esperienza, descrivendo sia il sostegno economico offerto dall’associazione, sia la sensazione di “benessere interiore” che questa attività ogni volta regala loro. Il volontariato diventa, così, un aiuto reciproco che si costruisce giorno dopo giorno: confortando gli altri, allo stesso tempo si “rinnova” anche se stessi. Si prova un nuovo vigore, quello del piacere nello scorgere un sorriso sui volti di chi si aiuta, quello della gioia di scambiare un semplice buongiorno, di incontrare numerose persone, vite che, per qualche istante, diventano l’una parte dell’altra tra gli scaffali e la cassa dell’emporio.
Sono molte le persone che usufruiscono di questo servizio, ma quali sono i criteri di accesso?
«Riceviamo gli “utenti”, così chiamiamo chi si rivolge a noi, controlliamo il numero dei punti, che è legato al loro ISEE ed al numero dei componenti del nucleo familiare. Si ottengono, così, i vari punteggi: ad esempio, una sola persona ha diritto a 60 punti, 2 dispongono di 90 punti e via dicendo. Sono inviate dai servizi sociali, con cui abbiamo dei contatti. Qui possono fare la spesa ogni sei mesi.»
Facendo volontariato, è mai rimasta particolarmente colpita da un gesto o da una frase di un “utente”?
«Mi è capitato di ricevere una lettera di ringraziamento da parte di una signora che ha espresso la sua gratitudine, perché questo emporio sociale è stato per lei un grandissimo supporto. In molti ci ringraziano, anche se noi diciamo loro semplicemente una parola di conforto. Mi piace essere di aiuto e di sollievo per gli altri e gli altri lo sono per me, perché è bello vedere che le persone sono contente e soddisfatte. Nei giorni scorsi, invece, un’altra signora, mi ha chiesto: “Posso donare dieci dei miei punti per gli ucraini?”. Le ho risposto che al massimo poteva comprare qualcosa e donarlo dopo. Ecco, lei era un’utente disposta persino a regalare dieci punti della sua spesa.»
I prodotti che reperite dalle donazioni o dalle raccolte nei supermercati sono a scadenza stretta?
«Molti sì, ma non tutti. Se la merce è sugli scaffali, si può prendere anche se è scaduta, perchè ci sono alcuni giorni oltre la scadenza in cui i prodotti sono ancora buoni.»
E per quanto riguarda i volontari?
«Di volontari ce ne sono. Alcuni sono giovani degli scout, altre sono persone della parrocchia o pensionati. Molti utenti diventano a loro volta dei volontari. In questo modo capiscono da dove hanno ricevuto l’aiuto e tutto ciò che c’è dietro, come si reperisce e arriva la merce, come si svolgono le raccolte. Questo è anche uno dei lati positivi.»
Portobello dispone anche del “villaggio per crescere”, uno spazio per i bambini dove i genitori possono lasciare i propri figli mentre fanno la spesa. Questa proposta fa parte dal progetto “Nati per leggere” e “Nati per la musica”. «Il pensiero che c’è dietro è che la povertà economica si possa affiancare anche ad una povertà culturale». Qual è l’obiettivo di questa iniziativa?
«L’intenzione è quella di stimolare i più piccoli anche in situazioni che non sono normalmente fruibili. Noi qui accogliamo bambini 0-6, cercando di valorizzare il momento della lettura, della condivisione e l’utilizzo del gioco come strumento di mediazione, anche con oggetti poverissimi e di nessuna importanza. Ci sono tappi, fogli di carta, giornali, materiali che non vengono pensati come giocattoli, ma qui lo sono, lo diventano e sono fondamentali. Questo perché la maggioranza dei genitori, anche se in difficoltà, dà ai propri figli il cellulare come primo strumento, anche se questo non si dovrebbe fare. La scusa è quella che un giocattolo ed un libro costano, mentre in realtà ci si può divertire tantissimo ed essere stimolati anche solo con una bottiglia di plastica, senza usare necessariamente il cellulare. Noi cerchiamo di ricostruire un ambiente che possa essere stimolante.»
Qual è il modo con cui preferite stimolare i più piccoli?
«Qui a Portobello abbiamo molti dei libri donati dalle famiglie modenesi a Porta Aperta. Noi volontari li andiamo regolarmente a prendere, scegliamo tra ciò che viene proposto e regaliamo un libro a ogni bambino che viene al “villaggio per crescere”. Lo facciamo per dare loro uno stimolo, perché gli studi da 20 anni a questa parte dimostrano che è molto importante venire a contatto con i libri in età precocissima. Normalmente solo le persone che hanno una motivazione alta vanno in biblioteca. I nostri utenti generalmente no, perché i bisogni sono grandi, spesso economici o di sopravvivenza, magari le famiglie non hanno nemmeno una casa. I genitori prima devono risolvere quei problemi, senza poter pensare al resto.»
Il 23 marzo 2022, la nostra classe, 4Gl, accompagnata dalle prof Maria Paola Fregni e Anna Fantini, ha assistito a uno spettacolo teatrale al Teatro Tempio di Modena come progetto PCTO. Abbiamo deciso di raccontarlo perché ci è sembrata una fantastica e illuminante esperienza sulla conoscenza del mondo e della società odierna.
"Gli altri” è uno spettacolo teatrale creato dai Kepler-452, inscenato da Nicola Borghesi e registrato insieme a Riccardo Tabilio. Lo spettacolo si apre tramite la visione di un breve filmato, dove si mostra Mario Lombardino, un pizzaiolo di Lampedusa, il quale attacca verbalmente, in modo estremamente violento, Carola Rackete, un’ambientalista, attivista e comandante di nave tedesca che viene arrestata scendendo dalla sua nave da salvataggio Sea-Watch, con a bordo 42 migranti stremati.
Nella prima scena l'attore fa un monologo sul breve video e si sofferma in particolare sul quanto lui e Mario siano tanto diversi ma allo stesso tempo simili.
La rappresentazione è poi proseguita con la riflessione del regista-protagonista sulla differenza tra loro e noi, e per fare ciò ha inscenato una seduta dallo psicologo, non riuscendo però a trovare più di tante differenze tra i cosiddetti loro e noi, in questo caso se stesso.
La scena successiva, molto coinvolgente è quella del bar, dove viene trattato un altro argomento: la rabbia. Qua viene mostrato Nicola, che racconta di una sua esperienza personale in relazione con questa emozione: una serata, inizialmente tranquilla, si trova con una sua amica dentro questo bar. Quando il luogo inizia ad affollarsi, iniziano ad affollarsi anche i sentimenti dentro l’attore, il quale voleva trascorrere una semplice serata con la sua amica e finisce per passare la serata con la sua rabbia. Verso la fine dello spettacolo, si impersona in Mario Lombardino, tramite un climax di rabbia che si conclude con lui che arriva davanti alla nave di Carola Rackete e ripete le parole dette inizialmente nel video.
Un altro punto su ci fanno riflettere i Kepler-452 è che tutti abbiamo della rabbia interiore, che forse non è sempre esplicita, ma che anche chi non la mostra apertamente ne ha e non si può sopprimere questo sentimento, bensì cercare di usarlo a nostro vantaggio.
Siamo tutti uguali ma allo stesso tempo diversi, com’è possibile? Siamo uguali in quanto esseri umani, con due gambe, due braccia, due occhi, un naso e una bocca. Siamo uguali in quanto esseri viventi dotati di intelletto e ragione, che riescono a scegliere ciò che è meglio per loro, ma nonostante ciò siamo molto diversi tra di noi. Diversi siccome ognuno di noi ha una sua personalità, una sua caratteristica, un proprio modo di fare. In sintesi siamo esseri unici e irripetibili: questo è il bello della diversità. Esiste un tipo di uomo migliore degli altri? A questa domanda non tutti daranno la stessa risposta: c’è chi dirà che esistono persone migliori di altre per bizzarre ragioni, e chi dirà che non esiste un tipo che prevale sugli altri.
Nella vita di tutti i giorni, siamo in relazione con gli altri, spesso senza pensarci più di tanto, ma possiamo riflettere su questi punti tramite anche questo spettacolo, inscenato da questo giovane artista, Nicola Borghesi.
Sinceramente il teatro non ci appassiona tanto, perché lo sentiamo distante da noi. Questo spettacolo, però, è stato particolare, coinvolgente ed istruttivo: i Kepler-452 sono riusciti ad affrontare un argomento molto complesso e trattando i punti principali, rendendo lo spettacolo adatto anche una fascia d’età delicata, come quella adolescenziale. Vorremmo concludere dicendo che è stata un’esperienza davvero bella, che ci ha dato molti spunti di riflessione su come si rapporta una persona con la propria rabbia, sulla dignità delle persone, sul peso delle parole, sulla diversità, sul confine tra la nostra identità reale e virtuale, sulle nostre identità e come si agisce quando ci si trova in mezzo agli altri.
Questa volta c' eravamo anche noi, ragazze e ragazzi della 4B, coinvolti dopo aver partecipato proprio con Libera Modena al PCTO sulla Legalità. Come tutti gli altri partecipanti, rappresentanti delle istituzioni e semplici cittadini , ci siamo commossi.
Pronunciando ogni nome, tante storie ancora non conosciute,tante vite di persone che sono state strappate ingiustamente alle loro famiglie, ritornano a vivere nel ricordo.
Ripetere i loro nomi in pubblico è ripetere la verità che si cela dietro spietati e inumani omicidi. Il diritto alla verità non appartiene solo alle famiglie delle vittime, ma a tutti noi.
Grazie a queste iniziative, la comunità ha la possibilità di indirizzare il proprio coraggio, la propria passione e il proprio impegno nel dare un segno significativo, per dire: "ci siamo e agiamo, non dimentichiamo".
Tutti infatti possiamo contribuire a ricucire le ferite, soprattutto possiamo contribuire a prevenirle. Partecipare a questa giornata è stato quindi il nostro modo di opporci a chi nasconde la verità e ci ruba la speranza.
“Ci ha dato un esame carico di ansia e stress, venerdì gli facciamo un corteo fin sotto le finestre”. Queste le parole che fin dall’inaspettato annuncio hanno messo in guardia il ministro Bianchi e il suo gruppo di lavoro che da pochi giorni a questa parte hanno annunciato fieramente il cambio di rotta. Niente più tesina o altre diavolerie da pandemia: si torna alla Maturità classica con il secondo scritto. Una decisione che ha sconvolto non solo gli studenti ma anche i professori e i presidi di molte scuole, che hanno prontamente reagito chiedendo un passo indietro. I pareri sono vari e vari sono gli ideali che hanno spinto gli studenti a manifestare il proprio dissenso in tutta Italia, da Roma a Torino.
Qualche grido di lamento si è levato anche da Modena, precisamente presso il lato delle tribune del parco Novi Sad, la mattina di venerdì 4 febbraio. Niente di paragonabile alle grandi città della penisola, e certamente la scarsa partecipazione o la mancata presa di posizione da parte dei modenesi ha fatto riflettere giovani e adulti: “Sono felice che una parte di noi sia pronta a battersi e a esprimere la propria opinione, ma saltare la scuola e rimanere a dormire non è il giusto metodo per ottenere dei risultati: non deve apparire come una perdita di tempo, ma lo può diventare se si mette da parte l’obiettivo vero che si vuole raggiungere”.
Un obiettivo che non consiste solamente nel rivalutare la questione del secondo scritto, che “ha colto impreparati tutti”, che “sottovaluta gli effetti negativi di tre anni di didattica a distanza e di difficoltà di apprendimento", che “non si confronta con il parere reale delle scuole”.
Questa è per molti manifestanti, modenesi e non, solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso di una rete molto più complessa di mancanze e malessere e di una generale assenza di dialogo e di confronto concreto, da tempi antichi e molto più antichi del Covid, tra i governi e l’Istruzione da una parte e studenti, professori e scuole dall’altra. “Sono qui anche per Lorenzo Parelli, perché è importante ricordare che la seconda prova scritta non è l’unico affronto che viene fatto a noi studenti”.
Giovedì 18 novembre. Il quotidiano Repubblica esce con una notizia bomba: «Un'altra maturità snella con orale e tesina, ma niente prove scritte». E il polverone si alza. I sindacati salgono in cattedra, tanto per rimanere in ambito scolastico, e la CISL, tramite la segretaria nazionale della scuola Maddalena Gissi, giudica l’ipotesi «un danno enorme per il sistema di istruzione, per il paese e per i ragazzi stessi». Ma controbattono decine di migliaia di firme di adolescenti, più di 40mila, che chiedono l'abrogazione temporanea della prima parte della prova di maturità. Insomma, gli attori della scuola si scontrano. Anche tra gli insegnanti ci sono divisioni. Alcuni ritengono inutile stressare ulteriormente i ragazzi dopo un periodo difficile, per altri emulare l'ultimo vero esame, risalente al giugno del 2019, significherebbe tornare alla normalità.
Ma alla fine a decidere è (forse più corretto dire sarà, visto che al momento si sta rimandando sempre più in là la scelta), il ministro dell'istruzione Patrizio Bianchi. Il quale tenterà con tutta probabilità di mediare tra le due posizioni, apparentemente inconciliabili, proponendo una soluzione di questo tipo: esame con tesina, commissari interni e prova scritta unica in tutte le scuole di italiano.
Attendendo una presa di posizione netta del ministro Bianchi, sentiamo cosa ne pensano i maturandi.
“Credo che la prova scritta di italiano sia un’opportunità in più per esprimere le proprie conoscenze a livello linguistico ma anche per esprimere opinioni e punti di vista su argomenti di attualità, e quindi un modo per lasciare che gli studenti aprano la mente e il cuore su ciò che è nelle loro corde”.
Emma
“La prova di italiano la farei, e in generale penso sia giusto fare almeno una prova scritta, perché ci sarebbe così la possibilità di fare un barlume di -maturità normale-, e perché questo sarebbe la conferma che si sta tornando verso una semi-normalità”.
Beatrice
Se i pareri sono discordanti già in qualsiasi ambito della vita in una società, ugualmente non possiamo che aspettarci nette differenze e contrastanti punti di vista se si parla di maturità nell’ambito del liceo classico, o se si parla di maturità in un altro liceo, o in un qualunque tipo di istituto, dove la materia di italiano è vista chiaramente con peso diverso.
“A me andrebbe bene fare la prova scritta di italiano, perché mi piace molto scrivere, e perché è sicuramente più semplice che fare una versione di latino o di greco”.
Margherita, liceo classico
“Non mi lamento, matematica e fisica non sono il mio forte. Ma penso che, anche se per certi versi lo scritto di italiano potrebbe essere una bella fonte di ispirazione per dimostrare la propria -maturità-, potrebbe essere abbastanza limitativo in scuole come un liceo scientifico o altri istituti dove sarebbe più utile essere valutati in matematica e fisica.”
Gaia, liceo scientifico
“Lo scritto di italiano può facilitare alcuni ma può mettere in difficoltà molti altri, la cosa migliore sarebbe andare incontro agli studenti per tutto ciò che hanno perso negli ultimi anni. Ma mi rendo conto che almeno ad oggi le condizioni siano più affrontabili di quelle che hanno affrontato i maturandi del 2020, e quindi già una prova scritta sarebbe sintomo di miglioramento”.
Andrea, istituto tecnico
Lo scorso anno ho scoperto il mondo dei campi di volontariato, di cui non avevo mai sentito parlare prima e che hanno stravolto la mia idea di estate.
I workcamps sono dei progetti di volontariato rivolti ai giovani a partire dai 16 anni con durata variabile: i campi brevi durano fino a tre settimane e sono organizzati in Unione Europea, mentre quelli a lungo termine (per maggiorenni) possono durare anche vari mesi e sono aperti a tutti i continenti.
A luglio ho avuto l’occasione di partecipare ad un campo di volontariato di due settimane rivolto a giovani tra i 14 ai 17 anni a Nomeny, un paesino nella regione Meurthe-et-Moselle, nel nord-est della Francia. A mia sorpresa ero l’unica partecipante straniera tra altre 5 ragazze francesi, ma allo stesso tempo è stata una fortuna perché ho avuto l'occasione di praticare il francese con persone madrelingua in ambiti quotidiani. Eravamo accompagnati da una animatrice per quanto riguarda il soggiorno, mentre i lavori erano diretti da un tecnico ebanista, un ragazzo apparentemente fuori dagli schemi ma molto esperto in materia. Aveva portato con sé la sua cagnolina, anche lei diventata immediatamente compagna di esperienza. Abbiamo alloggiato in tende singole disposte ai margini di un campo da calcio del paese, e abbiamo potuto utilizzare la cucina, gli spogliatoi e i bagni degli sportivi.
L’obiettivo del progetto ci è stato spiegato fin da subito: spingerci a diventare più indipendenti e a collaborare tra noi partecipanti. La collaborazione è infatti elemento chiave di questi campi: ogni giorno ciascuno deve occuparsi di un’attività diversa a rotazione (preparare la colazione, i pasti, lavare i piatti). Per quanto riguarda i lavori, abbiamo continuato i lavori di restauro della chiesa medievale di Nomeny, già iniziati l’anno precedente da altri volontari. Abbiamo levigato sia a mano che a macchina porte e finestre di legno, infine verniciato con pittura naturale prodotta da un esperto che ci ha aiutati. Durante le pause dal lavoro e la sera organizzavamo giochi di società o di gruppo; eravamo quindi sempre stimolati a socializzare con gli altri partecipanti. Non ho mai imparato così tanti giochi nuovi in così poco tempo! La preparazione dei pasti era ogni volta un'avventura: avevamo pentole o troppo grandi o troppo piccole, la temperatura del frigorifero era instabile e l'acqua arrivava a bollore dopo almeno mezz'ora. Per lavare i piatti, poi, scaldavamo l'acqua con un bollitore elettrico, che portavamo anche in chiesa quando restavamo lì a pranzare. Io, ovviamente, ho cucinato prevalentemente piatti di pasta, anche se venivo puntualmente corretta dai francesi su quali ingredienti era meglio utilizzare per cucinare (le ricette italiane!).
Non sono mancate attività ricreative: gite nelle città vicine e passeggiate al lago o nel bosco. Per spostarci abbiamo utilizzato un mitico minibus noleggiato, che puntualmente aveva dei problemi: la maniglia della portiera era sempre rotta e per qualche giorno abbiamo dovuto entrare dal bagagliaio o da davanti perché la portiera di mezzo si era bloccata. Non sono mancati nemmeno momenti di condivisione e di incontro con gli abitanti del paese di Nomeny! Abbiamo anche organizzato un aperitivo insieme al sindaco, dove erano presenti anche giornalisti che hanno raccontato le nostre avventure sul quotidiano locale. Per l'occasione io mi sono occupata della preparazione del rinfresco, e ho avuto l'idea di far loro assaggiare delle bruschette (ma anche in questo caso erano convinti fossero specialità francesi di Marsiglia…).
Questa esperienza mi ha aiutata molto: ho imparato dei lavori pratici, sono riuscita a migliorare il mio francese, ma soprattutto ho avuto l’occasione di stringere rapporti con tante persone nuove. Ci siamo confrontati sulle nostre due culture diverse, e anche se i disguidi erano all’ordine del giorno non è mai mancata la voglia di stare insieme e di imparare. L’unico elemento negativo è stato, ironicamente, la durata: dopo due intense settimane di condivisione totale è stato difficile dire addio ai miei compagni di viaggio. Ma non solo: anche a Nomeny. Vedere finalmente i lavori finiti dopo tutti i nostri sforzi è stato davvero soddisfacente. Chi avrebbe mai detto che avrei lasciato una parte di me in un paesino sperduto tra le colline della Lorraine?
Da molti anni la nostra scuola appoggia viaggi all’estero come per esempio Francia o Inghilterra, e per i più coraggiosi la Germania. La ragione per avventurarsi in questa nuova sfida? Beh, ovviamente per imparare meglio la lingua, ma soprattutto vivere un’esperienza indimenticabile.
In questo momento in cui la pandemia limita i nostri contatti e le nostre relazioni, i viaggi scolastici non si sono fermati, o meglio hanno trovato il modo per ripartire e farci sognare nuovamente di queste esperienze. Al momento i mitici stage linguistici, con una bella compagnia ad accompagnare un lungo viaggio, non sono adatti perché non consentirebbero un viaggio sicuro e in linea alle norme vigenti per il Covid-19. Ma ciò non significa che a scuola non ci siano progetti di questo tipo: è il caso del progetto Erasmus+. Ovviamente c’è la possibilità anche di rivolgersi a delle agenzie, facilmente tracciabili sul territorio modenese, ma con il progetto Erasmus+ sei catapultato anche in realtà poco ‘convenzionali’ come ad esempio la Bulgaria (una delle mete Erasmus bando 2019). Questo tipo di viaggio è consigliato soprattutto per gli studenti del triennio, ma ciò non toglie che con un buon livello d’inglese, lingua scelta dal progetto per comunicare, anche studenti più piccoli possano aspirare alla partenza. Quindi se siete interessati a lanciarvi in questa avventura, e saltare ore scolastiche (fate finta di essere dispiaciuti), state molto attenti durante le lezioni d’inglese.
Inoltre è in corso anche la possibilità per gli studenti di quarta di mobilità di un mese e di fare un tirocinio in aziende europee. Perché farlo vi chiederete? Prima di tutto è una delle prime possibilità di questo genere che la scuola offre; secondo tutte le ore di tirocinio saranno cumulate in ore di PCTO e quindi crediti; terzo iniziare a farsi un’idea di cosa fare dopo aver finito, finalmente oserei dire, il liceo. Perché la vera vita inizia dopo la fine della scuola, dopo tutte le emozioni , belle e brutte, che ci hanno accompagnato durante questi anni scolastici.
Fare questo tipo di viaggio, ma in generale ogni tipo di stage, dovrebbe essere uno spunto per migliorarci, non solo come studenti ma prima di tutto come persone. Oltre a voti e studio, c’è molto di più ed è grazie a questo tipo di esperienze che dovrebbe uscire: la vostra vera persona, senza le pressioni che la scuola, in un modo o nell’altro provoca. Perché ammettiamolo decidere di partire e stare lontano dalla propria comfort zone non è facile. Inizialmente vi sentirete fuori luogo, spesso da soli e dovrete cavarvela solo con le vostre forze. Ci saranno dei momenti no, ma non per questo dovrete lasciarvi abbattere. Tenete duro e andate avanti. Quando tornerete sarete cresciuti e maturati e potrete raccontare quelle esperienze che adesso faranno parte di voi. Come scrisse il filosofo Voltaire nella sua opera Candido e l’Ottimismo: ”E’ certo che bisogna viaggiare”.
L’augurio e lo scopo che auspichiamo per questa rubrica non è farvi la cronaca di viaggi, perché potreste benissimo andarle a chiedere ai diretti interessati. Sono le emozioni e le sensazioni quelle più interessanti da indagare. Vedere il luccichio nei loro occhi al solo ricordo di un momento felice, la naturalezza nel raccontare un episodio esilarante. Perché che si voglia o meno si lascia sempre un pezzo di cuore in queste esperienze, ed è questo che dovrebbe emergere.
Questo è solo l’inizio di quella che sarà questa rubrica, anche se forse diario sarebbe più appropriato. Se siete interessati , mi raccomando stay tuned. Presto ci saranno interviste ai ragazzi di ritorno dalla Francia, aneddoti da muratoriani fuori sede e tanto altro...
Da ragazzo, aveva un idolo o, comunque, una persona che ammirava e da cui prendeva esempio?
Da giovanissimo avevo un riferimento preciso in un personaggio politico importante, Giorgio La Pira, che, per un periodo, divenne anche sindaco di Firenze. Nel mondo del teatro, se si vuol sapere qualcosa, una persona che ho ammirato straordinariamente, fino a che lei se n'è andata, era una grande danzatrice russa, Galina Ulanova. Per me è stata, come si può dire, un’insigne maestra. Poi ho avuto una grande fortuna, quella di avere due professori di italiano. Uno si chiamava Fallacara, ottimo scrittore, e un grande maestro, il professore Navarria, catanese, che mi hanno aperto il cervello. E su quello è iniziata la mia vita ed è andata avanti.
Avrebbe qualche consiglio per avvicinare i ragazzi al teatro?
Vorrei dare dei consigli ai professori perché, in questo momento storico, credo che la responsabilità massima sia degli insegnanti: non ci sono politici, non ci sono imbonitori. Ci sono i maestri prima e i professori dopo, perché la grande formazione morale e, oserei dire anche fisico-morale, si fa veramente attraverso un insegnamento preciso, morale appunto. Credo che le persone che hanno un ruolo fondamentale in questo momento siano i maestri, per quel che riguarda la scuola elementare, e certi professori, per quel che riguarda la vita scolastica successiva. Lo dico perché è molto più importante di qualsiasi altra cosa, sia la preparazione, sia questo atto d’amore estremo, grandissimo che è l’insegnamento.
Si va perdendo assolutamente una cosa che è validissima, si va perdendo la grande tradizione della nazione. Non c'è da lamentarsi sulla diffusione scolastica, poiché in molti frequentano la scuola. In questo momento, però, c’è da supplicare che i professori siano all’altezza dell’amore che devono avere nell’insegnamento, allora lì sarà la salvezza.
Cosa direbbe ai giovani per superare questo momento di difficoltà?
Avere una grande pazienza. Chiedere dei consigli a dei vecchi. Ad esempio, io posso dare dei consigli perchè ho vissuto un momento molto più grave di questo del covid. Ai miei quattordici/quindici anni ho vissuto la fine della tremenda ed orrenda storia della Seconda Guerra Mondiale. Fidarsi con oculatezza, con sapienza dei consigli dei vecchi. Vedere di fare una discriminazione tra vecchi buoni e vecchi cattivi, proprio come qualità. Seguire veramente i consigli dei professori. Perché questo suscita una dinamica interna. Io so che chi vuol capire capisce. Oserei dire che questo è un momento in cui c'è bisogno di salvezza. C’è l’adeguatezza intellettuale dei giovani, perché sono molto più preparati di come eravamo noi ottanta anni fa. D’altra parte, però, c'è anche questa specie di stupidaggine di non avere, oserei dire, pietà di se stessi. Chi vuol capire capisce.
*Beppe Menegatti, regista teatrale fiorentino. Durante la sua carriera ha collaborato con Luchino Visconti, Eduardo De Filippo e Vittorio De Sica. È stato il marito della ballerina classica Carla Fracci.
Venerdì 30 aprile è stata una giornata storica. Per la prima volta dopo anni gli studenti si sono uniti spontaneamente e sono tornati a mobilitarsi, in una galassia di città, per far sentire la propria voce e le loro richieste: l’abrogazione dei doppi turni, ideati dalla Prefettura locale per consentire la presenza al 70% imposta da Decreto, per le controproducenti conseguenze sui trasporti e sulle vite di ognuno dei singoli studenti. In moltissimi istituti di Modena e Provincia migliaia di adolescenti hanno scioperato e sottoscritto il “Manifesto per preservare i diritti delle studentesse e degli studenti”, documento redatto da Rappresentanti d’Istituto di tutta la Provincia che mette in luce problematiche e soluzioni possibili:
“(...) Sono già giunte segnalazioni di decine e decine di adolescenti che non hanno la corriera nell’orario di uscita da scuola e che, tramite una giustificazione fornita dalla scuola ma proveniente dalla Provincia, hanno l’autorizzazione ad uscire anche mezz’ora prima della fine naturale delle lezioni. Per noi questo è inaccettabile. Non vogliamo pagare per carenze di altri perdendo ore di istruzione. Cosa fare?
Oggi, è necessario abolire i doppi turni e rielaborare gli orari dei trasporti, per consentire ai maturandi e non solo di lavorare in modo tranquillo ed efficiente in quest'ultimo mese (...). Domani, bisogna investire in modo deciso sull’istruzione pubblica. A settembre la presenza al 100%, con una situazione epidemica favorevole, deve essere garantita (...). “
Paradossalmente, gli studenti non avrebbero potuto conciliare la scuola con lo studio. E questo ha interessato in particolare gli studenti della provincia che, in queste circostanze, tornando a casa in orario serale, e senza probabilmente aver pranzato, avrebbero dovuto fiondarsi subito sulla scrivania per evitare di tornare impreparati in classe il giorno successivo, mettendo da parte qualsiasi tipo di impegno pomeridiano, dalle lezioni private alle ore di scuola guida, dai corsi formativi alle attività sportive. D’altra parte, ci sarebbe stato anche il problema di adattare, in questo via vai di persone ad ogni ora del giorno, un trasporto pubblico che si è dimostrato fragile e limitato da tempi anche precedenti alla pandemia.
Il tavolo di lavoro centrale è stato coordinato da React, associazione studentesca che con i propri rappresentanti d’istituto ha contribuito alla realizzazione della manifestazione e alla diffusione sui canali social del “Manifesto” rivolto alle istituzioni, attraverso una petizione pacifica che ha raggiunto in poco tempo quasi 1500 firme. E nonostante la Consulta provinciale studentesca abbia constatato che i doppi turni erano “l’unica decisione possibile”, dopo che gli studenti hanno dimostrato uniti la loro profonda disapprovazione, il Presidente della Provincia Tomei ha dichiarato che si sarebbe lavorato “per garantire l’entrata a turno unico alle 8:00”.
Da Lunedì 15 marzo 9 studenti su 10, nella nostra penisola, sono in DAD. Il covid-19 colpisce ancora una volta le scuole, accusate di essere uno dei luoghi preferiti per la diffusioni del virus, in particolare dopo la diffusione della variante inglese. Secondo l’ISS, “In Italia, si è stimato che la cosiddetta ‘variante inglese’ del virus Sars-CoV-2 ha una trasmissibilità superiore del 37% rispetto ai ceppi non varianti, con una grande incertezza statistica (tra il 18% ed il 60%). Questi valori sono in linea con quelli riportati in altri paesi, anche se leggermente più bassi, che induce a considerare l’opportunità di più stringenti misure di controllo che possono andare dal contenimento di focolai nascenti alla mitigazione”. Aumenta il carico Gianni Rezza, Direttore generale della Prevenzione presso il Ministero della Salute, che in conferenza stampa parla di una “Variante inglese di coronavirus che colpirebbe più i bambini e i giovani in generale.”
Ma parliamo di dati: a livello regionale dal 14 settembre, tra licei, tecnici e professionali, ci sono stati 5.456 casi, su una popolazione studentesca e di docenti delle superiori che complessivamente vanta circa 200 mila persone. Tra il 7 gennaio e il primo marzo, si sono verificati 83 focolai, con 400 positivi in totale, sempre tra alunni e docenti. I positivi sono dunque meno del 3%, da inizio anno scolastico. Nonostante questo il presidente della nostra regione, Stefano Bonaccini, ha varato un'ordinanza, il 4 marzo, valida per la provincia di Modena e per la città metropolitana di Bologna che prevedeva il passaggio diretto da zona arancione a rossa e quindi DAD al 100% alle superiori nei territori citati, poi ampliata dal ministero con il passaggio dell’intera regione nella fascia di massimo rischio 10 giorni dopo.
Una situazione, dunque, abbastanza complicata. La DAD porta con sè disagio, soprattutto sociale, ma anche economico e mentale. Le superiori fanno storia a sé, gli studenti sono maggiormente autonomi rispetto ai più piccoli e i congedi parentali, sebbene siano destinati alle famiglie con minori di 16 anni, verranno usati poco dalle stesse con teen-ager in casa. Rimane però un enorme problema sociale e mentale. Susanna Esposito, infettivologa e docente universitaria a Parma, ha detto all’Avvenire che “ci sono decine di pazienti con problemi psichiatrici seri che hanno richiesto assistenza ospedaliera solo negli ultimi due o tre mesi nella gran parte delle città italiane.”. “Un fenomeno mai visto” - continua l’Esposito - “che nell’età compresa tra i 13 e i 17 anni ci siano molti minori con tendenze suicidarie e bambini con meno di 10 anni che riportano complicanze di anoressia”.
“Durante il primo lockdown” - commenta a Modena Today Maria Corvese, Responsabile dell'Unità operativa Centro Adolescenza di Modena - “gli studenti avevano preso la DAD come una novità, per dedicarsi anche a ciò che gli piaceva (la tecnologia). Ma nell’anno scolastico corrente” - sottolinea - “dopo un breve periodo di Didattica in Presenza, la scuola in DAD ha cominciato a chiedere più attenzione e più compiti”. Questo porta inevitabilmente uno stress maggiore, e la stessa Corvese fa notare come, al Centro Adolescenza Provinciale, siano arrivati molti ragazzi “tristi”. Vista da una prospettiva più ampia, il momento difficile lo sta passando gran parte della popolazione italiana, dai più giovani agli anziani. “Anche se” - fa presente la dottoressa - “i giovani si stanno formando, hanno bisogno di socialità. Questo preciso momento storico è caratterizzato da due spinte, che coinvolgono gli studenti: da una parte il ritiro sociale, il non uscire, perché o non ne vale la pena o pensano di non farcela in un periodo così complicato, dall’altra l’arrabbiarsi, soprattutto per una promessa non mantenuta (vedi l’esempio del Natale) e protestare, o in piazza, canalizzando così la rabbia, o uscendo con gli amici in gruppo”. La deflessione delle prestazioni scolastiche è il sintomo più evidente della depressione giovanile, che si può però combattere, parlandone anche con i genitori. “Tantissimi ragazzi” - conclude la dottoressa - “ce la possono fare a superare il momento triste, parlandone con i genitori, che si devono però aprire con i figli”.
La nostra è stata una delle poche scuole che ha offerto, costantemente, uno spazio d’ascolto con una esperta. Silvia Paris, psicologa della scuola, fa il punto della situazione a livello d’istituto: “Lo sportello d’ascolto della vostra scuola ha da sempre registrato un alto numero di richieste di colloqui, che non corrisponde assolutamente ad un alto numero di problematiche psicologiche nei ragazzi, quanto ad una profonda consapevolezza e maturità rispetto alla necessità di confronto e riflessione rispetto ai compiti evolutivi della vostra età e a tematiche emotivamente profonde che vi trovate ad affrontare come adolescenti. Quello che ho sicuramente registrato tuttavia nell’ultimo anno è un aumento non tanto numerico quanto un cambiamento di tipo qualitativo delle richieste”. Questo è un po’ controtendenza rispetto alla situazione nazionale, dove invece aumenta, il numero di richiedenti di aiuto psicologico. “Molti ragazzi” - continua la Paris - “non portano tematiche legate ad aspetti relazionali o tipici della costruzione del progetto di vita, ma piuttosto malesseri psicologici e preoccupazioni profonde che hanno la loro manifestazione talvolta sia in termini di sintomi psicopatologici che di ritiro sociale”.
Il ministro dell'istruzione Patrizio Bianchi ha rilasciato a inizio marzo, al quotidiano “La Stampa”, un'intervista nella quale afferma che “faremo formazione mirata per i nostri docenti sulle nuove forme di didattica. Investiremo risorse per affrontare questa fase. Attiveremo la rete del volontariato a supporto della scuola, favoriremo i patti di comunità con il territorio, guardando anche oltre l’emergenza, considerando la DAD non come ripiego ma come integrazione e arricchimento per costruire una scuola nuova”. Facile dedurre, dunque, che nelle idee dell’ex-assessore emiliano-romagnolo, ci sia l’idea di conservare la DAD, con i suoi aspetti positivi. Secondo la Paris, “L’utilizzo della DAD al termine della pandemia potrebbe essere una buona integrazione al programma scolastico tradizionale, se sfruttata nelle sue caratteristiche migliori, ma mantenendola appunto solamente come una integrazione in momenti ed aspetti specifici della vita scolastica”. “La scuola in presenza” - continua - “seppur sia certamente stressante per alcuni aspetti, contribuisce alla costruzione di relazioni sociali fondamentali per l’equilibrio e la crescita dei ragazzi”.
Viene poi poco considerato un altro enorme problema: quello linguistico. Come sottolineato dal linguista Tavoni nell’intervista curata da Francesco Dembech proprio per Status Quo, “un terzo (della popolazione studentesca) è quella degli studenti che sembra non siano mai stati alfabetizzati. Ed è inaccettabile, in termini di spreco di risorse umane e sociali, che un terzo degli studenti spenda circa 13 anni della propria vita a scuola senza aver concluso niente, niente di concreto e utile per sé.”. E ancora “dilaga un analfabetismo spaventoso, e la scarsa cultura media si riversa inevitabilmente nei comportamenti sociali e civili e nella capacità di esercizio della cittadinanza”. Un sondaggio condotto a gennaio dall'associazione studentesca React e diffuso anche nella nostra scuola, considerate le abbondanti 1800 risposte ha reso noto il fatto che più dell’80% degli studenti non riescano a concentrarsi, o riescano solo in parte, in DAD. Dunque è evidente che a livello di grammatica e di lingua italiana gli studenti stiano perdendo in Didattica Digitale ore importantissime di lezione. Rischiamo, e l’ipotesi non è così remota, di perdere una generazione intera e di avere milioni di analfabeti funzionali in futuro. O si interviene adesso, o la sfida con noi stessi per un futuro migliore si perde in partenza.
Alcuni studenti della nostra scuola, assieme ad altri ragazzi di “React”, associazione studentesca che promuove cultura, informazione e partecipazione alla vita scolastica e sociale, hanno avuto l’occasione di incontrare ed intervistare, in una riunione su Google Meet aperta a tutti gli interessati, una grande personalità nel panorama intellettuale del nostro paese, Mirko Tavoni. Ma cosa possiamo dire di lui?
Mirko Tavoni nasce nel 1949 a Modena. A 19 anni vince una borsa di studio per la Normale di Pisa, e qui si laurea in lettere con 110 e lode. Tra le tante faccende culturali che compongono il suo curriculum, possiamo ricordare che dal 2017 è accademico ordinario della Crusca e ha insegnato, fino a due anni fa, all’università di Pisa. Attualmente è presidente onorario di ICoN (“Italian Culture on the Net”), la più importante unione di Università che si occupa di studi danteschi.
Viviamo un periodo storico in cui la lingua italiana subisce continue semplificazioni a livello sintattico e morfologico. Questo nuoce, secondo lei, alla comunità?
Dagli anni del dopoguerra in poi gli storici della lingua hanno notato che l'italiano che si stava affermando era sempre più disinvolto e rilassato, in conseguenza del fatto che stava diventando la lingua parlata da tutti. Cosa che prima non era, anzi aveva alle spalle la tradizione secolare di una lingua elitaria, colta e letteraria. Non veniva utilizzata come lingua di comunicazione, e ancora a metà del Novecento l’Italia aveva una lingua prevalentemente dialettofona. L’Italia ha raggiunto l'unità politica molto in ritardo rispetto agli altri paesi, le cui lingue hanno abbandonato molto prima la loro matrice letteraria. L'italiano è rimasto una lingua esclusivamente letteraria fino a tempi recenti, e perciò è ovvio che ad oggi tenda a semplificarsi: è un fatto positivo perchè sintomo dello sviluppo della lingua.
Cosa ci può dire dell’Accademia della Crusca?
L’Accademia della Crusca nacque alla fine del Cinquecento a Firenze, come istituzione tradizionalista con lo scopo di vigilare sulla purezza della cultura e della lingua italiana. E da allora in tutta Europa si iniziò la costruzione di accademie linguistiche proprio su modello dell’Accademia della Crusca. Negli ultimi trent’ anni l'Accademia si è molto liberalizzata grazie agli studiosi illuminati che l’hanno presieduta, e ad oggi si prefigge vari scopi, tra cui favorire l’utilizzo internazionale dell'italiano per lo scambio di idee, ma soprattutto per l’attività economica nella comunità europea, e offrire un servizio di consulenza linguistica e di monitoraggio, cercando quando possibile di opporsi al dilagare degli anglicismi superflui.
Si ricorda le discussioni dopo l’introduzione di “petaloso”?
“Petaloso” è il perfetto esempio di come ciò che ha un seguito nei media è spesso irrilevante. Non è questo che importa. L'italiano è una lingua viva, produce continuamente parole nuove, e se ci sono parole che servono, entrano nell’uso comune, senza il bisogno di guardiani che dicano cosa si può e cosa non si può fare.
E ciò che non serve viene rimosso, dimenticato. Vi faccio un esempio. Se dico che “sono arrivati molti studenti”, poi posso dire anche che “ne sono arrivati molti.” Ma se dico “qui hanno passeggiato molti turisti”, posso dire “ne hanno passeggiati molti”? Nessuno direbbe mai una frase del genere. Ma effettivamente si può dire, e questa è la prova della ricchezza di regole grammaticali che la lingua italiana, dalla sua nascita e in modo naturale, secondo logica, è riuscita a formare.
Ha in mente qualcosa di particolare per il Dantedì?
In realtà tutto l’anno è ricco di festeggiamenti per Dante. Faccio continuamente conferenze, o letture di canti. Il 22 marzo poi sarà pubblicato un film che descrive la figura di Virgilio nella Divina Commedia, e io ho dato il mio contributo per una parte delle scene, in una breve intervista in Piazza dei Miracoli.
Ho sempre pensato che Dante fosse ossessionato da Beatrice, ma lui la amava veramente?
C’è anche chi si è chiesto se Beatrice sia esistita veramente o sia invece un mito letterario. Sicuramente è esistita, ma è anche probabile che abbia avuto pochi rapporti reali con Dante. Egli racconta di averla vista solo poche volte, a 9 anni e a 18, e in realtà in queste occasioni non reggeva la presenza fisica della ragazza, anzi si metteva a tremare e si sentiva svenire. Il fatto che abbia per lui un ruolo tanto importante significa che probabilmente Dante ha sviluppato veri e propri fenomeni psichici di dipendenza, e che spesso ciò che descrive è frutto di immaginazione, visioni, allucinazioni.
Diverse pubblicazioni a riguardo testimoniano la centralità di Dante Alighieri nei suoi studi, ma da dove nasce questa sua passione?
Di mestiere sono stato professore di storia della lingua italiana, e mi sono accostato a Dante nello studiare il suo pensiero linguistico. Alla sua epoca urgeva capire in quale lingua bisognasse scrivere in poesia, e la risposta non era affatto ovvia, ma lui tenta di trovarla, nel trattato del “De vulgari eloquentia”, con una genialità unica. Di fatto ogni opera che scrisse è un prototipo che prima del suo intervento ancora non esisteva. Dante rientra tra i primi poeti di tutte le letterature di tutte le epoche di tutto il mondo, e ancora oggi interessa ed affascina, oltre che per la sua poesia, anche per il suo personaggio. Non manca la considerazione di Dante nella cultura popolare, e molto significativo nella popolarizzazione di Dante è banalmente anche quello che recita Benigni nell’ambito delle sue letture pubbliche; e lo fa a memoria, con grande maestria e con la grande capacità di coinvolgere il pubblico.
E a proposito di cultura, cosa pensa dell’educazione di oggi in Italia?
In quanto insegnante del primo anno di università, per decenni ho sperimentato il livello degli studenti in uscita dalle superiori, che ad oggi si può essenzialmente dividere in tre categorie: si può dire che un terzo degli studenti sia alfabetizzato normalmente; per un altro terzo gli studenti si possono considerare bravi o anche molto bravi; ma il restante terzo è quello degli studenti che sembra non siano mai stati alfabetizzati. Ed è inaccettabile, in termini di spreco di risorse umane e sociali, che un terzo degli studenti spenda circa 13 anni della propria vita a scuola senza aver concluso niente, niente di concreto e utile per sé. La frontiera di Internet si può considerare una vera e propria miniera d'oro, in quanto si tratta della concreta possibilità di accedere all'informazione, una possibilità come l'umanità non ha mai avuto in tutta la sua storia. Ma nonostante questo dilaga un analfabetismo spaventoso, e la scarsa cultura media si riversa inevitabilmente nei comportamenti sociali e civili e nella capacità di esercizio della cittadinanza.
Il 19 febbraio alle ore 18.30 ha avuto luogo l'ultima intervista riguardante il filone dei Mestieri Creativi organizzato da Biblioteche Modena. Grazie alla sua trasmissione in live streaming su YouTube, decine di studenti hanno potuto seguire virtualmente l'incontro. L’evento ha coinvolto l’organizzatrice della rassegna Francesca Canovi, Giulia Ciarapica, scrittrice che collabora con Il Messaggero e Il Foglio, e Mirko Zilahy, traduttore e scrittore. Infatti, l’intervista si è incentrata su coloro che si occupano delle traduzioni di libri stranieri: i traduttori. L’intervista è stata piena di spunti interessanti, ma soprattutto utilissimi per chiunque voglia intraprendere questa carriera.
Mirko Zilahy ha conseguito un PhD (dottorato) su Giorgio Manganelli, sua grande ispirazione, al Trinity College di Dublino, dove è stato insegnante di lingua e letteratura italiana. Infatti non ha intrapreso fin dall’inizio la strada della traduzione, che invece scopre in seguito. Decide poi di tornare in Italia, dove lavora come redattore e scopre una nuova passione: la traduzione. Ne viene incontro casualmente, grazie a un’amica che gli consiglia di intraprendere questo mestiere data la sua buona conoscenza di inglese e italiano. Da qui, dopo la sua prima traduzione del libro “John The Revelator”, ha poi iniziato a tradurre libri, passione che lo coinvolge pienamente, e ha intrapreso altre due strade: quella dello scrittore e dell’editor.
Mirko Zilahy ha indicato alcune difficoltà riguardanti questa carriera. In primo luogo, ha affermato che si tratta di un mestiere nel quale non importa lo studio accademico o quanto si abbia studiato, siccome si impara nel campo, facendolo. Si tratta di una professione dove devi approcciarti direttamente alla traduzione: solo in questo modo si riesce a migliorare. Col passare del tempo e attraverso la sua professione è riuscito a individuare i due tipi di lettori: il lettore “ingenuo”, ovvero chi legge semplicemente per il gusto di farlo, e il lettore “consapevole”, cioè chi percepisce immediatamente il retroscena, ciò che c’è stato dietro. A quest’ultima categoria fa parte Mirko, che dopo anni di esperienza, alla prima lettura pensa immediatamente al lavoro che si è impiegato per comporre un certo elemento del libro, per esempio.
Parlando in maniera specifica del ruolo di traduttore in Italia, Zilahy ha sottolineato una difficoltà di carattere sistematico: nel nostro Paese, questo lavoro non viene riconosciuto come all’estero, e per questo motivo il mestiere, difficilissimo, diventa frustrante per il traduttore. Oltretutto non viene nemmeno riconosciuto economicamente come in altri Stati, e perciò spesso accade che i traduttori affianchino a questa professione quella dello scrittore di romanzi. Un’altra conseguenza al basso compenso è trovare tutti i libri scritti da traduttori ancora alle prime armi di una certa casa editrice nella stessa “lingua”. Tuttavia, tradurre è un lavoro molto complicato ed impegnativo, dato che si ha la responsabilità enorme, ad esempio parlando di libri classici, di rendere al meglio l’opera originale.
Secondo Mirko, in più, la traduzione sarebbe un “tradimento necessario”, e il mestiere lunghissimo e difficile del traduttore non può in ogni modo escludere l’Io, ovvero la personalità di chi la svolge. Infatti spesso si pensa utopisticamente che la traduzione perfetta e idealistica sia quella “invisibile”, quella dove non si percepisce alcuna differenza tra opera originale e resa in lingua straniera. Naturalmente ciò è impossibile: ognuno possiede un bagaglio culturale diverso, e per questo motivo la comprensione di un libro varia a seconda della persona, in questo caso dei traduttori che si occupano della trascrizione in un’altra lingua. La forma è anche condizionata da altri fattori, ovvero dall’influenza di un lavoro di “squadra” tra team e casa editrice, e il rapporto con l’autore del libro originale è sempre presente. La sua traduzione preferita è stata quella del libro “Mystic River”, di Dennis Lehane, romanzo interessantissimo per il quale però ha dovuto “disimmaginare” le scene dell’adattamento cinematografico, per poter svolgere la sua opera al meglio. Mirko Zilahy ha anche dovuto rileggere alcuni dei libri dell’autore in questione per comprendere pienamente le scelte stilistiche, i campi semantici utilizzati e i termini o tematiche ricorrenti, oltre ovviamente al background e a ciò che ha vissuto. Sebbene spesso non si ha il tempo materiale per farlo date le scadenze stringenti, essenziale sarebbe leggere il libro in questione e prendere appunti su un quadernino, per segnarsi ogni scelta stilistica compiuta dall’autore. Ognuno di questi passaggi è fondamentale per svolgere una traduzione ottimamente, perché permettono di capire dopo una riflessione adeguata il lavoro dello scrittore di partenza e di trasmettere nella tua lingua i medesimi concetti. Certamente è chiaro come talvolta sia complesso rendere il significato di certe parole, in quanto intraducibili. Essendo responsabile del buon rendimento dell’opera originale, il traduttore può andare incontro a una “frustrazione”. Lo stesso Mirko Zilahy si è imbattuto in questa situazione, ben diversa dal “blocco dello scrittore”. Infatti, il traduttore non ha mai a che fare con un foglio bianco , e non deve lottare con la propria fantasia e immaginazione per riempirlo, siccome possiede sempre un testo a cui fare riferimento. La “frustrazione” del traduttore è causata dal non riuscire a trovare un termine che corrisponda a una determinata parola, quasi impossibile da rendere allo stesso modo nella propria traduzione. Di fronte a questi momenti il traduttore può soffermarsi e avere dubbi per mesi o addirittura per anni sulla scelta migliore per la resa.
Altri consigli utili per il lavoro in questione dati da Zilahy sono naturalmente possedere una buona conoscenza della lingua di partenza e di quella in cui devi tradurre. Per approcciarsi al meglio consiglia anche di intraprendere percorsi universitari specifici, presenti in varie città italiane, e conseguire specializzazioni in traduzione, senz’altro validissimi per iniziare ad approcciarsi a questa strada. In più, oltre allo studio scolastico è necessario documentarsi e leggere manuali a riguardo.
Attraverso un lavoro del genere bisogna senza dubbio essere in grado di ricreare la voce e l’atmosfera del libro originale, e si tratta di un’attività tutt’altro che semplice, che mette in gioco completamente il traduttore, diventando una sorta di sfida.
E così si intrecciano magicamente le due strade di scrittura e traduzione, due mestieri che si influenzano a vicenda e che occupano lo stesso spazio di tempo. Esattamente come nella vita di Mirko Zilahy, che inizia a tradurre libri e a svolgere la professione di editor, che poi incontra la passione per la scrittura vera e propria. Le due strade possiedono elementi simili, e tra questi un bisogno comune di tradurre linguaggi: nel caso della scrittura, infatti, si cerca di tradurre segni non verbali in verbali attraverso le parole.
Sono circa le 6 del pomeriggio di un normalissimo giovedì di dicembre quando io e mia mamma ci troviamo in macchina in cerca di un parcheggio. Siamo di fronte al Palazzo dei musei ( dunque in pieno centro ) e non è ancora calato del tutto il sole, quando notiamo una bicicletta nel bel mezzo della strada. Spostiamo lo sguardo a sinistra sul ciglio del marciapiede, ed è proprio in quel momento che assistiamo ad una scena a dir poco terribile.
Ben 5 ragazzi stranieri prendono a calci e pugni un ragazzo ( anch’egli di origine straniera ) completamente solo. Non so esattamente spiegare la sensazione che ho provato in quel momento, posso dire però di essere rimasta scioccata dalla brutalità e dalla cattiveria con cui queste persone avevano accerchiato il ragazzo ferito e continuavano a colpirlo senza fermarsi, nemmeno davanti ai gemiti di dolore.
Passati i primi secondi di shock, mia madre ed io scendiamo dalla macchina e, assieme ad altri passanti, ci avviciniamo gridandogli di smetterla. Due degli aggressori si allontanano e riesco ad individuarne alcune caratteristiche, come i vestiti e il colore dei capelli; gli altri però purtroppo riescono a scappare inseguendo il ragazzo ferito e noi li perdiamo di vista.
Decidiamo allora di chiamare immediatamente le forze dell’ordine, le quali arrivano all’incirca dopo un quarto d’ora.
All’arrivo della polizia chiaramente gli aggressori si erano ormai allontanati, i poliziotti hanno poi proceduto mandando delle pattuglie nei dintorni, ma con scarsi risultati. Però perlomeno uno di quei 2 ragazzi, che si erano allontanati al nostro arrivo, passa nuovamente per di lì e viene portato via per fare delle verifiche.
La nostra esperienza si è conclusa con un verbale alla polizia, ma dalla conversazione con le forze dell’ordine è emerso un dato che mi ha spiazzata: di queste aggressioni ne capitano all'incirca 10 OGNI singolo giorno.
Ció che ho provato é stata sicuramente tanta pena sia per il ragazzo ferito che invano tentava di difendersi, ma anche per quel branco di ragazzini ( saranno stati appena maggiorenni ) insensibili e privi di ogni scrupolo, che se la prendevano con qualcuno incapace di difendersi da solo.
Quanto spesso ci capita di accendere la televisione o di leggere i giornali ed essere bombardati dalle notizie di baby gang che commettono atti spregevoli, dalle risse a quelli ancora più gravi che sfociano in veri e propri atti di violenza e crimini perseguibili?
A me personalmente moltissime volte, bensì assistere ad un episodio del genere in prima persona è stato veramente tristissimo. Di fronte a queste scene di violenza il consiglio che mi sento di dare è quello di non restare indifferenti, bensì di agire ( chiaramente in sicurezza ) per quanto ciò alla fine possa avere dei risultati o meno.
É ormai chiaro dunque come la sicurezza stradale stia diventando un problema emergente nella nostra città. Per affrontarlo è necessaria la collaborazione tra i consigli di Istituto di Modena, che a dicembre si sono riuniti per discutere del tema nelle scuole superiori e primarie; e fondamentale è anche l’impegno del singolo cittadino, che deve imparare a prendere misure di prevenzione per tutelare sé stesso e gli altri.
MARIA AGNESE NERI 5B - 16 MARZO 2025
9 Settembre 2024: Mario Draghi, economista, dirigente pubblico, banchiere ed ex Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana, consegna alla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen il rapporto “The Future of European Competitiveness".
Questo rapporto, molto critico e, allo stesso tempo, molto criticato, ha rafforzato o, addirittura, risollevato l’interesse per alcune tematiche di ambito europeo come l’indipendenza economica, la lotta al cambiamento climatico e la difesa comune.
Il rapporto Draghi, di ben 412 pagine scritte interamente in inglese, non lascia spazio a fraintendimenti: l’Unione europea non può più continuare sulla stessa linea d’onda; è necessario agire. Il piano d’azione è suddiviso in tre parti: INNOVAZIONE, DECARBONIZZAZIONE e SICUREZZA.
Nella prima parte del Rapporto si punta a investire e rafforzare un’innovazione che, seppur non assente sul suolo europeo, fa fatica a ingranare, soprattutto dal punto di vista tecnologico, a causa delle eccessive barriere geografiche e burocratiche che cambiano da Stato a Stato, costringendo così migliaia di giovani a spostare la propria startup all’estero, soprattutto negli Stati Uniti d’America. Nel rapporto si critica inoltre l’AI Act, giudicato insufficiente e troppo frammentato per poter garantire veramente all’Ue la possibilità di concorrere con USA e Cina, mostrando anche il desiderio di superarli sia sul piano educativo che su quello delle opportunità lavorative.
La seconda parte è invece votata alla decarbonizzazione al fine di creare un’industria più sostenibile e differenziata nelle fonti rinnovabili di modo da garantire una maggiore autosufficienza energetica europea, promuovendo attivamente l’attuazione del Green Deal poiché “questa è la via”, proponendo in aggiunta fondi per attuarlo ed estenderlo più rapidamente, affrontando così la sempre più presente e subdola crisi climatica.
Infine nella terza e ultima parte l’ex Presidente del Consiglio punta a promuovere una difesa comune poiché, nonostante nel complesso l’Unione europea rappresenti il secondo investitore mondiale in ambito militare, l’industria bellica risulta eccessivamente frammentata, esponendo così l’Ue sia a minacce esterne come la Russia di Putin, sia a enormi e spropositate dipendenze in chiave difensiva come nel caso degli Stati Uniti d’America.
Il contributo di Mario Draghi risulta pertanto oggi più che mai fondamentale in un’Europa provata dalla guerra in Ucraina e in Medio Oriente, dal calo demografico, dalla fuga dei cervelli, dalla rivalità tra Stati, dai recenti dazi americani e dalla ormai travolgente potenza economica cinese che non si fa scrupoli a mandare in totale crisi il settore automobilistico europeo, mettendo così a rischio milioni di posti di lavoro.
In un panorama televisivo ormai saturo di proposte teen, Adolescence è riuscita in qualcosa di raro: imporsi con forza e originalità, diventando nel giro di poche settimane un vero e proprio fenomeno culturale. Non si tratta soltanto di un successo di numeri, che pure sono impressionanti, con milioni di visualizzazioni in streaming e una pioggia di commenti sui social, ma soprattutto di un impatto profondo sul pubblico giovane (e non solo), che nella serie ha trovato un riflesso autentico delle proprie fragilità, delle proprie lotte interiori, e delle complessità dell’età più contraddittoria di tutte.
La trama ruota attorno a un gruppo di adolescenti che frequentano lo stesso liceo e che si confrontano con esperienze di crescita, traumi familiari, identità sessuale, amicizie tossiche e sogni spesso in conflitto con la realtà. Ma ciò che distingue Adolescence da tante altre narrazioni simili è la capacità di raccontare questi temi con una scrittura sincera, priva di moralismi e, soprattutto, senza mai perdere di vista la dimensione emotiva dei personaggi.
In Adolescence gli adulti parlano, ma raramente comunicano davvero. E questa distanza diventa uno dei drammi silenziosi che attraversa tutta la narrazione: il senso di essere incompresi, giudicati o semplicemente ignorati.
Questa frattura generazionale non viene però trattata con ostilità, ma con uno sguardo empatico da entrambe le parti. Se è vero che gli adulti spesso faticano a capire, è anche vero che sono a loro volta vittime di una società che cambia troppo in fretta, incapace di fornire strumenti adeguati per dialogare con i figli. Adolescence non punta il dito: invita a un confronto. È forse questo il suo merito più grande.
Altri punti di forza della serie sono il modo in cui affronta la salute mentale, l’identità, l’amicizia e il rapporto con i social network. Non sono solo “temi” messi in scena, ma esperienze vissute dai personaggi in modo autentico e riconoscibile. Il filtro dei social, con la sua pressione a mostrarsi sempre vincenti e felici, si intreccia con l’insicurezza e il bisogno di appartenenza, raccontando con lucidità la complessità dell’essere giovani oggi.
Molti critici hanno lodato la regia e la fotografia della serie, che alterna toni intimi a momenti visivamente potenti, ed è perfettamente aderente al mondo interiore dei protagonisti. Ma, soprattutto, a colpire è la recitazione: il cast, composto in gran parte da volti emergenti, è straordinariamente credibile, e contribuisce a rendere ogni episodio un’esperienza emotiva intensa.
Il successo di Adolescence è anche un segnale di qualcosa di più ampio: un bisogno, da parte del pubblico, di autenticità. Non più racconti edulcorati o costruiti su misura per rassicurare gli adulti, ma storie che parlano con onestà delle incertezze, delle paure e delle contraddizioni che definiscono l’adolescenza contemporanea. E, forse, proprio per questo, la serie ha trovato un pubblico così vasto: perché non cerca di insegnare nulla, ma di capire. E in questo, riesce meglio di molte altre.