Alcuni mesi fa, ho scritto, insieme ai miei compagni, una lettera in risposta a Riccardo Vaccari, il quale commentava con dispiacere la situazione in cui si trova la scuola: lezioni che “perdono sapore” e le notti insonni passate a studiare per ottenere il bramato voto verde. Ebbene sì, la storia si ripete: la maratona dei voti continua.
Con la notizia dell’apertura delle scuole superiori al 50%, il calendario scolastico si è nuovamente riempito di verifiche e interrogazioni nei pochi giorni di presenza. Per noi studenti il rientro a scuola è diventato ancora una volta fonte di stress e di ansia.
Nelle ultime settimane, poiché ho scritto un articolo riguardante gli hikikomori, sono stata invitata come redattrice del giornalino ad un corso d’aggiornamento per docenti, riguardante lo sviluppo di un diverso rapporto tra studenti e insegnanti in periodo di didattica paradossale.
L’esperto sociologo Stefano Laffi, che ha condotto l’incontro, ha illustrato ai presenti la fotografia dei giovani d’oggi: la maturità non è più basata sull’età anagrafica; c’è un’incertezza personale dovuta alla perdita del proprio controllo, a causa dei mezzi tecnologici, come la geolocalizzazione e il registro elettronico; è aumentata la sensazione di smarrimento e di ansia provocata dalla pandemia.
Ha proposto, quindi, diversi spunti per favorire il coinvolgimento, la partecipazione e l’interesse di uno studente nel fare un compito, che esso sia formativo o con valutazione: In primis, i professori dovrebbero focalizzarsi sulle capacità personali degli studenti, aiutandoli a far emergere le loro vocazioni per prepararli a ogni mutazione del mondo. Affinché si ottengano migliori risultati, basterebbe far lavorare la classe con l’organizzazione di una redazione giornalistica, dividendo gli studenti sulla base di ciò che a loro riesce meglio. Un’alternativa alla classica interrogazione e al metodo della “redazione”, potrebbe essere il cosiddetto “colloquio colto”, ovvero tenere una conversazione insegnante-classe, in cui si intrecciano le conoscenze personali, le conoscenze acquisite con lo studio, e il dibattito. Il “colloquio colto” è anche il miglior modo per mettere alla prova uno studente, richiedendogli indirettamente collegamenti tra argomenti e materie diverse. Però per poter far sì che questi spunti siano validi ed efficienti, anche gli studenti devono approcciarsi ad essi in maniera propositiva.
La scuola, quindi, non deve essere fonte di stress e di ansia come lo è oggi, ma un luogo error-friendly, che fa sentire a proprio agio lo studente anche nell’errore. In fondo, come dice l’esperto Laffi, il sapere si costruisce ed è più importante studiare che aver studiato perché il mondo è in continuo cambiamento e a noi tocca stare al passo.
Durante gli ultimi mesi di questo confuso e travagliato anno, quasi tutti gli studenti hanno sofferto la condanna di isolarsi dalla realtà: non bastavano le restrizioni, il coprifuoco o i comuni chiusi ad allontanarci dal contatto umano e dai nostri passatempi. Certo, per la salute comune e dei nostri cari è maturo rinunciare ad amici, corsi pomeridiani, attività sportive e sociali. Ma quando si tratta di rinunciare ad una boccata d’aria, al sonno o al semplice riposo per riuscire a stare al passo con gli impegni che la scuola fa piovere sulla nostra testa come chicchi di grandine, probabilmente qualcosa nel sistema non sta funzionando come dovrebbe.
Soprattutto se il continuo studio e l’impegno non producono alcun frutto, non tanto in termini di conoscenze, ma piuttosto in termini di valutazioni, ciò che alla fine sembra conti davvero tra le mura scolastiche. La mancanza di risultati validi, sempre più frequente in questo periodo, si può ricondurre in altrettanto frequenti casi a un estratto del De Principatibus di Machiavelli: “E li uomini in universali iudicano più alli occhi che alle mani. (...) ognuno vede quello che tu pari, pochi sentono quello che tu se’.” Nonostante tratti della politica come materia distaccata da qualsiasi altro ambito umano, il filosofo e diplomatico fiorentino riconosce nell’umanità in generale la tendenza a lasciarsi condizionare più dalle apparenze e da ciò che sembra accada, piuttosto che dalla realtà fattuale e da ciò che veramente accade. Questo concetto, se valido per tutti uomini, non esclude di certo i professori, che del giudizio e della valutazione dei risultati ne hanno fatto un mestiere vero e proprio. Diligente o improduttivo, partecipativo o distratto, troppo esuberante o semplicemente timido; qualunque sia la realtà, l’immagine dello studente viene plasmata sulla base delle paure, delle preferenze, dei pensieri più nascosti e profondi del professore, e quindi inevitabilmente sulla base dei suoi pregiudizi. Pregiudizi che si fanno avanti spesso con la diffidenza nei confronti di chi, nonostante le difficoltà, mette tutte le sue forze e il suo tempo per raggiungere l’obiettivo, ma che si fanno spesso avanti anche con l’eccessiva fiducia nei confronti di chi, per citare Shakespeare, ha l’aspetto del fiore innocente ma è in realtà il serpente sotto di esso. Che senso ha impegnarsi, a che serve comportarsi onestamente, quando il rendimento scolastico dipende da un’idea riduttiva, imprecisa o scorretta? L’inganno o la semplice perdita di interesse diventano inevitabilmente le vie più semplici per risparmiare tempo su attività di cui si è già certi di non poter raccogliere frutti meritevoli, e per essere al livello degli altri che, magari per impegno, ma non di rado per prime impressioni inesatte, approssimate o accresciute, sono supportati indiscriminatamente.
Questi comportamenti, esercitati nello spazio circoscritto della classe, riversano inevitabilmente nella vita quotidiana e nelle relazioni con gli altri. Allora non meravigliamoci se durante la #ripartenza di settembre 2020, quando le corriere e gli autobus erano stracolmi di persone, nessuno si azzardava ad aspettare fuori: ognuno credeva di sfigurare e di perdere tempo, perché tutti pensavano a tornare a casa il prima possibile. Non meravigliamoci di questo, se abbiamo professori che fanno a gara tra loro nel piazzare interrogazioni e verifiche; presi singolarmente lo riconoscono tutti, che il periodo è difficile e che bisogna venirsi incontro, ma nella logica del gruppo, chi di loro fa un passo indietro, chi concede veramente quell’umanità che tanto va difendendo, alla fine perde una valutazione e non ci guadagna niente. Se la scuola è fatta per plasmare e istruire i nuovi adulti, e se gli insegnamenti nella scuola vengono impartiti dalle parole e dai comportamenti di persone che ci viene detto di ascoltare ed emulare, non meravigliamoci di ciò che fanno le persone attorno a noi, non meravigliamoci della nostra generazione, non meravigliamoci se l'intera società è quella che è. Perché la scuola favorisce inconsciamente ed utilizza tutti quei comportamenti scorretti e antisociali che nel frattempo si professa di combattere e di insegnare a combattere: l’impegno e il duro lavoro sono una perdita di tempo, la disonestà e i percorsi brevi garantiscono il successo, ogni espressione dell’individuo corrisponde ad una valutazione, la prima impressione è l’elemento fondamentale su cui si gioca il proprio destino.
Mercoledì 21 Ottobre. Un normalissimo genitore di un alunno del nostro liceo mentre torna a casa dal lavoro, avverte un po’ di febbre, una leggera tosse e una debolezza fisica insolita. Appena arrivato in condominio avverte, dei sintomi, gli altri i componenti del nucleo familiare, che si mettono prontamente in auto-isolamento. Impossibile, pur essendo stato il genitore sempre ligio alle regole, non pensare di aver contratto Covid-19. Il giorno dopo, avvertendo ancora i segnali tipici del virus, si reca a fare il tampone e dopo tre giorni e mezzo arriva il risultato: positivo.
Si potrebbe discutere ampiamente sulle tempistiche, troppo lunghe, per ricevere il risultato. Aspettare ottanta ore con l’ansia di sapere se si è infetti o meno è inaccettabile. Ma è una critica, questa, che lasciamo ad altri. E’ importante però, applicare il cosiddetto “contact tracing”, il tracciamento dei contatti. In un paese civile, infatti, in particolare i congiunti ma poi anche i legami stretti del positivo, dovrebbero avere la precedenza per fare i tamponi, al fine di evitare ogni tipo di diffusione del virus. A Modena (e in Italia) no.
Succede infatti che la ASL, il 25 Ottobre, avverte il genitore della positività e il restante nucleo familiare, turbato e dispiaciuto per ovvie ragioni, non viene minimamente considerato. Teoricamente potrebbero uscire, condurre una vita normale, nonostante lo stretto, strettissimo legame con un positivo. In pratica però, il buon senso (che va elogiato) dei personaggi in questione li spinge ad autoisolarsi e a cercare di contattare, in modo invano, la ASL per sottoporsi al tampone. Per nove giorni l’Azienda Sanitaria Locale non si fa viva, non risponde alle mail. Fino a quando, il giorno 3 Novembre, dopo una chiamata vivace tra la famiglia e il Dipartimento Locale, si fissa la data per il test: Mercoledì 4 Novembre. Meglio tardi che mai.
Oltre a tutto ciò, già abbastanza scandaloso in sé, c’è il tipico metodo “all’italiana”: sei figlio di qualcuno che conta? Perfetto, ti facciamo subito il tampone e il risultato ti arriva dopo massimo 24 ore. Roba da film di fantascienza trasportata nella nostra realtà. Lo studente in questione, infatti, dopo aver scoperto la positività del genitore, ha prontamente informato classe, corpo docente e direzione scolastica. E succede che il giorno dopo, qualche compagno, scrive un messaggio nella chat di classe dove dice di aver “fatto il tampone e di essere risultato negativo”. Tampone che, approfondendo la situazione, è stato fatto “dopo la scoperta della positività del padre del compagno di classe”. E risultato che è arrivato prontamente, a loro dire, “perchè sono veloci a processarli”. I fatti, però, dicono il contrario. Spero che, in una sanità quasi totalmente pubblica, non si guardi al portafoglio e all’importanza della persona, ma che regni una democrazia che metta davanti chi ha più bisogno. Vi (e mi) lascio il beneficio del dubbio.
Nel nostro liceo si respira, ormai da una settimana, un’aria piuttosto tesa, sia per la situazione Covid-19 ma anche e soprattutto per la campagna elettorale scolastica. Come da consuetudine gli studenti del Muratori-San Carlo e, più in generale, tutti quelli di Modena e provincia sono chiamati alle urne per rinnovare la rappresentanza d’istituto. Nella nostra scuola a sfidarsi a colpi di proposte sono tre liste che portano in totale sei candidati, tra cui solo quattro verranno eletti.
I social sono il campo di battaglia preferito, dal 2015 a questa parte, per convincere l’elettorato indeciso a votare per l’una o per l’altra lista. Una tradizione a cui però siamo tutti legati e che, nonostante il grosso problema pandemico, si rinnova di anno in anno, è quella di appendere volantini e manifesti in giro per le bacheche delle tre sedi, contando anche il piccolo spazio Barozzi. Una tradizione troppo spesso osteggiata da quelli che, furbi quanto il porcellino che costruisce la casa in paglia, li strappano appena attaccati.
Ad alcuni sembrerà insignificante, altri si metteranno a ridere, ma vi invito a riflettere. Penalmente strappare volantini o manifesti, anche in ambiente scolastico, è considerato reato. Come prevede infatti l’articolo 8 della legge n. 212 risalente all’anno 1956 “lo strappare manifesti elettorali è un illecito e comporta una multa pecuniaria da 103 a 1032 euro”. Oltre a tutto ciò, a chi pensa di vincere o far vincere se stesso o la lista che sostiene staccando e buttando un volantino o un manifesto della “fazione” opposta vorrei ricordare che fino a 75 anni fa eravamo sotto la guida un regime che ripudiava la libertà di pensiero e di parola : vogliamo tornare indietro?
Oggi non pensiamo comunque di essere più evoluti. In paesi come Cina e Corea del Nord, ma anche nella più vicina Bielorussia, le limitazioni sono ancora tante, troppe. Dunque il pericolo di perdere quelli che noi consideriamo i “diritti fondamentali” non è così remoto. Storicamente e geograficamente.
Mi rivolgo allora con molta speranza a tutti gli studenti, anche a quei fenomeni che di anno in anno tolgono i volantini delle liste avversarie: dobbiamo essere i primi a tutelare e salvaguardare i diritti che i nostri bisnonni e nonni hanno ottenuto, molti anche perdendo la vita, 75 anni fa. Perchè, ricordiamoci, tutto ciò che abbiamo ci sembra scontato. Ma non lo è.