Pillole filosofiche

Dialogo filosofico

Ludovica Villa, 3A | 5 febbraio 2024

Simposio nel multiverso

- un banchetto in un mondo dove il tempo non è una variabile determinante. 

In casa del filosofo Plutarco avviene una discussione di natura filosofica sulle 

abitudini e i vizi dell’uomo - 


Questa storia si sviluppa in una dimensione parallela. Proprio così, in un multiverso, come quello immaginato prima dagli atomisti greci, poi da Edgar Allan Poe, dove la struttura quadridimensionale dello spaziotempo è solo un vago ricordo. Ecco,in un lontano giorno di questo universo parallelo si incamminava nelle strade della polis di Atene il biografo e filosofo Plutarco. Quest’ultimo, pur non essendo ateniese per nascita, bensì Beoto, era degno di potersi definire tale. Egli stava avviando verso il modesto palazzo che poteva chiamare casa, per tornare dall'amata consorte Timossena, donna di buona famiglia proveniente dalla cheronea. 

“presto moglie, è tempo di darsi da fare, manca poco all’arrivo degli ospiti!” disse il ‘grande’ alla moglie non appena ebbe messo piede in casa. Nonostante il richiamo la donna non si curò più di tanto di lui, per non distogliere l’attenzione dalle sue preparazioni in cucina, allietata dalla compagnia dei servi. E fu così che tra una biografia e qualche prodezza culinaria si fece l’ora del simposio. I due coniugi sentirono una voce grave e astiosa: “ sono arrivato!”. Subito Timossena abbandonò la cucina precipitandosi ad accogliere lo xenos, pur essendo leggermente intimorita da questa voce così penetrante. La precedette il marito: “finalmente, ti aspettavo con ansia, benvenuto Eraclito”. Senza degnare i padroni di grandi saluti il filosofo Oscuro si accomodò nell’andron dove era regola consumare il banchetto. Poco dopo il suo arrivo, giunsero alla reggia Pitagora, con l’allievo Ippaso, e Porfirio, in compagnia di Giamblico di calcide. Accolti dai servi, raggiunsero Eraclito tacito e presero posto nei vari klismos della sala. “Avevo fatto chiamare anche Parmenide, ma probabilmente si sarà perso per strada all'ennesima litigata con Gorgia su questo essere ubiquo, che forse è o forse non è; in ogni caso prendete posto, lo accoglieremo quando arriverà ”. Detto ciò congedò Timossena, la quale si ritirò in cucina per far concludere ai servi l’allestimento del banchetto con i viveri.

Il primo a parlare fu Plutarco: “ecco, siamo proprio il numero perfetto per la partecipazione al banchetto; In 6, appena più del numero delle grazie e poco meno di quello delle muse”. Fu Pitagora il primo a esprimere il suo dissenso: “ Come puoi dire una tale cosa? Il 6 è un numero pari che per definizione porta instabilità, conflitto e squilibrio. Come se non bastasse, come puoi non renderti conto che il pari rappresenta la contrapposizione di una serie di forze che tendono a prevalere a momenti alterni le une sulle altre, ma che per parità delle forze non riescono a dominare, lasciando così spazio all’ illimitato?". 

“Come puoi dire che la positività è data dal limite?” 

“Ma come puoi affermare il contrario?! L’infinito, a parer mio un’entità neanche degna di nomina, è difettoso in quanto richiede un equilibrio che non riesce a darsi; dunque, grazie ai fondamenti dell’aritmogeometria è presto detto che solo ciò che è rappresentabile da una quantità dispari può essere associato al finito,quindi al positivo”. 

“sono giunto anch'io, vi porgo le mie più sincere scuse per il ritardo, ma ho incontrato per strada un fatto tizio intento a predicare aberrazioni contro il logos; rendetevi conto, andava dicendo che l’essere non è, quindi non ho potuto farne a meno di intervenire”. 

“Per Polluce, finalmente sei arrivato Parmenide, a quanto pare la gravità dell’essere in 6 in una stanza è quasi paragonabile a quella del parlare del non essere ; pare che la soluzione a questi problemi sia arrivata prima del previsto. Vieni, accomodati”, dice Plutarco ,“certo che, nonostante le diatribe con gorgia, un bagno era doveroso: pensa cosa direbbe Aristotele se fosse qua, nel vederti così sudato e impolverato”. Il filosofo dell’ontologia per eccellenza non osò controbattere e si sedette sul klimè leggermente arrossato. Non appena i servi portarono cibi e bevande il padrone di casa si assentò per invitare la moglie ad unirsi a loro, poichè nel simposio nel multiverso la presenza delle donne era fondamentale, non da evitare. 

Dopo aver effettuato libagioni a Zeus e agli dei dell’Olimpo ed aver cantato un inno ad Apollo, il simposiarca diede inizio alla cena, offrendo la bevanda alcolica dal cratere come di tradizione. Non appena gli invitati si rivolsero al tavolo dei viveri, si generò lo stupore di qualcuno in particolare : “ ma che banchetto è senza carne da consumare?” Chiese Parmenide, particolarmente contrariato. Subito intervenne Pitagora: “ Parmenide, come fai a domandare questa cosa in mia presenza? Come puoi desiderare un cibo così deleterio per la tua anima?”, il matematico iniziò a

spiegare : “fintanto che l’uomo continuerà a distruggere senza sosta tutte le forme di vita, che egli considera inferiori, non saprà mai cos'è la salute e non troverà mai la vera pace. Gli uomini continueranno ad ammazzarsi fra loro fintanto che massacreranno gli animali. Colui che semina l'uccisione e il dolore non può raccogliere la gioia e l'amore.” Ecco che anche Porfirio, molto toccato dall’argomento, non potè non dire la sua: “ E’ l’ingordigia che fa apparire gli animali privi di ragionamento agli occhi degli uomini, che si dimostrano possedere una sensibilità ben inferiore rispetto a quella degli animali stessi”. Sentendo ciò il filosofo dell’ontologia iniziò col mettere alla prova le argomentazioni del matematico e di Porfirio : “ state quindi affermando che la vita di un uomo vale tanto quanto quella di un essere del bestiame?” 

“Come in passato non era lecito agli uomini toccare gli animali, allo stesso modo anche oggi l'atto di ucciderli per trarne nutrimento si deve ritenere un'infrazione a tale legge. Cosa ti fa pensare di avere diritto di scelta sulla vita di un essere non inferiore a te? Infatti, se non altro, a comportarci così otterremmo il grande risultato di porre tregua alla violenza che ci infliggiamo reciprocamente. È chiaro infatti che chi ha la sensibilità di declinare la violenza assassina contro i viventi di altre specie, avrà anche l'intelligenza di non fare del male a quelli della sua stessa specie.” 

Aggiunse inoltre Pitagora: “come dice Porfirio, è necessario limitare il ciclo della violenza. Tutto ciò che l’uomo infligge agli animali ricade nuovamente su di lui . Chi taglia con un coltello la gola di un bue e rimane sordo alle grida di paura, chi è in grado di macellare a sangue freddo un capretto che grida e mangia l’uccello al quale egli stesso ha dato da mangiare, ti chiedo , quanto è ancora lontano dal compiere un crimine ?” 

Allora Parmenide controbattè : “ state forse dicendo che gli dei non hanno creato il bestiame affinché gli uomini ne usufruiscano a causa di una propria predisposizione fisica?” 

“Vedi Parmenide, se sei convinto di essere naturalmente predisposto a mangiar carne, prova innanzitutto a uccidere tu stesso l’animale che vuoi mangiare. Proprio così, ammazzalo tu di persona, con le tue mani, senza ricorrere a un coltello o a un bastone o a una scure. Fa’ come gli orsi, i lupi e i leoni, che ammazzano da sé quando mangiano”, disse Plutarco: “ Così , vengono chiamati selvaggi i serpenti, le

pantere e i leoni, ma voi stessi uccidete con ferocia non cedendo ad essi in niente quanti a crudeltà: per essi l’animale ucciso è nutrimento, per te, come per tutti noi, è soltanto un manicaretto! Ecco perche mai e poi mai vedrai della carne in un mio banchetto!” 

“Eppure, non capisco perche ti stiano tanto a cuore questi animali così pericolosi per l’uomo?” 

“ Non mangiamo certo leoni e lupi per difenderci; anzi, questi li lasciamo in pace, e invece catturiamo e uccidiamo le creature miti e indifese, prive di pungiglioni o denti che potrebbero ferirci; animali che, per Zeus, la natura sembra aver creato al solo scopo dimostrare la loro grazia e bellezza. E come se non bastasse, aspetti che il tuo cibo sia morto, e ti vergogni di assaporare la carne se è ancora dotata di vita, perché continui contro natura a mangiare essere animati?” 

Ancora non soddisfatto, Parmenide continuò: “ Ma senza questo elemento fondamentale nella nostra alimentazione, come potete pensare di alimentare la forza che vi fa alzare e vivere la vostra vita tutti giorni ?” 

Allora intervenne Pitagora: “scegli piuttosto di essere forte nell’anima che forte nel corpo, che è quasi paragonabile a un carcere. Ciò detto, amici miei, evitate di corrompere il vostro corpo con cibi impuri; ci sono campi di frumento, mele così abbondanti da piegare i rami degli alberi, uva che riempie le vigne, erbe gustose e verdure da cuocere; la terra offre una enorme quantità di ricchezze, di alimenti puri, che non provocano spargimenti di sangue, né morte, né impurità dell’anima”. 

Ecco che, tutto d’un tratto si sentì la voce oscura pronunciare queste parole: “ l’uomo è un essere in continuo : “per quanto un uomo cerchi di indagare la propria interiorità , ovvero l’anima, è impossibile conoscerla e spiegarla , poiché la sua essenza è così profonda da essere pressoché infinita. L’anima è infatti un essere sconfinato in continuo mutamento e cambiamento , impossibile da circoscrivere”. 

“Oh Eraclito, finalmente mi appoggi”, disse Pitagora, “l’anima è immortale e trasmigra in altre specie di esseri viventi. Ciò che una volta è esistito ritorna , nulla è nuovo in un senso assoluto e tutti gli esseri devono essere considerati della stessa natura”.

Allora parlò timidamente Ippaso, allievo poco abituato a usufruire della parola: “Il mio maestro ha ragione, e mi ha insegnato infatti che l’anima non muore mai, e dopo che il soffio di vita abbandona un corpo, quella trasmigrerà in un altro corpo. Pertanto è definibile come entità indipendente dal corpo, gode di immortalità, ed è destinata a reincarnarsi finché non si sarà purificata del tutto”. 

Ecco che il filosofo del divenire interviene nuovamente : “ difficile è la lotta contro il desiderio, poiché ciò che esso vuole lo compera a prezzo dell anima”. “Ma cosa vai dicendo, possibile che parli senza mai spiegarti ?” domandò Parmenide, già predisposto di natura ad andare contro ogni cosa affermata da Eraclito. 

Porfirio, tentando di attenuare la tensione, cominciò a dire: “A mio avviso quello che dice allude ai nostri desideri, spesso mirati alla soddisfazione del proprio corpo o del proprio ego. L’uomo ha una insaziabile voglia di piacere, e lo cerca invano al di fuori di sé, senza capire che risiede nella nostra anima” 

“Insomma, dobbiamo smetterla di cercare affannosamente la soddisfazione dei nostri piaceri e l’adempimento dei nostri desideri, poiché tutto ciò va a danni della nostra anima, dotata di voce flebile ma potente” 

“Pitagora, non potrei essere più d’accordo. Anima e corpo sono i due attributi dell’essere umano, che pur vivendo congiunti e separati allo stesso tempo, necessitano di essere tutelati e preservati. Perciò vi parlo sperando di raggiungere i vostri cuori, le vostre menti, le vostre anime: non andate cercando invano ciò che sta in voi stessi, e non fate sì che abitudini malsane vi ostacolino nel cammino di purificazione dell’anima. Quindi, continuiamo a meravigliarci della realtà in ogni suo aspetto, cercando dove è opportuno”, e così dicendo Plutarco alzò il calice per un ultimo brindisi: “ la filosofia è la medicina dell’anima, perché solo lei è in grado di far comprendere ciò che è bene e ciò che è male”. 

Pronunciando queste parole, calò il silenzio nella stanza. Venne rotto dal suono della lira e dalla piacevole voce di Timossena, intenta ad allietare gli animi dei filosofi.