Mogli, figlie, madri, amanti, amiche, redattrici, taverniere, commissarie.
Queste sono le protagoniste delle storie che hanno trovato voce in “La Rinnegata”, “Figlia delle Cenere” e “Il quaderno delle parole perdute”. Storie di donne. E di violenza.
Non vi parlerò della trama, per quella ringraziamo la biblioteca scolastica che ci ha gentilmente fornito le copie di ogni libro così che possiate consultarle a vostro piacimento.
Io voglio parlavi di quella violenza che ho citato poco fa.
Non solo della violenza fisica, quella delle percosse che lasciano il segno per giorni, o degli stupri che portano anche a parti indesiderati. Io oggi voglio parlarvi anche, e soprattutto, di violenza psicologica. Quella che subisce Teresa Battaglia quando, dopo una litigata, si sente dire che è stata colpa sua se il marito l’ha colpita. O quella che subisce Essymay, quando non può vedere sua figlia crescere perché nata da una relazione fuori dal matrimonio. E infine quella che, uscendo dai libri e parlando di realtà, subiamo ogni giorno perché “sei sicura di uscire vestita così?” o perché “chissà quanti clienti ora che ci sei tu alla cassa!”.
Io oggi voglio parlarvi di tutte quelle donne che sono state rinnegate perché hanno osato scegliere con la loro testa ciò che ritenevano giusto per loro. Come Teresa Murru, che ha scelto di non risposarsi e di continuare a dirigere la taverna da sola lasciando così, agli occhi di tutti, che i figli si arrangiassero per conto loro. O come quelle ragazze che nella loro vita scelgono di non cercare il successo o la carriera, ma che aspirano ad avere una famiglia di cui prendersi cura. Perché questa è l’illusione di libertà a cui ci hanno ridotte: quella per cui, per dimostrare che abbiamo valore, dobbiamo diventare donne di successo – commissarie, come Teresa Battaglia – e, se invece desideriamo “semplicemente” la vita familiare come mogli, madri, o anche insegnanti o parrucchiere, finiamo con l’essere etichettate come il “sesso debole”.
Una libertà ridotta in cenere.
Perciò, tocca a noi, come Essymay, ritrovare la parola libertà, e, una volta trovata, riscoprirla. Ci stiamo illudendo che la nostra libertà sia solo quella di andare contro tutti quei dettami conservatori, riducendoci così a seguire i nuovi diktat, quelli dell’odierna società, passando da una schiavitù all’altra. Per fare questo, per riscoprire la “libertà”, dobbiamo riscoprire anche il “rispetto”: che sia quello verso gli altri, quando osano scegliere, e verso noi stesse, quando dobbiamo scegliere se andare contro i conformismi e salvare noi stesse, o contro noi stesse per adeguarci ai conformismi.
Non ultimo, in questo giorno parliamo anche di speranza. La speranza che tra quelle parole perdute, ben presto, compaia anche “parità di genere”: che non ci sia più bisogno di menzionarla, che diventi parte del quotidiano, uno stile naturale, per cui non si dovrà più combattere. Una parola da cancellare.
- Annagiulia Muraro, 4CL