Fossoli: la condanna a morte di milioni di Ebrei.

Bruno De Benedetti, medico, la sua vita raccontata da 159 lettere, di cui 10 scritte dalla moglie.

di Chiara Marocchi illustrazione di Riccardo Mancini

Dedicato A Sami Modiano; da sempre un nostro gradito ospite!

Che cosa passa nella mente di un detenuto? Lo si legge nelle lettere di Bruno De Benedetti, catturato nel 1943 e tenuto prigioniero fino alla chiusura del campo di deportazione nel marzo del 1944; la storia di Bruno De Benedetti è raccontata da Filippo Biolè, nipote del medico De Benedetti, che, per espandere verità e conoscenza, insieme al comune di Fossoli, il 26 gennaio, il “Giorno della memoria”, ha parlato in videoconferenza alle scuole secondarie.

Noi della 2A abbiamo avuto la possibilità di partecipare all’incontro e vi raccontiamo cosa abbiamo ascoltato, con la commozione di noi studenti e dei nostri professori e, cogliamo l'occasione per ringraziare l'avvocato Biolè che ci ha concesso l'opportunità di avvicinarci a tale dolorosa tematica. Una storia che, nonostante i vari decenni passati dall'accaduto, ci fa emozionare ancora oggi. Le lettere ancora chiuse e mai aperte dal medico deportato erano conservate dal comune di Fossoli ora consegnate al nipote, l'avvocato Biolè che, grazie a un'amica, le sta raccogliendo in un libro che speriamo sia al più presto disponibile. Ogni lettera delle 149 corrisponde a un giorno di deportazione. In particolare, ricordiamo quella del 22 febbraio 1944, nella quale Bruno racconta la deportazione dei parenti ad Auschwitz. Bruno rappresenta un uomo privato della libertà di espressione e di ogni altra forma di libertà e può essere preso come esempio di sofferenza e annullamento della personalità in relazione al dramma della sanguinosa Seconda guerra mondiale. Molti storici stanno analizzando e riflettendo sulle lettere che venivano imbucate clandestinamente tramite una rete di parenti che si occupava di raccattarle e distribuirle ai rispettivi destinatari. Ora è grazie a loro che chiunque abbia la possibilità di ascoltare questa storia riesca ad emozionarsi e a riflettere sul perché in una società così inflessibile di allora, ci si sia potuto basare su credenze tanto razziste e ingiustificate. Ancora oggi, tuttavia, ci sono discriminazioni che partono dall'indifferenza di coloro che guardano, ma rimangono in silenzio, lasciando che tutto passi senza protestare. Un modo per evitare pericolose discriminazioni, è dire 'non è normale che sia normale' e, sicuramente, è educare le nuove generazioni affinché non seguano l'esempio dei loro avi. Quella vissuta da poveri innocenti, è una realtà poco gradita e molto dolorosa da ricordare, ma impossibile da dimenticare. Noi della 2 A speriamo che, ripensando a questi orrori, ognuno di noi si faccia due domande e non ripeta gli orrori compiuti dalle generazioni precedenti.