Piccolo ma mortale
Sono le due di un mattino invernale, mi sono svegliato di colpo a causa di un incubo, la stanza era completamente buia. Mi alzai dal letto, aprii la porta e andai in cucina per bere un bicchiere di latte, fu proprio in quel momento che la porta della camera si chiuse per un colpo di vento entrato dalla finestra aperta. Nel cuore della notte, nello spaventoso silenzio della casa, quello strano rumore fece nascere in me il panico; utilizzo la parola “strano” perché avevo sentito un altro suono molto vago coperto da quello del colpo della porta. La mia paura cresceva sempre più anche a causa di scricchiolii delle assi di legno ai miei passi, poi mi ricordai una mia frase detta ad un amico tempo fa:”Non sono coraggioso, ma nella mia incoscienza non fuggo il pericolo; lo cerco per giocare con esso” e mi feci coraggio. Il rumore ce avevo sentito proveniva probabilmente del sotto tetto, perciò salii le scale che portavano lì. Arrivato nella stanza udii un debole lamento: era il gemito del terrore mortale. Guardai le mie braccia ed ebbi la conferma di avere freddo, quindi avevo paura. Cominciavo ad avere seriamente paura e perciò espressi il desiderio di trovarmi altrove e mentre lo facevo, mi si torse nella mano come un serpente, una creatura piccola, bassa e paffuta, ma quell'aspetto carino non era affatto proporzionato alla sua cattiveria. Stringeva la mia mano con denti aguzzi che affondavano nella carne e provocavano un dolore atroce, il sangue colava rosso fino a terra. Mosso dalla fitta mi dimenai e riuscii a far staccare quel orribile orrore dalla mia mano, quest’ultima ormai non era più parte del mio corpo; la lancetta dei minuti dell’orologio si muoverebbe più lentamente della mia mano. Sentii un rumore dietro di me, mi girai distinto ma nel farlo la mia mano sbatté contro una , il dolore era incommensurabile, dalla mia bocca uscì un urlo di dolore da fare vere la pelle d’oca. A questo punto la creatura attaccò i miei piedi con un morso potentissimo e dolorosissimo. Per quanto mi sforzassi, questa volta non riuscii a strapparmi dalla morsa che imprigionava inesorabilmente i miei piedi. Una sola volta gettai un grido, e poco dopo ebbi un ansito che fu più terribile di un grido.
Un mostriciattolo si staccò e mi lasciò solo in mezzo alla stanza buia, dolorante. Avrei dato qualsiasi cosa per una lampada o per una pezzo di candela, ogni volta mi sembrava di poter essere attaccato di nuovo.
Sul pavimento tutto d’un tratto cominciò ad aprirsi una buca, si ingrandiva sempre più; era una buca nera, profonda, mi faceva pensare alla morte. Questa fossa paurosa mi risucchiò al suo interno, tutto diventò più scuro di quanto fosse prima. Il mostro si buttò dentro con me azzannandomi un fianco. Da lì in poi non seppi più cosa successe.
(Carlo Maria Cruciani)
Jennyyy...
Un giorno, una bambina di nome Jenny, che aveva dieci anni, andò in un negozio di giocattoli per comprare una nuova bambola; il negoziante che era un uomo strano e misterioso, le consigliò una bambola con grandi occhi neri e delle trecce rosse spaventose. L’uomo le disse che si chiamava Cris e di non lasciarla mai sola perché poteva succede qualcosa di terribile; la bambina lo ascoltò, ma senza tanto interesse. Arrivate casa Jenny e Cris andarono a giocare nel giardino, dopo dieci minuti venne un acquazzone, fu proprio in quel momento che la porta si chiuse per un colpo di vento, e la bambina, correndo, rientrò in casa lasciando Cris fuori da sola. La sera Jenny andò a dormire e ad un certo punto sentì una vocina che diceva: “Jennyyy, Jennyyy sto salendo le scale” e la bambina si nascose sotto le coperte: “Jennyyy, Jennyyy sto aprendo la porta” “Jennyyy, Jennyyy sto per...UCCIDERTI!!!”. Jenny si guardò intorno e vide sopra di lei la sua nuova bambola sporca di sangue con in mano un coltello; prima che la bambina se ne accorgesse la bambola l’aveva tagliata già cinque volte. La bambina disse: “non potrò più togliermi quella scena dalla testa, per quando viva”. Dopo tre giorni Cris uccise Jenny solo perché l’aveva lasciata sola.
(Arjeta Ameti)
Una notte da incubo
Era ormai notte. La luna piena era ben visibile. E di dormire non c’era verso. Lucia sentiva freddo, le coperte di cotone non la riscaldavano abbastanza, le aveva fin sopra a testa, e l’unica cosa che le si vedeva era l’occhio destro spuntare da una piccola fessura tra il cuscino e un lembo della trapunta per controllare che non ci fosse nessun fantasma. Era ormai diventata abitudine non dormire la notte e quindi restare sveglia finché non spuntasse un raggio di sole, ogni sera dalle 11 cominciava a tremare, tremare dalla paura di essere rapita da una qualsiasi persona o mostro, dalla paura di morire. Una sera, come tutte le altre, Lucia si mise a piangere, silenziosamente, senza emanare alcun rumore, solo lacrime che scendevano dagli occhi rossi e bagnavano il letto. Cercava di non urlare o di non emettere suoni per non svegliare i genitori che dormivano nell’altra stanza, si chiudeva la bocca con un fazzoletto di stoffa e ogni tanto singhiozzava. Quella notte sentì un urlo, un lungo suono, quasi sfiatato, dalla casa affianco, questo fece nascere in Lucia il panico…non sapeva che fare…dopo un po' cominciò a sentire strani rumori…la porta si chiuse velocemente per un colpo di vento, sentiva dei passi avvicinarsi e vedeva ombre strane, senza una forma precisa. Era diventata bianca, di un bianco latte, proprio uguale al peluche che stava stringendo sempre più forte.Pur essendo così spaventata decise di alzarsi e andare a vedere cosa stesse succedendo, prese la vestaglia e la indossò poi corse in salotto, non c’era nessuno, si diresse verso la finestra della cucina provando a vedere, attraverso il vetro sporco, se ci fosse qualcuno in giardino; nessuno. Riprese coraggio e andò fuori. Anche se con molta nebbia riuscì a vedere una buca, si avvicinò per osservare meglio, era scura, profonda e ogni secondo essa si ingrandiva sempre di più, talmente tanto che non si vedeva la fine. Udì delle urla provenire dalla buca, aveva molta paura, ad un tratto si sentì qualcosa alle gambe, erano delle mani che le afferravano le caviglie e le stringevano forte, troppo forte. Non riusciva a liberarsene; la spinsero dentro la buca, dieci secondi di volo senza toccare terra, urlando, aveva quel senso di vuoto dentro di se. Appena atterrò vide una candela accesa, la prese e si guardò intorno. Vide un mostro, un orribile mostro, alto, ricoperto da una strana melma verde e appiccicosa, aveva gli occhi puntati su di lei, erano grandi e rossi e mettevano troppa paura. Lucia provò a risalire e andarsene da quell'orrenda caverna ma il buco si chiuse. Ormai non si poteva più fare niente. Era pronta alla morte. Il mostro le si avvicinò e tirò fuori un coltello, lo puntò alla gola della ragazza. Lucia era già morta dentro, non riusciva a muoversi e neanche ad urlare. Si sentì un tonfo, il corpo della ragazza cadde a terra insieme al peluche bianco, ormai diventato rosso. Silenzio; Il mostro non era altro che la sua peggior nemica, Alice, che la voleva morta solo perché tempo prima aveva rovinato la sua storia d’amore con Jack e voleva fare vendetta.
(Beatrice Verdicchio)
Perseguitato dalla sfortuna
Mentre camminava nei corridoi dell’ospedale tutti lo fissavano, analizzandolo da testa a piedi. Tutti lo commentavano con il collega facendo osservazioni di pessimo gusto. In qualsiasi luogo in cui lui si trovava accadevano le peggio catastrofi. Stranamente in quel corridoio, quel giorno, c’era un clima tranquillo, si sentivano solo i suoi passi pesanti e le chiacchiere degli altri medici su di lui fino a quando lui non esclamò:”Per quale motivo vi ostinate a dire che sono pazzo? Sono soltanto perseguitato! Perseguitato dalla sfortuna, dalla cattiveria di Satana!”. Mentre urlava queste frasi i suoi occhi tremavano di paura, le mani gesticolavano in modo svelto e nervoso. Finalmente questa giornata di lavoro finì e quando tornò nella sua casa chiuse con prepotenza la porta, getto le chiavi sul tavolino all'entrata e il giubbotto sul divano. Corse nel piano di sopra come se qualcuno lo stesse seguendo, si diresse in camera sua, si sedette d’avanti allo specchio... Lì... Fermo immobile a guardarsi gli occhi. L’unica luce accesa era quella della bajour sopra il comodino. Si portò le mani alle guance e con le unghie si graffiava proprio sotto gli occhi. Fu proprio in quel momento che la porta si chiuse per un colpo di vento. La situazione are al quanto inquietante: un uomo chiuso nella camera da letto, come se stesse aspettando qualcuno. Sentì dei passi provenire da fuori, si affaccio dalla finestra già aperta e vide una persona bagnata della pioggia. Il suono dei passi che calpestavano il marciapiede zuppo lo stava mandando fuori di testa. Nel cuore della notte, nello spaventoso silenzio della casa, lo strano rumore fece nascere in lui il panico. Forse perché stava provando troppe sensazioni raccapriccianti o forse perché era un po’ stanco. Erano le tre esatte e lui continuava ripetutamente a fissare il campanile della chiesa di fronte. Al rintocco della campana si sentì bussare la porta. Scese e aprì il portone. Probabilmente non era cosciente. Fece entrare nel soggiorno lo sconosciuto che sembrava titubante e imbarazzato. Quando si tolse il cappuccio si capì che era una signora. Il volto della donna era cereo, i suoi occhi sbarrati, il respiro debole. Rimasero lì, seduti uno di fronte all'altro, come se già si conoscessero, come si già si conoscessero, come se fosse già tutto prestabilito. Lei sembrava un demone. Tutto d’un tratto gettò un grido, e poco dopo un ansito che fu più terribile di un grido. Proprio in quell'istante si spensero le luci e lui tornò cosciente. Aveva paura. Avrebbe dato qualsiasi cosa per una lampada o per un pezzo di candela. Il temporale si fece più forte. Al rumore assordante di un fulmine senti la signora comparire dietro di lui e stringerlo a se. Pensava:” In quanti pezzi mi taglierà? Ammesso che abbia un coltello alla cintura, e in quanti minuti mi strangolerà? Ammesso che stringa il mio collo con le sua mani enormi.”
(Cristina Minolfi)