L’Alchimia
L’alchimia è una disciplina antica che affonda le sue radici nelle civiltà egizia, greca, araba e medievale europea. Originariamente nasce come una forma primitiva della chimica, con lo scopo pratico di trasformare i metalli in oro, cercare l’elisir di lunga vita e comprendere la struttura della materia.
Nel suo stadio iniziale, l’alchimia era considerata una disciplina materiale e sperimentale. Gli alchimisti si dedicavano allo studio delle sostanze, dei metalli, delle trasformazioni fisiche e chimiche, anche se i metodi non erano ancora scientifici nel senso moderno. Le loro ricerche portarono comunque a importanti scoperte, che furono poi la base della chimica moderna.
Tuttavia, l'alchimia non si limitava a un'attività di laboratorio: anche nei suoi primi sviluppi, aveva già molti collegamenti con simboli e significati ispirati alla religione, all’universo e al pensiero filosofico.
Col tempo, specialmente nel Rinascimento, l’alchimia si trasformò sempre più in una disciplina esoterica e spirituale diventando una metafora del perfezionamento interiore dell’uomo: il piombo rappresentava l’anima grezza, mentre l’oro simboleggiava lo spirito illuminato e purificato.
L’ Opera Alchemica quindi non era piu’ solo un processo chimico, ma anche un viaggio interiore: un modo per rinascere e conoscere se stessi, passando attraverso fasi come la nigredo (simbolo della morte interiore), albedo (pulizia dell’anima), citrinitas (luce e consapevolezza) e rubedo (pieno compimento spirituale).
L’alchimista non è più soltanto un artigiano della materia, ma un cercatore di verità che, attraverso la pratica simbolica, aspira all’unione con il divino. In questa visione, l’alchimia si avvicina alla mistica e alla filosofia, diventando una vera e propria via iniziatica.
La Spagiria
Nel 1500, il medico e alchimista Paracelso sviluppa una forma di alchimia applicata alla medicina, chiamata spagiria. In questa pratica, le sostanze vegetali vengono lavorate secondo i principi alchemici per estrarne le componenti essenziali: sale (corpo), zolfo (anima) e mercurio (spirito).
La spagiria considera la salute come equilibrio tra corpo, mente e spirito, e ogni preparato ha lo scopo di armonizzare l’individuo con le forze della natura. È un chiaro esempio di come l’alchimia abbia ispirato una medicina olistica, molto diversa da quella meccanicista che si affermerà nei secoli successivi.
L’Alchimia nel 1850
Nel XIX secolo, con l’affermazione della chimica moderna, l’alchimia venne in gran parte screditata come pseudoscienza. Gli alchimisti del passato venivano spesso considerati come ciarlatani o visionari che avevano tentato invano di realizzare sogni impossibili.
Tuttavia, intorno al 1850, si diffonde anche un nuovo interesse per il pensiero simbolico e spirituale. Il Romanticismo, con la sua rivalutazione del mistero e della soggettività, riscopre i testi alchemici come fonti di saggezza nascosta. In ambienti esoterici e intellettuali, l’alchimia torna a essere studiata come filosofia legata al mistero della creazione e dell’anima.
In sintesi
L’alchimia, quindi non e’ solo un tentativo ingenuo di fare oro, ma è una sintesi profonda tra scienza, filosofia e spiritualità. La sua evoluzione, da disciplina materiale a via spirituale, testimonia la tensione dell’essere umano verso la conoscenza e la trasformazione, sia del mondo che di sé stesso. Anche se oggi la scienza moderna l’ha superata nei suoi aspetti pratici, l’alchimia continua a parlare al nostro immaginario e alla nostra ricerca interiore, come simbolo eterno del desiderio di unione tra materia e spirito.
Nel corso della mia ricerca, mi sono imbattuto nel libro Metodo Spagyrico di Stefano Valbonesi, la cui immagine di copertina ha subito catturato la mia attenzione.
E’ un disegno proviene dal manoscritto "Clavis Artis" (La Chiave dell'Arte), un'opera alchemica tedesca del XVII-XVIII secolo, attribuita tradizionalmente a un autore conosciuto come Zoroaster (o Zoroastro) di Babilonia.
Il manoscritto esiste in diverse versioni questa e’ presa da volume conservato nella Biblioteca Civica di Trieste – Fondo Hortis).
Lo stile dell’immagine e la simbologia sono tipici dell’iconografia alchemica esoterica: ogni elemento ha un significato nascosto legato ai processi della trasmutazione spirituale e fisica.
Vediamo in modo piu’ approfondito:
Il recipiente centrale rappresenta il vas hermeticum, il contenitore ermetico in cui avviene l’Opera Alchemica.
È il luogo della trasformazione interna, dove gli elementi opposti si incontrano per generare l’unità.
L’infiorescenza in alto e’ una pigna simbolo alchemico e spirituale molto antico. Rappresenta la ghiandola pineale, sede dello spirito e della visione interiore secondo l’esoterismo.
E’ simbolo di crescita interiore, consapevolezza spirituale e connessione con una realtà superiore..
La sua posizione in alto suggerisce che sia il culmine del percorso iniziatico o alchemico.
Le due figure centrali rappresentano i principi maschile e femminile, anche chiamati zolfo (attivo, maschile) e mercurio (passivo, femminile).
Le loro code di pesce indicano che sono esseri acquatici, cioè legati al regno dell’inconscio e alla materia primordiale.
Stanno tenendosi per mano, simbolo di coniunctio, l’unione mistica e chimica degli opposti. Questo è uno dei momenti più importanti dell’Opera: l’unione del duale per generare l’unità (e infine l’oro filosofale).
Le piante intorno sono simboli di vita, natura e rigenerazione. In alchimia ogni pianta ha un potere nascosto che può essere estratto tramite la spagiria.
Anche la crescita delle piante richiama il processo ciclico dell’alchimia, che richiede pazienza e tempo, come la natura.
L’acqua è la materia prima, l’elemento che dissolve, purifica e prepara alla nuova nascita. Rappresenta anche l’inconscio, il grembo alchemico dove avviene la trasmutazione.
Mettiamo a confronto questo disegno con una decorazione che si trova nella torre tonda del castello, nell’area privata del conte, dove si trova il suo studio ed il laboratorio alchemico.
Lo stucco è traforato ed e' collocato sopra la porticina che dà sulla terrazza dello studio, rivolta a est, in modo da far penetrare luce al sorgere del sole e, nelle notti di luna piena, la luce lunare che sorge dalla stessa direzione.
All’interno della cornice, che rappresenta il vaso alchemico, una pigna Simbolo alchemico e spirituale.
La sua posizione in alto, in entrambi i casi, suggerisce che sia il culmine del percorso iniziatico o alchemico.
Il fiore in basso nel bassorilievo simboleggia la materia prima o la radice da cui nasce tutto il processo.
Nel cuore dell’immagine alchemica, all’interno del vaso, si presenta un simbolo fondamentale, la vera chiave dell’Opera Alchemica. Questo carattere, apparentemente astratto, è in realtà un glifo carico di storia e significato universale.
Questo simbolo con simmetria speculare con linee curve e incrociate che richiamano la forma di un nodo o di un ideogramma astratto ricorda fortemente la coniunctio oppositorum: l’unione degli opposti, tema fondamentale in alchimia (maschile/femminile, sole/luna, spirito/materia).
Ai bordi due caratteri simmetrici che richiamano la dualità degli opposti, al centro, un carattere in stile cufico, che nella calligrafia araba simboleggia l’unità divina, il principio originario che unifica tutte le cose.
Anche nella fiasca del Clavis Artis ci sono due elementi simmetrici uniti al centro (i due androgini con coda di pesce che si tengono per mano).
Questa struttura riflette il cuore stesso dell'alchimia spirituale: la riconciliazione degli opposti attraverso il principio dell'Uno, ovvero Dio, o l’Anima del Mondo. Non si tratta solo di una formula grafica, ma di un sigillo metafisico, che racconta la trasformazione dell’alchimista, il quale, unendo dentro di sé le polarità del mondo, si riunisce al Tutto.
Conclusione
Entrambi i disegni usano la stessa struttura simbolica triadica (fiore, simbolo centrale, pigna) che servono allo stesso scopo: rappresentare il viaggio dell’anima attraverso la materia verso la luce.
Il bassorilievo del castello è una sorta di pietra miliare simbolica, che usa il linguaggio dell’alchimia per trasmettere un messaggio spirituale nascosto agli occhi profani.
Al tempo del Mattei l’alchimia si fondeva con la massoneria, la teosofia e il romanticismo esoterico.
L’iconografia alchemica veniva recuperata e reinterpretata in arte, architettura e decorazione.
I simboli non venivano più usati per la trasmutazione fisica dei metalli, ma come codici spirituali per iniziati.
Bibliografia
L'immagine analizzata proviene da:
Clavis Artis, manoscritto alchemico anonimo (XVII-XVIII sec.), attribuito a Zoroastro (pseudonimo esoterico). Conservato presso la Biblioteca Civica di Trieste (Ms. Hortis 2.27 – volume illustrato)
Libri di riferimento sull'alchimia
Jung, C.G., Psicologia e alchimia, Bollati Boringhieri, Torino, 1980.
Abraham, Ralph, Alchimia: il linguaggio simbolico dell’anima, Edizioni Crisalide, 2003.
Stefano Valbonesi, METODO SPAGYRICO, Gruppo Editoriale Bonanno Srl, 2018
Appendice
Per comprendere il significato del simbolo centrale utilizzato dal conte, raccogliamo le immagini dello stesso riprodotto in diverse decorazioni sparse per il castello
Questa versione in legno è presente nella grande sala della torre tonda, nello studio privato del conte.
Il simbolo si ripete per undici volte sopra l’ingresso della piccola camera sotto la sfera di carta catramata( vedi capitolo Le macchine del conte).
Troviamo lo stesso simbolo al centro del cartiglio che decora l’intera sala da pranzo.
Ma qual è il suo significato?
Ritroviamo lo stesso motivo anche nei bassorilievi dell’Alhambra.
La parte racchiusa dal cerchio a dodici lobi al centro contiene esattamente il simbolo che stiamo cercando.
I due motivi laterali, disposti simmetricamente, sono elementi comuni nelle iscrizioni che enfatizzano parole sacre: agiscono come una sorta di cornice protettiva o evidenziante.
Sebbene il simbolo centrale sia talmente stilizzato da sembrare più un disegno astratto che un testo leggibile, è altamente plausibile che si tratti di una rappresentazione artistica del nome di Dio in arabo.
Si riconosce infatti il nome 'Allah' (الله), reso in una forma calligrafica ornamentale tipica dell’arte islamica dell’Alhambra.
Per saperne di più, consultiamo il libro Epigrafía árabe y Arqueología medieval, di Antonio Malpica Cuello e Bilal Sarr Marroco (Granada, 2015).
In questo studio, gli autori analizzano in dettaglio la funzione decorativa e simbolica delle iscrizioni arabe nei contesti architettonici andalusi, con particolare attenzione ai motivi epigrafici dell’Alhambra.
Secondo il loro lavoro, la ripetizione del nome 'Allah' in forme calligrafiche complesse non è solo un atto devozionale, ma anche un dispositivo visuale: un richiamo alla presenza divina che pervade lo spazio.
Questo rafforza l'ipotesi che il simbolo al centro del cartiglio nella sala da pranzo e in altre stanze del castello sia una reinterpretazione artistica dello stesso nome sacro.
Traduco alcune parti del libro:
Calligrammi architettonici e’ il nome che viene dato alla calligrafia araba con forme architettoniche schematiche, in cui le lettere sono trasfigurate in piccole colonne e archi isolati (lisci o lobati) o formano archi bidimensionali più o meno complessi.
Nei Calligrammi architettonici votivi le iscrizioni sono brevi espressioni, di una, due o pochissime parole, che annunciano o invocano buona fortuna, benedizione divina o benessere, per il proprietario, il luogo o le persone che lo abitano.
Calligramma architettonico di Baraka (Benedizione) in cufico , comune nell'Alhambra
Le prime due lettere sono all'interno dell'arco generato dalle seconde due. In alto c'è un motivo vegetale centrale.
In questi disegni convergono e si fondono quindi tre degli elementi caratteristici dell'ornamentazione islamica classica: a) la calligrafia, b) le forme vegetali, che hanno anche un legame strutturale con alcune modalità calligrafiche, soprattutto nel cosiddetto "cufico florido", c) i falsi archi, presenti nelle antiche arti mediorientali e ampiamente utilizzati nella decorazione islamica.
Altro calligramma ripetuto nell’Alhambra e’ il cosi’ detto Motto nasride: si tratta della nota espressione Wa-lã gãliba illã Allãh (Non c'è vincitore se non Dio, oppure Solo Dio è vittorioso).
fig 4. Calligramma del motto nasride, Il medaglione a dodici lobi comprende un calligramma di Baraka e, in alto, la parola Yumn (Fortuna) tutto e’ simmetrico e speculare, sempre in cufico e sormontata da un apice tagliato e capovolto con una terminazione vegetale
Tre calligrammi di Baraka (Benedizione) con la caratteristica composizione delle prime due lettere sopra le ultime due e all'interno del piccolo arco formato da esse; L'archetto può essere spezzato, generato dall'unione degli apici delle lettere kãf e lãm (fig. 6; calligrafato in vari punti, e adattato, con un formato simile, a sei degli angoli inferiori della Fontana dei Leoni), semicircolare, con motivo vegetale in alto (fig. 7; ¶wãnes dei portici del Patio de Arrayanes, Sala de Ajimeces, Dos Hermanas...), oppure lobato e con terminazioni vegetali delle ultime due lettere (fig. 8); In quest'ultimo caso, il calligramma è legato nella parte superiore da un cerchio di dodici lobi con all'interno il semplice motto nasride;
Si noti l'assialità di queste figure, in cui le forme delle lettere si adattano all'immagine speculare e simmetrica, anche nei più semplici calligrammi composti da una sola parola.
Nel suo libro Linguistic Ties Between Ancient Egyptian and Bantu: Uncovering Symbiotic Affinities and Relationships in Vocabulary (2013), Fergus Sharman ricercatore specializzato in egittologia analizza analogie fonetiche e semantiche tra l’antico egizio e diverse lingue bantu, con l’obiettivo di evidenziare somiglianze linguistiche profonde.
Un termine analizzato e’ “baraka” (benedizione), termine arabo che in molte lingue bantu, come lo swahili, è stato adottato con significato simile: baraka = “benedizione, dono divino”. Sharman sottolinea come questa parola incapsuli l’idea di un dono ricevuto dall’alto — una sorta di “dono divino”.
DA TRECCANI:
BARAKAH (pron. bár-)
Vocabolo arabo, propriamente significante "benedizione", che in tutta l'Africa settentrionale si applica anche e soprattutto alla misteriosa forza sacra e benefica a un tempo che, secondo la credenza popolare di quelle regioni, emana da persone ritenute sante, oppure da oggetti o luoghi considerati sacri, e arreca grazie d'ordine materiale a coloro che tocchino quelle persone o cose, o anche indirettamente vengano con esse a contatto. Onde, p. es., l'affollarsi scomposto intorno alla cavalcatura di personaggi ragguardevoli anche soltanto perché sceriffi, cioè presunti discendenti da Maometto, allo scopo di ottenere la barakah baciando o toccando semplicemente la coda o i fornimenti della bestia. Così il semplice sostare presso sepolcri di personaggi venerati è fonte di grazie materiali. Al Marocco si ammette anche che una persona non sceriffa né santa possa divenire temporaneamente posseditrice di barakah in particolari circostanze. La barakah si considera trasmissibile per eredità naturale, sia pure in grado più tenue, nei discendenti di sceriffi e di marabutti o santi; essa inoltre può essere volontariamente trasmessa dal santo.
Lo stesso calligramma e' ripetuto nel voltone della scala araldica che porta alle logge superiori.
Rob ricerche giugno 2025