Le radici del progetto PASSI risalgono al 2019 quando per la prima volta, nel campo profughi di Diavata, nei pressi di Salonicco, in Grecia, Chiara Destefanis (psicomotricista, danzatrice e, in quel momento, neo-laureata in scienze e tecniche psicologiche) propone delle lezioni di danza alle bambine e le adolescenti residenti al campo durante un’esperienza di volontariato con l’associazione Vasilika Moon.
Nel 2019 il campo di Diavata ospitava più di mille persone, minorə non accompagnatə, famiglie e uomini singoli. Entrare nella dimensione di quel campo con la sensibilità e le conoscenze trasversali delle diverse discipline ha consentito di notare come le posture e le modalità relazionali delle persone che lo abitavano fossero pervase da tensioni. Per questo motivo si è pensato di proporre, insieme alle diverse attività ludico-creative preesistenti, degli esercizi di psicomotricità, con l’obiettivo di sciogliere le tensioni del corpo e sperimentare nuove modalità relazionali attraverso il movimento. La proposta non è stata accolta, lo scetticismo attorno al tema e la preoccupazione di andare a toccare vissuti drammatici senza le effettive competenze per poterle gestire non ha permesso di iniziare con l’attività. Il compromesso è stato un corso di danza. A partire da agosto 2019 così, le adolescenti del campo profughi di Diavata hanno iniziato un percorso di avvicinamento alla danza classica.
Prima di iniziare con gli esercizi tecnici della disciplina però, venivano proposti giochi motori a ritmo di musica attraverso i quali sciogliere le tensioni muscolari e permettere una maggior predisposizione del corpo all’apprendimento. La differenza dei corpi e della risonanza del gruppo durante le lezioni quando venivano proposti i giochi motori e quando non venivano proposti era evidente: spalle rilassate, bacino mobile, collo e ginocchia disponibili al movimento.
Le bambine e adolescenti che partecipavano all’attività ne erano entusiaste, tanto che anche le loro madri hanno espresso il desiderio di partecipare a loro volta alle attività. Questa richiesta ha portato a ridefinire il percorso e le proposte anche per persone adulte. Anche in questo caso i rimandi e le condivisioni delle partecipanti non lasciavano spazio al dubbio: il corpo è portatore delle tensioni accumulate nell’esperienza, sciogliere le tensioni del corpo permette di sciogliere le tensioni emotive.
Su richiesta delle partecipanti, da due volte a settimana, si è arrivate a fare quotidianamente l’ora e mezza di movimento. Durante le sei settimane di attività oltre al beneficio sui corpi di chi ha partecipato, si è osservato un cambiamento sulle modalità relazionali: le partecipanti hanno creato legami e connessioni, se prima, per esempio, ognuna arrivava alla sessione per conto suo, hanno iniziato ad aspettarsi per fare il tragitto insieme, se a inizio percorso si finiva ci si salutava e ci si dava appuntamento al giorno successivo, verso fine percorso si rimaneva a parlare fuori dalla palestra, ci si dava appuntamento per qualche ora dopo per un tè. Condividere l’esperienza relazionale nel corpo ha permesso di portare anche al di fuori dell’ora e mezza le connessioni create attraverso il movimento.
L’incremento del benessere psicofisico delle partecipanti era evidente: l’attività, per quanto improvvisata, acerba nella sua struttura e senza ambizioni terapeutiche, aveva effettivamente connesso diversi piani dal fisico allo psichico, dal relazionale al motivazionale.
Una volta terminata e lasciata sedimentare l’esperienza, si è amplificato maggiormente il desiderio di approfondire nuove modalità di supporto psicologico a chi abita i campi profughi.
Per questo motivo la professionista Destefanis, durante gli studi magistrali in psicologia clinica e di comunità, si è concentrata su metodi e pratiche psicologiche, antropologiche e psicomotorie, per arrivare a strutturare una vera e propria pratica da proporre alle persone rifugiate: la pratica del Dynamic Movement.
Una pratica che parte dal decentramento dalle modalità occidentali di intendere la salute mentale, per poter arrivare a costruire una modalità di supporto psicologico adatta alle persone in movimento lungo i confini. Durante gli studi è continuata la sperimentazione sul campo, in particolare nelle realtà di Corinto, Atene e Bihać (Bosnia-Erzegovina), supportata dall’associazione veronese One Bridge To-.
Nel corso delle esperienze lungo la rotta balcanica è stato sempre più evidente come fosse indispensabile estendere il supporto psicologico anche a chi opera lungo i confini: volontariə e operatorə sono quotidianamente espostə a vissuti drammatici e a loro volta possono rimanerne segnatə. Per questo motivo le sessioni di Dynamic Movement sono state proposte anche allə volontariə, nel tentativo di creare spazi dove portare la propria esperienza sul campo, per contenerla.
A maggio 2022, alla fine di uno dei periodi trascorsi nella città di Atene, l’incontro con alcune volontarie, studentesse in psicologia, è stato il vero e proprio inizio del Progetto PASSI.
Ester Paldino e Silvia Pescatore, infatti, dopo aver concluso il percorso di supporto psicologico attraverso il corpo proposto durante la loro esperienza di volontariato presso il centro Meraki (gestito dalle associazioni Aletheia RCS, One Bridge To- e Vasilika Moon), avendo fatto esperienza in prima persona, hanno avanzato la richiesta di poter a loro volta imparare la pratica durante il loro tirocinio post laurea.
Una collega volontaria nello stesso centro, Margherita Poesio, a sua volta, si unisce alla richiesta e, nel mese di luglio, anche Lucia Meroni, in quel momento volontaria a Corinto (nel centro Xeirapsies, sempre gestito dalle tre associazioni sopracitate).
È così che prende vita il primo gruppo di lavoro, a inizio autunno 2022.
Inoltre, dopo l’estate diverse realtà accademiche iniziano a interessarsi a questa modalità di stare in emergenza e di agire in supporto delle persone rifugiate lungo la rotta balcanica, così il progetto inizia ad essere divulgato nelle università di Padova, di Bergamo e di Torino.
Dall’autunno in poi, insieme al nuovo gruppo di lavoro, si è partite per seguire le sessioni e i percorsi che Chiara stava portando avanti in Bosnia, nella città di Bihac, con le associazioni Ipsia e Refugees Welcome.
La condivisione di quelle esperienze ha stimolato maggiormente il gruppo, tanto che, grazie a una convenzione con l’Università di Padova, nell’inverno, il progetto è arrivato anche a Beatrice Rebecca Volta e Nicole Fiorentini.
Da quel momento in poi inizia a costruirsi il progetto come stiamo imparando a conoscerlo ora: un gruppo, una tribù che circolarmente si confronta, si forma e si interroga sulla salute mentale, su come agire in contesti emergenziali e culturalmente non aderenti al modello occidentale di cura e benessere.
Da gennaio 2023 abbiamo dato un nome “PASSI”, abbiamo iniziato a trovarci e sperimentare insieme: ci siamo trovate a Padova e da lì abbiamo iniziato a progettare l’anno e la partenza per la Grecia.
In un anno di progetto abbiamo attraversato molti spazi, dalla Grecia all’Italia, in diverse città: Padova, Bologna, Catania, Torino. Ci siamo mosse e continuiamo a desiderare di muoverci, di creare legami e connessioni con storie e vissuti.
Quello che è successo da gennaio in poi si può trovare nelle diverse aree del sito, e anche qui ti ricordiamo che se vuoi contattarci puoi scriverci a info.progettopassi@gmail.com