LA VIA DEI SIMBOLI
L'architettura simbolica
Il ritorno delle figure retoriche
L'architettura simbolica
Il ritorno delle figure retoriche
L’articolo La Via dei Simboli affronta con grande profondità il tema del ritorno dell’architettura simbolica nel panorama contemporaneo, in particolare nel contesto della società dell’informazione. Il testo parte da una disamina storica del rapporto tra architettura e simbolismo, evidenziando come il modernismo e il razionalismo abbiano a lungo marginalizzato il ruolo del simbolo, privilegiando invece un linguaggio formale asciutto, industriale e astratto.
L’architettura moderna, soprattutto nel suo sviluppo tra Gran Bretagna e Germania, ha avuto una predilezione per il frammentario, il minuto e il vernacolare, ispirandosi alla spontaneità edilizia dei borghi medievali piuttosto che alla monumentalità delle cattedrali gotiche. Questo approccio ha trovato una sua codificazione nel Bauhaus, che ha risposto alle esigenze della società industriale con un linguaggio estetico e funzionale rigoroso, come sintetizzato da Walter Gropius. Come sottolineato da Nikolaus Pevsner, il percorso da William Morris a Gropius ha valorizzato la dimensione artigianale e spontanea dell’architettura medievale, ma ha rimosso completamente la sua dimensione rappresentativa e simbolica.
Il modernismo, dunque, ha rinnegato il monumento, in parte perché associato alla propaganda politica dei totalitarismi del Novecento – da Stalin a Hitler, da Mussolini fino ai grandi edifici classicheggianti della Finlandia o della Società delle Nazioni. Tuttavia, alcuni architetti hanno tentato di recuperare un’aura monumentale e simbolica, senza però ricorrere agli stilemi del passato. L’esempio più notevole citato è quello di Giuseppe Terragni e la sua Casa del Fascio a Como, un edificio che, pur nell’ambito del razionalismo, riesce a esprimere un forte valore simbolico attraverso una sintesi magistrale tra astrazione e monumentalità.
Il vero punto di svolta nel recupero del simbolismo in architettura, secondo l’articolo, arriva con Jørn Utzon e il suo progetto per la Sydney Opera House. A differenza dei modernisti ortodossi, Utzon recupera l’idea del monumento come espressione collettiva e civica, non come imposizione del potere. La sua formazione nordica, l’influenza di Alvar Aalto e il suo interesse per le forme naturali lo portano a concepire un’architettura che è al tempo stesso iconica e organica. La Sydney Opera House diventa così il primo esempio di monumento moderno che riesce a essere simbolo senza ricorrere ai linguaggi classici della monumentalità. È un’opera che rappresenta non solo la città di Sydney, ma un intero continente, incarnando l’identità australiana in una forma immediatamente riconoscibile e universalmente comprensibile.
Questo processo di riscoperta del simbolismo prosegue con Frank Gehry e il Guggenheim Museum di Bilbao. L’articolo sottolinea come Gehry, attraverso un approccio radicalmente nuovo, riesca a creare un’architettura che è al tempo stesso dinamica, espressiva e altamente rappresentativa. Il Guggenheim non è solo un edificio museale, ma un catalizzatore urbano, un luogo che ridefinisce la città e ne diventa il cuore pulsante. Il confronto tra Gehry e l’architettura gotica è particolarmente significativo: il museo si inserisce nel contesto urbano con la stessa capacità di generare spazi pubblici che avevano le cattedrali medievali. Le sue forme fluide e la sua pelle riflettente creano un’interazione continua con l’ambiente circostante, esattamente come le vetrate e le guglie delle grandi chiese gotiche.
L’articolo evidenzia inoltre come l’architettura contemporanea, nell’era della società dell’informazione, non possa più limitarsi a essere funzionale e industriale, ma debba comunicare significati e narrazioni. L’esempio di Renzo Piano è emblematico: dal Centre Pompidou di Parigi, concepito come una macchina tecnologica, fino al museo di Amsterdam, dichiaratamente metaforico e narrativo, il linguaggio dell’architettura si è progressivamente spostato verso un approccio più simbolico e comunicativo.
In questa prospettiva, il simbolismo architettonico contemporaneo non è un ritorno nostalgico al passato, ma una risposta alla necessità di creare spazi che abbiano un’identità riconoscibile, che parlino alle persone e che siano in grado di generare un senso di appartenenza. L’architettura simbolica non è più solo monumentalità, ma diventa un elemento di connessione tra la società, la cultura e la memoria collettiva.
In conclusione, l’articolo mette in luce come il ritorno dell’architettura simbolica sia una delle sfide più interessanti dell’epoca contemporanea. In un mondo sempre più dominato dall’immaterialità digitale, il simbolo diventa un elemento fondamentale per ancorare le città alla loro storia e alla loro identità. La nuova architettura simbolica, da Utzon a Gehry, da Libeskind a Piano, dimostra che è possibile creare edifici che siano al tempo stesso funzionali e capaci di evocare emozioni, di rappresentare valori e di costruire un dialogo tra passato, presente e futuro.