nona variazioni

ANNI VENTI

Un brandy

Un brandy, Carlo ridacchiò. Quell’aria da intellettuale assorto e strafottente gli si addiceva proprio. Un quadernetto scarabocchiato a mano davanti a me, sul tavolo rotondo, a testimonianza della nostra condizione di gioventù bruciata, in degli anni ‘20 amari quanti quelli del secolo scorso. Rachele non s’era ancora fatta vedere e Carlo non sembrava esserne turbato. Io amavo pensare che sarebbe arrivata direttamente a casa mia per l’ultima birra, ma in cuor mio sapevo che non ci avrebbe raggiunti tanto presto. Silenzio. Iniziai a giocherellare con l’anello d'acciaio. Su e giù lungo un dito perfettamente liscio, simbolo di una classe privilegiata, che aveva dovuto sollevare il solo peso della carta imbrattata di inchiostro. Tossii piano, troppa polvere nella bettola ormai casa, ufficio e stanza. Carlo assorto nel proprio linguaggio mentale, io concentrato sul ritmico brusio della gente del pub. Luci a neon e la melodia di voci indistinte. Catarsi infinita, per un attimo. Poi ripresi il mio viaggio.

Pensai a quanto mi sentissi incompleto in quella notte senza parole, senza sigarette, senza Carlo. Lui era assente. Pensava a Rachele? Pensava a come sarebbe andata se lei non avesse incontrato Gianni? Oppure era contaminato da un’idea? Magari sognata o forse rubata a un collega dello squallido ufficio di periferia? Pensai alle idee. Come si può rubare un’idea? Carlo lo sapeva fare bene. Ti faceva parlare quel tanto da sentire la tua opinione e poi sbam. Come uno schiaffo in faccia ecco la lampadina che veniva caricata dall’energia di un pensiero mal celato. La tua idea ora era sua, e l’unica differenza tra lui e te era la capacità di concretizzare quell’idea, molto buona, molto malsana, molto qualcosa che assomigliava alla vita. Così io ero stato vissuto dalle mie idee, ora di Carlo, e lui viveva le sue idee, una volta mie. Lo osservai discretamente. Un bastardo che tutti amavano. Eppure qualche cambiamento rivoluzionario aveva iniziato a solcargli il volto. Una pacatezza nuova, profonda, in qualche modo, mia.

Entrò una coppia, dovevano essersi conosciuti da poco, lei cinguettante e lui dal sorriso biascicato, le sfiorò il sedere con la mano callosa, poi presero posto.

Andy si svegliò dal proprio torpore. Venne da noi con il brandy e la birra, poi si recò all’altro tavolo.

“Bevi quel cazzo di brandy” Carlo alzò lo sguardo. Sorrise amaramente, increspando le rughe attorno agli occhi chiari. Disse qualcosa di insignificante, ma, ovviamente, piacevole da ascoltare e io mi persi nella fresca bevanda anestetizzante.


Letizia Chesini

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