16 ottobre 2020

Non essere se stessi

Certe riflessioni andrebbero tenute per sè, magari davanti ad una finestra mentre fuori piove e la domenica mattina irradia tutta la sua inspiegabile malinconia. Contravveniamo.


Pensa con la tua testa

Ho la sensazione, come tutti voi credo, che da quando ho cominciato a pensare non ho potuto più smettere. Se c’è una cosa che caratterizza la mia vita è proprio la continuità del mio sentire interiore, a parte nel sogno s’intenda, comunque sia una volta sveglio sono di nuovo io con i soliti pensieri e i soliti ricordi, forse inspiegabilmente. Non faccio altro che pensare con la mia testa. Questo sono io? Posso essere altrimenti (altre-menti)?


Con parole tue

Questa è proprio bella! Sapresti dire chi sei con parole tue? La domanda più illegittima che si possa porre. Di chi sono le parole che dici? mie? tue? o di tutti e di nessuno? Le parole sono come i colori o le note, nessuno ancora se ne è impossessato, “me le ha dette qualcun altro, non sono mie” diceva Asticelli. Eppure un quadro può essere mio, una melodia può essere di quel tale. Stiamo all’erta! Siamo noi che ce ne appropriamo, loro ci sono aliene. Il fabbro che forgia la sua spada dovrebbe ben guardarsi nell'identificare se stesso nella propria spada.


Conosci te stesso

Razionalizzati! Semplifica te stesso! Cos’è conoscere se non mettere ordine? Inscatolare, mettere forma al caos, al magma informe di se stessi. Ma inscatolare in quale scatola? Secondo quale ordine? Quale forma dare? Ovvio! Quello della parola, quello del discorso. La parola che enumera, che descrive, che nomina, tutto qua. Lavoriamo il marmo per la realizzazione della nostra statua, il nostro “io”, con uno scalpello che non è nostro, ci è estraneo. Le parole non sono nostre, ce le dico gli altri. Nessuno può arrogare il vanto di possederle, sottostanno ad un segreto accordo tra gli uomini. Oppure sono gli uomini a sottostare ad esse?


Il vero “io” (questo non sono io)

Valutare chi sono io sulla base di ciò che faccio, di ciò che “esterioro”, la mia fenomenologia, è riduttivo, esclude l’esistenza o la possibilità di prendere in considerazione che “io” non sia solo in superficie ma che sia qualcos’altro, un nucleo segreto e sacro, tanto inviolabile quanto misterioso. Ma se questo “io” c’è devo continuare a tradirlo. Tutto là fuori non è il vero io, quante volte ce lo diciamo! Noi però imperterriti continuiamo a confonderci con il fuori per definirci dentro. Forgiate pure! ma non fondete il vostro io all’acciaio incosciente.


Essere se stessi

Alienati da se stessi? Non c’è modo di dirlo né di smentire. Accontentarsi? Ma soprattutto fidarsi? Ci si fida spesso di un sistema retto da una mente umana, che è l’unica che può sbagliare, ma questo si dimentica in fretta. Qui però stiamo delegando il nostro io al Mondo là fuori, che non è posseduto da nessuno dei nostri simili. Un sistema impersonale, sconosciuto, estraneo. Le parole ne sono sempre ottima metafora e mezzo. Non cercate di cambiare dopo aver letto queste poche righe: ve l’ho detto io, che non siete voi. Non aspettate che vi dicano di pensare con la vostra testa, di usare parole vostre, di essere sempre voi stessi, è troppo tardi: ve l’ha detto qualcun’altro.


Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere. (Ludwig Wittgenstein)

È sempre meglio tacere.

Marco Gatti

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marco.gatti.ilcardellino@gmail.com