28 luglio 2020

Intorno all'ultima aria da capo di Glenn Gould

Glenn Gould, un nome e un mito. Uno tra i pianisti più eccentrici del ‘900 se non addirittura di tutta la storia del pianoforte. Eccentrico per varie ragioni: in primis per scelta del repertorio, che escludeva la grande stagione romantica (molto discutibili le poche incisioni di Chopin) rifiutò pressoché totalmente il Classicismo (tolto Beethoven), fu un grandissimo amante della musica contrappuntistica, da Bach a Schoenberg, anche grazie alle straordinarie doti polifoniche che aveva al pianoforte. In secondo luogo come non menzionare il suo ritiro totale dalla scena concertistica nel pieno della carriera per dedicarsi alle incisioni in studio, grazie al quale la sua ricerca interpretativa si poté fare molto più accurata al limite dell'ossessione. E infine il suo personaggio e i suoi “riti”, la sedia per suonare, bassa oltre l’immaginabile e l'indistinguibile voce che a tratti si sente cantare insieme al pianoforte nelle sue registrazioni. Difficile trovare un pianista così "polarizzante", o lo si odia o li si ama, non ci sono vie di mezzo.

Si fece conoscere soprattutto grazie alle sue interpretazioni bachiane che fin da subito dimostrarono l’originalità (per non dire “genialità”, ma restiamo ancora neutrali) del suo approccio, che tra l’altro è dai più considerato l’inizio di una nuova era dell’interpretazione al pianoforte del grande maestro di Eisenach. La fama che ottenne superò di gran lunga i suoi limiti mortali in particolare grazie alle Variazioni Goldberg.

Composta tra il 1741 e 1745 l’”Aria con diverse variazioni per clavicembalo con due manuali” (BWV 988) é una delle monumentali composizioni dell’ultimo Bach. Dette Variazioni Goldberg perché secondo uno dei suoi primi biografi fu scritta sotto commissione del conte Hermann Carl von Keyserling grande cultore musicale che prese sotto la sua protezione Johann Gottlieb Goldberg, giovane talentuoso clavicembalista allievo di Bach. Il conte soffrendo di insonnia avrebbe chiesto a Bach di comporre alcuni pezzi da far eseguire a Goldberg nella stanza accanto per conciliare il sonno. Ne uscirono una serie di 30 variazioni su un'aria, quest'ultima ripetuta alla fine di tutte le variazioni per un totale di 32 brani. Le variazioni si presentano a gruppi di 3, la terza è sempre un canone in ordine di distanza intervallare (Canone all’unisono, canone alla seconda…) il decimo (variazione 30, l’ultima) è un Quodlibet, una libera fusione contrappuntistica di melodie popolari e di corale.

Già da questi pochi dati si può capire la grandezza architettonica delle Variazioni in questione, va aggiunto poi che oltre al magistrale impianto contrappuntistico è presente l’utilizzo delle più svariate tecniche clavicembalistiche arrivando ad utilizzare due manuali (tastiere). Ovviamente, tornando a Glenn Gould, la trasposizione sul pianoforte risulta quanto mai ardua per l’utilizzo esclusivo di una tastiera anche laddove Bach ne prevede due: le mani si incrociano, si sovrappongono nelle più sfrenate figurazioni ritmiche, al limite dell'eseguibile.

Gould le registrò due volte nella sua vita, la prima nel 1955 ancora nel pieno della carriera riscuotendo un successo enorme (da qui si parlò della suddetta “nuova era dell’interpretazione”). Tornò in studio con le Variazioni Goldberg nel ‘81 un’anno prima della prematura morte. Le due registrazioni sono quanto di più diverso si possa concepire. La prima è “pianistica” come disse lui stesso, interpretazione brillante per un totale di circa quaranta minuti; la seconda decisamente più “meditata”, i tempi si dilatano tantissimo per un totale di quasi un’ora, la ricerca timbrica è incredibilmente accurata.

Interessante soffermarsi sulle “arie”, la prima e “Da Capo”. Nel ‘55 la prima aria dura 1:53, con un tempo metronomico che si aggira intorno al 60 per quarto, l’aria Da Capo invece dura 2:16, il metronomo batte 90 al quarto. Ventisei anni dopo la prima aria dura 3:05, il tempo metronomico è intorno al 70 per ottavo; ed infine l’aria Da Capo dura ben 3:52, il metronomo arriva a toccare i 50 per ottavo.

Per nostra grande fortuna delle registrazioni del 1981 abbiamo anche il video. Guardare l’ultimo pezzo, l’aria Da Capo, è quasi commuovente.

La sala di registrazione è nella penombra, solo il pianoforte al centro è illuminato, Gould siede quasi accovacciato sulla sua sedia, le ginocchia sembrano toccagli la faccia, le mani sulla tastiera sono giunte, vicinissime alla faccia, Gould non suona, prega. Il canto sommesso e bisbigliato ne è la prova. Quando arriva l’ultima aria, il momento del congedo, il tempo non può che dilatarsi all'estremo, sono sempre difficili gli addii; lo stesso pianoforte sembra non poter sostenere il suono delle prime lunghe note iniziali, decadono come in un clavicembalo. C’è nell'aria un senso di abbandono, di fine.

L’arpeggio che sempre aveva fatto dall'alto verso il basso lascia di sorpresa l’ascoltatore che adesso sente al contrario, come è norma tra i pianisti, dal basso verso l’alto, e infine nell'ultimo accordo segnato con un appoggiatura inferiore (fa diesis su sol) non viene eseguita, differentemente da quanto nelle precedenti registrazioni aveva sempre fatto.

L’effetto è di un lieto fine, rilassato e pacificato, un abbandono senza dissonanze. Un augurio di un sonno tranquillo (ricordiamo la morte di lì a un anno di Gould), l'attuazione della ricerca estrema, come lo immortalò Thomas Bernhard nel Soccombente, del non avere filtri tra Bach e il pianoforte, non essere se stessi, niente “io”, essere la musica stessa.


Marco Gatti




(https://www.dailymotion.com/video/xl3z8; https://www.youtube.com/watch?v=I95v2Gi1fms, link aggiornati 2020, buone sono le probabilità che in futuro questo preciso video sia rimosso o comunque non più raggiungibile, nell’eventualità si potranno trovare innumerevoli altri video con lo stesso filmato cercando semplicemente “Glenn Gould Goldberg”)

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