1 maggio 2020

Per la filosofia dei luoghi

Parte prima

[ovvero] (sul)le aiuole

“L’aiuola che ci fa tanto feroci”

(Paradiso XXII, 151)


Nella fretta di un tardo pomeriggio invernale per i stringenti orari del treno dovetti compiere la turpe azione, me meschino!, di calpestare una verde aiuola che adornava il paesaggio urbano. Il che mi fece pensare a quanto in realtà dovrebbe essere naturale camminare su di un prato, quello che calpestavo insomma doveva essere per necessità qualcosa di più (o di meno) di un semplice prato data la sua virtuale inviolabilità. Così nacquero le riflessioni che seguono.


Luogo. Prima di tutto c’è da definire l’idea di luogo, non solo come spazio delimitato geometricamente o fisicamente, sarebbe riduttivo non prende in esame il fatto che ogni luogo è suscettibile di “interazioni” extra-spaziali, come la cultura, la società, la soggettività, l’intersoggettività, la metafisica ecc.. Come aveva capito Leopardi formulando la teoria della “doppia visione” in cui “L’uomo sensibile e immaginoso [...] vedrà con gli occhi una torre, una campagna [...], e nello stesso tempo coll’immaginazione vedrà un’altra torre un’altra campagna [corsivo nostro]” (Zibaldone di pensieri), insomma gli oggetti, e similmente i luoghi, sono sempre qualcosa in più di quello che empiricamente esiste, che in gran parte è l’uomo a dare alle cose, nel suo essere-al-mondo. Anche per le aiuole è così, non sono mere zone verdi, zone di pura ricerca estetica nel grigiore delle città. Come un teatro non è una semplice costruzione per accogliere delle persone, e un antico tempio non è solo della fredda pietra razionalmente ordinata. Per capire meglio il discorso penso sia bene rifarsi proprio a questi luoghi in qualche modo speciali, il tempio e il teatro, che prendendo in prestito da Foucault, si possono definire in due eterotopie.

Eterotopia. Proseguendo con i pochi che non hanno chiuso l'articolo dopo l'uso di parole forti... L’eterotopia è un concetto coniato da Michel Foucault in contrapposizione a Utopia. Esse sono “spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l'insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano”. A differenza delle utopie che “consolano”, le eterotopie “inquietano” perché luoghi “tanto diversi che è impossibile trovare per essi uno spazio che li accolga, definire sotto gli uni e gli altri un luogo comune” (M. Fouchault, Le parole e le cose, Rizzoli, 1967). Sono eterotopie lo specchio, il cimitero, la nave, il linguaggio, e come si diceva il teatro e il tempio.

Tempio. La cella (ναός) degli antichi templi greci e romani è il luogo più sacro della struttura, al suo interno era presente la statua del dio a cui il tempio era dedicato, infatti questo luogo recondito era considerata la casa del dio. Per questo ovviamente era un luogo inviolabile accessibile a pochi sacerdoti, un luogo che rimandava ad altri luoghi, un luogo che si metteva in connessione con altri luoghi, che era allo stesso tempo il recipiente di questa molteplicità.

Teatro. Il palcoscenico è il luogo dove altri luoghi, necessariamente estranei a se stessi, si affiancano nella finzione dello spettacolo. Quivi si svolgono azioni reali a rappresentare scene fittizie, come a prendere la realtà “a tratti” nella sua indiscutibile fisicità per ricomporla (re-citare) rendendola così, nel luogo tanto reale quanto mentale del palcoscenico, un'azione e una realtà immaginaria, non solo soggettiva, ma soprattutto un fenomeno immaginario intersoggettivo.

Aiuola. Le moderne aiuole possono essere viste come i teatri e i tempi delle nostre città. Sono tempi come luogo dell’inviolabile, luogo di un connessione con altre realtà. Sembrano voler rievocare un altro mondo, quello dell’origine e dell’originale, quello dell’umanità incorrotta (con chiara nota arcadica), dei verdi prati, della spontaneità, del verde e degli infiniti e vaghi colori della natura. A questo tentativo di congiunzione si accompagna la consapevolezza di aver irrimediabilmente perduto quel mondo (tra l’altro mai esistito fuori dalle “superbe fole”). Infatti l’aiuola è per definizione creata dall’uomo, artificio umano, frutto della sua tecnica, quindi “manipolazione” molto lontana dalla spontaneità della natura nostalgicamente eccheggiata; importante notare anche la sua inacessibilità fisica come sintomo della lontananza di quei tempi perduti chissà dove.

Per cui si tratta di un innesto, un’utopia all’interno del topos circostante, che crea appunto un’eterotopia per nulla dissimile da quello di un teatro nel quale pubblico e attori si identificano in un fenomeno intersoggettivo. Come scrive Harai “il fenomeno soggettivo è qualcosa la cui esistenza dipende dalla coscienza e dalle credenze di un individuo. Scompare o muta se quel particolare individuo cambia le sue convinzioni.” Al contrario “Il fenomeno intersoggettivo esiste all’interno di una rete di comunicazione che collega la coscienza soggettiva di molti individui. Se un singolo individuo cambia le sue credenze o muore, ciò ha poca importanza. Però se la maggior parte degli individui della rete muore o cambia le proprie credenze, il fenomeno intersoggettivo potrà mutare o scomparire.” (Yuval Noah Harari; Sapiens, Da animali a dèi; Bompiani; 2014). L’esistenza dell’aiuola come eterotopia (intersoggettiva) ha bisogno che gli spettatori-attori della città continuino a credere e a rispettarla come luogo inviolabile, come un teatro nel quale si recitano le “favole antiche”.


Fui colto dalla spiacevole sensazione di aver profanato qualcosa di sacro che si estende oltre i confini del visibile; non potendo fare altro che fuggire dall'erba come colui che tranquillamente (e inconsapevolmente) nascosto dietro le quinte di un teatro, si ritrova nel mezzo del palcoscenico sotto la luce di accecanti riflettori.


Marco Gatti



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