ARCHITETTURA storica

COM'ERANO COSTRUITE LE ABITAZIONI SCANESI

Nei tempi più antichi, le attività praticate dagli scanesi erano l'agricoltura e la pastorizia e la casa era il luogo in cui tenere gli animali e le derrate alimentari. Nella società scanese, l'uomo provvedeva alla costruzione e all'arredamento, mentre la donna curava il corredo. I più fortunati ereditavano già una casa, mentre tutti gli altri, già da piccoli, pensavano alla costruzione della propria dimora e alla formazione della propria famiglia. Ai tempi, la costruzione della casa era veramente difficoltosa: le pietre venivano portate in paese con i carri, quando erano ancora allo stato grezzo e non ben squadrate e servivano per la costruzione delle fondamenta e dei muri. Un altro lavoro faticoso era quello del taglio, del trasporto e della lavorazione del legname, usato per le travi che sostenevano i muri. Generalmente, gli alberi impiegati erano castagni o rovere. Un altro grattacapo era quello di procurarsi i materiali da costruzione: la calce veniva acquistata in polvere nel Campidano o preferibilmente a Bosa (in quanto più bianca), mentre la sabbia veniva prelevata da "Su Monte 'e sa Rena", sito in località Ispinioro.

LA PRIMITIVA ABITAZIONE

Descrizione generale

Le prime case scanesi erano piuttosto semplici: sviluppate a pianterreno, avevano una forma rettangolare. Per fare le fondamenta si scavava a circa un metro e si controllava la consistenza del terreno. Se il terreno era stabile, si procedeva con la costruzione delle fondamenta, e il buco precedentemente scavato veniva riempito di fango, pietre e paglia. Se invece il terreno era sabbioso, si ponevano tronchi spaccati. Come portafortuna venivano depositate delle monete, oppure delle corna di muflone (a cui si attribuiva un particolare potere contro il malocchio). I muri, composti da pietre cementate con il fango, venivano rinforzati con travi di legno fissate da chiavi ugualmente di legno (gradualmente sostituito con il ferro). L'apertura delle finestre era piccola, ed era sostenuta da un architrave ligneo. Nei muri esterni era possibile trovare dei ganci in pietra (poi sostituiti da quelli in ferro), utili per legare gli animali. I muri interni potevano essere intonacati con calce mista a sabbia. Il tetto poteva essere a uno o a due spioventi, ed era retto da travi di legno su cui poggiavano reticolati di canne, ricoperti infine dalle tegole. L'acqua piovana, non intubata, si riversava dai canaletti del tetto direttamente sulle strade e sui cortili interni, da dove si incanalava in canali di pietra ("sas coras"), che spesso passavano sotto il pavimento della casa e traboccavano, creando grandi disagi. Dal momento che questi canali raccoglievano le acque piovane di più case, erano anche spesso motivo di discordia tra vicini. 

Gli ambienti

Questa primitiva abitazione comprendeva pochi ambienti: l'ingresso, la cucina, la camera da letto. Nell'ingresso, il cui pavimento era in terra battuta (un po' come tutto il resto della casa, d'altronde), c'era "su laccu de sas broccas", una nicchia nel muro dove si riponevano le brocche di terracotta contenenti acqua potabile, coperte con un telo di lino per proteggere l'acqua dalla polvere e dagli insetti. Al centro della cucina c'era il focolare, che era semplicemente un rettangolo infossato qualche centimetro nel pavimento, che sarebbe potuto essere anche rivestito con lastre di pietra. Data l'assenza della canna fumaria, il fumo si spandeva liberamente e fuoriusciva dal tetto di canne o dalle finestre, motivo per cui le pareti erano spesso annerite dal fumo. Sempre nella cucina si trovava il forno, composto da una base rettangolare o quadrata sormontata da una cupola. Era costruito con pezzi di tegola cementati con fango, mentre il piano di cottura era di terra battuta. L'apertura del forno era sempre all'interno della casa, mentre il resto della costruzione poteva essere anche esterna. Le case potevano avere annesso un cortiletto con una capanna per il ricovero degli animali, ove si trovavano le mangiatoie per porci, cavalli e asini, mentre le galline si appollaiavano nella cosiddetta "cannitta de sas puddas". Se nella casa era assente quest'ambiente, gli animali trovavano ricovero dentro casa, all'ingresso. Nelle case antiche potevano essere presenti anche dei rudimentali servizi igienici, costituiti da una struttura in muratura alta circa 40 cm; avevano un buco centrale comunicante con un pozzo morto, sistemato in un angolo riparato, anche nell'ingresso. Le persone che non possedevano servizi igienici erano costrette ad andare nella periferia del paese o in aperta campagna. Le porte e le finestre erano di legno massiccio ed erano piuttosto piccole. Nella porta d'ingresso vi era uno sportellino attraverso il quale, uscendo, si potevano sistemare i ganci che chiudevano la porta, mentre per ultimo veniva chiuso lo sportellino, che aveva invece la serratura. Questo serviva anche per far entrare la luce o come spioncino. La cornice delle porte interne, il cosiddetto coprifilo, sporgeva di qualche centimetro, formando una base d'appoggio, detta ''sa cimprana de sa gianna", che veniva utilizzata per riporre la frutta, utilizzata come profumatore dell'ambiente. Le finestre, anch'esse in legno, erano o a un'anta con un'apertura di varia forma al centro o a due ante con sportelli. Nei punti più alti delle abitazioni era possibile ricavare uno spazio adibito a soppalco o a ripostiglio, costruendo una sorta di soppalco in legno. Era possibile accedere a quest'ambiente attraverso una scala in legno. Di particolare interesse sono quelli a cassettoni, ben più recenti rispetto ai precedenti.

L'arredamento

All'ingresso dell'abitazione era possibile trovare cassapanche in legno di quercia o castagno che potevano essere semplici o intarsiate. Al loro interno venivano riposti corredi e vestiti, specialmente quelli festivi. Le sedie erano di legno o "de uda" (un'erba lacustre, la tifa), che cresceva in "'sas benazzas"' (luoghi acquitrinosi). Alle pareti della cucina erano appesi vari utensili: taglieri e mestoli di legno, pentole di terracotta o rame. I piatti venivano riposti in cesti di canne o in un piccolo scaffale attaccato al muro. Periodicamente gli utensili da cucina venivano sterilizzati e puliti con la lisciva, con la quale si disinfettava anche il bucato. Completavano l'arredo della cucina un piccolo tavolo, panche di legno addossate alle pareti (perlopiù vicino al fuoco) e sgabelli in sughero. C'era inoltre "sa mesa de suighere", un tavolo lungo circa due metri, dove si lavorava il pane. I cibi venivano cotti sul fuoco, poggiando le pentole sui treppiedi di ferro, oppure costruiti in muratura. La camera da letto era arredata con un letto di legno, comodini di legno, quadri rappresentanti immagini sacre e il Crocifisso. Talvolta era possibile trovare l'acquasantiera. Un altro oggetto di arredamento era "su caddu 'e samunare" in legno (più tardi in ferro laccato) che reggeva il catino e il boccale in terracotta. Molto spesso nella camera da letto, oltre al letto matrimoniale, c'erano anche i letti degli altri familiari ("su canapè") e il cosiddetto "s'ischiu" per i piccoli. I più fortunati avevano "su cantaranu", un mobile a due ante con un cassetto in alto, successivamente arricchito da un ripiano in marmo e da uno specchio.

Una cassapanca tarsiata

L'EVOLUZIONE DELLA CASA SCANESE

Descrizione generale

Passò molto tempo prima che si materializzasse un'evoluzione nella costruzione della casa. Mentre in altre zone erano conosciute nuove tecniche, a Scano le innovazioni penetrarono molto lentamente, con la sostituzione progressiva dei materiali da costruzione: al posto del legno venne utilizzata la pietra ben squadrata e il ferro. Si lavorava la pietra arenaria di varie qualità ("sa pedra piccada"), che veniva utilizzata per le scale, per i davanzali, per le soglie, per i pilastri e per gli angoli delle costruzioni e per i pavimenti "a pezzaria" (a lastroni di pietra).

Gradualmente si passa alla lavorazione del basalto, pietra più dura (di cui il nostro territorio è ricco) che richiede migliori attrezzature, e a "sa pedra baìna" (ardesia), importata dalla città di Lavagna in Liguria, e impiegata per la costruzione dei gradini delle scale interne. Il ferro sostituiva il legname nelle travi di sostegno dei muri e nelle architravi di porte e finestre. La casa può essere ora a due piani, con il solaio fatto a "tauladu" (tavolato), sostenuto da grosse travi di legno, dette "sas bigas". La costruzione della volta di pietra è piuttosto recente (1800 circa). Le prime volte furono a botte. La realizzazione dei primi archi della volta era piuttosto problematica e singolare: si sistemava una catasta di fascine di legna in modo che sostenesse la struttura della volta, che veniva avviata dai lati con la sistemazione di pietre squadrate. Per ultima si sistemava la pietra centrale che era la chiave di volta. Successivamente si costruirono le volte a vela e a crociera (sempre in pietra). Il tetto, sino a tempi recentissimi, continuò a essere costituito da una travatura in legno e canne intrecciate ricoperta da tegole, che inizialmente venivano acquistate nel Campidano. Venne perfezionata anche la costruzione delle fondamenta e dei muri, utilizzando non più pietrame scadente ma pietre ben lavorate. Le fondamenta, in un terreno poco stabile, venivano rinforzate con pali di legno infissi nel terreno. I muri venivano intonacati con calce aerea mista a sabbia e imbiancati con la calce ("calchina"). Nella costruzione dei vani delle porte e delle finestre si introduce l'uso dell'arco, che però poggiava su un'architrave, per sostenere il peso del muro. Le facciate delle case vengono arricchite con balconi ("passizeris") più o meno decorativi, con base in ardesia (successivamente in marmo) poggiante su struttura in pietra o in ferro (''sos binarios"). 

Gli ambienti

La casa diventa più spaziosa, con un maggior numero di camere da letto, la soffitta dove si riponevano i raccolti, una dispensa, ricavata nel sottoscala, la cantina ("su comasinu") dove, oltre al vino e all'olio, venivano poste le carni, le conserve (lardo, insaccati, ecc.) e il formaggio. La cucina diventa un ambiente più accogliente. Si diffondono i fornelli ("sos furreddos") in pietra, per cucinare, mentre in "su foghilare" si arrostisce la carne con "sa cadriga" (la griglia) e "su sazzu" (lo spiedo). Inoltre si cominciano a costruire i caminetti con la canna fumaria, detta "sa zeminera". Quando non si avevano i mattoni, si costruiva il caminetto con un reticolato di canne intonacato con calce e sabbia sia internamente che esternamente. Le porte e le finestre continuano a essere in legno. Solo recentemente si ha l'introduzione del sopraluce nelle porte d'ingresso e delle inferriate nelle finestre a pianterreno.

L'arredamento

Anche l'arredamento della casa subisce un'evoluzione, non tanto per gli elementi che lo costituiscono, quanto per i materiali che vengono usati per la loro fabbricazione. Si ha infatti l'introduzione del ferro battuto che si accompagna al legno nella costruzione del letto "de piazza e mesa", del "canapè", de "su caddu 'e samunare". Tuttora sono conservate quasi in ogni casa le testate dei letti in ferro, finemente decorate con medaglioni in rilievo rappresentanti immagini sacre, motivi floreali o paesaggistici e arricchite di intarsi in madreperla. Nella camera da letto compare un elemento nuovo: la "pettiniera", un piccolo mobile con ripiano in marmo e specchio più o meno grande. Verso la fine dell'800 o i primi del '900 nella camera da letto, al posto de "'su cantaranu", si introduce l'armadio a due ante. Nelle case più ampie e ricche si poteva trovare un nuovo ambiente adibito a ricevere gli ospiti, il cui arredo è costituito da una credenza in legno, con vetrina, un angoliera in legno e un divano-canapè in ferro, non ancora con la rete ma con le molle in metallo, e le sedie di Vienna.

Antico letto

"Su caddu 'e samunare"

Particolare del comodino

SAS PINNETTAS

L'origine delle pinnettas è strettamente legata alla necessità dei pastori. Questi, a Scano, non praticavano grandi transumanze, bensì compivano spostamenti solamente a breve raggio, soprattutto a causa della particolarità dell'ambiente. Di conseguenza, il pastore ha sempre avuto la possibilità di rientrare a casa con una certa frequenza. Se questo non accadeva, il motivo era da ricercare nella necessità di fare la guardia agli animali, in un periodo in cui i furti (di cui venivano accusati perlopiù agli abitanti dei centri vicini, come Sagama, Suni e Sindia, ma anche "sos montagninos", che popolavano il vicino monte di Sant'Antonio di Macomer) si svolgevano praticamente quotidianamente. Oltre a ciò, si univa anche il pericolo che alcuni animali selvatici (come le volpi) potessero danneggiare gli agnelli. Il pastore aveva generalmente a disposizione due tipi differenti di pinnettas: uno che doveva servirgli come ricovero estivo, e un altro come rifugio invernale. Logicamente, quest'ultimo doveva essere realizzato in maniera tale da risultare abbastanza solido e resistente, in quanto destinato a sopportare le intemperie della stagione invernale. Poteva capitare che, approfittando del gran numero di nuraghi presenti nella nostra zona, molti scegliessero di adibirli a pinnettas, sfruttandone i muri perimetrali e costruendovi un tetto di frasche ricoperte con terra e tegole, nel caso in cui l'originario dovesse essere crollato. In altri casi, invece, la pinnetta veniva edificata da zero, preoccupandosi di piazzarla in una posizione da cui poter godere di una buona visuale, e che allo stesso tempo risultasse riparata dai venti. Tra questi è da menzionare in particolare la tramontana, che d'inverno è molto fredda. Secondo le testimonianze degli anziani, le pinnettas più antiche avevano una base circolare con un diametro di circa tre metri, i muri costruiti a secco, la copertura ottenuta mediante una falsa volta e realizzata con la sovrapposizione delle pietre, disposte in modo tale da scaricare il peso in verticale, le une sulle altre. In un periodo successivo se ne fabbricarono anche a base rettangolare, delle dimensioni di circa sei metri quadrati. In questo caso il tetto era generalmente realizzato mediante un primo livello di copertura ottenuto con fronde, possibilmente di leccio, private delle foglie e disposte in modo tale da risultare praticamente intrecciate tra loro. Queste venivano fissate sul limite superiore dei muri (alti circa 2 metri) curandosi di inserirne le estremità tra le pietre. Successivamente si versava su queste uno strato di terra in zolle, che doveva servire per isolare la struttura dal freddo. Il tutto veniva ricoperto con le tegole, sulle quali si posizionavano infine delle grosse pietre per evitare che la furia del vento e dei temporali portasse via tale impalcatura. In molti casi, il tetto era invece realizzato con il sughero, tagliato in modo tale da formare dei fogli che venivano disposti in uno o due spioventi, e sormontato da una buona quantità di pietre. Il pavimento di tali costruzioni era in terra battuta e presentava in direzione della porta (costruita con tavole in legno) uno spazio di forma circolare delimitato da una successione di pietre, all'interno del quale si accendeva il fuoco, il cui fumo fuoriusciva unicamente dalle fessure del tetto e del muro dal momento che non vi erano neppure finestre.  In esse il pastore trascorreva la notte, adagiato su uno strato di frasche o paglia, a volte ricoperto da "sa pedde 'e sedda" (una pelle di agnello conciata) e completamente avvolto in "su cobbanu 'e fresi" (un lungo cappotto in orbace). Come unica forma di arredamento in un ambiente così angusto si potevano intravedere solamente alcuni utensili necessari alla sua attività, come "sa lama 'e mulghere" (una sorta di secchio di latta impiegato per la mungitura), delle brocche (anch'esse di latta) per il trasporto del latte in paese, le bisacce, le funi, la sella dell'asino, qualche recipiente in sughero contenente esigue provviste di cibo e, non di rado, degli attrezzi di campagna come la roncola e la zappa, che poteva impiegare nel caso in cui avesse coltivato in un piccolo tratto di terreno vicino alla pinnetta un po' di patate, fave e piselli, sfruttando come concime il letame delle pecore. Per quanto riguarda le pinnette primaverili ed estive, possiamo dire che erano ben più precarie delle altre, e che avevano bisogno d'essere rinnovate di anno in anno. Nella loro costruzione, in primo luogo si procedeva con il disporre delle pietre nello spazio limitare designato, in modo tale da formare una sorta di muricciolo alto circa trenta centimetri nel quale venivano fissati due rami di legno nella parte anteriore che, partendo dai due angoli della base (generalmente di forma rettangolare), venivano fatti convergere nelle estremità superiori e legati con rovi secchi. Allo stesso modo, altri due rami simili ai precedenti, di uguali dimensioni, venivano fissati nella parte posteriore. A tal punto si procedeva sistemando un bastone in orizzontale da un colmo all'altro e disponendone degli altri paralleli e perpendicolari rispetto a questo, così da ottenere una struttura portante avente una forma abbastanza simile a quella di una capanna. Quest'incrocio di rami era poi ricoperto con frasche di leccio, mirto, e zolle di terra, che dovevano rendere tale costruzione più compatta. Vi si potevano disporre come copertura anche dei fogli di sughero. La porta di queste pinnette era formata da una fascina di legna o preferibilmente di sarmento, semplicemente appoggiata sull'apertura.

Foto di una "pinnetta" in bianco e nero

L'ARCHITETTURA DELL'ACQUA

Tra le varie cose, l'abitato di Scano è noto anche per l'elevata presenza di falde acquifere e corsi d'acqua (generalmente a carattere torrentizio), cosa che gli è valso l'appellativo di "paese dell'acqua". Indubbiamente, questa particolarità del borgo montiferrino si è manifestata anche nella sua architettura in diversi modi. L'esempio più lampante è l'elevato numero di fontane presente nel suolo scanese, la cui costruzione risale generalmente a tempi decisamente non recenti (a eccezione delle fontanelle moderne in metallo). Di particolare interesse è la fontana presente in piazza Regina Elena (nota, per l'appunto, come "piazza Fontana"). Questa è di trachite rosa e risale alla seconda metà dell'Ottocento, ovvero al periodo sabaudo. Questo monumento è la prova tangibile di quanto l'acqua sia sempre stata al centro di diverse diatribe politiche: infatti, secondo un documento datato 1856, sebbene in un primo momento l'amministrazione del tempo, guidata da Giommaria Pisanu, avesse spinto tanto per la realizzazione di un'opera largamente richiesta dalla popolazione, in un secondo momento si è vista riluttante dal dare il via ai lavori, quasi mettendo in discussione l'utilità di tale struttura. Un altro tipo di struttura legato all'acqua è l'abbeveratoio, il cui tipico "habitat" è certamente la campagna, dal momento che rappresenta il luogo in cui i pastori portano gli animali per abbeverarsi durante gli spostamenti, ma anche una "sicurezza" per l'uomo, che ha sempre garantita un'acqua fresca e potabile. Possiamo sostanzialmente riconoscere diverse tipologie di abbeveratoi: uno più semplice, formato da una sola vasca contenente l'acqua, che sgorga direttamente da una tubatura; uno di dimensioni maggiori, formato da almeno due vasche disposte su altezze diverse; uno più articolato che, oltre a contenere le due vasche, include anche una zona rialzata posteriormente ad esse, da cui è possibile abbeverarsi agevolmente anche per le persone. Con l'espandersi del paese a partire dal secondo dopoguerra, questo è arrivato a includere alcuni di questi abbeveratoi all'interno dei propri confini urbani: basti pensare ai due abbeveratoi presenti nella parte alta di S'Iscala 'e Sa Corte, o a quello presente a Ladaralzos, oramai sormontato dalla strada, quindi nascosto e non facilmente accessibile. Ultimi, ma non per importanza, sono gli abbeveratoi di Funtana Etza (posto al di sotto de sa Carrela Manna), la fontana "Tacaluboe" (prospicente all'oratorio delle Anime), quello posto a Rioro, all'uscita del paese in direzione di Cuglieri e quello posto in piazza Eleonora. Una tra le strutture più rappresentative dell'architettura dell'acqua a Scano è l'antico lavatoio comunale, sito nel colle di Montrigu 'e Reos ed eretto alla fine dell'Ottocento. Qui i panni sporchi, riposti in "sas goffas" (grandi cesti in canne fabbricati anche a Scano) venivano portati in una vasca racchiusa all'interno di una grande struttura a base rettangolare (oppure nei ruscelli prospicienti al paese), con grandi arcate su tutti i lati e sormontata da un tetto a capanna, adibita a lavatoio pubblico e chiamata appunto "su Samunadolzu". Nei primi del Novecento, a causa della diffusione della tubercolosi e di altre epidemie, il lavatoio venne chiuso per evitare il contagio. Negli anni '30 tale struttura, con le debite modifiche, fu adattata a mattatoio e impiegata come tale per alcuni decenni. Di recente è stato restaurato nell'assoluto rispetto dell'aspetto originario. In conclusione, l'ennesima testimonianza della ricchezza di Scano dal punto di vista della disponibilità d'acqua è la presenza di alcuni pozzi all'interno del suolo comunale, tra i quali ricordiamo quelli posti in largo Piludu e piazza Vassallu, che si trovano in corrispondenza di vecchi fiumi sotterranei.

Fontana in piazza Regina Elena

Funtana 'etza

Funtana Tacaluboe

Fontana in piazza Eleonora

Vista interna dell'ex lavatoio comunale

LE VIE DI COMUNICAZIONE

Come possiamo ben notare, Scano non è certamente un centro di pianura, bensì si trova in parte arroccato nel colle di Santa Croce, di San Giorgio, di Iscala Rugia e Monte Ruinas, cosa che gli conferisce le tipiche caratteristiche di un paese di montagna, con notevoli pendii e strade irregolari e strette. A riguardo, ci giungono informazioni dal passato, che descrivono i rioni come "irregolari in direzione e in larghezza, immondi per gli animali domestici e principalmente per i maiali che si portano nel villaggio durante la notte per evitare i ladri. Nella estate sussistono ancora qua e là dei ristagni che esalano un fetore intollerabile" (adattato da il "Dizionario" del Casalis). Secondo altri storici che avevano visitato Scano, le strade venivano descritte come "mal selciate, fangose d'inverno e sporche durante tutte le stagioni", a causa della presenza di animali legati o liberi di vagare per il paese. I lavori di manutenzione delle strade iniziano solo nel 1874, quando furono costruite a "impedradu", ovvero un selciato di pietre silicee di basalto molto duro. Queste pietre venivano incastrate nel terreno e fissate battendole con dei grossi martelli in legno per essere infine ricoperte con polvere e fango. Alcune di queste vie sono state realizzate in pietra di granito, e queste possono essere ancora oggi individuate in strade di campagna, ove è possibile osservare le tracce lasciate dalle ruote dei carri. Purtroppo, all'interno del paese non sono più visibili, perché a partire dal 1976 sono state tutte ricoperte dal cemento o dall'asfalto. Ad oggi restano solo due vie caratteristiche in basalto: vico I Turre (visibile nella foto di copertina) e vico Martini, che mantengono l'essenza ottocentesca e novecentesca del paese. Per strada si vedevano scorrazzare le galline, allevate in ogni casa per la provvista di uova e carne da cucinare in occasione delle feste. Queste venivano tenute libere durante il giorno e ritirate per la notte dentro l'abitazione o in qualche piccolo cortile interno. Dal momento che non esisteva il servizio pubblico di nettezza urbana, le strade si sporcavano con molta facilità anche per via delle numerose attività che vi si svolgevano. Ad ogni modo, ciascuna famiglia doveva provvedere alla pulizia della via su cui si affacciava la propria abitazione, attività resa obbligatoria in base ad alcune ordinanze comunali. Oggi le vie del paese, tenendo conto del progredire dei tempi, non appaiono molto più ordinate che in passato, spesso cosparse di buche derivate dalla scrostatura dell'asfalto, che in inverno si possono trasformare in profonde pozzanghere. In questi ultimi anni è però comparsa la tendenza a sostituire l'asfalto con il ciottolato, allo scopo di abbellire alcune zone caratteristiche del centro storico (per quanto, in realtà, questo ciottolato moderno non abbia nulla in comune con quello tipico ottocentesco di Scano. Unica eccezione è il ciottolato di via Manno, che è stato ricostruito in una maniera abbastanza simile a quella originale).

Fonti:

"Scano Montiferro - Ambiente - Storia - Tradizioni" a cura delle Scuole Medie di Scano Montiferro - Anno scolastico 1987-1988;

"Scano di Montiferro - Realtà e Prospettive" di Maddalena Dettori.