ALIMENTAZIONE STORICA

L'ALIMENTAZIONE NELLA PRIMA METÀ DEL NOVECENTO

L'economia del centro montiferrino è stata da sempre legata a un ambito prettamente agropastorale, elemento che si riflette profondamente nell'alimentazione locale. Questa era prevalentemente costituita da vegetali, pane, ortaggi, grassi animali e la carne, alimento di lusso che veniva principalmente consumato durante i giorni festivi.

Il pane

L'alimento di base era il pane e la sua confezione era considerata una vera e propria arte, tipica della popolazione femminile. Infatti, presso le famiglie scanesi veniva confezionato in maniera rigorosa. Doveva presentare una buona cottura e lievitazione, che era pure oggetto di critica e di valutazione delle capacità della padrona di casa. Esistevano due tipologie di pane: quello di pasta dura e di pasta soffice. La sua forma variava in base alle famiglie e alla ricorrenza: nelle famiglie meno abbienti, il pane veniva modellato seguendo semplici forme; nelle famiglie agiate, grazie all'aiuto fornito dalla servitù, questo assumeva forme più elaborate. Il pane d'orzo, sebbene fosse soffice e profumato mentre era appena sfornato, si induriva velocemente, e per essere reso commestibile più a lungo veniva bagnato nell'acqua, nel latte e nel vino. Questo pane era generalmente destinato ai più poveri. Il pane di grano e di farina depurata era destinato alle famiglie signorili, mentre i pastori e i contadini lo consumavano solo durante feste e cerimonie. In generale, il pane veniva preparato una sola volta a settimana, e dal momento che dopo 5/6 giorni questo era ormai duro, venivano realizzati piatti a base di pane raffermo: veniva abbrustolito, con formaggio grattugiato, bagnato con il latte o con il vino, poi nell'uovo sbattuto e infine fritto (pane doradu). Il pane veniva spesso accompagnato con dei companatici, che potevano spaziare dal classico formaggio alla salsiccia, dal lardo alla cipolla, dalle olive ai pomodori. Molto spesso, il pane e il suo companatico rappresentavano il pasto vero e proprio (vedi sotto la preparazione del pane tradizionale).

I legumi e gli ortaggi

I legumi erano il principale piatto invernale. Quelli più consumati erano fagioli, ceci, piselli e fave secche, che venivano coltivati in piccoli orti familiari in prossimità di corsi d'acqua. I fagioli venivano raccolti all'inizio dell'autunno, venivano essiccati e poi conservati come provvista per l'inverno. I pomodori potevano venire consumati freschi nell'insalata, fatti essiccare al sole con il sale oppure, a fine stagione, venivano trasformati in conserva e messi sottolio, di modo da poter essere utilizzati durante il periodo invernale. Erano vastamente presenti anche le cipolle, piantate in grandi quantità in vista della stagione invernale. Queste erano generalmente considerate il companatico dei poveri. I legumi essiccati, venivano consumati preferibilmente d'inverno in quanto ricchi di proteine.

Il ruolo della gallina

Nell'alimentazione delle famiglie scanesi, la gallina ha da sempre ricoperto un ruolo importante. Le uova erano molto apprezzate e la stessa gallina ripiena era considerata una vera e propria specialità. Il suo ripieno veniva ottenuto utilizzando uova, pane grattugiato, formaggio e il suo stesso fegato. Con tutti questi ingredienti, la gallina poteva quindi essere farcita. Veniva poi legata con lo spago, per poi essere bollita, rosolata e lasciata cuocere nel sugo.

Il formaggio

Il formaggio, perlopiù secco e stagionato, era uno dei principali companatici.  Era generalmente consumato in piccole dosi, se comparato con la quantità di pane (vedi sotto la preparazione de su casizolu).

Il pesce

Il pesce fresco giungeva a Scano da Bosa e veniva trasportato utilizzando i cavalli. Il pescivendolo arrivava sino all'ingresso del paese, dove iniziava a urlare, avvisando i cittadini della sua presenza. Egli portava generalmente sardine e altri pesci decisamente economici. Le sorgenti di Sant'Antioco, a pochi chilometri dal paese, erano molto pescose, e gli scanesi vi si recavano spesso per rifornirsi di trote e anguille, esattamente come accadeva per il Riu Mannu.

La frutta

La frutta non era sempre presente a tavola e si mangiava solamente nel periodo in cui questa era prodotta. I fichi, per fare un esempio, venivano fatti essiccare, per poi essere conservati in un cestino di foglie. Con la rafia e con rami secchi si costruiva un cesto, che veniva ricoperto con diversi strati di foglie di fico. Era frequente che le donne preparassero marmellate di fichi. Questi venivano sbucciati, tagliati a pezzi, per poi essere messi sul fuoco dentro a un recipiente in rame. Infine, il prodotto veniva filtrato e il succo veniva fatto cuocere sino a che non si sarebbe addensato.

Il latte

Il consumo di latte fresco era generalmente limitato, dal momento che questo era destinato alla produzione del formaggio, della ricotta, generalmente impiegati per preparare i ravioli, le formaggelle etc...

La zuppa di legumi

I PASTI ABITUALI, LA LORO ORGANIZZAZIONE E LA LORO PREPARAZIONE

I pasti abituali della giornata non erano molto diversi da quelli attuali: colazione, pranzo e cena. La merenda era consentita ai più piccoli, e gli spuntini venivano consumati solamente in determinate occasioni, come ad esempio sul posto di lavoro. 

La colazione

La colazione aveva luogo prestissimo ed era composta da del latte e del caffè, pane fresco o abbrustolito. Questo caffè (solo di nome), veniva ottenuto dall'orzo o dalle ghiande tostate, poiché non veniva ancora importato quello "originale". Tuttavia, la colazione dei pastori era decisamente più abbondante: venivano spesso consumati gli avanzi della cena precedente, a cui talvolta si aggiungevano salsicce, uova fritte, lardo arrostito, pane con formaggio, olive e cipolle.

Il pranzo

Il pranzo si svolgeva tra mezzogiorno e l'una e consisteva in un unico piatto caldo a base di zuppe di verdure, ortaggi e legumi. Il pane, come già accennato nella sezione precedente ("L'alimentazione nella prima metà del Novecento"), era l'elemento costitutivo di ogni pasto e serviva per impreziosirne i sapori, oltre che per renderne la porzione più abbondante. La frutta che veniva consumata era generalmente quella di stagione, prodotta nel proprio orto o nelle vigne, dove si piantavano peschi, ciliegi, meli e peri per soddisfare il fabbisogno familiare. Oltre che questa frutta, venivano consumati anche prodotti spontanei come il pero selvatico, il corbezzolo, le more e il fico d'India. Ovviamente, l'organizzazione dei pasti era strettamente legata agli impegni del lavoratore, per cui, chi lavorava in campagna, era solito consumare pasti non cucinati a mezzogiorno, rendendo la cena il pasto più importante della giornata.

La cena

La cena si svolgeva relativamente presto ed era in genere il momento di incontro per la famiglia. A cena si era soliti mangiare quanto avanzava dal pranzo, oppure si sarebbe potuta cucinare qualche pietanza particolare per il capofamiglia, di ritorno dalla sua giornata di lavoro. Nel periodo della mietitura, coloro che rimanevano a dormire in campagna portavano con sé delle pietanze che sarebbero potute essere consumate pure se fredde. Chi aveva mucche e pecore, si preparava la cena da sé mungendo del latte in un recipiente, a cui avrebbe aggiunto la cipolla, di modo da farlo insaporire.

Organizzazione

A preparare i pasti erano principalmente le donne che, non sentendosi affatto contadine, erano maggiormente attratte dalla dimensione urbana, dedicando molto tempo ai lavori domestici. L'unica cosa che veniva preparata dal capofamiglia erano gli arrosti, di cui curava pure la selezione. Di solito, il primo a dover essere servito doveva essere lo stesso capofamiglia mentre, se vi erano presenti anziani, bambini, malati o ospiti, questi avevano la precedenza sul resto della famiglia. Poteva capitare che i coniugi mangiassero dallo stesso piatto, oppure che i bambini mangiassero su un piatto poggiato su uno sgabello. Tuttavia, in alcune occasioni era possibile vedere uomini e donne consumare i pasti separatamente, a causa delle diverse mansioni che venivano svolte. Quando il capofamiglia era assente, i pasti erano più frugali e veloci, dal momento che maggiori cure venivano destinate ai pasti consumati tutti assieme. Nella maggior parte delle famiglie era consuetudine aspettare che tutti venissero serviti, fare il segno della Croce, augurare buon appetito a tutti i commensali per poi iniziare a mangiare. Il fatto di compiere un segno della Croce (talvolta seguito da una piccola preghiera), indica il profondo legame che gli uomini del tempo avevano nei confronti di tutto ciò che è sacro. A tal proposito, il pane stesso era considerato "sacro", tanto che era vietato sprecarlo e, quando ne cadeva anche un piccolo pezzetto, lo si raccoglieva, lo si baciava e lo si mangiava. In linea di massima, quando si parla di cibo è sempre da ricordare che gli uomini avevano un trattamento di favore, avendo le porzioni più abbondanti. Un trattamento speciale era dedicato agli ospiti, ai quali il capofamiglia indicava, ad esempio, i bocconi di carne più buoni.

I PASTI DURANTE LE RICORRENZE

Se l'alimentazione della vita quotidiana era caratterizzata da cibi semplici e poco vari, in occasione delle varie ricorrenze i cibi venivano scelti in base a una particolare simbologia (guardando per esempio alla forma o agli ingredienti che li componevano). Queste occasioni erano certamente un'opportunità per far rivivere il senso di appartenenza alla comunità, dal momento che era frequente che le famiglie collaborassero tra loro nella preparazione di diversi pasti "speciali", appositi per la ricorrenza.

Il Battesimo

La nascita di un figlio, si sa, è un evento importantissimo per la vita di un genitore e, specialmente in passato, questo era accompagnato da un rito molto diverso da quello attuale. Subito dopo la nascita, la partoriente era tenuta a osservare un periodo di 8 giorni di riposo a letto, durante i quali si sarebbe dovuta nutrire con carne e brodo di pollo, di modo da riprendersi in fretta. Trascorso questo periodo, si doveva iniziare a pensare alla cerimonia del Battesimo. In seguito alla cerimonia, seguiva un invito a casa del neobattezzato, a base di dolci tradizionali: biscotti, amaretti, sospiri, vino (bianco e nero) e vari liquori. Anche i padrini dovevano ricambiare, per cui l'invito si spostava nelle loro case. Come regalo di Battesimo, i padrini donavano alla famiglia del bambino 25 chili di grano, qualche forma di formaggio e qualche fiasco di vino. Il grano era simbolo di lunga vita e abbondanza, ma fungeva anche da mezzo di difesa contro la sventura. Infine, i genitori si preoccupavano di ricompensare il sacerdote, donando prodotti quali il pane, agnelli, galline e qualche dolce.

Il matrimonio

I preparativi per la cerimonia del matrimonio erano molto lunghi e faticosi, regolati da convenzioni molto rigide. La notte prima della cerimonia si era soliti riunire familiari e amici per una cena a base di "sambenes", ovvero la pancia della pecora ripiena e di "coldas", le trecce fatte con le viscere dell'agnello della pecora. Sempre il giorno precedente alle nozze si preparava il cosiddetto "pane degli sposi", un pane speciale guarnito con rami di pervinche. Si preparava inoltre un pane augurale rotondo, "sa rosa", che gli sposi tenevano appeso al muro anche per molti anni, in ricordo delle loro nozze. Il pranzo del matrimonio era ricco e vario e, come ai giorni d'oggi, si suddivideva in più "fasi". Gli antipasti erano tipici e prodotti in casa: si parlava di prosciutto, coppa, salame e olive conservate. Il primo (piatto) era solitamente costituito da pasta fresca fatta in casa con il ragù, ma anche dal timballo di riso ripieno di carne, un piatto molto elaborato e la cui composizione verrà meglio spiegata in "Gastronomia scanese". Il secondo era costituito da carne arrosto di maialetto o di agnello. Il contorno era costituito da insalata o verdure fresche. Il formaggio era immancabile, sempre di produzione locale: basti pensare al caciocavallo ("casizolu") e al pecorino ("pilottu"). Il pranzo si chiudeva poi con il caffè, preparato in grandi quantità dal giorno prima. Talvolta, a fine pasto era possibile trovare sa "timballa 'e latte", fatta con latte, uova, limone grattugiato, zucchero, una tazzina di caffè e un pizzico di cannella. Ai tempi, il pranzo nuziale non terminava con la classica torta, in quanto i dolci venivano già abbondantemente distribuiti durante la mattina.

La morte

Persino la morte aveva dei rituali alimentari ad essa legati. Alla morte del defunto tutte le attività familiari venivano sospese, persino la preparazione dei pasti. Per questo motivo erano proprio i vicini a doversi fare carico di questo problema. Questo era un modo per ridurre gli impegni della famiglia in lutto, ma anche per onorare la posizione gerarchica del defunto: la sua posizione sociale era correlata al numero di pranzi che venivano ricevuti, ma anche dal numero di persone a cui venivano offerte delle cene "per l'anima del defunto". Gli amici più stretti portavano alla famiglia in lutto la colazione (caffè, biscotti etc), ma anche un pranzo abbondante, di modo che fosse sufficiente anche per la cena. Nei giorni successivi al funerale, i familiari del defunto regalavano alle famiglie più bisognose, una volta a settimana per un anno intero, un piatto di pastasciutta e qualche fiasco d'olio, sostituibili da formaggio e pane. Quando i familiari uscivano di casa per portare questa cena, erano soliti accendere una candela in segno di fede. Per la Commemorazione dei defunti si era soliti apparecchiare accuratamente il "tavolo per i morti" con una tovaglia bianca, una bottiglia di vino e una di acqua, un pane speciale preparato per l'occasione, un pezzo di formaggio, dolci, un vaso di fiori e lumicini. Tutto ciò sarebbe poi venuto consumato la giornata seguente dai familiari. Le persone più benestanti, al posto di fare il tavolo dei morti erano solite donare ai più poveri, in cambio di preghiere, il pane speciale che era stato preparato per l'occasione, oltre che formaggio e altri cibi.

La Pasqua

Il periodo della Pasqua corrispondeva con il periodo di svezzamento degli agnelli, che rappresentavano un ricco dono per amici e parenti. L'agnello veniva spesso regalato vivo, a pochi giorni di vita. Tuttavia, se questo avesse dovuto rappresentare un dono più formale, l'agnello sarebbe dovuto essere ben preparato e ripulito accuratamente dagli intestini. La coratella veniva donata assieme all'agnello e veniva consumata fritta, oppure veniva confezionata "sa colda", la treccia cucinata in umido o arrosto (la stessa di cui si è parlato nella parte del Matrimonio). Un altro tipico dono pasquale era "s'aligu", simile a un pane dolce, il cui impasto base era simile a quello di una normale spianata (senza, però, né sale né lievito), fatto bollire insieme alla sapa, alla scorza d'arancio e all'anice stellato. Il tutto veniva poi steso su una lastra di marmo  e, una volta raffreddato, veniva tagliato in rombi. Veniva regalato ad amici e parenti dopo esser stato disposto su un vassoio assieme ai "pabassinos". Il regalo pasquale per eccellenza era però "su coccoi cun s'ou", generalmente donato ad amici, parenti e bambini (solitamente anche al parroco). Questo pane veniva decorato con un uovo crudo, postogli prima dell'infornata. Prima che la fase di cottura fosse ultimata, il pane veniva lucidato con spennellature di albume d'uovo o acqua tiepida.

La vendemmia

Durante la vendemmia era consuetudine regalare l'uva da tavola, prodotta nella vigna di proprietà. La vendemmia, che si svolgeva nel mese di ottobre, era un evento attesissimo, che si trasformava in un autentico giorno di festa. La giornata iniziava prestissimo e la colazione si consumava in vigna a spese del padrone che, in cambio dell'aiuto fornito, avrebbe dovuto offrire vino e cibo per tutti. Il pranzo si teneva in paese, e venivano invitati anche coloro che avevano aiutato al solo trasporto dell'uva dalla vigna alle mura domestiche. A pranzo, generalmente, si mangiava brodo o minestra con carne bollita e patate. Finiti i lavori di pigiatura, il mosto veniva messo a riposare 8 giorni. I grappoli più sani venivano appesi a coppie in lunghe pertiche, depositati in cantina di modo da essere tenuti al fresco e per conservarsi il più possibile (sino a Natale). Di questi, una certa quantità veniva trasformata in uva passa (utilizzata per produrre "sos pabassinos"), mentre la restante veniva distribuita. L'uva da regalare veniva disposta in piccole ceste, mentre i doni venivano portati dai membri giovani della famiglia che, in ringraziamento, ricevevano qualche piccolo regalo o una mancia.

La macellazione del maiale

Anche la macellazione del maiale diventava un lavoro collettivo, che si svolgeva in un clima festoso. Il primo giorno, quello della macellazione vera e propria, erano soprattutto gli uomini che svolgevano i lavori più faticosi, mentre le donne si occupavano di preparare gli utensili e disporre gli ambienti in cui dal giorno seguente si sarebbero svolte le operazioni per la conservazione della carne e del grasso. Ogni singola parte veniva ben lavorata di modo da ottenere il lardo che si conservava a lungo sotto sale, le salsicce (preparate con la carne grassa tagliata a pezzi) e i ciccioli (che venivano utilizzati nella preparazione di particolari focacce). I piedi, il muso, le orecchie e la coda del'animale si conservavano sotto sale ed erano utilizzati per la preparazione di un piatto tipico di Carnevale, detto "sa ladrina". Questi si cucinavano in brodo con prezzemolo e cipolla, si lasciavano raffreddare con l'aggiunta dell'aceto, fino ad ottenere una sostanza gelatinosa. Dallo schienale si ricavavano le costolette, le parti più pregiate del maiale e che venivano date in regalo ad amici, parenti e vicini in segno di amicizia.

La tosatura

La tosatura avveniva a fine primavera, ai primi giorni caldi di giugno, di modo che le pecore fossero in grado di affrontare il periodo estivo. Quest'operazione avveniva con l'utilizzo di forbici, e per essere conclusa aveva bisogno di una grande manodopera. La giornata iniziava dopo l'alba, e procedeva sino all'interruzione per il pranzo, che diventava un vero e proprio banchetto. Vi partecipavano anche le donne, che portavano da casa qualche pietanza pronta e il caffè, e aiutavano gli uomini a preparare la mensa. Normalmente si cucinava sul posto l'agnello arrosto, oppure la pecora bollita con cipolle e patate, il cui brodo si utilizzava per bagnarvi le fette di pane raffermo da servire in vassoi di sughero, con abbondante formaggio pecorino grattugiato.

Il pane preparato in occasione del matrimonio

Sos pabassinos antigos

Su coccoi cun s'ou

L'EVOLUZIONE DELL'ALIMENTAZIONE NELLA SECONDA METÀ DEL NOVECENTO

Con il passare del tempo, una serie di fenomeni (quali l'esodo dalle campagne, l'urbanizzazione, la globalizzazione, l'emancipazione della donna e il lavoro fuori casa) hanno determinato un radicale mutamento nelle abitudini alimentari dei sardi, in suddetto caso degli scanesi. Il pasto principale della giornata rimane la cena. Per quanto riguarda il pranzo, molto spesso la famiglia non è interamente riunita, per cui si ricorre a piatti che richiedono tempi di preparazione decisamente più brevi. Questo ha portato a un aumento dell'offerta di prodotti già pronti, venduti nei supermercati. Le ricorrenze vengono quasi sempre festeggiate fuori casa e, in generale, con il miglioramento del tenore di vita non si lavora più solamente per sfamarsi; ognuno può permettersi di portare avanti una buona alimentazione. Possiamo osservare due fenomeni in questo senso: la tendenza a rifiutare gli antichi piatti tradizionali e l'introduzione (a un livello popolare e non urbano) di prodotti di provenienza italiana continentale o estera.

Dalla minestra di verdure alla pasta

La diffusione del consumo della pasta a livello nazionale e in tutte le categorie, è un fenomeno abbastanza recente, concretizzatosi in Sardegna a partire dal secondo dopoguerra. L'affermazione della pasta è da collegarsi a un periodo di miglioramento generale delle condizioni di vita, ma anche con la crisi dell'agricoltura. Questo ha portato al rifiuto della tradizionale minestra di verdure e legumi, un piatto di lunga preparazione, maggior costo e che era collegato a un'idea di povertà che si stava andando a superare.

Il nuovo ruolo del pane

Il pane di grano costituisce sempre la base del regime alimentare, sebbene il modo in cui viene mangiato sia cambiato nel tempo. Il pane come pasto sul luogo di lavoro non è più sempre presente, e il consumo del panino imbottito è un'invenzione abbastanza recente. Generalmente, l'utilizzo di pane avanzato per altri piatti sembra essere regredito ma, da alcuni anni, l'utilizzo di pane non necessariamente avanzato è entrato nei menù di ristoranti tipici e agriturismi, basti pensare al pane frattau e al pane carasau.

Nuove bevande oltre al vino

Il vino ha da sempre occupato un posto speciale nelle tavole scanesi. Tuttavia, dagli anni '60 abbiamo osservato notevoli mutamenti per quanto riguarda il consumo di bevande: il vino continua ad essere la bevanda preferita, ma con il tempo gli si è affiancato il consumo della birra, pressoché sconosciuto sino ad allora. Inoltre, con la trasformazione delle bettole in bar, la proposta di bevande varie è notevolmente aumentata, e il consumo di alcolici tradizionali si mischia con quello di alcolici di importazione, quali il whisky. Anche il consumo della Coca-Cola si è affermato decisamente, anche come bevanda di fine pasto.

Mangiare fuori casa

Per molte persone, il mangiare fuori casa è strettamente in contrasto con la civiltà del mangiare in casa, come è sempre stato fatto tradizionalmente. Ebbene, indubbiamente anche questo fenomeno è un risultato del miglioramento del tenore di vita generale, e del desiderio di impiegare sempre meno tempo e fatica nei confronti della preparazione del cibo. Molto spesso, il mangiare fuori casa è anche legato alla curiosità di assaggiare cibi diversi da quelli legati alla quotidianità o che, per via della relativa complessità di preparazione, generalmente non vengono preparati in un ambiente domestico, permettendo così l'introduzione di questo nuovo approccio alimentare.

IL PANE TRADIZIONALE

Le qualità del pane tradizionale scanese sono: "su chivalzu" (pane soffice), "su zicchi" (pane duro, simile a su bistoccu), "su bistoccu", "su pane ladu" (quel pane che si gonfia dopo che viene messo dentro al forno). "Su chivalzu" viene preparato con il cruschello (vedi "La lavorazione della farina" qua sopra) e con il lievito sardo. Si impasta il cruschello e si aggiunge il lievito. Poi la pasta lavorata viene messa a lievitare in un recipiente di terracotta, coperta con un canestrino. Con la pasta, resa molle e filante, si preparano le forme: "sa tesa 'e chivalzu", una spianata con un foro al centro, cosparsa di fior di farina. Di solito si prepara nel periodo freddo. "Su zicchi" viene preparato con la semola e con il fior di farina. Il procedimento d'impastatura è uguale a quello de "su chivalzu": si mette in un recipiente di terracotta la quantità di farina che si intende utilizzare, poi si aggiunge acqua tiepida nella quale si fa sciogliere un po' di sale e si aggiunge il lievito. L'impasto ottenuto viene lavorato a mano su un tavolo di legno, "sa mesa 'e suighere", finché la pasta non diventa ben amalgamata. Ad un certo punto della lavorazione si aggiunge di tanto in tanto un po' di acqua tiepida, così che la pasta diventi più malleabile, e di modo che si possa accelerare la lavorazione. In seguito si procede a "nde lu pesare": si prendono piccoli pezzi di pasta e si preparano le forme: "tacchinos" (quel pane più "appuntito" e duro"), "palzidas", "crabolos" e vari tipi di "coccoisi" (il pane a spirale), specialmente nelle ricorrenze di festività, e "sa tesa 'e zicchi". Le forme ottenute, varie e più o meno elaborate in base alle circostanze e alla maestria delle massaie, vengono sistemate in un grande canestro di asfodelo ("su canisteddu") e coperte con una tovaglia di lino o di cotone e, a seconda della stagione, anche con qualche coperta per facilitare il processo di lievitazione. Intanto si prepara il forno (a legna), mettendo una quantità di legna da ardere sufficiente da riscaldare il forno ad una temperatura adatta. Il forno viene coperto con apposite scope di sambuco o di altre erbe resistenti, la brace viene sistemata all'imboccatura del forno e viene coperta con della cenere e una tegola. A questo punto, utilizzando la pala di legno, il pane viene sistemato dentro il forno per la cottura e il forno ovviamente si chiude. Infine, il pane cotto e croccante viene sistemato nel canestro, e serve di solito per una settimana tutta la famiglia. Questo ovviamente è riferito al passato, dal momento che ai nostri giorni la gente non prepara più il pane in casa, bensì in panificio. Durante i mesi estivi si preparano anche "su bistoccu" e "'su pane ladu". "Su bistoccu" si prepara con la stessa pasta de "su chivalzu": si fanno delle spianate di forma ovale e allungata che vengono bucherellate in tutta la superficie affinché non si gonfino. Dopo la cottura, la spianata viene divisa in due parti e rimessa al forno per farla tostare. "Su pane ladu" viene preparato con la pasta de "su zicchi": si fanno delle forme rotonde e sottili che, messe al forno, si gonfiano. Sia "su bistoccu" che "su pane ladu" si mangiano dopo essere stati inumiditi. Tra le forme particolari ritroviamo "sas ispoltas" e "sa rosa", che si preparano in occasione dei matrimoni.

Su chivalzu

SA PATATA DE MORO - UNA BIODIVERSITÀ SCANESE

Sa "patata de moro", tipica del territorio scanese, è un tubero che tutt'ora viene coltivato data la sua parte fogliare diversa da quella della comune patata e la sua colorazione viola. Per proteggere la biodiversità scanese è nato un comitato che ne tutela la diffusione. Essa non veniva coltivata per alimentarsi, ma quasi esclusivamente per delimitare i confini nelle coltivazioni. Veniva in rari casi cucinata sotto le braci del focolare assieme ad un bicchiere di vino.

Sa patata de moro

IL SURROGATO DEL CAFFÈ (CAFFÈ D'ORZO)

Per preparare un primitivo caffè, veniva utilizzato l'orzo. Il primo passo era quello di tostare orzo e caffè verde con il tostatore, che consisteva in un barattolo infilato in una sorta di spiedo che bisognava far ruotare sulla fiamma, mentre intorno si diffondeva un buon profumo. Si disponevano i turni per l'uso del macinacaffè, perché era necessario fare molta attenzione a non rovesciare il prodotto macinato sul pavimento quando si sfilava il cassetto con la preziosa polverina. La mamma, intanto, sistemava su un piccolo treppiedi il pentolino con l'acqua, mentre aspettava che diventasse bollente. Poi lo calava nel focolare e vi gettava un certo numero di cucchiaini di caffè. Quando il caffè si era depositato sul fondo, la mamma ne versava qualche cucchiaiata in una scodellina, ci mescolava lo zucchero e la faceva gustare ai bambini.

Fonti:

"Scano Montiferro - Ambiente - Storia - Tradizioni" a cura delle Scuole Medie di Scano Montiferro - Anno scolastico 1987-1988;

"Il cambiamento dei consumi alimentari a Scano di Montiferro" di Giovanna Rita Manca;

"Ammentos e contos" di Mariangela Chessa;

Fonti orali.