La storia di Scano affonda le sue radici già nel periodo prenuragico e nuragico, di cui ci permangono numerosissime testimonianze, tra cui 46 nuraghi e varie Domus de Janas (o "furrighesos" in scanese). Sappiamo per certo che nell'abitato scanese odierno esistesse un centro urbano anche durante il periodo romano, concentrato nel rione di Turre (vedi "Turre" in "Rioni"). Durante il Medioevo, la vita del paese è stata influenzata dalla presenza dei monaci della Congregazione Camaldolese, costretti ad abbandonare Scano in seguito all'affermazione del dominio spagnolo. Da questo punto in poi, sino al Novecento, tutta la zona del Montiferru era nota per la sua forte vocazione di opposizione nei confronti dei governatori. Solamente dalla seconda metà del Novecento, Scano ha potuto godere, gradualmente, di tutti i servizi essenziali moderni, evolvendosi così come lo conosciamo oggi.
In questa sezione potrete trovare numerosi approfondimenti riguardo i vari periodi storici che hanno contraddistinto il paese di Scano.
La storia di Scano inizia in epoca prenuragica. I primi abitanti giunsero probabilmente dal mare, risalendo il corso dei fiumi (il più grande "Su Riu Mannu") e stanziandosi nella zona di "Santa Lughia". Di questo primo periodo si conservano solamente le tombe scavate nella roccia, chiamate "Furrighesos" o più comunemente "Domus de Janas". L'interno dei suddetti è composto da una o più camere (destinate a contenere i cadaveri) e da un'anticamera in cui si disponevano le offerte votive. Nella zona di "Ispinioro" se ne rintracciano circa dieci, mentre lungo il costone delle rocce di "Santa Lughia" ne sono rintracciabili altri (orientativamente quattro), non visitabili a causa dell'inagibilità del territorio. Possiamo concludere che le case degli uomini primitivi fossero costruite con la stessa tecnica con cui vennero costruite sas "pinnetas". Corretto è precisare che nell'agro scanese siano presenti altri furrighesos, ma presentano una struttura molto simile a quelli già descritti. Oltre che nelle Domus, i defunti venivano inumati anche nei "Dolmen". Nel territorio di Scano ne restano alcuni: uno nella zona di Bentrecaninu e uno al Nuracale (storico nuraghe scanese). In questi sono stati trovati frammenti di vasi e di offerte votive. Successivamente le popolazioni nuragiche si stanziarono nel territorio di Scano. Come risaputo, i sardi appresero la tecnica di costruzione dei nuraghi dai Greci, che indicavano le torri nuragiche col nome di Dedaleia (opere di Dedalo) o di Thòloi (letteralmente "cupole"). In effetti esiste una forte somiglianza tra i nuraghi e le tombe greche a Tholos. Nel territorio di Scano vi sono ben 46 nuraghi costruiti in epoche diverse. I più antichi sono quelli più alti, perché i primi costruttori, non essendo ancora molto esperti, avevano difficoltà a chiudere la cupola e quindi erano costretti ad innalzare il muro sino a chiudere la costruzione. Il nuraghe più importante del nostro territorio è quello di Nuracale, lungo la strada per Sagama a 2,5 km da Scano. Quadrilobato (cioè con una torre centrale, circondata da quattro torri laterali collegate da una cinta muraria), fu costruito vicino al Riu Mannu, in un punto in cui il fiume è guadabile e probabilmente costituiva un punto di difesa in una zona di confine tra due tribù rivali. Possiamo supporre che intorno al nuraghe, che era la residenza del capo tribù, sorgesse un villaggio di capanne in pietra dove vivevano i pastori, i contadini e gli artigiani che, in caso di pericolo, potevano rifugiarsi al suo interno. Inizialmente questi uomini dovevano difendersi esclusivamente dalle tribù vicine, ma successivamente arrivarono in Sardegna (e quindi anche a Scano) gli invasori Cartaginesi. Fu proprio in quel periodo che il Nuracale fu in parte distrutto ad opera del condottiero Malco.
Elenco dei 46 nuraghi scanesi con allegata descrizione, ove presente:
-) Sagòla, in parte riutilizzato per costruire moderni recinti;
-) Sa Figu Ranchidda, parzialmente crollato;
-) Erittos, di pietra basaltica, presenta attorno a sé tracce di un muro megalitico;
-) Uràssala, conservato in un buono stato. L'interno presenta ancora tutti i particolari strutturali, rendendolo uno dei meglio conservati;
-) Sa Chessa, ormai un cumulo di rovine;
-) Pattòla, distrutto, di cui rimangono solo alcune tracce;
-) Primidio, appare distrutto e pare che la sua costruzione fosse stata interrotta bruscamente, considerata la presenza di megaliti ai suoi piedi;
-) Fonte 'e S'Ena, distrutto, era in trachite rossa;
-) Barisone, distrutto a metà, il suo nome fa probabilmente riferimento al giudice Barisone, che regnò su Torres nella seconda metà del XII secolo;
-) Baddeona, distrutto a metà, di cui è visibile la porta e la cella con la cupola;
-) Albuchi/Arbuchi, conservato discretamente. La porta è accessibile, mentre la scala lo è solo parzialmente;
-) Altòrio, ormai un cumulo di pietre di basalto;
-) Cuncula, pochi ruderi;
-) Nari, di cui son distinguibili la base, la porta e la parte inferiore della cella;
-) Padra, ormai distrutto;
-) Porcos, demolito al di sopra dell'architrave. Rappresenta un raro esempio, data l'assenza della cupola nella camera;
-) Sulù. I resti ci suggeriscono l'esistenza di un grosso nuraghe e di varie costruzioni circostanti, ormai ridotte in rovina. Ciò che rende Sulù di enorme importanza per la storia di Scano non è il nuraghe in sé, bensì la presenza di diversi insediamenti già di età romana (un oppidum), cui ha seguito la presenza di un villaggio medievale, l'antica sede di Scano. Proprio in questo luogo è stata ritrovata un'urna cineraria romana, con su scritto "Qui giace il giovinetto Antero", ora conservata al museo Sanna di Sassari. Da segnalare il ritrovamento, durante l'Ottocento, di monete databili all'età dell'imperatore Adriano;
-) Abbauddi, ben conservato. La sua torre ha un'altezza residua di 9,15 metri e la sua sommità è tutt'ora raggiungibile tramite 15 scalini;
-) Funtana Corbos, noto anche col nome di Logos, è stato demolito e ne rimangono solo alcune tracce;
-) Nuracale, situato sul riu Mannu, è recintato e accessibile su prenotazione. Uno dei pochi nuraghi quadrilobati in Sardegna, rappresenta senza dubbio il nuraghe simbolo di Scano;
-) Mesu 'e Rios, nuraghe arcaico con funzione di difesa, come suggerisce il nome è posto nello spazio di confluenza di due rii;
-) Salàggioro, in ottime condizioni, è un nuraghe monotorre di cui si conserva un terrapieno antestante, probabilmente utilizzato per elevare le pietre durante la costruzione;
-) Santa Barbara, posto in una posizione dominante, da cui si potrebbe scorgere tutta la valle che poi dà su Bosa. Nella raccolta di "Storie e leggende", potete trovare una storia su un tesoro ("unu pòsidu") nascosto al suo interno;
-) Su Adu de Santa Silvana, di cui rimane solo parte del giro di base, probabilmente mai terminato;
-) Nurtaddu, costruito con pietre basaltiche, è un nuraghe trilobato;
-) Cunculu, è ormai un cumulo di rovine;
-) Mazzaledda, poche rovine di un gran nuraghe;
-) Masala/Màzzala, di cui si conservano discretamente la camera, la torre e la porta. Qui vicino si trovano i resti di un'abitazione utilizzata sino al periodo romano;
-) Muraduarca, è ormai distrutto;
-) Curadores, di cui si scorge solo un tratto della base;
-) Orosu, di cui si conservano solo la porta inferiore, la porta e la camera priva di cupola;
-) Donnigheddu, le cui rovine sono state utilizzate per costruire porcili. Sono sopravvissute solo la base con la porta e parte della camera. Qui vicino sono state ritrovate monete romane del periodo imperiale, oltre che una tomba ipogeica formata da laterizi e ricoperta da un gran lastrone di arenaria. Questa conteneva inumato un cadavere che, al contatto con l'aria, si era polverizzato;
-) Otzu 'e Lavru, è discretamente conservato, ma i massi della cupola ingombrano lo spazio della porta;
-) Leàri, posizionato in una posizione dominante, è ormai prevalentemente crollato e probabilmente è stato un luogo di rifugio per tribù pastorali desiderose di difendere la propria libertà da popoli invasori;
-) Columbargiu I;
-) Columbargiu II;
-) Barisones;
-) Bolaola;
-) Ennari, perfettamente visibile dal centro abitato di Scano in direzione del rione Ladaralzos;
-) Salamattile, parzialmente demolito, quasi sicuramente smantellato per la costruzione dei vicini muretti a secco;
-) Beranula;
-) Rittos;
-) Muradu Arca.
Dopo la dominazione cartaginese vennero i Romani, di cui abbiamo numerose tracce. Nel I secolo esistevano in Sardegna ben 18 oppidi o città, di cui Gurilis Nova (Cuglieri) era la più importante; anche Scano dipendeva da essa. Il ricordo dei romani resta nei nomi di molte località tra cui "Monte Maltu", che potrebbe ricordare l'esistenza di qualche tempio dedicato a Marte; la sorgente "Funtana 'e giannas" e "Nuraghe 'e giannas", che ricorderebbero l'antico culto dovuto alle vergini (aggianas), trasformatosi nel Medioevo in quello delle fate. Ricordo degli antichi culti prestati alle divinità romane sarebbe il pellegrinaggio che gli antichi scanesi compivano a Sa Pattada per scongiurarvi i venti del sud. La colonia romana scanese si estendeva proprio dove adesso sorge il paese, ma l'agglomerato doveva trovarsi nelle località del Monte Granatico (rioni di San Nicolò, Turre, esclusa S'Iscala de sa Corte). A riguardo, conosciamo una storia legata alla tradizione orale. Secondo alcuni studi, al rione di Turre corrisponderebbe la presenza di una roccaforte romana, testimoniata da vari ritrovamenti, tra cui conci squadrati, pareti in opus latericium e una lunga serie di monete, pavimenti con mosaici, oltre che la cosiddetta "virga sardisca" (arma risalente al periodo giudicale). Sempre nel periodo romano arrivò a Scano il Cristianesimo. Nel III secolo furono martirizzati in località "Montrigu de Reos" i due giovani Errio e Silvano. Successivamente, nel periodo bizantino, il paese mantenne la stessa ubicazione. Di questo periodo abbiamo documenti del culto prestato a Santi venerati in oriente: San Nicolò, San Giorgio, Santa Barbara, Sant'Antioco e San Costantino. Questo testimonia ancor più la presenza bizantina nei nostro territorio, che si manifestava perlopiù attraverso la presenza di monasteri, tra cui ricordiamo quello presumibilmente presente nella località Santa Vittoria (a cui è legata la leggenda delle Dame di Marzeddu). In questo periodo, infatti, penetrò a Scano il monachesimo. Nelle località Pedras Doladas e Mesu 'e Roccas sorsero probabilmente due monasteri che acquistarono vaste proprietà. Forse la stessa chiesa di San Pietro potrebbe risalire a quei tempi (VI secolo), ma non si hanno documenti. Sempre al periodo bizantino risale la presenza di una via di comunicazione secondaria, che collegava Cornus (oggi corrispondente alle borgate del Comune di Cuglieri di S'Archittu e Santa Caterina di Pittinuri) a Macopsissa (l'attuale Macomer), che tuttavia aveva un grande valore strategico, in quanto rappresentava la linea di delimitazione ideale tra la piana cerealicola della Planargia (sotto stretto controllo imperiale) e le zone interne montane, che storicamente erano ostili ai dominatori. Per questo motivo, questa strada (che passava per Santa Vittoria, Scano e Sulù), un po' come in realtà tante altre disseminate in Sardegna, era sorvegliata da una serie di torri di guardia, presumibilmente in legno, di cui ci rimane traccia nella toponomastica locale: basti pensare alla vasta presenza del termine Turre nella nomenclatura dei luoghi. Queste torrette potrebbero aver perso la loro funzione militare nel momento in cui il Giudicato di Torres costruì il castello del Montiferru, che da quel momento in poi ha rappresentato la principale difesa del confine meridionale con il Giudicato di Arborea. Nuclei di popolazione si stabilirono nelle località Nueddas, Sulù, Sant'Antioco, Santa Barbara, Donnigheddu, Barisones, Santa Vittoria, che costituivano delle donnicalie, con case rustiche, terre coltivabili, uliveti, vigneti, boschi e servi che lavoravano la terra, sotto il dominio del signore (giudice). Scano apparteneva, all'epoca, al giudicato di Torres (del Logudoro). Nel 1105 il giudice di Torres Costantino I e la moglie Marcusa de Gunali donarono ai Camaldolesi la chiesa di San Pietro Apostolo, i diritti di pesca nel fiume di Bosa, 1000 capre, 500 porci, 300 vacche e molta servitù. Il convento dell'ordine religioso camaldolese (di origini pisane) era alle dipendenze del convento di Saccargia, come pure tutti gli altri conventi camaldolesi che erano in Sardegna. La tradizione racconta che il chiostro del monastero era situato dove ora sorge il cimitero (nel colle di Salighes). Fu scelto proprio quel punto per via della vicinanza alla chiesa e grazie alla protezione dai venti di Sa Pattada garantita dal colle di Turre. Alla caduta del giudicato di Torres, il Montiferru (assieme a Bosa e alla Planargia) passò al giudice di Arborea Mariano IlI, che aveva aiutato gli Aragonesi (a cui papa Bonifacio VIII aveva offerto l'isola nel 1297) e i Doria a cacciare i Pisani dai loro vasti possedimenti. Morto Mariano III, il figlio Ugone Il continuò la sua politica filo-aragonese e anti-pisana, facendo perdere a Pisa quanto possedeva in Sardegna (1323). I Pisani tutti, allora, furono costretti ad abbandonare Scano (monaci compresi). La leggenda dice che i Camaldolesi furono chiamati per un'udienza dal Viceré di Cagliari il quale, per un mese, li rimandò avanti e indietro con un "tornate domani". I Camaldolesi allora capirono lo scherzo e con la paura che il Viceré potesse prendere provvedimenti contro di loro, partirono per Pisa. Questa leggenda, come tutte, contiene un fondamento storico. Possiamo pensare che non si tratti del Viceré ma bensì di Ugone II, il quale tentò con ogni mezzo di eliminare dal suo dominio ogni elemento pisano e quindi anche i Camaldolesi. Quando i monaci persero i loro possedimenti, gli abitanti delle donnicalie e anche quelli di Sulù si trasferirono nel paese, che in quel periodo vide aumentare notevolmente la popolazione.
Il Montiferru fu storicamente un'area di resistenza politica alle varie invasioni che funestarono la nostra isola. Fiera fu la lotta dei nostri progenitori contro gli aggressori iberici. Ancora oggi, nel parlato locale, si conservano espressioni evocative di quel truce periodo:
"Malispannias" (Spagne maledette: imprecazione, talvolta bonaria);
"èssere de malu ragone" e "arragonadu" (da Aragona: prepotente);
"ombre" (omuncolo);
"muciàciu/a" (amico/a in senso dispregiativo);
"ti ses leande sos filosdiegos" (non combinare niente, stare sempre in giro: l'etimo verrebbe da Villadiego, città della Spagna celebre per la pigrizia dei suoi abitanti).
Sul colle di Montrigu de Reos (letteralmente la "collina dei colpevoli"), in epoca spagnola (ma probabilmente già in epoche più remote), venivano realmente giustiziati i nostri antenati. Sul poggio era altresì presente "sa pedra de sa ligonza". A riguardo scrive Dott. Ettore Cabras nel 1919:
"Le carte del Regio Archivio di Stato di Cagliari rigurgitano di processi per risse, ribellioni, omicidi e rapine, commessi dai vassalli, pendente quel periodo di feudalesimo. Il nostro comune non ne fu esente, e la località di Montrigu 'e Reos era il sito destinato al supplizio, ove esisteva pure la pietra dell'ignominia, una specie di berlina, nella quale si facevano sedere i colpevoli per essere bastonati" (Breve storia di Scano Montiferro).
Caduto anche il Giudicato di Arborea e affermatasi la dominazione spagnola, i comuni di Scano, Cuglieri, Sennariolo, Santu Lussurgiu, San Leonardo, furono collocati in un feudo: la "Baronia del Monte Ferru". Il discusso feudo fu assegnato prima a Guglielmo di Montagna da re Alfonso V (1417) e dal 2 novembre 1421 alla nobile famiglia Zatrillas, di cui Don Angelo (1560-1595) ebbe successivamente il titolo di "Conte di Cuglieri". La famiglia Zatrillas detenne il feudo di Cuglieri sino al 1668, quando Donna Francesca Zatrillas fu implicata nell'assassinio del marito Don Agostino di Castelvì - marchese di Laconi - e del viceré di Spagna, il marchese di Camarassa. Donna Francesca, in quello stesso anno, sposava in seconde nozze Don Silvestro Aymerich. Al loro figlio, don Gabriele Aymerich, passarono i titoli nobiliari. Egli fu il 6° e ultimo conte di Cuglieri. Passata la Sardegna ai Savoia nel 1720, il Montiferru continuò a stare nelle mani dei feudatari. Dal 1735 al 1778 fu nelle mani di Bernardino Genoves, duca di San Pietro, cui successe il fratello Alberto e più tardi don Giovanni Antonio Manca-Guiso. Dal 1825 al 1839 fu sotto il marchesato di San Sebastiano e poi passò a don Giovanni Antonio Pagliaccio Borro, marchese di Planargia. Nel 1847, grazie al Re Carlo Albero di Savoia, avvenne l'unione politica e amministrativa con i cosiddetti "Stati sardi di terraferma" (corrispondenti grossomodo agli attuali Piemonte, Liguria, Valle d'Aosta, e alla regione di Nizza e della Savoia). Dal 1848 la Sardegna godette i benefici della Costituzione Albertina, esattamente come il resto del Regno di Sardegna.
Nel corso del Novecento, già dai primi decenni, si registra un miglioramento generale delle condizioni di vita a Scano. In questo periodo, infatti, si sperimenta la crescita del reddito, la realizzazione di varie opere pubbliche, l'ampliamento dei servizi pubblici e la diffusione della cultura con più alti livelli d'istruzione. Si riduce inoltre l'isolamento, in seguito alla costruzione di più adeguate strade di collegamento con i paesi vicini: a sud con Cuglieri, a nord con Sagama. Già nel novembre dell'anno 1900, il Consiglio Comunale, presieduto dal sindaco Angelo Cocco, discute della necessità di costruire un edificio scolastico. L'iter di costruzione dell'edificio scolastico fu parecchio lungo e tormentato e si concluse tra il 1947 e il 1951, anno in cui fu inaugurato dall'onorevole Antonio Segni (allora Ministro della Pubblica Istruzione). Questo, in località Putu 'e Cannas, comprendeva la Scuola Elementare e il cosiddetto Avviamento, mentre la Scuola Media aprì negli anni '60. Tuttavia, occorre precisare che già nel primo Ottocento i livelli d'istruzione erano molto alti (per l'epoca), se consideriamo che a Scano la percentuale di studenti era vicina al 6% della popolazione, di gran lunga superiore a quella di tutti centri quali Cuglieri e Santu Lussurgiu. Rimanendo nell'ambito dell'istruzione, negli anni '20 aprì l'asilo infantile ad opera di Mons. Ferdinando Panzali, che ne affidò la gestione alle Suore del Cottolengo. In seguito la gestione passò alle Suore Orsoline, appartenenti alla Congregazione fondata a Bosa dallo stesso Panzali. Per diversi anni, all'asilo infantile si aggiunse anche un orfanotrofio femminile.
Come ben sappiamo, nell'ambito della Prima Guerra Mondiale (1915-1918) la Sardegna ha ricoperto un'importantissima posizione grazie alle azioni della Brigata Sassari. Scano contribuì al sacrificio con 60 caduti sul fronte, e con altri 60 mutilati e invalidi. Le perdite furono elevate, soprattutto se pensiamo al fatto che Scano avesse inviato al fronte circa 400 soldati. Quando il Consiglio Comunale si riunì, il 27 febbraio 1916, per discutere sull'adesione al Prestito Nazionale di Guerra, dovette decidere temporaneamente di non aderire a causa delle modeste finanze comunali. Tra gli scanesi che partirono per combattere, è doveroso ricordare che cinque di loro, Angelo Agus (morto in battaglia), Raimondo Fais, Bachisio Irde, Sebastiano Pili e Antonio Pinna furono insigniti della medaglia d'argento al valore militare.
Nel periodo tra le due guerre anche in Sardegna, come in tutto il resto del Paese, dopo i difficili e convulsi anni immediatamente successivi al primo conflitto, la crisi politica ed economica del vecchio Stato liberale sfociò nell'instaurazione del fascismo. Anche a Scano, dopo molti decenni di storia amministrativa sostanzialmente tranquilla, ci fu nella primavera del 1920 una dimostrazione popolare contro il Commissario Prefettizio Gavino Boi, considerato poco attento alle esigenze della comunità, e che fu sostituito dal ragioniere Eduardo Guastini, persona molto attiva e sensibile. Ripristinata la regolare attività sindacale e consiliare per i successivi cinque anni, dal 1926, con il consolidamento del regime fascista e la messa al bando dei partiti, ci furono circa venti anni di commissari e podestà. Nel 1927 Scano passò dalla provincia di Cagliari a quella di Nuoro, ricostituita in quell'anno da Benito Mussolini dopo quasi 70 anni. Il ventennio fascista fu politicamente duro anche a Scano. Come testimoniano alcuni documenti, i provvedimenti penali contro la popolazione furono molto numerosi. Fogli di via obbligatori, ammonizioni, arresti per resistenza all'autorità, testimoniano un atteggiamento di contrapposizione fra scanesi e governanti. La resistenza politica era incarnata dagli irriducibili, aderenti del Partito Sardo d'Azione, definiti negli atti come "persone di mentalità di antico stampo", oppure come "sfuggiti alla provvidenziale scopa fascista" che si oppongono di continuo, "predicando in piazza o nelle cantine tutto l'opposto di ciò che le autorità dispongono". In particolare viene ricordata una rivolta, svoltasi il 15 marzo del 1943, nota come "Sa rivolta de sas fèminas". Un quantitativo di 200 donne, riunitesi presso la piazza del municipio (che oggi corrisponde alla biblioteca comunale), protestò con forza chiedendo una maggiorazione dei razionamenti di pane e di pasta, accusando il segretario comunale di gravi mancanze e abusi in materia. La Tenenza dei Carabinieri di Bosa dispose le misure preventive per evitare rivolte popolari su larga scala, coordinandosi a tal fine con il locale presidio militare. Ma la situazione divenne in breve insostenibile ed esplose in tutta la sua gravità nel gennaio del 1944. Le contestazioni si rivolsero contro il Commissario Prefettizio Giuseppe Rizzo ("su mastru Rizzo"), uno dei simboli dell'autorità fascista nel centro montiferrino. A riguardo, possiamo leggere: "Circolano a Scano Montiferro insistenti voci circa una dimostrazione popolare che dovrebbe essere inscenata in detto Comune tra il 26 e il 30 corrente. Tale dimostrazione sotto proclamato scopo richiesta maggiorazione razionamenti pane et pasta ha per fine principale estromissione violenta da carica Commissario Prefettizio Rizzo Giuseppe et da impiegato comunale applicato segreteria Cav. Gallo Francesco, noti elementi fascisti, invisi alla popolazione. Arma sta esplicando azione propaganda attraverso persone maggiorenti scanesi per pacificare animi attesa provvedimenti risolutivi autorità competente. Si ha però netta la sensazione che la situazione sia grave e possa degenerare il perturbamento per l'ordine pubblico. Disposti sin d'ora adeguati opportuni servizi preventivi che verranno integrati da contingenti militari del Comando Gruppo Artiglieria di stanza a Scano opportunamente richiesti". Sempre in questo periodo, dal 1940 al 1945, il Regno d'Italia si trova coinvolto nella Seconda Guerra Mondiale, e le perdite per gli scanese furono sempre numerose, per quanto nettamente inferiori rispetto a quelle della Grande Guerra: si parla di ben 23 vite umane.
Con il finire della guerra, si tenne il referendum sulla forma istituzionale dello Stato italiano. Un po' come in tutto il Mezzogiorno, anche a Scano vinse la Monarchia, con ben 1093 voti (63% delle preferenze). La storia repubblicana ha visto da subito, dal 1946, la presenza di due forti schieramenti: quello della DC e l'altro del PSD'AZ. Quest'ultimo partito vinse le prime elezioni repubblicane con il Sindaco Francesco Atzeni e si alleò, per cinque anni, con lo stesso partito di minoranza. Si ebbe quindi, per trent'anni, l'egemonia democristiana. Oltre al PSD'AZ, è da segnalare a Scano una forte presenza del PCI, che attirava maggiori consensi in quella grossa fetta di popolazione dedita al settore primario. Nel frattempo, nel 1974, Scano è entrato a far parte della nuova provincia di Oristano, sede molto più comoda della lontana Nuoro.
Nel corso del secolo, come già precedentemente accennato, si registrarono evidenti segni di crescita sociale ed economica, con la realizzazione di molteplici servizi pubblici: dalla rete elettrica pubblica portata nel 1927 a quella idrica, realizzata alla fine degli anni '30, dalla farmacia all'ufficio postale, alla caserma dei Carabinieri, dal mercato civico ai trasporti. L'economia, invece, fu segnata da profondi mutamenti e da uno spartiacque che possiamo collocare all'incirca intorno agli anni '50. Nella prima parte del secolo essa era strettamente connessa con le attività tradizionali, tra le quali ricordiamo ancora una volta, oltre la pastorizia e l'agricoltura, l'olivicoltura e la conceria Vassallu (vedi "Le conce di Scano" in "Artigianato ed economia"), che lavorava pelli bovine di buona qualità e che restò attiva fino al 1960, e la conceria Motzo. Per la lavorazione delle olive fino al 1953 c'erano sette frantoi con mola girata dal cavallo, a gestione familiare. In quell'anno si costituì la Cooperativa Olearia Scanese sotto la presidenza del prof. Batore Corronca, che aprì un mulino, costruendo appositi locali e collocandovi un frantoio elettrico, che è rimasto attivo sino alla fine degli anni '80. Per molti anni fu attiva anche una società di 6 olivicultori. Ricordiamo, inoltre, lo stabilimento Masia per la preparazione di bibite gassate. A un'intensa attività pastorale è stata collegata la lavorazione del formaggio con la presenza di quattro caseifici tra gli anni '20 e i primi anni '50. Il 1952 segna una data importante nella storia economica e sociale dei pastori scanesi, perché quell'anno molti di loro, esattamente sessanta, ribellandosi alle pesanti condizioni imposte dai padroni dei caseifici e dagli industriali del formaggio, decisero di costituire la Cooperativa Pastori "Ariete", con il sostegno finanziario del Consorzio Agrario di Nuoro. Furono prodotti 600 quintali di formaggio "romano" e ai pastori il latte fu pagato 100 lire al litro (a differenza dell'anno precedente, con cui avevano ottenuto soltanto 60 lire). Dalla vendita della ricotta si poterono pagare tutte le spese di gestione (affitto del locale, compenso per il caciaro, un abruzzese, spese di segreteria, acquisto legna e manutenzione). La cooperativa, cui l'anno seguente si aggiunsero altri 20 soci, produsse formaggio fino ai primi anni '60, quando si passò alla vendita diretta del latte agli industriali. Tali importanti mutamenti del secondo dopoguerra non furono, però, sufficienti ad arrestare il progressivo decadimento dell'assetto produttivo tradizionale. Molti abitanti, già dalla fine degli anni '40, preferirono emigrare in Francia, Belgio, Germania, Argentina e Venezuela, altri nell'Alta Italia. Tra il 1951 e il 1971 la popolazione di Scano si è ridotta da 2800 a 2036 residenti, cioè di quasi un terzo. Questo dato aiuta a comprendere meglio la profonda crisi che nel secondo dopoguerra colpì specialmente le aree interne del Sud Italia, e che hanno causato una così importante emigrazione. Con il tempo, il calo della popolazione è diventato meno consistente, grazie a un generale miglioramento del tenore di vita della zona, e degli sbocchi lavorativi rintracciabili, per esempio, a Macomer, che al tempo era un'importantissima città industriale del centro Sardegna. Negli anni Ottanta aprì la Scuola Materna Statale nel già citato caseggiato di Putu 'e Cannas. Ai giorni d'oggi, Scano rimane un centro ricco di possibilità di riscatto economico (specialmente anche da un punto di vista turistico, se pensiamo alla possibile influenza della vicina Bosa), ma che sta continuando a spopolarsi, segno di una perdurante incertezza della popolazione riguardo il proprio futuro nel paese, e che prossimamente segnerà sicuramente la vita del paese, nella speranza di un cambio di passo.
Fonti:
"Scano Montiferro - Ambiente - Storia - Tradizioni" a cura delle Scuole Medie di Scano Montiferro - Anno scolastico 1987-1988;
"Iscanu - Storia di una comunità sarda" di Giacomino Zirottu;
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