Descrivere la danza africana in poche righe è impresa assai ardua. Intanto l’espressione stessa di “danza africana” è piuttosto fuorviante. Meglio sarebbe, invece, parlare di “danze africane”, proprio a volerne sottolineare l’estrema eterogeneità e frammentarietà, evitando rappresentazioni suggestive che vogliono “Madre Africa” come un blocco culturale monolitico e privo di differenziazioni sostanziali.
Se però si prendono in considerazione le danze africane tradizionali, è pur vero che queste condividano alcuni tratti caratteristici. In primo luogo, le danze africane tradizionali si caratterizzano per essere un fenomeno collettivo, espressione della vita di una comunità che ne rinsalda i legami e la struttura. Non si tratta, ovviamente di una peculiarità esclusivamente africana, ma anche di numerose altre popolazioni in tutto il mondo. Si pensi soltanto alla valenza storico-sociale di alcune danze popolari in Italia come, ad esempio, la pizzica pugliese e il Ballu Tundu sardo. Appare, tuttavia, inconfutabile che ad oggi in Africa tale retaggio riesca a sopravvivere più che in ogni altro luogo, non soltanto nelle zone rurali più sperdute e remote, bensì anche nei contesti urbani.
Il setting predominante della danza africana tradizionale è il cerchio, lungo il quale si dispongono i percussionisti e il pubblico. Quest’ultimo, lungi dall’assumere una funzione passiva, tipica negli spettacoli occidentali, è parte attiva dove di volta in volta canta, batte le mani o accompagna ai margini con passi di danza, oppure esegue delle improvvisazioni di danza (individualmente o in piccoli gruppi) al centro del cerchio. Ben diversa è la danza africana contemporanea che pur attingendo dalla tradizione, ripropone una configurazione spaziale dualistica ormai consolidata nelle culture occidentali di “contrapposizione” tra danza/musica da una parte e spettatori dall'altra.
Circoscrivendo la nostra attenzione soltanto a quel bacino storicamente affine, quale quello di una porzione dell’Africa Occidentale, un tempo sotto il dominio dell’Impero Mandingo (principalmente Mali, Guinea, Burkina Faso e Costa d’Avorio), si rinviene anche qui una varietà culturale innimaginabile agli occhi dei "profani".
Gli stili di danza qui presi in considerazione, pur presentando quel comun denominatore storico e soprattutto musicale (in riferimento agli strumenti che l’accompagnano: djembe e tamburi bassi), sono tutt’altro che omogenei tra loro. I passi stretti e rapidissimi, tipici delle danze (spesso in maschera) della Costa d’Avorio, la potenza ed energia della danza guineana come anche la sinuosità delle danza del Mali, sono soltanto alcuni degli esempi più lampanti della ricchezza e varietà che caratterizzano le danze provenienti dall’Africa Occidentale. Varietà di stili che si rinviene in ugual misura nei rispettivi ritmi tradizionalmente ad esse associate, in un legame assolutamente inscindibile. Inscindibilità che si evince anche soltanto dalle denominazioni stesse di alcune danze e dei rispettivi ritmi. Tant’è che nella cultura malinkè, la danza Djelidon, dove il suffisso “don” significa danza, è accompagnata dal ritmo Djelifoli, dove il suffisso “foli” significa per l’appunto, ritmo.
In genere, alla danza africana tradizionale corrisponde sempre una funzione sociale molto precisa, legata ad eventi particolari (o festività) all’interno delle varie comunità: battesimo, matrimonio, circoncisione, iniziazione, guarigione, funerale, saluto di benvenuto, combattimenti, lavoro nel campi etc. Nelle comunità tradizionali tale legame tra evento, danza e musica è così forte che diventa impossibile concepirli separatamente. Proprio per questo, non è infrequente per gli occidentali cadere nell'equivoco: quel che si crede essere il nome di un ritmo, sta ad indicare in realtà anche la danza e l’evento associato, a testimonianza del loro legame indissolubile. Difatti, in Guinea, Solì, non è soltanto il nome del ritmo o della danza. Indica soprattutto il corrispondente evento della circoncisione maschile, quale rito di passaggio all'età adulta.
Tuttavia, questo legame tra musica e contesto/funzione sociale si è ormai ridimensionato drasticamente nelle realtà africane urbane - ormai secolarizzate, dove la musica a partire dall’indipendenza degli Stati africani alla fine degli anni ‘50, con la mascita dei balletti nazionali africani, assurge a funzione “spettacolo”, similmente a quanto accade, come si è già detto poc'anzi, nel mondo occidentale - sopravvivendo ormai soltanto nelle zone rurali più remote.