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Passi scelti
Del governo della peste, e delle maniere di guardarsene trattato di Lodovico Antonio Muratori
- 1710
GOVERNO POLITICO (p.8)
Nel 1628 fu gran carestia nello Stato di Milano e in altre parti della Lombardia, accresciuta poi
dalla Guerra che sopraggiunse, di maniera che in quello, e nel seguente anno 1629 e morì di fame e di
stento in Milano stesso non poca gente, e vi fu una sollevazione del Popolo. Ora non è da meravigliarsi,
se succedendo poi la Peste da lì a poco, e trovandosi malnutrita, e piena di malumori la povera plebe
della Lombardia, ne levò tante centinaia di migliaia dal Mondo. In Modena però, e nel suo Contado,
noi sappiamo che il Mal contagioso non infierì, come in altri paesi. Per altro non sono di ordinario
meno sottoposte a perire di Peste le persone sane, e ben nutrite, che le infermicce, e malnutrite; anzi
talvolta è accaduto, che più quelle, che queste siano restate preda del Male. Un'altra differenza si può
osservare fra alcune Pesti, ed è che le une porteranno con sé Flussi di sangue, Petecchie, Dissenterie; ed
altre Vomiti, Frenesie, abbattimenti di forze, e simili altri sintomi. Sogliono nulladimeno tutte le vere
Pesti generar Carboni e Buboni: del che ragioneremo a suo luogo.
Mi terrò io lontano dal voler qui atterrire i Lettori col l'immagine orribile di qualche Peste, esposta a
secondo la relazione di coloro che ne furono miseri spettatori, perché piuttosto mio intento sarà di
preparare e consigliare Coraggio in così funeste occasioni. Tuttavia, affinché le Persone, e
massimamente i Magistrati, considerando per tempo e serbanti viva davanti agli occhi l'eccessiva
miseria, di questo gran flagello, mettano in opera qualunque possibile mezzo e diligenza per
preservarsi, e per tenerlo lungi: stimo necessario di ricordare, che fra i Mali, che possono affliggere un
Pubblico, non c'è il più orrido, né il più miserabile della Peste, sì per quei, che soccombono alla sua
fierezza morendo, come per quei, che si van conservando in vita. Chi mira una Città sana in questo
punto, e vi figura poi entrato il Contagio, può senza timor di sbagliare dire fra se stesso: ecco di tante
migliaia di persone robuste e sane, di tanti Artefici ed Operai, di tanti Cittadini onorati, dabbene, utili,
alcuni miei parenti, o amici, e tutti Fratelli in Cristo, tanti e tanti non ci saranno più, e fra pochi Mesi; è
una gran mano di essi morrà quasi all'improvviso, benché sanissima dinanzi, parte barbaramente
abbandonata dai figliuoli, dai fratelli, dai mariti, dai parenti, e dai suoi più cari, parte di stento, e per
difetto o di soccorso o d'alimenti; E ciò nei Lazzaretti medesimi, che pure sono inventati
principalmente per la salute dei poveri Appestati; e talvolta senza Sacramenti, e senza chi assista a quel
gran passaggio, e con totale disperazione, siccome fuggita, o derelitta da tutti. Al prender poi vigore la
Peste, è incredibile, che terrore assalga chi non è provveduto di buon Coraggio (e questi sono i più del
popolo) al mirarsi circondato di morti, all'udire il suono, o al vedere il brutto aspetto delle carrette, che
trasportano ammontati l'uno sopra l'altro i cadaveri degli estinti, e al temere continuamente che da
un'ora all'altra possa intervenire lo stesso a chi ora si sente benissimo di sanità. Il solo doversi tenere
rinchiuso per settimane, o per mesi in casa (e tanto più se è per ordine del Magistrato) è una
penosissima prigionia, aggiunti tanti bisogni, che occorrono, e il non potersi allora far molto capitale
d'Amici, o di Parenti, ho dei suoi contadini, per la difficoltà o impossibilità del commercio, talmente
che al vedersi attorniati da tanti suoi ed altrui Mali, alcuni diventano come stolidi ed altri si muoiono
anche senza essere toccati dalla Peste. E siccome i principi perdono in tale occasione il nerbo maggiore
del loro dominio, cioè tanti sudditi, e la maggior parte delle gabelle, e dei tributi, e ciò per molti anni
appresso; essendo di più anch'essi costretti a digerire non pochi disagi, e pericoli, durante il contagio, e
di poi, giacché i principi stessi, al pari dell'infimo dei sudditi, sono sottoposti agli assalti e alle ferite di
questo tirannico Male: così i sudditi si trovano allora per la maggior parte privi delle proprie rendite, e
del traffico, e però sottoposti a diversi altri gravissimi incomodi delle loro case. Né con la peste suole
finire il danno della peste, mirandosi per lo più venirle dietro la Carestia per mancanza di chi lavori le
campagne, e non trovarsi se non difficilmente i necessari Artefici, Operai, e Servitori, e doversi pagare
carissimo tutte le manifatture domestiche, e le robe forestiere, senza rimettersi o mai più, o se non dopo
lungo tempo, nello stato di prima la abbattuta e desolata Terra, o Città.
Ho detto molto, eppure non ho detto assai per fare bene intendere i grandi danni, terrori, e miserie, che
reca con sé la Pestilenza. Ma si può facilmente immaginare il resto, e questo ancora e di troppo. E, per
discendere ad un'importantissima riflessione, cioè alla necessità, che hanno tutti Principi, Magistrati, i
Capi dei Popoli, di impiegare quanto mai possono così l'ingegno, e di attenzione, come di premura e
spesa, per impedire alla Peste l'adito nei loro paesi, E per tenerla lontana, o scacciarla presto, introdotta
che sia. Bisogna pertanto persuadersi, che le diligenze umane, purché non vadano disgiunte da un
fedele ricorso a Dio, possono preservare, e preservano dal Contagio i paesi, e per conseguenza che il
non usarle per quanto si può, E a tempo, questa è una solenne e miserabile pazzia, oppure una
negligenza difficilmente degna di perdono così presto agli uomini, come presso addio. Né pretendesse
alcuno di esentarli da tale obbligazione, o di sfuggire tale sentenza con dire che quando Dio vuol
flagellare una Città, a nulla servono le Diligenze umane; perciocché quantunque sia certissima questa
conclusione, pure non tocca a noi ciechi mortali il voler entrare nei Gabinetti dell'alta Provvidenza di
Dio; ma bensì a noi si appartiene il fare quanto prescrive l'umana Prudenza per preservare noi e il
Prossimo nostro dalle infermità, morti, e miserie, implorando nel medesimo tempo del
misericordiosissimo nostro Dio il perdono delle colpe, e il soccorso nelle necessità. Ai soli Turchi si
lascia il non provvedere, quando pur si possa, ai Mali o presenti, o avvenire, quasi ciò sia un temerario
o superfluo operare contro i decreti del Cielo. Il Cristiano ha da venerare in tutti santi e sempre giusti e
saggi voleri di Dio, certo superiori a tutti gli sforzi degli uomini ma non crede egli a quel Fato o
destino, che insegnarono i Gentili: e sa, che la Divina Provvidenza non confonde il corso della Natura,
e delle Cagioni seconde, né toglie la Libertà gli Uomini, anzi comanda loro l'uso della prudenza negli
affari e nella custodia e conservazione di questa vita terrena. Però in infinite altre occorrenze, e nel
guardarsi da tanti altri mali, anche i più dotti e Santi non devono omettere né omettono Diligenza
Umana veruna, e specialmente ciò sa e deve fare la Cristiana Repubblica nei pericoli dei Contagi. Si
può anche opporre, che poco frutto si abbia infine da sperare in molti paesi da siffatte diligenze,
considerata la mancanza di tante cose, è massimamente di Vettovaglie, per provvedere alle quali
dovendosi necessariamente commerciare con i vicini, troppo riesce difficile il non partecipare della loro
sciagura.
Ma si risponde, esserci regole e maniere di avere Commercio fin coi paesi Infetti o Sospetti in tempo di
Peste, per trarne Vettovaglie, senza che per questo se ne tragga ancora la Peste. Le accenneremo a suo
luogo. Il punto sta, che tali regole non si sanno osservare, né sono spesso ben osservate, con restare
perciò inutili tutte le antecedenti Diligenze;
DEL GOVERNO ECCLESIASTICO DELLA PESTE
LIBRO TERZO
CAP. I (p.317)
Necessità di ricorrere a Dio, e di placarlo, massimamente in tempi di Peste. Quali in pericolo di
contagio abbiano da essere le incombenze dei Vescovi, e degli altri Ecclesiastici per tenere lontano il
Morbo; e quali i preparativi, prima che esso venga.
Spediti dalla Cura Politica e Medica del Morbo Pestilenziale, passiamo alla terza, che è la più
importante di tutte, cioè alla Cura delle Anime in tempo di Peste, e a ciò, che riguarda Dio: il ché viene
compreso nel Governo Ecclesiastico: è primariamente chiara cos'è che in forma distinta conviene
ricorrere al possente aiuto di Dio, allorché si ode
fischiare in qualche vicinanza il terribile Flagello della Peste. Per comando o permissione di lui
vengono le calamità, ma specialmente si conosce che vengono quelle più strepitose, che affliggono i
Popoli interi, o per castigo dei Peccati o per l'espurgo dei malviventi, o affinché la gente che facilmente
si addormenta sopra la Terra, quasi incantata da questi pochi Beni transitori, si risvegli, e conosca che
c'è Dio, padrone delle Robe, e delle Vite, E a lui si converta. Perciò la peste viene bizzarramente
chiamata da Tertulliano Tonsura lascivientis ac silvescentis generis humani. Ora se questo gran Dio
vuole punire o purgare la Terra, secondo i decreti della sua infinita Giustizia, e della sua sapientissima
Provvidenza: chi ci sarà, che possa resistere alla sua Volontà? Intanto si oppongono al supremo suo
volere le prevenzioni diligenze umane; e intanto veglia chi fa la guardia alla Città, se non lo custodisce
con la sua invisibile parzialità ed assistenza l'ogni potente messaggio regolatore del tutto. Certo non si
vede mai così bene, come sia corta e fallace l'umana Prudenza, e come Dio sappia confondere la
Sapienza del Secolo, quanto nei tempi di Peste. Dopo tutte le cautele e precauzione usate, si trova bene
spesso passato il Contagio per dove meno si aspettava, entro un paese e nelle Città. Non bastano le
Guardie anzi le Guardie sono quelle talvolta che l'introducono. Oppure permette il Signore Iddio, che i
Principi o i Maestrati, dimentichi del debito loro, anzi di sé stessi, o cadano in una supina negligenza o
trascurino allora alcune opportune diligenze, con non ascoltare o non curare il consiglio dei migliori,
lasciando con ciò aperta la via al Morbo desolatore. All'incontro si vedono preservati altri paesi, e con
diligenze molto minori; essendo stato anche osservato, che mentre la Peste faceva dell'Anno 1630
strage così grande nello Stato di Milano, l'Armata Spagnola, che si tratteneva a Casale di Monferrato, e
il giorno riceveva Vettovaglie dai Milanesi, pure si mantenne sempre intatta ed esente dall'Infezione
dominante. Abbiamo anche detto altrove, che la città di Faenza si preservò nel fiero Contagio dell'Anno
suddetto, e esso si fermò ai suoi confini; eppure si sá, che segretamente ne uscivano, e vi tornavano non
pochi, ai quali premeva più il proprio guadagno col trasporto delle Grascie verso Bologna, che la salute
del suo pubblico.
Dunque la più ferma speranza di tenere lontana la Peste deve riporsi nella Misericordia del nostro Dio;
e per rendersi capaci di questa, è necessario fare per tempo un fedele, e non finto ricorso a lui con
pubbliche Orazioni, e con una seria emendazione della vita, acciocché liberi il suo Popolo dal pericolo
che sovrasta. Siccome abbiamo dal Lib.3 Cap.8 dei Re, e dal Lib. 2. dei Paralipom. Cap.6 la maggiore
fiducia del Popolo Ebreo in tempi di tanta calamità veniva riposta nell'umiliarsi con le preghiere a Dio.
Altrettanto, e più dovrà fare e sperare il suo eletto e diletto Popolo della Legge nuova, per cui la somma
sua Clemenza non ha risparmiato il Sangue e la Vita del suo Unigenito, e a cui questo medesimo suo
benedetto Figliuolo ha promesso tante cose, e tante volte, nel suo Santo infallibile Vangelo. Pertanto
correndo così gran pericolo, il Vescovo dovrà, secondo le Istruzioni di S.Carlo, ordinare Processioni
per tre giorni, come ancora digiuni, ed altre opere di Penitenza, e di Pietà, per placare Dio, e implorare
la sua grande Benignità con ordinare ancora una Comunione Generale in qualche giorno di Festa.
Disporrà il giro delle quaranta ore per l'esposizione del Venerabile, acciocché in nessuna ora manchino
le preghiere, e il culto a chi ha da essere la nostra maggiore Speranza. Inoltre, prescriverà un giorno o
due di Digiuno per ogni settimana; e in una Festa determinata darà le ceneri benedette a tutto il Popolo,
come se fosse il principio della Quaresima. Così fece ancora S. Carlo. Quindi tanto esso Vescovo,
quanto i Parrocchiani, e i Predicatori, e i Direttori, e Capi dei Monasteri, rivolgeranno lo studio loro a
togliere via e sradicare quelle corruttele e quei Peccati pubblici, Che più irritano lo sdegno di Dio,
come sono gli Adulteri, il Concubinato, le Usure, le Ingiustizie, i Contratti illeciti, le Oppressioni dei
Poveri, le Usurpazione della Roba altrui, le Inimicizie, l'Irriverenza dei Sacri Templi, e simili altre
offese del Creatore.
Qui più che mai è da accendersi, e da sfavillare lo Zelo dei Ministri di Dio senza però mai dimenticare
le leggi e i consigli della Prudenza, fedele compagna di ogni operazione e Virtù. Oltre a ciò se
l'intenderà il Vescovo con i Principi.
Ecco dunque di che conseguenza sia l'uso o l'omissione delle Diligenze umane in pericoli così gravi,
quali sono quelli di una Pestilenza.
Ma se l'accuratezza del Governo Politico può tenere lontano da una Terra e Città questo orribile male:
la conseguenza è chiara, essere degni di gran vitupero presso degli uomini i Capi del Popolo, che le
trascurano o non le fanno eseguire nei sospetti di Peste, e essi dovranno rendere un conto strettissimo
addio di avere per loro negligenza così mal difesa in così importante bisogno la gente raccomandata
alla loro cura dalla Provvidenza Divina. Di più questo è non meno un obbligo gravissimo, che un
interesse rivelantissimo tanto dei sudditi, quanto del Principe. Né perché possono costare molte spese al
pubblico, e moltissimi incomodi ai privati, sìffatte Diligenze, si deve tralasciarle, perciocché ha da star
fissa in mente dei Principi, dei Magistrati, e dei privati questa gran verità, cioè non esserci spesa, né
incomodo, che uguagliare possa in conto veruno le spese, e gli incomodi terribilissimi di una Peste, e
non impiegarsi mai meglio le fatiche, e i denari, che per conservare un tempo stesso la salute propria, e
la vita del Popolo tutto. Si spende e si deve spendere tanto in Lazzaretti e mantenimento dei Poveri, e
cura degli Infermi, e in Guardie, e Ministri, allorché è venuta una Peste; eppure anche allora si perdono
migliaia di persone inutili, o necessarie alla Repubblica:
quanto più dunque si dovrà amare o tollerare di spendere, e spendere tanto meno, per tenere lontano un
Contagio, e salvare con ciò la vita a così gran numero di persone, che perirebbero per mancanza di tali
spese e Diligenze?
Chi si intende punto di economia, e molto più di Carità Cristiana, tosto comprenderà la necessità di
queste preventive Diligenze, delle quali passerò ora a trattare con esporre il Governo Politico in tempi
di Peste.
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