GIORNO DELLA MEMORIA 2022

CONSIGLIO REGIONALE MARCHE


Intervento di Clara Ferranti in Consiglio Regionale Marche per il Giorno della Memoria 2022

Seduta aperta del Consiglio Regionale Marche del 01 febbraio 2022 per la celebrazione del Giorno della Memoria

Video integrale 

INTERVENTO DI CLARA FERRANTI

Ringrazio il presidente Dino Latini per l’invito a questa celebrazione solenne e saluto il presidente Francesco Acquaroli, gli assessori, i consiglieri, i presenti in questa sala, e chi partecipa a distanza. Saluto in particolar modo gli studenti, la cui formazione e istruzione rimane comunque e sempre l’obiettivo fondamentale del nostro fare Memoria.

Se non c’è la costruzione della persona, non c’è futuro. Se l’edificazione di un’etica, di una spiritualità e di una morale non fosse l’obiettivo dell’insegnamento, a nulla varrebbe la trasmissione del sapere, e a nulla varrebbe una Memoria celebrata se questa non diventasse parte di uno stile di vita, una Memoria incarnata.

Incarnare la Memoria della Shoah per farne buon uso nel presente, e per riempire di sostanza il “perché non accada mai più”, richiede un duro e costante lavoro educativo, certamente sui giovani ma anche su se stessi. Gli insegnanti che preparano gli alunni sul tema della Shoah sanno bene quanto ciò sia vero, perché il lavoro intenso che svolgono in classe è mirato non tanto all’acquisizione di una conoscenza storica, pur necessaria come base di partenza, quanto alla riflessione sui fatti, al conseguimento di uno spirito critico e alla costruzione di una identità che sappia riconoscere e rifiutare quelle dinamiche che hanno condotto ad un evento storico la cui portata è ancora oggi difficile da afferrare, nonostante il prosperare di studi e ricerche, testimonianze, musei, archivi, didattica della Shoah e iniziative varie, di cui anche la Rete Universitaria che qui rappresento si è fatta promotrice parecchie volte.

A questo enorme impegno educativo soggiace l’idea che la conoscenza del passato sia necessaria per riconoscere i segni della storia che si ripete, al fine di evitare gli stessi errori. È questa un’idea assai diffusa che puntualmente viene citata nel Giorno della Memoria, generalmente attribuita a vari intellettuali o testimoni del XX secolo, ma che è in realtà molto più antica di quanto possiamo immaginare. Nel V sec. a.C. lo storico greco Tucidide affermava che le «vicende passate […] nel tempo futuro, per le leggi immanenti al mondo umano, s’attueranno di simili, o perfino d’identiche»[i]. Tale immanenza cui sembra siamo condannati di certo non rincuora e purtroppo la storia dell’umanità non ha confutato finora il fatto che eventi bellici, caos civile e vicende legate all’aspetto più irruente e ostile della natura umana non si ripetano. Sembra dunque che in ogni epoca si sia costretti più ad una presa d’atto della ripetizione della storia, pur nella diversità degli eventi specifici, che ad una speranza che “ciò non accada mai più”.

Ma occorre anche ammettere che i fatti storici non sono semoventi, è necessaria la co-occorrenza di un contesto politico-sociale, una collettività e singoli individui che operino determinate scelte per incanalare il corso della storia verso la realizzazione del bene comune ovvero la produzione di situazioni devastanti.

Il 27 gennaio è pertanto un giorno fertile solo se e nella misura in cui si riesce ad inculcare che tutti hanno il dovere di sentirsi responsabili degli eventi che nell’oggi accadono e che ognuno fa la sua parte nella storia. Una delle domande più ricorrenti, poste da studiosi e intellettuali ma anche da gente comune, è “come è stato possibile che milioni di persone nella Germania e nell’Europa nazista fossero convinte che uccidere gli ebrei, e tutte le altre categorie di persone entrate nella lista nera, fosse cosa buona”. Propongo a tal proposito una breve riflessione.

È palese che non si conquistano d’emblée le menti di milioni di persone comuni per convincerle che annientare la personalità, umiliare, denunciare e infine uccidere sia un bene, e nemmeno per arruolarle come parte attiva in un progetto così perverso e spietato. La preparazione della massa è stata fondamentale a che ciò accadesse e tre parole sintetiche ce lo spiegano: propaganda, terrore e inganno, il cui uso ha trovato però terreno fertile nelle specifiche condizioni sociali che hanno caratterizzato l’Europa del primo Novecento. In altri termini, senza queste condizioni favorevoli la strategia a monte dello sterminio sarebbe stata inefficace. Cosa è successo dunque? Theodor Adorno riconosce nella fragilità dell’Io e della coscienza il cavallo di battaglia delle ideologie totalitarie, le quali si nutrono di una struttura caratteriale diffusa, definita da «un pensiero determinato da categorie del tipo potenza-impotenza, inflessibilità e incapacità di reagire, convenzionalismo, conformismo, mancanza di autocoscienza». Sostiene Adorno che le persone che posseggono questo tipo di struttura, a prescindere dalla specifica forma di totalitarismo, hanno fluttuato «tra il partito nazionalsocialista e quello comunista, prima del 1933»[ii]. E parliamo, specifica, «di milioni di elettori». La loro scelta, dice Adorno, non è tanto dipesa da un ideale politico-economico, quanto dal fatto che «Queste persone si identificano con il potere in quanto tale, indipendentemente dalla sua natura. In fondo dispongono solo di un Io debole e hanno perciò bisogno come surrogato della identificazione con grandi collettivi e della copertura da parte di essi»[iii].

Apprendiamo dunque che il potenziale totalitario, dormiente ma presente in ogni epoca, si decomprime e si espande nei periodi in cui imperversa nelle società un danno identitario che indebolisce la massa. La maggioranza diventa incapace di pensare con la propria testa e si identifica con il potere per compensare la propria carenza identitaria. È dunque su questo terreno che ha attecchito la propaganda, per accaparrare la maggioranza e imporre il programma nazista, ha funzionato l’uso del terrore come mezzo di intimidazione per chi rifiutava di obbedire, e infine è stato determinante l’inganno per ammaliare le menti della popolazione tedesca con un illusorio grande futuro per la Germania.

Impariamo da questa lezione che si pone a monte dello sterminio, ma che l’ha reso possibile, e che investe tutti quelli che stanno al di qua del filo spinato del lager, che l’azione educativa della scuola, e non solo della scuola, anche delle istituzioni, è fondamentale per evitare che si crei quel terreno fertile che permette il radicamento di dittature e regimi totalitari, ma anche di comportamenti sociali disumanizzanti. L’educazione dovrebbe pertanto mirare innanzitutto alla costruzione di un assetto etico e morale forte fatto di valori, in cui il pregiudizio, il giudizio e la discriminazione per qualunque essere umano non trova spazio, nel quale deve essere sentita come inconcepibile e inaccettabile la divisione della società in buoni e cattivi sulla base di chi è allineato o meno con il potere o di qualunque altro criterio divisivo che possa istigare sospetto nell’altro, riduzione a categorie e odio sociale. Soprattutto, l’educazione dovrebbe insegnare a mettere al centro la dignità e l’inviolabilità della vita umana, dalla prima fase della sua ontogenesi nel grembo materno fino all’ultima tappa della vita. Se manca questa educazione al rispetto, all’accoglienza e al senso della vita in ogni sua fase diventa assai arduo inculcare agli uomini il rispetto per ogni uomo.

Mi sembra che ci sia ancora molto da fare, diamoci da fare, e soprattutto auspico che il Tavolo della Memoria possa tornare, dopo questa emergenza pandemica, a lavorare a pieno ritmo.

Grazie per l’ascolto.



[i] La guerra del Peloponneso, I, p. 22, <https://people.unica.it/elisabettapoddighe/files/2019/11/TUCIDIDE-PDF.pdf>.

[ii] T.W. Adorno, Che cosa significa elaborazione del passato, in S. Petrucciani (a cura di), Contro l’antisemitismo, Roma, Manifestolibri, 1994 (20072), p. 26.

[iii] Ibid.