Scheda per l’animazione pastorale - versione estesa
Versione estesa rispetto alla scheda dell'ufficio nazionale
XXVIII Giornata Mondiale del Malato
Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò (Mt 11,28).
Consolati da Cristo per essere noi stessi consolazione degli afflitti
Proposte per l’animazione pastorale parrocchiale
I PARTE > PERCORSI NARRATIVI E MULTIMEDIALI
Per l’animazione e l’avvio di una riflessione sul tema nei gruppi, viene proposto un percorso che rilegge parola per parola il tema della Giornata.
Per questa prima parte della scheda di animazione pastorale si propone di lasciarci aiutare da chi, in vario modo, ha vissuto questa chiamata di Gesù come occasione di risposta, in particolare nel tempo della malattia. Sono cinque testimoni. Il loro percorso di risposta al “venite a me”, anche dentro la fatica della ricerca di senso, è diventata (o sta diventando) pienezza di vita.
A ciascuno dei lettori la possibilità di adattare ai propri contesti di catechesi e di pastorale quanto viene condiviso in queste pagine.
Il contesto del capitolo 11 di Matteo
Mt 11,25-30: In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
Tutto il capitolo 11 di Matteo è un capitolo di crisi, nel quale l’umanità di Gesù è proposta come il “luogo” che realizza il discorso del monte, che realizza l’umanità del povero, dell’afflitto, del puro di cuore, di colui che realizza il Regno di Dio. Però è proprio l'umanità di Gesù che viene percepita come scandalo, inciampo, giudizio. Nel passaggio dei versetti 25-30 c'è una “danza” di gioia di Gesù: è uno squarcio sublime sul mistero di Dio. Nella sua umanità Gesù si rivela come il Figlio dice sì all’amore del Padre non in forza e potenza, ma nel mistero della piccolezza, dalla fatica. Dona a noi la stessa conoscenza che lui ha del Padre, cioè ci fa entrare nella Trinità.
Nel testo ci parla ancora di “giogo” (e il giogo è la legge) e Gesù dice: Voi che siete affaticati e oppressi dal giogo duro e pesante della legge venite a me, io vi darò riposo.
Il giogo che Gesù dona è un'altra legge, differente, è un giogo soave e leggero: Gesù ci fa passare dall'obbligo della legge alla responsabilità dell'amore.
La legge prevede castighi (connessi alle infrazioni), mentre l'amore è sì esigente (perché chiama alla responsabilità), ma fa vivere la pienezza di vita e non punisce.
Quando viviamo sotto il giogo della legge allora le infrazioni sono da punire: ecco il castigo. Ma appare una domanda che turba molto: "ma questo castigo me lo sono meritato? Quale legge avrei infranto?".
Questo è il giogo pesante che ha una ricaduta potente sul modo in cui viviamo la malattia e l'accompagnamento ai malati. È pesante ed appesantisce.
Il giogo di Gesù, invece, alleggerisce e dà conforto.
Arriviamo alle prime parole del versetto 28, che sono un invito davvero bello: “Venite a me”.
La risposta all'amore può avere momenti faticosi e sofferti, ma porta al riposo: mi ri-poso nel mistero di Dio che mi restituisce a me stesso.
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Per questa scheda di animazione pastorale si propone di lasciarci aiutare da chi, in vario modo, ha vissuto questa chiamata di Gesù come occasione di risposta in particolare nel tempo della malattia. Saranno cinque testimoni. Il loro percorso di risposta al “venite a me”, anche dentro la fatica della ricerca di senso, è diventata (o sta diventando) pienezza di vita.
A ciascuno dei lettori la possibilità di adattare ai propri contesti di catechesi e di pastorale quanto viene condiviso in queste pagine.
“Venite a me”
“Venite”: è un invito ed una chiamata.
“a me”: Gesù non dice “venite a fare”, ma “venite a me”: la vera sapienza è la carne di Cristo. Quando Gesù dice “a me” intende dire proprio l'invito ad incontrare la Sua umanità, segnata da debolezza, fragilità, caducità. È questa carne che salva l'uomo e che rivela Dio. È questa carne che ci introduce in Dio. Per questo è nel nome di Gesù che c'è scandalo ma anche salvezza per tutto il mondo, per ogni carne.
Accettare la chiamata: Massimiliano Amolini, una lettera del 2003
Carpeneda 18.08.2003
Caro don Mario, oggi 18 agosto per molte persone è un giorno normale, vissuto sui binari della quotidianità, per me no! È un giorno particolare, indubbiamente ha mutato il mio transito terreno; 13 anni fa, è accorso l’incidente che mi ha reso totalmente paralizzato e muto.
Meditando [sulla Sacra Scrittura] ho compreso, che pur essendo a letto, mi è permesso di fare del bene. "Ogni tralcio che porta frutto, lo poto perché porti più frutto" (Gv 15, 2). Così è la mia vita: da povero tralcio. Con il battesimo siamo tutti chiamati ad essere tralci di una grande vigna, sta al vignaiolo decidere come coltivare “bene” la vigna, perché essa dia una buona vendemmia… Ora colgo il significato che Gesù parlando a Nicodemo disse quando pronunciò queste parole: "In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio" (Gv 3,3). E la mia “avventura” è una nuova rinascita: i medici mi davano per morto, il disegno del Padre era diverso.
Questa ricorrenza per me e per la mia famiglia è una giornata di grande festa, è festa di compleanno; ero pressoché morto, vivo ancora e di questo rendo Lode e Onore a Dio.
Alla gente pare che sia pazzo, ma erroneamente, pensavano anche degli Apostoli così il giorno di Pentecoste (… Pietro, levatosi in piedi con gli altri Undici, parlò a voce alta così: Questi uomini non sono ubriachi come voi sospettate, At 2,14-15). [...]
La ringrazio e la saluto cordialmente, PACE E BENE
Massimiliano Amolini.
Accettare la chiamata: Massimiliano Amolini, una lettera del 2008
Carpeneda 25.10.08
Eccellenza mons. Domenico Sigalini, Vescovo di Palestrina, e assistente Ecclesiastico Generale dell’Azione Cattolica Italiana.
Innanzitutto buongiorno! Desidero scusarmi se le reco qualche disturbo con questa mia lettera.
… Affidandomi alla sua gentilezza, domando come potrei entrare a far parte dell’Azione Cattolica italiana, dato che per causa di forza maggiore non posso aderire fisicamente (però, spiritualmente sì) agli impegni che durante l’anno vengono affidati dagli animatori.
Sento nel mio “sacrario dell’uomo” (come chiama il Concilio Vaticano II, la coscienza) che l’Azione Cattolica sarà per me quella strada che conduce attraverso le bufere del mondo alla porta stretta, con la lampada ben accesa dall’olio profumato della santità vissuta quotidianamente.
Ora mi presento: Mi chiamo Massimiliano, sono un giovane di 33 anni, abito in provincia di Brescia e sono tetraplegico da ben 18 anni. Una trombosi poi, mi ha tolto l’uso della parola; così che sono costretto a letto senza che mi sia concesso un benché minimo movimento, che non sia il ruotare del capo e il battito delle ciglia (con cui scelgo le lettere dell’alfabeto scritte su una tavola, che chi vuol interloquire con me, mi porge). Sono tracheotomizzato ed aggredito da una comprensibile rete di tubi e connessioni varie. Queste mi causano molte aspirazioni, di giorno e di notte.
Un gruppo d’amici e, soprattutto i miei genitori, mi hanno dotato di un computer con HW e SW speciali per migliorare la mia interfaccia di comunicazione. La lettera qui redatta, ad esempio, è scritta con questo mezzo, che attivo utilizzando un accenno di movimento del capo.
Come ho citato qui sopra, la mia vita si svolge per il 99 % del tempo a letto, perché il solo stare in carrozzina mi causa problemi ingenti nel fisico. Questa non è per me una brutta condizione di vita, come potrebbe credere chi l’osserva dall’esterno del mio mondo; se si vive nella tristezza sempre il cielo è nero; bisogna vivere nella speranza e per un credente cristiano cattolico la speranza ha un nome ben preciso: Gesù di Nazzareth.
Quando permetti a Cristo d’irrompere dentro, ti svela le Sue ricchezze, e cosa ti aspetta nell’aldilà se hai combattuto la buona battaglia e hai conservato la fede; perché se lo inviti Gesù dice: “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed Egli con me” (Apocalisse 3, 20).
Inoltre afferma: “Il vincitore lo farò sedere presso di me, sul mio trono, come io ho vinto e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono” (Apocalisse 3, 21).
Ora il buon Gesù mi sta additando l’Azione Cattolica, che è da sempre fornace ardente di santità, per perfezionare quest’anima imperfetta e colma di miseria che risponde al nome di Massimiliano.
Caro mons. Sigalini, so che è nativo della terra bresciana, quando verrà a visitare i suoi cari, se è possibile, gradirei tanto una sua visita (per piacere, se viene, prima può avvertirmi telefonicamente, grazie).
Caro mons. Sigalini, le chiedo un dono, so bene che vale più di tutto l’oro e l’argento di questo mondo: è il dono di una Benedizione Apostolica (per i nemici, per gli amici, per i genitori e per me). Concludo chiedendo una preghiera: ho tanto, tanto bisogno del suo aiuto; io mi sforzo (con gioia) di seguire sempre la volontà del Signore: pregando, leggendo la Sacra Scrittura, dicendo il mio “FIAT”, ecc., ma non è abbastanza, sono sicuro che il Padre vuole di più da me, per una vera e perseverante CONVERSIONE.
La ringrazio e La saluto cordialmente, Dio la benedica
Massimiliano Amolini.
P.S.: l’italiano corretto non mi appartiene, perciò le chiedo umilmente perdono degli errori, la mia cultura è quella di un allievo di corsi professionali di avviamento al lavoro. Ma gli amici, per l’apertura alla vasta gamma di interessi, l’apertura al prossimo, il rapporto con i genitori, il mistero con me stesso e con Dio Padre, dicono che sono un “laureato della vita”.
“Voi tutti”
Francesca Fedeli e suo marito Roberto D'Angelo ricevono il dono di diventare genitori nel 2011. Ma loro figlio, Mario, ha un grave problema di salute: un ictus perinatale (Francesca, più sotto, spiega meglio di cosa si tratti). Mi sono chiesto se inserire la loro storia qui. Né Francesca né Roberto parlano esplicitamente della loro esperienza religiosa. Ma so che la chiamata di Gesù dice: “voi tutti”. La loro esperienza a cavallo tra fragilità e speranza profuma di vangelo e mi sembra proprio adatta anche a cogliere che il Signore chiama ad un “giogo leggero” proprio tutti.
Anche se qui non riportiamo quell'intervista, Francesca Fedeli ha partecipato, la vigilia della festa dell'Annunciazione a Maria, alla trasmissione del 24 mar 2015 di Tv2000: “Quando nasce una mamma”. Mi pare che in quel contesto emerga come Francesca si scopra (insieme al marito) capace a rispondere ad una chiamata. La chiamata ad essere mamma, a cambiare scelte di vita, ad essere famiglia con il marito ed il figlio in modo diverso da quello che progettavano. Un sì. Un sì faticoso, ma amorevole. Un sì ad essere mamma e un sì del marito ad essere papà e un sì del figlio alla vita.
Dice Lucia Ascione, giornalista di Tv 2000: “C'è un dolore che ti rinchiude ed un dolore che ti porta a condividere, ad aprirsi ad altri”. Mi pare un ottimo spunto di riflessione per la giornata del malato.
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Quella che segue è parte dei sottotitoli di una TED conference tenuta in inglese da questa coppia di genitori italiani.
Più sotto i collegamenti per vedere i filmati e per leggere un po' di più della storia.
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Roberto D'Angelo Francesca Fedeli - Ted conference 2013: nella malattia del nostro bimbo, una lezione di vita
Roberto D'Angelo and Francesca Fedeli: In our baby's illness, a life lesson
Francesca Fedeli: Ciao. Questo è Mario. È nostro figlio. È nato due anni e mezzo fa, e ho avuto una gravidanza abbastanza difficile perché sono dovuta rimanere a letto per quasi otto mesi. Ma alla fine tutto sembrava essere sotto controllo. Era del peso giusto alla nascita. Aveva un indice di Apgar corretto. Questo ci ha rassicurato un po'. Ma alla fine, 10 giorni dopo la nascita, abbiamo scoperto che aveva avuto un ictus.
Forse lo sapete, l'ictus è una lesione al cervello. Un ictus perinatale è una cosa che può verificarsi durante i nove mesi della gravidanza o subito dopo la nascita, e nel suo caso, come vedete, la parte destra del cervello è danneggiata. L'effetto che questo ictus poteva avere sul corpo di Mario è il fatto che non potesse essere in grado di controllare la parte sinistra del corpo. Immaginate, se avete un computer e una stampante e volete trasmettere un comando per stampare un documento, ma la stampante non ha i driver giusti.
Lo stesso vale per Mario. È come se volesse muovere la parte sinistra del suo corpo, ma non è in grado di trasmettere il comando giusto per muovere il braccio sinistro e la gamba sinistra.
La vita doveva cambiare. Dovevamo cambiare i nostri programmi. Dovevamo cambiare l'impatto che aveva questa nascita sulla nostra vita.
Roberto D'Angelo: Come potete immaginare, sfortunatamente, non eravamo pronti. Nessuno ci aveva insegnato ad affrontare questo tipo di disabilità, e sono cominciate a sorgere tante domande. È stato un periodo davvero difficile. Domande basilari sul perché fosse successo a noi, cosa fosse andato storto.
Alcune più difficili come quale sarebbe stato l'impatto sulla vita di Mario, se sarà in grado di lavorare, se vivrà una vita normale. In quanto genitori, specialmente per la prima volta, perché non sarà migliore di noi?
Ed è difficile da ammettere, ma qualche mese dopo, ci siamo resi conto che ci sentivamo un vero e proprio fallimento. L'unico vero prodotto della nostra vita, alla fine, era stato un fallimento. Non era un fallimento in sé per noi, ma un fallimento che avrebbe avuto ripercussioni sulla sua vita. Onestamente, ci sentivamo sconfitti. Eravamo veramente giù, ma alla fine, abbiamo iniziato a guardarlo, e ci siamo detti che dovevamo reagire.
Immediatamente, come ha detto Francesca, abbiamo cambiato la nostra vita. Abbiamo iniziato la fisioterapia, la riabilitazione, e uno dei percorsi che abbiamo seguito in termini di riabilitazione è il test pilota dei neuroni specchio. In sostanza, abbiamo passato mesi a fare questo con Mario.
[fa il gesto di afferrare una matita]
Avete un oggetto e gli mostrate come afferrarlo. La teoria dei neuroni specchio dice semplicemente che nel vostro cervello, proprio adesso, mentre mi guardate fare questa cosa, state attivando esattamente gli stessi neuroni come se steste compiendo queste azioni. Sembra essere l'avanguardia in termini di riabilitazione.
Ma un giorno abbiamo scoperto che Mario non guardava la nostra mano. Guardava noi. Noi eravamo il suo specchio. Ed il problema, come potete immaginare, è che eravamo giù, eravamo depressi, lo vedevamo come un problema, non come un figlio, non da un punto di vista positivo.
Quel giorno ha veramente cambiato la nostra prospettiva. Ci siamo resi conto che dovevamo diventare uno specchio migliore per Mario. Abbiamo ricominciato dai nostri punti di forza, e contemporaneamente abbiamo ricominciato dai suoi punti di forza.
Abbiamo smesso di vederlo come un problema, e abbiamo iniziato a vederlo come un'opportunità di miglioramento. Questo è stato il cambiamento.
Dal canto nostro abbiamo detto, "Quali sono i nostri punti di forza che possiamo veramente trasmettere a Mario?". Abbiamo iniziato dalle nostre passioni.
Mia moglie ed io siamo abbastanza diversi, ma abbiamo molte cose in comune. Ci piace viaggiare, ci piace la musica, ci piace stare in posti come questo, e abbiamo iniziato a portare Mario con noi solo per fargli vedere le cose migliori che possiamo mostrargli.
Questo breve video è della settimana scorsa.
[nel video si vede il bimbo che cammina e gioca]
Non sto dicendo che sia un miracolo. Non è questo il messaggio, perché siamo solo all'inizio del percorso. Ma vogliamo condividere la lezione più importante, che ci ha dato Mario, ossia considerare ciò che avete come un dono e non pensare solo a ciò che vi perdete, ma di considerare quel che vi perdete come un'opportunità. Questo è il messaggio che vogliamo condividere con voi. Ecco perché siamo qui… Mario!
[il bimbo arriva sul palco camminando, accompagnato per mano da Francesca]
Ecco perché abbiamo deciso di condividere con lui il migliore specchio al mondo. E ringraziamo tutti voi.
Francesca: Grazie.
Roberto: Grazie. Arrivederci.
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Video n.1: Roberto D'Angelo and Francesca Fedeli: In our baby's illness, a life lesson: https://www.youtube.com/watch?v=GhpFTQfiqCs. Si possono attivare i sottotitoli in italiano.
Video n.2: “Quando nasce una mamma”, TV2000, 24 mar 2015, in “Bel tempo si spera”, con: Lucia Ascione, don Marco Pozza, Francesca Fedeli. Canale Youtube di Tv2000it: https://www.youtube.com/watch?v=G2aXMHtfayY oppure: http://www.tv2000.it/beltemposispera/video/quando-nasce-una-mamma-la-storia-di-francesca/
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Il sito di riferimento: https://www.fightthestroke.org/
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Il libro: Francesca Fedeli, Lotta e sorridi. Una storia d’amore e scienza, Sperling & Kupfer, 2015 (N.B.: I proventi dalla vendita del libro saranno completamente devoluti all’associazione Fightthestroke, per un futuro migliore dei giovani sopravvissuti all’ictus e dei bambini con Paralisi Cerebrale Infantile).
“che siete affaticati”
La malattia è una fatica. Dio, nell'umanità di Gesù, conosce questa fatica e non ci lascia soli.
Giulia Gabrieli: Un gancio in mezzo al cielo
Nel 2009 a Giulia Gabrieli viene diagnosticato un sarcoma alla mano sinistra. Ha 12 anni ed andrà incontro a due anni di cure.
Dopo un iniziale momento di sconforto, affronta con coraggio il percorso delle terapie: “Se trovi la forza per pensare: eh va beh, vado in ospedale, faccio una chemio e poi torno a casa, è tutta un’altra cosa. Certo anch’io quando sto male mi chiedo: perché è successo proprio a me? Poi però, quando sto meglio dico: «Ma sì, dai, è passato, ci rido sopra!»”
Aveva un rapporto speciale con i suoi medici, che considerava dei supereroi: “Se ci fate caso, non c’è molta differenza tra un supereroe e un medico. I supereroi salvano tutti i giorni la vita a delle persone, anche sconosciute. E lo stesso si può dire dei medici: solo che anziché usare le tele di ragno come Spiderman o le ali come Batman, usano le medicine. E poi, dal punto di vista umano, sono davvero imbattibili”.
Lungi dal rimuovere la sofferenza, Giulia cerca di darle un senso che all’inizio trova nell’amore per gli altri, sempre sostenuto dalla fede. Una fede autentica, che la malattia non fiacca ma rafforza. Scriverà, dopo la recidiva: “Io ringrazio il Signore di avermi donato, attraverso la malattia che è ritornata, una seconda chance per capire quanto mi vuole bene”. Giulia non si illude, è lucida ma allo stesso tempo aperta a qualunque intervento di Dio: “Dobbiamo pregarlo affinché lui ci dia la forza di andare avanti, di sopportare le cure, di accettarle! Quest’anno io spero di guarire, ma anche se ciò non dovesse accadere so che lui mi è sempre vicino e mi dà la forza di andare avanti”.
La malattia la vive come un’opportunità: “Ho capito tante cose della mia fede che difficilmente avrei capito senza l’esperienza della malattia. O forse ci sarei arrivata, ma molto più in là…”
Giulia legge la storia di Chiara Luce Badano, un’altra santa dei giorni nostri, e ne resta folgorata, è contagiosa la santità, è sempre stato così, e Giulia scrive, dopo aver letto la sua storia: “Per me è una sorella, è come una stella cometa, la stella cometa che mi porta dritta da Gesù, e ogni giorno mi impegno a vivere come lei l’attimo presente, mi godo fino in fondo questo momento perché Dio me lo sta donando ed è adesso.”
La fedeltà all'oggi di Dio: “La nostra vita è adesso, non è domani. Noi ci dobbiamo impegnare adesso per costruire un mondo migliore domani. Se noi viviamo bene adesso, domani sarà un giorno migliore”. Per questo Giulia avverte sempre più l’urgenza di dare una testimonianza ai giovani, soprattutto a quelli lontani dalla fede, “impegnati in una frenetica caccia al tesoro, ma senza tesoro”.
Aveva il talento della scrittura e aveva deciso di scrivere un libro, Un gancio in mezzo al cielo, con il racconto della malattia affinché la sua testimonianza potesse essere un dono per gli altri, ai quali voleva annunciare che lei, il “gancio in mezzo al cielo”, cioè l’aiuto di Dio, l’aveva trovato. Il suo sogno di scrivere un libro è diventato realtà grazie all'aiuto di Fabio Finazzi, a lungo giornalista di Avvenire e del Corriere della Sera.
“Ora spero che con questo libro molte persone possano capire il vero senso della vita, semplicemente leggendolo, senza passare per forza la dura esperienza della malattia”: parole in cui Giulia ha condensato tutta la sua volontà di non piegarsi di fronte al male e di vivere con amore ogni momento della vita.
Scrive ancora circa la fatica nella malattia: “Il fatto è che la gente ha paura della malattia, della sofferenza. Ci sono molti malati che restano soli, tutti i loro amici spariscono, spaventati. Non bisogna avere paura! Se gli altri ci stanno vicino, ci vengono accanto, ci mettono una mano sulla spalla e ci dicono «Dài che ce la fai!», è quello che ci dà la forza di andare avanti”.
Certo, arriva anche la prova della fede. La sofferenza è grande e, per un po’, si sente abbandonata dal Signore: “Continuavo a dire ai miei genitori: ma Dio dov’è? Adesso che sto malissimo, ho addosso di tutto, Dio dov’è? Lui che dice che posso pregare, può fare grandi miracoli, può alleviare tutti i dolori perché non me li leva? Dov’è?”.
Però Dio si fa sentire, se lo ascoltiamo. Un giorno, a Padova, dove si era recata per la radioterapia, mentre si trovava nella basilica di Sant’Antonio (vi era entrata triste ed arrabbiata), una signora, sconosciuta, raccolta in preghiera aveva messo la mano sopra la sua mano malata. “Non mi ha detto niente, ma aveva un’espressione sul volto come se mi volesse comunicare: «forza, vai avanti, ce la fai, Dio è con te». Ero entrata arrabbiata, in lacrime, proprio in uno stato pietoso. Sono uscita dalla basilica con il sorriso, con la gioia di Dio che non mi ha mai abbandonata. Ero talmente disturbata dal dolore e non riuscivo a sentirlo vicino, ma in realtà penso che lui mi stessi stringendo fortissimo. Quasi non ce la faceva più…”.
La malattia avanza: “Il problema è che noi sentiamo il Signore così lontano, perché abbiamo in mente solo il ‘Padre nostro che sei nei cieli’. Invece non è così. Dobbiamo pensarlo proprio come un papà, da abbracciare, da stritolare”.
Giulia è consapevole della morte e scrive: “Ora so che la mia storia può finire in due modi: o, grazie a un miracolo, con la completa guarigione, che io chiedo al Signore perché ho tanti progetti da realizzare. E li vorrei realizzare proprio io. Oppure incontro al Signore che è una bellissima cosa. Sono entrambi due bei finali”.
Giulia morirà a 14 anni, il 19 agosto del 2011. Alla fine, però, ha vinto la sfida: è andata incontro al compimento della sua vita con passo sicuro.
Dietro di sé ha lasciato ricordi intensi e bellissimi, come il suo sorriso. E un'eredità morale destinata all'aiuto del prossimo: papà Antonio, mamma Sara e il fratello Davide portano avanti il ricordo di Giulia anche attraverso l'associazione l'associazione “conGiulia onlus” che hanno fondato per sostenere progetti di solidarietà a favore di giovani e bambini malati, come Giulia aveva desiderato.
Il 7 aprile 2019 la diocesi di Bergamo ha aperto ufficialmente la causa di beatificazione.
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Il libro: Giulia Gabrieli, Un gancio in mezzo al cielo, Edizioni Paoline, Milano 2012, 2019
Il ricavato dei diritti d’autore viene destinato in parte all’Airc, Associazione italiana per la ricerca sul cancro, in parte per l'associazione “conGiulia onlus”.
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Fonti utilizzate:
- Vittoria Terenzi, Un gancio in mezzo al cielo, la storia di Giulia Gabrieli, https://www.cittanuova.it/un-gancio-mezzo-al-cielo/
- Avvenire, Redazione internet, 6 aprile 2019, Bergamo. Giulia Gabrieli, morta a 14 anni: si apre il processo di beatificazione
- Post del 29/03/2012 di “fermenticattolicivivi”
“ed oppressi”
Due sono i brani proposti (La disabilità e Gesù e Il punto nero). Sono stati scritti qualche anno fa. Gianlorenzo Casini continua a maturare il suo pensiero. Alla fine dei due brani l'indicazione di un suo libro recente.
La disabilità e Gesù: L’oppressione è legata ad un volto distorto di Dio: in conseguenza di questo errore, la malattia viene vista come punizione per qualche colpa commessa infrangendo la legge di Dio.
Il punto nero: dal momento che Gesù guarisce il nostro sguardo malato sul volto di Dio, proprio da quel momento si accede alla possibilità di affrontare l'oppressione per accedere alla pienezza della vita.
Gianlorenzo Casini - La disabilità e Gesù
La disabilità viene considerata in molte culture come una disgrazia, un insopportabile difetto di fabbrica di una persona. A volte le viene attribuito il patentino del malocchio, della negatività intrinsecamente posseduta da chi è disabile, o addirittura viene vista come una punizione per qualche colpa pregressa.
Essendo quasi cieco, non nego che la nostra mente, soggetta a tanti condizionamenti esterni, a volte possa partorire simili pensieri. Anche noi cristiani spesso, magari involontariamente, diciamo di fronte ai nostri traumi frasi del tipo: “Ma perché il Signore mi punisce così?”; “Che ho fatto di male per meritarmi questa disgrazia?”.
Per carità, ognuno è libero di pensarla come vuole e se attaccato all’idea distorta di un Dio un po’ giudice, che manda punizioni a suo piacimento, se la può tenere stretta.
Semplicemente, questo Dio non è quello del Vangelo. Di fronte alla domanda di Pietro su chi sia colpevole per la cecità di un uomo, se vi sia una colpa ascrivibile a lui o ai suoi genitori, la risposta di Gesù è disarmante ed inequivocabile (Gv 9,1-3): “La colpa non è né sua, né dei suoi genitori. Ma ciò è accaduto affinché siano manifestate in lui le opere di Dio”.
Verrebbe da dire che questa è roba da matti. Non solo la disabilità non ha una colpa a monte, notizia già grandiosa, ma addirittura Gesù ne ribalta completamente il significato. Le dà un senso buono, positivo, la trasforma in un’opportunità, le cambia radicalmente il colore nero che sempre le attribuiamo, modifica l’odiato punto debole in un elemento di forza e di bene.
Non credo che con la mente sia possibile ritenere vero tutto questo. Al massimo, si può evitare di incarcerarsi in pensieri negativi e cercare di fare buon viso a cattivo gioco. Forse non è un caso che il convertirsi di cui parla il Vangelo, nel greco originale, si dica metanoein (letteralmente, pensare oltre, andare al di là del pensiero).
Forse al di là del pensiero si può trovare un’altra chiave di lettura, più interna e meno evidente nell’immediato, che è quella del nostro spirito, dell’energia che abbiamo dentro, che ci spinge, di fronte ai nostri dolori ed alle nostre disabilità, a cercare altro, a non farsi incarcerare, a gettare il cuore oltre l’ostacolo e provare a trasformare i nostri punti neri in occasioni di luce.
Credo che lo spirito che è in noi cerchi sempre di darci forza e ci spinga a ritenere possibile quello che apparentemente non lo è, chiedendo, di fronte alle difficoltà, di riconciliare e ripartire.
Ecco infine cosa fa Gesù. È una meraviglia, non c’è dubbio. Valuta le persone nel complesso, senza catalogarle in base alle loro vere o presunte debolezze. Modifica la visuale ed indica altre strade. Non si ferma all’apparenza, ma scende nel profondo. Neanche ritiene il miracolo fisico come la cosa più importante, tanto è vero che a volte la frase con cui libera la gente, disabili compresi, è: “Figlio, ti sono rimessi i peccati. La tua fede ti ha salvato. Vai in pace”.
Fra l’altro, lasciatemi dire che, considerando sempre il greco originale del Vangelo, la parte sulla remissione dei peccati in italiano suonerebbe meglio come: “Figlio, tutte le tue vie sbagliate sono mandate fuori”; “Figlio, ciò che ti fa soffrire è sciolto”. Alla faccia del Dio che manda punizioni! Semplicemente, cerca di portare la gente a trovarsi e trovare la propria libertà interiore, qualunque sia la disabilità o la difficoltà che stringe all’angolo.
Riconosco che non è sempre facile né attuabile ragionare e vivere in pienezza secondo questa ottica. In alcuni giorni si medita più sulle presunte opportunità mancate che su quelle da venire o costruire. Ci sono però una visione diversa, una ricerca del Signore ed una coerenza con il proprio spirito che credo valgano la pena di essere cercate.
Certo non per essere santi o eroi, ma perché, in definitiva, si tratta di una via possibile che porta ad una migliore qualità di vita. E questo è assolutamente grandioso.
Arezzo, 4 febbraio 2011
Fonte: http://www.arezzogiovani.it/pastoralesanitaria/blog/wp-content/uploads/2010/12/La-disabilità-e-Gesù.pdf
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Gianlorenzo Casini - Il Punto nero
Quando entrai nella chiesa di Saione, in quella fredda mattinata di Novembre, padre Gregorio aveva già cominciato a celebrare la messa domenicale. Non mi misi a sedere, ma rimasi in piedi in fondo alla chiesa, cosa che oramai facevo abitualmente, non molto attento a ciò che veniva detto o letto. Da quando avevo subito, un anno e mezzo prima, il forte peggioramento alla vista che mi aveva reso ipo-vedente, inaspettatamente e velocemente, avevo prima smesso di andare a messa, e poi vi ero tornato per cercare un appiglio, che non riuscivo a trovare. Ribellarmi alla situazione era l'unica cosa che circolava nella mia testa.
Avevo ascoltato comunque la lettura del Vangelo, che riguardava la guarigione di un paralitico da parte di Gesù, ed attendevo il commento del frate, che, arrivato in parrocchia da poco, mi aveva comunque colpito per l'amore di Dio che profondeva dai suoi discorsi. "Che cos'è questo? Cosa vedete qui?", udii improvvisamente dire da parte di padre Gregorio, che, iniziata la predica, si era messo a girare fra le panche, cosa alquanto inusuale, con in mano qualcosa.
"Un punto nero", "Un grosso punto", ""Un punto nero in mezzo ad un foglio", furono le risposte della gente, dalle quali capii che il frate in mano aveva un foglio sul quale era disegnato un grosso punto nero. La predica prometteva di essere interessante, mi risolsi quindi ad ascoltarla con molta attenzione.
Padre Gregorio, avute le risposte che cercava, tornò presso l'altare, e cominciò a parlare. "Praticamente tutti mi avete detto di aver visto un punto nero, un grosso punto nero. Questo è esatto, ma io non vi ho mostrato un punto nero, io vi ho mostrato un foglio con un punto nero lì disegnato, quindi un punto nero circondato da tanto bianco. Purtroppo voi avete fatto quello che di solito noi uomini facciamo spesso quando abbiamo un problema, una malattia, od una situazione difficile da affrontare, e cioè consideriamo solo quella e tutto ci sembra brutto e desolante. Anche gli altri vedono solo quella in noi, o noi vediamo solo quella negli altri, senza considerarli come persone nel loro complesso.
"Questo fa invece Gesù: Lui guarda e valuta l'individuo nella sua interezza, non certo solo la sua malattia od il suo problema. Gesù non guarda solo il punto nero, ma tutto il foglio. Per Lui rimettere i peccati ad un malato e sollevarlo dalla sua malattia sono due concetti equivalenti, perché se una persona, sana o malata che sia, si avvicina a Lui, si pente dei suoi peccati, e Gli chiede aiuto, trova comunque pace e misericordia. Noi vediamo nel paralitico un grande punto nero, quello della sua malattia, mentre Gesù vede tutto il bianco che c'è intorno".
In quella predica capii che anch'io stavo guardando solo il mio punto nero, che era diventato talmente grande da occupare tutto il foglio. Da quel giorno partì un lento ma continuo processo per rendere il punto nero sempre più piccolo, e poter così riacquistare spazio bianco.
Gianlorenzo Casini - Arezzo
Tratto da: «Parrocchia di San Martino a Vado Strada in Casentino (AR), Prima Edizione della Rassegna di Testimonianza Letteraria “In cammino… con Gesù”, Pieve di San Martino, 14 Novembre 2004, presentazione delle opere».
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Gianlorenzo Casini ha scritto un libro interessante: Gianlorenzo Casini, Oltre il visibile, Edizioni Messaggero di sant’Antonio, Padova 2017.
“Io vi darò riposo”
Don Marco Pozza è cappellano del carcere di Padova. Durante una trasmissione a tv2000 ha notato che Francesca Fedeli (vedi sopra) ha detto, parlando del figlio: “Ci siamo accaniti per tanto tempo ad aggiustarlo”. Don Marco prende spunto da queste parole di Francesca. Fa notare che solo quando lei ed il marito Roberto hanno smesso di cercare di “aggiustare” loro figlio è cominciato un buon percorso abilitazione alla vita. Don Marco dice durante la trasmissione: «… nell'Annunciazione a Maria il grande annuncio che viene fatto al mondo è che Dio non vuole aggiustarti, vuole invece amarti come sei, vuole amarti: "rotto" come sei».
Questo da spunto per inserire qui un'indicazione per gli operatori sanitari, che possa aiutare a trovare quel “riposo” che non sta certo nei tempi della cura (sempre eccessivamente ristretti) o negli spazi delle realtà sanitarie (mai sufficienti), ma nel tempo e luogo “sacro” che incontriamo in ogni relazione di cura. Il testo proposto è di un autore che non è cristiano, ma condivide parole sono così preziose che credo possano essere di grande aiuto.
“Servire, aiutare, aggiustare”.
Rachel Remen, autrice statunitense, medico, dedica al tema alcune riflessioni che io considero fra le più belle definizioni del significato di servizio. Parafrasando le sue parole, servire non è la stessa cosa che aiutare.
Aiutare implica una disuguaglianza, non prevede un rapporto alla pari. Quando si aiuta si usa la propria forza a beneficio di qualcuno che ne ha meno. È un rapporto dove una delle parti è in una posizione svantaggiata, e dove la disuguaglianza è palpabile. Ponendoci nell'ottica dell'aiuto possiamo inavvertitamente sottrarre all'altro più di quanto gli diamo, indebolirne il senso di dignità e l'autostima. Quando aiuto, sono chiaramente cosciente della mia forza.
Ma per servire dobbiamo mettere in gioco qualcosa di più che la nostra forza. Dobbiamo mettere in gioco la totalità di noi stessi, attingere all'intera gamma delle nostre esperienze. Servono anche le nostre ferite, i nostri limiti, perfino i nostri lati oscuri.
La nostra interezza serve l'interezza dell'altro e l'interezza della vita.
Aiutare crea un debito. L'altro sente di doverci qualcosa.
Il servizio, al contrario, è reciproco. Quando aiuto provo soddisfazione; quando servo provo gratitudine.
Servire è inoltre diverso dall'atteggiamento che si esprime in inglese col verbo “to fix”, che possiamo tradurre con “provvedere”, ma anche “riparare”, “rimettere a posto”, “aggiustare”, in gergo medico “restitutio ad integrum”.
Quando cerco di “aggiustare” qualcuno, vedo nell'altro qualcosa che non va. È un giudizio implicito, che mi separa dall'altro e crea una distanza.
Direi quindi che, fondamentalmente, aiutare, aggiustare e servire sono modi di vedere la vita.
Quando aiutiamo, la vita ci appare debole.
Quando cerchiamo di “aggiustare”, ci sembra che abbia qualcosa che non va.
Ma quando serviamo, la vita ci appare completa, e siamo consapevoli di fare da canale a qualcosa di più grande di noi.
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Fonte: Frank Ostaseski, Saper accompagnare – aiutare gli altri e se stessi ad affrontare la morte. Oscar saggi Mondadori 2006 (I) - pagine 37-38 (modificato).
Cfr. anche: Rachel Naomi Remen, Kitchen Table Wisdom, Penguin Putnam, New York, 1996
Domande
- Si può ascoltare la chiamata di Gesù in ogni momento della vita, anche quelli difficili?
- Che rapporto ho con l'umanità di Gesù? È per me una persona o solo un insieme di idee, principi e valori?
- Di fronte a malattie e prove della vita usiamo più facilmente la strategia del cercare di aggiustare i guasti oppure quella del credere che l'amore ha un infinito potere di trasformazione?
- Che cosa mi affatica nella vita? C'è stato qualche momento in cui ho intuito che nella fatica potevo accorgermi meglio della presenza di persone che mi sostengono e della presenza di Dio che mi benedice?
- Quando mi sono chiesto: “Perché, Signore, mi hai fatto questo?” o “Perché hai fatto questo ad una persona che io amo?” come mi sono sentito dentro queste domande? Ho mai intuito che la libertà mi consente di scegliere di cogliere la possibilità del foglio bianco, insieme alla difficoltà del buio dei miei “punti neri”?
- Riesco mai a vivere il servizio con gratitudine? Riconosco che questo è fonte interiore di riposo?
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II PARTE > PERCORSI LITURGICI ED OPERATIVI
Per l’animazione delle diverse attività si può sempre fare riferimento anche alla scheda liturgica ed alla scheda teologica.
Le proposte sono orientate a coinvolgere l’intera comunità parrocchiale con modalità differenziate; pertanto non vengono suddivise per fasce d’età.
1. La valorizzazione dei luoghi
L’affermazione di Gesù “Venite a me” può comportare quest’anno la valorizzazione dei “luoghi”.
In particolare possono essere tenute presenti le seguenti modalità:
- Scegliere, per la celebrazione della comunità parrocchiale: le strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali presenti (concordandone le modalità con le Direzioni ed i cappellani).
- Promuovere, durante il periodo della Giornata Mondiale del Malato, la visita alle strutture da parte di gruppi (catechesi, scout, adolescenti, giovani) e l’eventuale animazione di momenti di preghiera e/o di ricreazione (sempre concordandone le modalità con le Direzioni ed i cappellani).
- L’elenco della rete – di ispirazione cristiana – di luoghi di accoglienza, terapia e riabilitazione specificamente rivolti alle persone con disabilità mentale si trova in www.accolti.it.
- Visitare e utilizzare i Luoghi dedicati alla Madonna della Salute, del Soccorso, della Consolazione, come pure quelli dedicati ad altri Santi o Sante medici, taumaturghi, guaritori.
- È possibile progettare ed organizzare, per alcuni malati lungodegenti o assolutamente inabili, con le dovute attenzioni e l’affiancamento di un adeguato servizio di assistenza, la visita ad un luogo sacro o artistico particolarmente significativo e normalmente a loro inaccessibile.
2. L’Adorazione Eucaristica
«La pietà, dunque, che spinge i fedeli a prostrarsi in adorazione dinanzi alla santa Eucaristia, li attrae a partecipare più profondamente al mistero pasquale e a rispondere con gratitudine al dono di colui che con la sua umanità infonde incessantemente la vita divina nelle membra del suo Corpo. Trattenendosi presso Cristo Signore, essi godono della sua intima familiarità e dinanzi a lui aprono il loro cuore per se stessi e per tutti i loro cari e pregano per la pace e la salvezza del mondo. Offrendo tutta la loro vita con Cristo al Padre nello Spirito Santo, attingono da questo mirabile scambio un aumento di fede, di speranza e di carità». (cfr. Rito della Comunione fuori della Messa e culto Eucaristico, n. 88)
È possibile predisporre un adeguato momento di Adorazione Eucaristica nella Giornata Mondiale del Malato, o in preparazione ad essa. L’Adorazione è un modo specifico di accogliere l’invito ad essere consolati per diventare noi stessi consolatori.
Si considerino gli usi e le tradizioni locali, ponendo in particolare rilievo la comunione con i malati, i loro familiari, gli operatori sanitari che dedicano la loro vita alla cura del prossimo.
3. La presenza ed il ruolo specifico dei Ministri straordinari della Comunione
Tanto nella preparazione e nell’accompagnamento alla visita del luoghi, quanto per la predisposizione dell’Adorazione Eucaristica, sarà possibile dare particolare risalto al ministero dei Ministri straordinari della Comunione, che durante le settimane dell’anno e soprattutto le Domeniche sono testimoni della attenzione che l’intera comunità dedica ai propri malati e a quanti non possono recarsi in chiesa; saranno opportune la presentazione e la rilettura del ruolo specifico che esercitano verso i malati – incontrandone anche le famiglie – quando con la loro visita nelle case rendono presente il Cristo consolatore.
4. La valorizzazione dei gruppi di aiuto e di auto-mutuo-aiuto: non alibi ma consolazione
In Italia sono presenti – da sempre, a partire dalle più antiche confraternite – gruppi di aiuto e di auto-mutuo-aiuto per diverse tipologie di malattie, di patologie, acute e croniche, per le malattie rare. Evidenziarne la presenza, l’utilità, il significato a diversi livelli (spirituale, psicologico, sanitario, sociale) aiuta l’intera comunità a rendersi conto delle potenzialità e della valenza di questi gruppi, aiuta i membri, in particolare quanti direttamente coinvolti nella malattia, a sentirsi meno soli ed isolati, rappresenta e valorizza presso l’opinione pubblica e le amministrazioni il modo per promuovere la presenza originaria e sussidiaria di tali esperienze: l’insieme diventa non un alibi per alcuno, ma una condivisione che nutre una reale consolazione spirituale.
5. Promozione della cultura della donazione
In continuità con quanto già proposto lo scorso anno, è possibile valorizzare in prossimità della Giornata Mondiale del Malato – in particolare attraverso la presenza di Associazioni e gruppi – una campagna per la donazione del sangue e/o del midollo osseo e degli organi. Il “dono del corpo” evidenziato dall’Eucaristia diventa strumento di consolazione: il gesto della donazione esprime una fraternità che si traduce in dono concreto di “qualcosa del proprio corpo” a favore di un fratello o di una sorella che ne abbia necessità vitale.