Sussidio CEI 2015
Conferenza Episcopale Italiana
Ufficio Nazionale per la pastorale della salute
XXIII Giornata Mondiale del Malato
Sapientia cordis - «Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo» (Gb 29,15)
11 febbraio 2015
Scheda teologico-pastorale
1. Ogni uomo, in ogni circostanza e situazione di vita, ha bisogno dello Spirito di sapienza per cogliere i segni della presenza provvidente e misericordiosa di Dio, conoscere la sua volontà, discernere il bene dal male. ne ha bisogno il singolo nel suo cammino di vita e ne ha bisogno la Chiesa per vivere la sua vocazione di popolo di Dio, segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano (cfr. LG 1 e 9). Sappiamo, infatti, che «per la Bibbia il cuore è il centro profondo, originante il mistero della persona; è il luogo delle scelte, dove la riflessione si intreccia con la decisione di agire. Potremmo dire che il cuore è la sintesi di intelligenza, volontà, amore, azione: appunto la vita dell’uomo»1. Il tema della XXIII Giornata Mondiale del Malato invita la comunità cristiana a chiedere al Signore il dono della sapienza del cuore.
2. L’esigenza di chiedere a Dio questo dono si fa ancora più forte quando la malattia bussa alla porta e fa sentire la sua scomoda voce. Il libro di Giobbe riporta un lungo soliloquio (capp. 29-31) nel quale l’autore colpito da sofferenze di ogni tipo, ricorda le opere di giustizia da lui compiute quando era ricco, felice e onorato. Quante volte, soprattutto se la malattia si mostra particolarmente aggressiva e prolungata, il ricordo di tempi sereni e pieni di vigore, torna ad affacciarsi alla mente: «Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo» (Gb 29,15). talvolta questa memoria diventa occasione di ringraziamento, altre volte di rimpianto e di collera, e causa quindi di ulteriore sofferenza. Come non mai, è quello il momento in cui gridare come il cieco di Gerico: «Signore fa che io veda» (Lc 18,41) e ripetere con fiducia: «donaci o Signore la sapienza del cuore!». Scrive papa Francesco con grande delicatezza e pudore: «La fede non è luce che dissipa tutte le nostre tenebre, ma lampada che guida nella notte i nostri passi, e questo basta per il cammino». e ancora: «Il cristiano sa che la sofferenza non può essere eliminata, ma può ricevere un senso, può diventare atto di amore, affidamento alle mani di Dio che non ci abbandona e, in questo modo, essere una tappa di crescita della fede e dell’amore. Contemplando l’unione di Cristo con il Padre, anche nel momento della sofferenza più grande sulla croce (cfr. Mc 15,34), il cristiano impara a partecipare allo sguardo stesso di Gesù… All’uomo che soffre, Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una presenza che accompagna… In Cristo, Dio stesso ha voluto condividere con noi questa strada e offrirci il suo sguardo per vedere in essa la luce. Cristo è colui che, avendo sopportato il dolore, “dà origine alla fede e la porta a compimento” (eb 12,2)» (Lumen Fidei 56-57).
3. Poiché la Chiesa è segno e strumento dell’intima unione con Dio, la comunità cristiana è chiamata a stringersi attorno alle sue membra sofferenti, camminare con loro, accompagnarle con sollecitudine, consolarne la solitudine. Questo avviene ogni qual volta «la comunità evangelizzatrice si mette, mediante opere e gesti, nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo» (Evangelii Gaudium 24). L’immagine di Gesù che tocca gli occhi del cieco di Gerico per ridargli la vista – icona raffigurata splendidamente nei mosaici del duomo di Monreale e scelta per questa XXIII Giornata Mondiale del Malato – ci ricorda la missione del Figlio di Dio venuto per toccare la carne sofferente dell’umanità e portare salvezza.
4. La Chiesa continua la missione di Gesù: come Lui dobbiamo guardare ai ciechi e agli zoppi delle nostre comunità per portare Parola e cura. Infatti, la dimensione caritativa non è conseguenza dell’evangelizzazione, ma suo fondamento. tale prossimità si fa ancora più necessaria in questo tempo difficile nel quale vediamo aumentare la povertà e la conseguente difficoltà, per molti, ad accedere alle cure necessarie. Scrivono i Vescovi italiani: «I “diritti dei deboli” si fanno, giorno dopo giorno, “diritti deboli”: sono quelli dei disabili, delle persone affette da forme gravissime di sofferenza psichica, dei lungodegenti, degli inguaribili, dei malati cronici, di quanti necessitano di riabilitazione intensiva». e questo «a causa di una visione riduttiva della persona umana e da interessi economici»2. In questo contesto, una sanità a misura di famiglia appare ancora lontana. Mentre la comunità cristiana è chiamata a farsi voce dei più deboli e fragili, non può cessare di offrire opere-segno a favore delle vittime della cultura dello scarto, opere che rendono ulteriormente credibile l’annuncio del Vangelo della carità. esorta papa Francesco: «tutti dobbiamo uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo» (Evangelii Gaudium 20).
Verso il Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze
5.1 Quest’anno la celebrazione della Giornata Mondiale del Malato assume, per la Chiesa italiana, un significato particolare, per il cammino che sta compiendo verso il 5° Convegno ecclesiale di Firenze. In questa seconda parte della nostra scheda viene offerta una breve riflessione sul tema “In Gesù Cristo, il nuovo umanesimo”, alla luce dell’esperienza di quanti vivono a servizio dei malati e della pastorale della salute, rimandando, per ulteriori approfondimenti, al documento redatto dal Comitato preparatorio.
Già nel tema del Convegno è espressa la consapevolezza che «chi segue Cristo, l’uomo perfetto, si fa lui pure più uomo» (Gaudium et spes 22). La storia insegna che ogni descrizione dell’uomo data nel tempo non è che un capitolo di un libro che non potrà mai essere completamente esaurito. Infatti, i cambiamenti socio-culturali ripropongono costantemente la “questione antropologica”, unitamente a una riformulazione delle risposte alle questioni fondamentali: l’origine della persona umana, le sue condizioni esistenziali, il suo futuro, la presenza del male, della sofferenza e della morte. La Chiesa ha sempre avuto a cuore una ricerca che offrisse loro risposta, consapevole che soltanto nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo e che Cristo svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione (cfr. Gaudium et spes 22). «Se queste parole – scrive san Giovanni Paolo II – si riferiscono a tutto ciò che riguarda il mistero dell’uomo, allora certamente si riferiscono in modo particolare all’umana sofferenza. Proprio in questo punto lo ‘svelare l’uomo all’uomo e fargli nota la sua altissima vocazione’ è particolarmente indispensabile» (Salvifici Doloris 31). Per comprendere la propria identità, quindi, l’uomo deve contemplare non solo gli aspetti che riempiono di stupore il salmista («Cos’è l’uomo perché te ne curi? L’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato»), ma anche quelli che riconducono alla dimensione fragile e vulnerabile del proprio essere quali la malattia, il dolore e la stessa morte. ne deriva che la persona umana è chiamata a realizzare la propria vocazione sia combattendo contro tutto ciò che può compromettere la propria integrità a livello bio-psico-spirituale, sia integrando il negativo che non può eliminare, riempiendolo di senso. È questo un cammino arduo nel quale non mancano grida di dolore e domande di “Perché?”. È quanto ha compiuto Gesù, Christus medicus che ha sanato ogni sorta d’infermità, e Christus patiens, che ha fatto della propria sofferenza una fonte di guarigione- salvezza per gli uomini: «dalle sue piaghe siamo stati guariti«(cfr. Is 53,5; Mt 8, 16-17). In Lui il soffrire si trasforma in espressione di amore. Precisa il Cardinal Martini: «Gesù non ha inventato la sofferenza, la croce: l’ha incontrata lungo il proprio cammino, come ogni uomo.
La novità che egli ha inventato è stata quella di mettere nella croce un germe di amore. Così la croce è diventata la strada che porta alla vita, messaggio d’amore, sorgente di calore trasformante per l’uomo»3.
5.2 Se nel mistero dell’incarnazione Dio ha fatto suo il volto di ogni persona umana, ciò significa che ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito può imprimere al proprio soffrire lo stesso significato che il Cristo ha dato al proprio. Per ritornare alle parole di Giovanni Paolo II possiamo così affermare che l’uomo è chiamato a realizzare la sua altissima vocazione anche quando si trova nella difficile stagione della sofferenza (cfr. Christifideles laici 53).
Questa visione dell’uomo, teso alla propria realizzazione anche attraverso l’integrazione della dimensione negativa della vita, trova un fattore insostituibile di promozione nella solidarietà verso chi soffre. Per il cristiano essa assume i colori dell’agape: egli è chiamato a essere Cristo per i sofferenti e a incontrare Cristo nei sofferenti (cfr. Mt 25,36). Significative a questo riguardo risuonano le parole del Beato Paolo VI: «Se noi ricordiamo che attraverso il volto di ogni uomo – specialmente quando le lacrime e le sofferenze lo rendono più trasparente – noi possiamo e dobbiamo riconoscere il volto del Padre creatore, il nostro umanesimo diventa cristianesimo, e il nostro cristianesimo si fa teocentrico, così che possiamo ugualmente affermare: per conoscere Dio, bisogna conoscere l’uomo»4. In un contesto socio-culturale nel quale si nota una crescente tendenza a rimuovere la dimensione notturna della vita (sofferenza, malattia, morte), la promozione di un nuovo umanesimo in Gesù Cristo costituisce una sfida impegnativa e utile anche per guarire da deliri di onnipotenza e di immortalità e contribuire all’umanizzazione della cultura e di ogni relazione interpersonale. Si tratta di una sfida che la Chiesa considera nel suo carattere teologico, cioè come appello di Dio a intervenire nella storia seguendo le tracce da lui indicate; una sfida da affrontare con coraggio per offrire la prova che essa si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e la sua storia, forte della convinzione che la fede è essenziale alla riuscita dei progetti umani (cfr. Gaudium et spes 1).
5.3 In ultima analisi è necessario lasciarsi educare dal Vangelo al nuovo umanesimo.
Come testimoniano molti santi: «tutto si impara ai piedi del Crocifisso», il libro aperto nel quale possiamo leggere un’umanità pienamente compiuta perché totalmente donata, l’amore che salva e si fa storia, rivelazione e dono. Si legge nell’Invito al Convegno di Firenze: «Ecce homo: Il Vangelo assume una nuova visione dell’uomo. nella croce Dio si mostra non più lontano rispetto alla sofferenza umana, la quale assume così un significato nuovo che consente di vincerne l’aspetto disumanizzante». e nella Traccia per la preparazione all’evento: «La Kenosis, lo svuotamento di sé, l’uscita da sé, è il primo paradigma di un umanesimo nuovo e altro».
L’uomo nuovo è l’uomo risanato dall’incontro con Cristo. La Sua presenza può fare nuove tutte le cose e aiutare a dare significato e speranza anche alle inevitabili notti dell’esistenza.
L’uomo nuovo è colui che, pur tra fatica e dubbi, cammina con Cristo verso il compimento, consapevole che la sofferenza «è una dimensione essenziale alla natura dell’uomo» (Salvifici Doloris 2).
Con questa luce e considerando il vissuto quotidiano di quanti si trovano costretti a vivere situazioni di malattia, fragilità e sofferenza, così come l’accompagnamento dei loro familiari e degli stessi operatori, ecco alcune considerazioni conseguenti.
a. Poiché la domanda di salute cela in sé, anche inespressa, una domanda di salvezza, è utile porre l’attenzione ad un modello antropologico che guardi all’uomo nelle sue molteplici dimensioni: fisico-biologica, psichica, sociale, culturale, spirituale e religiosa, nella convinzione che ha bisogno di pane come di senso. Per questo il Papa invita a «promuovere una formazione che crei persone capaci di scendere nella notte senza essere invase dal buio; di ascoltare l’illusione di tanti senza lasciarsi sedurre; di accogliere le delusioni, senza disperarsi»5.
b. Nelle situazioni estreme emergono le domande essenziali dell’essere umano, rivelatrici di verità che vanno al di là dell’appartenenza religiosa, culturale ed etnica. È una fase della vita nella quale il malato e il sofferente avvertono come bisogno essenziale la relazione interpersonale, elemento decisivo anche dal punto di vista terapeutico e pastorale. Si legge nella Traccia per la preparazione del Convegno di Firenze: «Solo nella relazione prendono forma i volti. Se la relazione fosse negata o soffocata, saremmo solo un fascio di bisogni e un insieme di accadimenti. difficilmente comprenderemmo cosa significhi essere umani…
Attraverso il costruirsi di relazioni considerevoli, testimoniamo il valore e la dignità dell’umano… noi siamo di fatto relazione». Gli operatori pastorali, esperti nell’arte della relazione, sono un grande dono.
c. Infine, appare urgente un rinnovato impegno per concorrere con più decisione all’umanizzazione del mondo della salute, consapevoli che essa è già ‘attività evangelizzatrice’. Ci sono fattori disumanizzanti che toccano l’organizzazione delle cure e ci sono fattori disumanizzanti che toccano il senso e lo sviluppo integrale dell’individuo. L’attenzione va posta su entrambi i fronti perché, se da un lato abbiamo bisogno di cure a misura d’uomo, dall’altra è necessario accompagnare il malato in tutti i suoi bisogni, affinché percepisca inalterata la sua dignità di persona, soprattutto quando la malattia si fa grave o cronica. In questo contesto, è bene tener presente quanto sia importante contribuire ad umanizzare l’ultima tappa della vita, il morire e la morte, evitando che sia privata nel suo significato di indicatore del destino umano.
1A. Bagnasco, Camminare nelle vie dello Spirito, Lettera Pastorale 2009-2010, n. 42.
2Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute, Predicate il Vangelo e curate i malati, Roma, 2006, 13.
3C. Martini, Via Crucis, Commento alla VII stazione, San Paolo, 2013.
4Paolo VI, Discorso di chiusura della IV sessione del Concilio Vaticano II, eV 1/488ss
5Francesco, Ai Vescovi del Brasile, 27 luglio 2013.