Il Rwanda, situato nell'Africa nera subito sotto l'equatore, è paragonabile per estensione al nostro Piemonte.
Territorio di antichi vulcani, con i suoi verdi altipiani e le profonde valli, è anche detto "il paese dalle mille colline".
Il clima tropicale è particolarmente mite per l'altitudine che varia dai 1.200 ai 2.000 metri.
Nazione tra le più povere del mondo, conta solo sulle braccia dei suoi abitanti che praticano un'agricoltura di sopravvivenza.
In epoca coloniale gli europei hanno sviluppato un'agricoltura più razionale e di tipo intensivo per la coltivazione del tè, del riso e delle banane.
Il tè, uno dei più pregiati del mondo,viene in gran parte esportato per miscelare altri tè di diversa produzione.
I bananeti ricoprono gran parte del territorio rwandese e producono differenti varietà di banane che rappresentano l'alimento base della popolazione.
Il riso viene coltivato non senza difficoltà da intere famiglie riunite in cooperative che, in questo particolare momento, devono affrontare problemi economici e di gestione non indifferenti.
Il diffondersi dell'agricoltura ha provocato, negli anni, la scomparsa quasi totale dell'antica foresta equatoriale.
Oggi ne rimangono pochi splendidi resti: i Monti Virunga e la foresta di Nyungwe.
I monti Virunga, noti anche come le Montagne della Luna, si estendono a nord-ovest fino oltre i confini col Congo e con l'Uganda.
Qui, protetti da una fitta vegetazione vivono gli ultimi gorilla di montagna.
Riuniti in famiglie spesso numerose, questi animali sono oggi pressoché irraggiungibili a causa della guerriglia che imperversa nella regione, un tempo parco nazionale e oggi terra di nessuno.
La foresta di Nyungwe occupa a sud-ovest un vasto territorio dove, alla fine del secolo scorso, sono state individuate le leggendarie sorgenti del Nilo.
Con i suoi 8.000.000 di abitanti, il Rwanda, è uno degli stati più densamente popolati di tutta l'Africa e, malgrado le ultime tragiche vicende, ha mantenuto una forte espansione demografica.
La sua popolazione raddoppia ogni 20 anni.
In Rwanda convivono tre gruppi etnici che, pur parlando la stessa lingua, il kinyarwanda, e pur abitando la stessa terra sin dai tempi antichi, hanno mantenuto una ben definita identità culturale.
I “Twa”, un tempo abili cacciatori, sono i discendenti dei pigmei che vivevano nomadi nelle grandi foreste
Oggi rappresentano solo l'1 % di tutta la popolazione. Con la progressiva deforestazione e la scomparsa della selvaggina, hanno dovuto mutare abitudini di vita.
Restii a qualsiasi ti po di integrazione, vivono ai margini della società, raggruppati in piccoli nuclei stanziali di 30 – 40 famiglie.
Abitano rudimentali capanne di frasche e foglie e sopravvivono fabbricando vasi d'argilla e complicate trappole per la cattura di piccoli animali.
Hanno tuttavia mantenuta intatta la loro passione per la danza e per il canto; sono antiche danze propiziatorie di caccia in cui si imitano gli atteggiamenti e le mosse dell'animale da cacciare.
La gran massa della popolazione e rappresentata con l'85 % dagli “Hutu”, agricoltori di origine bantù.
Deforestando e dissodando il terreno, hanno trasformato le colline e gli altipiani rwandesi in una campagna ben ordinata, solcata da fiumi e da lunghe piste di terra rossa.
I “Tutsi”, alti di statura, allevatori e commercianti di stirpe nilotica,malgrado rappresentino solo il 14% degli abitanti, hanno sempre esercitato un evidente potere politico, economico e culturale sul paese; non è un caso che la famiglia reale, e tutta la corte fossero di lignaggio Tutsi.
La loro cultura è strettamente legata all'allevamento del bestiame; le loro mandrie di vacche dalle grandi corna lunate, identificano ancor oggi, con i bananeti e i boschi di eucaliptus, il paesaggio rwandese.
Malgrado la serenità del paesaggio, la storia del Rwanda, si può riassumere in poche date e in pochi tragici avvenimenti.
Alla fine dell1800 i tedeschi penetrano nel paese dove iniziano ad esercitare la propria influenza.
Nel 1916,subentrano i belgi che continuano ad appoggiare la monarchia e l'elite tradizionale tutsi.
Nel 1961 viene abolita la monarchia e proclamata la repubblica.
A seguito dell'indipendenza, il Belgio ritira il proprio sostegno ai tutsi molti dei quali vengono massacrati.
Oltre 20.000 si rifugiano nei paesi vicini e soprattutto in Uganda, dove nel 1987, costituiscono il Fronte Patriottico Rwandese.
Nel 1973, Abyarimana, si impadronisce del potere con un colpo di stato militare.
Nel 1990 il Fronte Patriottico attacca il Rwanda dall'Uganda.
Il 6 Aprile 1994 il presidente Abyarimana muore in un misterioso incidente aereo.
Estremisti hutu prendono il potere: ha inizio il genocidio.
Oltre 500.000 tutsi vengono massacrati con armi rudimentali e a colpi di machete per le strade, nelle campagne e nelle chiese.
Il 4 Luglio 1994 il Fronte Patriottico Rwandese, costituito prevalentemente da tutsi, entra a Kigali, ma l'eccidio è ormai compiuto.
A Nyamata e a Ntàrama il tempo si è fermato a quei tragici, incredibili giorni:
“Durante il genocidio, in questa chiesa, sono state uccise circa 5.000 persone, in 5 giorni, dal 9 al 14 aprile 1994.
Nei dintorni, in seguito, sono stati recuperati circa 25.000 corpi che sono stati inumati qui, il 14 settembre 1997”
Il genocidio tuttavia fu un evento prevedibile. Già nel marzo 1992 a Nyamata, Tonia Locatelli, una volontaria italiana, aveva denunciato alla stampa internazionale l'esistenza di liste di persone da eliminare.
Il giorno successivo viene uccisa con un colpo d'arma da fuoco in bocca.
Con la fine della guerra non ha però termine il dramma del popolo rwandese.
Circa 2 milioni di hutu fuggono in Tanzania e in Zaire.
In seguito al loro rientro forzato, vengono allestiti i campi profughi: problema ancor oggi attuale e di non facile soluzione.
Condizione del tutto analoga è quella dei senza-tetto, cioè di coloro che pur non essendo fuggiti, hanno dovuto abbandonare le proprie case e i propri villaggi a causa della guerra.
Siamo nel campo di Nyamugali, dove sono concentrate ben 53.000 persone.
Qui il sovraffollamento, le condizioni igieniche, l'approvvigionamento alimentare, sfiorano il limite di sopravvivenza, malgrado l'intervento delle organizzazioni umanitarie internazionali.
Ma oggi, a 5 anni dalla fine della guerra, quale è lo stato attuale di questo tormentato paese e quali sono le sue prospettive future?
Ce ne parla don Silvio Righi che con altri due sacerdoti lucchesi, ed una volontaria laica, è presente dal, 1986 in Rwanda, nella parrocchia di Nyarurema.
- (Intervista Silvio)
A strutture ultimate la scuola ospiterà circa 600 ragazzi, molti dei quali residenti, provenienti da varie regioni del paese.
Una promozione culturale è vista come momento fondamentale per prendere coscienza degli errori del passato, errori che non devono essere ripetuti.
- (Intervista Silvio)
Altro problema che affligge il Rwanda, come gran parte dei paesi africani, è quello della denutrizione infantile.
La parrocchia di Nyarurema gestisce due centri nutrizionali: uno presso il locale dispensario di sanità, l'altro a Rukomo, a 13 Km di distanza, dove vengono seguiti complessivamente più di 1.500 bambini ogni anno.
Questi centri funzionano in modo organico: forniscono un supporto alimentare giornaliero e al tempo stesso insegnano alle madri una corretta utilizzazione delle risorse alimentari.
Al mattino i bambini vengono controllati: si misurano e si pesano per registrare una eventuale crescita.
Successivamente le madri preparano un pasto base correttamente integrato di carboidrati e proteine, utilizzando alimenti di produzione locale come patate, banane, soia, fagioli, riso e uova.
Man mano che le condizioni nutrizionali dei bambini migliorano la loro frequenza al centro viene progressivamente dilazionata.
Talvolta, per fragilità costituzionale o per altre malattie, l'assistenza nutrizionale non non è sufficiente e si rende necessario il ricovero presso il dispensario sanitario per cure più radicali ed un'alimentazione forzata.
La situazione sanitaria in Rwanda è, in questo momento, abbastanza critica.
Molte organizzazioni non governative che garantivano un'assistenza sanitaria di base si sono ritirate dal paese.
L'intervento dello stato è insufficiente e sta prendendo campo una sanità di tipo privato.
A Nyarurema il dispensario sanitario è gestito dalla chiesa che cerca di garantire un buon servizio di assistenza contenendo il costo delle prestazioni e dei farmaci.
Nelle zone più periferiche stanno sorgendo piccoli dispensari privati, gestiti da un assistente sanitario, che cercano di rispondere, con mezzi spesso rudimentali, ai bisogni di una popolazione che, per curarsi, dovrebbe affrontarelunghi e disagevoli spostamenti.
Anche la medicina tradizionale che si basa sull'uso di erbe medicamentose, continua ad essere praticata spesso con successo.
Questa anziana donna pratica da anni un mestiere che ha appreso dai suoi genitori e che sta trasmettendo ai propri figli: la cura delle malattie con infusi di di erbe che raccoglie lei stessa sui monti vicini.
Le abbiamo chiesto se, alla cura con le erbe, aggiunge un po' di magia. Ridendo lei ha risposto: “si, ma non molta”.
- (Intervista Silvio)
Alcuni effetti negativi della guerra sono tuttavia ancora presenti e ben lontano dall'essere risolti.
Uno dei più gravi è rappresentato dai"ragazzi di strada".
Durante il genocidio, molti bambini sono rimasti orfani; altri hanno perduto i contatti con i genitori al momento dell'esodo in Tanzania e in Zaire; altri ancora si sono distaccati dalla famiglia per i disagi economici e sociali che la guerra comporta.
Vivono in gruppi nelle periferie delle città e vicino ai mercati.
Dormono all'aperto in ripari di cartone, mendicano, rubano, sniffano colla.
La loro età oscilla tra gli 8 e i 15 anni, ma ve ne sono anche di più piccoli.
A Kigali ,ci sono due istituzioni private che si occupano del loro recupero; il centro di Gatenga, gestito dai Salesiani ed il progetto Rafiki, gestito dai Padri Bianchi, ambedue finanziati dalla Caritas Italiana e dall'Unicef.
Il recupero di questi ragazzi è quanto mai complesso.
C'è un operatore di strada che li avvicina, parla con loro, conquista la loro fiducia, prospetta una diversa possibilità di vita, una speranza.
Una volta inseriti nel programma devono partecipare attivamente alla vita di comunità preparando i pasti, lavando la biancheria e mantenendo la pulizia e l'ordine.
Se hanno una famiglia si cerca, col tempo, di ricostruire un legame positivo con questa o, in caso contrario, vengono aiutati a trovare un lavoro e una sistemazione esterna alla comunità.
Ma non tutti accettano l'inserimento in un programma di recupero; la maggior parte continua a condurre una vita di espedienti, ai margini della società, senza alcuna prospettiva futura.
Siamo nella discarica di Kichukiro, nella periferia sud di Kigali.
In questa situazione di totale degrado vivono una trentina di ragazzi.
Frugano tra i rifiuti in cerca di ferri vecchi, legname, bottiglie e qualunque cosa possa essere riciclata. Vivono in gruppo: si proteggono a vicenda.
Probabilmente esiste una gerarchia, con un capo che ha accettato la nostra presenza, ma si tiene in disparte.
Questa è la loro vita; è ormai difficile adattarsi a qualcosa di diverso.
E' una realtà terribile: è un viaggio all'inferno senza speranza di ritorno.
Storditi dal sole e dal fetore del luogo, restiamo in silenzio col cuore stretto. Eppure si deve fare qualcosa.
- (Intervista Silvio)
Questo è il Rwanda di oggi: un paese appena uscito da una esperienza tra le più dolorose, che guarda al futuro con molta incertezza.
Un paese che ha bisogno di solidarità morale e materiale per ritrovare la speranza e la forza di superare le proprie contraddizioni.
Queste donne che cantano hanno appena votato per eleggere le proprie rappresentanti di settore.
Sono le immagini di un Rwanda nuovo, che si muove, che va avanti...
Se cammineremo con loro, la via sarà meno faticosa, anche per noi.
Aldo Mencarini 1999