(30”) Guatemala. Questo a cui stiamo assistendo non è un misterioso rito segreto ma è la preparazione alla cerimonia dell’accensione del fuoco sacro nell’antico sito “maya” di Iximchè. Il Guatemala, situato al centro del continente americano, è la culla di questa civiltà che risale a circa 3.500 anni avanti Cristo; e questi sono i loro discendenti. (18”) Popolo dalla cultura raffinata, i Maya, amavano definirsi il “popolo del mais” o “la vera gente”, per distinguersi dagli stranieri chiamati più semplicemente “gente o popolo del grano”. (20”) Questa antica e affascinante civiltà, dall’architettura e dalla scienza molto sviluppata, che aveva inventato ed elaborato il calendario, vedeva improvvisamente interrompere il suo progredire culturale e la sua autonomia, nel 1524, con l’invasione spagnola. titolo PRINCIPESSE E SOGNATORI NELLE STRADE DEL GUATEMALA
(20”) Come testimonia frà Bartolomè de Las Casas, vescovo all’epoca della colonizzazione e strenuo difensore degli indios, in meno di quindici anni circa cinque milioni di indigeni furono annientati, in un olocausto, per crudeltà e barbarie, di dimensioni inaudite.
di ROBERTO GIOVANNINI
(13”) Oggi come allora, una minoranza razzista, “le ventidue famiglie”, discendenti, in gran parte, dai conquistadores, detiene le terre, il potere politico e militare.
(13”) Oggi come allora, i discendenti dei Maya, resistono con coraggio alle violenze degli usurpatori per difendere i propri diritti e la propria identità culturale.
(16”) Nel 1821, il Guatemala proclama l’indipendenza dalla Spagna, per allearsi, o piuttosto, per passare, sotto il controllo degli Stati Uniti, più vicini geograficamente degli spagnoli, ma non meno temibili.
(16”) Il 1960 segna l’inizio di uno dei più efferati genocidi della terra, frutto di una disumana pianificazione operata, con l’appoggio del Governo Statunitense, dallo stato e dal suo esercito, contro i suoi stessi cittadini.
(19”) Nel 1996, dopo 36 anni di guerra fratricida, vengono firmati gli accordi di pace, peraltro mai rispettati.
Intanto 440 villaggi erano stati distrutti e circa 250.000 civili assassinati o fatti sparire.
(25”) Fondata nel 1776, Città del Guatemala, o Guatemala City, la capitale, è andata estendendosi in modo incontrollato sui territori dei comuni circostanti e, con circa 2 milioni e mezzo di abitanti, è il più vasto agglomerato urbano di tutta l’America Centrale.
Secondo lo schema coloniale è divisa in zone e la “zona 1” è il nucleo più antico della città.
(42”) – GERARDO:
La zona 1 della capitale è la zona storica, con una piazza centrale dove c’è la Cattedrale, dove c’è il palazzo del Governo, del Presidente della repubblica…
…e poi questa zona si è degradata progressivamente.
La città, la zona è stata il luogo dei venditori ambulanti e poi anche di ragazzi di strada che… i gruppi della strada si formano soprattutto nella zona centrale.
(16”) L’enorme disuguaglianza sociale, l’alto tasso di disoccupazione, la mancanza di cibo, creano una sorta di violenza endemica che caratterizza tutti i rapporti sociali: sono circa 6.000 i morti ammazzati ogni anno.
(46”) - P. PEDRO NOTA:
Qui la violenza è una catena… paurosa, paurosa…
Si parla molto dell’Iraq, ma qui siamo peggio che in Iraq… solo che qui non se ne parla. Il Guatemala è peggio che in Iraq per la situazione che si vive…
Adesso sta uscendo in questi giorni sui giornali che la stessa polizia faceva la grande “pulizia”, cioè organizzava gli assassinati dei giovani.
Qui ne abbiamo avuto un sacco di assassinati e anche molte ragazze assassinate. Solo tre giorni fa hanno assassinato una ragazza di 13 anni in casa sua…
(25”) E’ anche da situazioni come questa che nasce il cosiddetto fenomeno dei “ragazzi di strada”.
Questo non è un fenomeno recente. Ha radici antiche nei paesi del terzo mondo, particolarmente in America Latina, dove deriva, non solo dalla povertà, ma anche da un maschilismo accentuato che rende instabile l’organizzazione e l’unità familiare.
(36”) – GERARDO:
Sono andato, nel ’93, a Città del Guatemala. Ho incontrato le ragazze e i ragazzi di strada e questo incontro ha sconvolto la mia vita.
Sono rimasto meravigliato dalla loro intelligenza, dalla loro capacità di organizzarsi, dalla delicatezza dei loro sentimenti.
Ed è nata, tra loro e me, una amicizia…
(28”) Il numero di questi ragazzi si è esteso rapidamente negli ultimi anni come conseguenza dell’affermarsi dell’economia mondiale di mercato che aumentando a dismisura il divario economico e sociale, spinge ancor più nella miseria e nell’indigenza la maggioranza degli abitanti dei paesi del terzo mondo.
Si calcola che siano almeno 5.000 i ragazzi di strada in Guatemala, soprattutto concentrati nella capitale.
(22”) – MICHELANGEL:
…che mi aiutino, che mi appoggino! Chiedo che mi facciano uscire dalla strada. Chiedo che mi facciano uscire presto! Voglio trovare un lavoro… voglio lavorare!
La mia famiglia non mi ha mai aiutato!...
(21”) – GERARDO:
Ed è in questi incontri con loro, dialogando con loro, tentando di aiutare ognuno a realizzare i propri sogni, che è nata l’idea di formare un movimento diretto da loro stessi, dalle ragazze e dai ragazzi…
(25”) – GLENDA:
Sono la presidente del Movimento Giovani della Strada. Per me è un grande orgoglio essere la rappresentante dei miei compagni della strada, essere la loro presidente per comprendere e risolvere le necessità dei miei amici.
Grazie alla mia esperienza nella strada, comprendo le situazioni e le problematiche dei miei compagni e cerchiamo, assieme, di trovare le soluzioni.
(25”) - MARIA ELENA:
La ragione per la quale finii in strada è perché non ho famiglia… sono una ragazza orfana… e per questo mi sono trovata in strada.
Prima ero in un'altra istituzione dove non stavo bene, dove non c’era amore, perché nessuno aveva provato quello che io avevo provato. Invece qui sto con persone che, come me, hanno passato le stesse cose che io ho passato, persone che sanno cosa è la strada…
(12”) – GERARDO:
Forse il movimento dei giovani di strada è l’unica associazione che è diretta, gestita dalle ragazze e dai ragazzi stessi.
(15”) – GLENDA:
Per me è un qualcosa di prezioso, è un sogno diventato realtà perché non avrei mai immaginato che, dopo essere stata nella strada, sarei diventata la presidente di un sogno di Gerardo.
(18”) - P. PEDRO NOTA:
…una mistica di dedizione alla gente. Gerardo è uno di quelli che ha questa grande mistica… sennò non resisterebbe qui…
…e poi anche un po’ di salute, io lo dico perché sto faticando parecchio questi ultimi periodi…
(12”) Il percorso di coscientizzazione e formazione nel movimento, fino al completo reinserimento nella vita sociale e lavorativa, prevede sei tappe.
(15”) – GLENDA:
La prima tappa consiste nell’avvicinamento ai ragazzi nella strada. Spiegare che cosa è il movimento e cosa può offrire loro e far capire quelli che sono i loro valori e le loro responsabilità.
(32”) - RENE’:
…stai già domendo Villy?
- VILLY:
No… Sto nella strada da quando avevo 7 anni… Ora ho 34 anni...
(40”) – HARVIN:
Sono nicaraguese. E’ dall’età di 7 anni che sono in Guatemala con il proposito di venire qua a lavorare, però, disgraziatamente, mi sono perso con la droga.
Stavo nella zona del Parco Centrale, nella zona 1, qui a Cittò del Guatemala, rubando…. Drogandomi…
Camminavo come un demente. Però quelli del Mojoca mi avvicinarono nella strada. Una compagna del movimento mi invitò a venire qui tutti i giorni e mi motivò, così decisi di venire e ora sto bene grazie a Dio.
Sto riabilitandomi e mi stanno dando un appoggio nello studio e nel laboratorio che frequento.
(23”) - RAGAZZO con segni di bruciature:
Mi hanno dato fuoco perché sono fuggito da una banda…
…mi hanno dato fuoco con la benzina…
(23”) - P. PEDRO NOTA:
Queste bande sono… tra di loro hanno una vita molto unita e molto cimentata.
Purtroppo sono usati dalla droga, dal giro delle armi, dalla stessa polizia, dagli stessi militari…
(30”) – EDOARDO:
Il problema della strada è la polizia che ti può rapire, qui in Guatemala…
Tanti amici sono morti… arrivano con molte auto e prelevano i ragazzi…
Questo fa molto male al corpo, ma lo facciamo per problemi con la nostra famiglia. Prendo uno straccio… poi apro questo… lo imbevo e comincio a inalare…
(25”) – INES:
Il movimento apre alle 8 di mattina.
All’ingresso ci perquisiscono per vedere che non portiamo con noi nessuna droga, nessun solvente o altro…
Ci danno lo shampoo per poter andare a lavarci perché il nostro corpo sia pulito...
Poi laviamo i nostri vestiti, la nostra roba…
Poi ci chiamano per la colazione… ci danno il nostro piatto di cibo. Prima diciamo l’orazione e dopo iniziamo a mangiare tutto…
(10”) – GLENDA:
E’ molto importante l’educazione dei compagni della strada. Perché ci sono anche quelli che non sanno ne leggere ne scrivere e noi qui glielo insegnamo.
(40”)- POCHIS:
Sono maestro di educazione primaria qui al mojoca dopo una vita di strada di 15 anni passati in vari gruppi.
L’esperienza che ho passato nella strada, quella stessa vita quotidiana che ho trascorso come loro nella strada, mi ha aiutato a comprenderli a valorizzarli e ad ascoltarli.
Io ho avuto molti problemi di apprendimento, per questo è importante non solo l’alfabetizzazione, ma adottare strategie e metodologie per poter capire bene i ragazzi e cercare di sviluppare quelle tecniche per far si che le ragazze e i ragazzi si possano reinserire in una vita sociale più accettabile.
(30”) - MARIA ELENA:
Dissi che volevo studiare e mi fecero studiare, poi mi chiesero se volevo lavorare qui, nel movimento, con i ragazzi… Rimasi sorpresa perché io sono una ragazza di strada. Pensavo che una ragazza di strada non potesse lavorare nel movimento anche perché non sapevo che tutti quelli che lavorano qui sono giovani che prima vivevano nella strada, che si sono riabilitati e che ora hanno una famiglia…
Ora sto lavorando con i ragazzi per l’educazione nella prima tappa, sto aiutando alcuni che non sanno ne leggere ne scrivere…
(20”) – POCHIS:
Nell’anno 2000 venni al mojoca e grazie a questo ho terminato i miei studi di baccalaureato. Dal 2005 sono assistente per il programma di educazione. Attualmente frequento l’università Mariano Gàlvez. Frequento la facoltà di informatica.
(11”) – GLENDA:
C’è la possibilità di frequentare un laboratorio.
Ci sono i laboratori di falegnameria, di pasticceria, di cucito e di cucina e ciascuno può scegliere quello che più gli interessa.
(20”) – PATTY:
Il mio compito nel movimento è quello di aiutare i giovani e assisterli nella ricerca di un lavoro e nella scelta dei laboratori di capacitazione.
Fondamentalmente, questi laboratori, sono lo strumento per offrire l’opportunità, ai nostri amici e amiche della strada, affinché possano inserirsi in una vita sociale attiva.
(15”) – CIRILLO:
E’ da quattro anni che sono qui. Sono l’istruttore di falegnameria.
Cerco di insegnare ai ragazzi tutto quello che so, perché un giorno possano applicarlo a casa loro o anche nella speranza che possano trovare un lavoro da falegname.
(24”) – PATTY:
I giovani possono trovare solo i lavori più bassi e meno remunerati, come lavare i piatti, pulire i pavimenti… anche perché non sono scolarizzati.
Un altro problema dei nostri giovani, che impedisce che siano inseriti nel mondo del lavoro, è perché hanno tatuaggi. Molti dei nostri amici e amiche sono tatuati e qui le imprese private non assumono persone con tatuaggi.
(30”) – SILVER:
Il motivo per cui mi venni a trovare nella strada… perché mio padre, quando io ero piccolo, era un delinquente e anche lui viveva nella strada. Quando morì io avevo 6 anni, ero uguale a lui perchè da lui avevo imparato tutto il male possibile…
Ho 27 anni e 20 anni li ho passati nella strada. Sono 7 anni che ho lasciato la strada e sono due anni che frequento il movimento, lavoro qui per poter pagare il mio alloggio e per aiutare mia figlia e mia moglie.
(33”) – HOSMAN:
Mi mantengo nella “bòlivar” e il mio vizio, da molto tempo, è la droga.
Qui al movimento giovani della strada mi hanno dato l’opportunità affinché io uscissi dalla strada.
Mi dettero la possibilità di essere coordinatore, però sempre per problemi di droga me ne uscii da qui e andai di nuovo nella strada e nella strada ho continuato con il mio solito vizio, ho lasciato la mia abitazione e ho ripreso un’altra volta a fare brutte cose.
Ora sono tornato ancora una volta qui al movimento e sto facendo un po’ di lavoro di falegnameria, lo stesso di prima.
(32”) – KARINA:
Per la maggior parte dei ragazzi che tentano di uscire dalla strada, assistiti dal Mojoca, credo che, per coloro che abbandonano questo processo, questo avvenga per la mancanza di fiducia in se stessi.
E poi per la dipendenza dalla droga, che è molto forte e anche per la dipendenza dalla strada che può essere ancora più forte della stessa dipendenza dalla droga.
Abbiamo notato che, più o meno, sono tre i tentativi che fanno di abbandonare la strada, prima di lasciarla definitivamente.
(20”) – HOSMAN:
Stare fuori dalla strada non è tanto difficile, però per uno che ci ha vissuto molti anni è più difficile perché ci si abitua. Ma la vita nella strada è anche tragica e dura perché molti miei compagni sono morti a causa della droga, per le rivalità in strada o per la polizia che ne ha ammazzati tanti.
(23”) – PATTY:
Per frequentare i laboratori, facciamo un contratto.
Questo contratto è una formalità che serve ai giovani per verificare il processo di avanzamento o di regresso delle loro attività qui al movimento.
Il contratto ha delle particolarità che sono diverse per ciascuno di loro. Il succo è il medesimo, ma è a misura di ogni persona.
(27”) – MIRNA:
Ho conosciuto Gerardo nella strada. Ho vissuto per qualche anno in strada.
Ora lavoro come segretaria qui al Mojoca. Ho tre figli.
Sono uscita dalla strada, quando sono rimasta incinta di mia figlia. Ora mia figlia ha 12 anni.
Sono amica di molti giovani che vivono nella strada che mi cercano per poter parlare… Con me hanno più confidenza che con altre persone e cercano di parlarmi perché sono amica di molti di loro…
(32”) – BERTA:
Ho lavorato con “medici senza frontiere” per 6 anni. Un’esperienza bellissima che mi affascina e, da sempre, il mio desiderio è quello di poter aiutare i giovani che hanno bisogno…
Bisogna sempre riconoscere i diritti che hanno questi giovani. Molte volte sono discriminati a causa del loro sistema di vita.
Se io li accompagno all’ospedale e parlo con il medico, allora sono accolti e ascoltati altrimenti non lo sono.
(90”) - RENE’:
Lavoro al Movimento Giovani di Strada da otto anni. Il mio lavoro è il contatto, la relazione con i ragazzi che stanno in strada.
Praticamente il contatto nella strada è una forma di condivisione con loro, conoscere le loro esperienze, la loro vita, soprattutto le situazioni e i problemi che incontrano nella strada e, con il nostro appoggio, cerchiamo di fargli capire che sono persone come le altre e, come tali, hanno i loro diritti e noi siamo lì per ascoltarli e aiutarli.
I problemi dei giovani, specialmente dei giovani della strada, sono problemi che non dipendono da loro, ma derivano da un disagio sociale che viviamo tutti noi guatemaltechi.
Quindi la nostra funzione è andare a cercarli in strada per fargli capire che ci sono molti modi di convivenza e soprattutto insegnarli ad essere amici tra loro e a spartire fra loro, cose queste che generalmente già fanno.
Chiediamo che essi riconoscano l’amicizia come forma di valore alla vita e, il nostro lavoro, il contatto nella strada, è un primo approccio per fargli scoprire quello spazio che essi possono trovare nella casa dell’amicizia, al Mojoca.
In questo spazio non solo possono trovare la fiducia, ma possono apprendere, conoscere, istruirsi e sentirsi protagonisti, in modo da poter utilizzare questo protagonismo per la loro crescita e il loro sviluppo nel Movimento.
(18”) - INES :
Quando avevo 12 anni sono stata violentata e questo episodio, molto spesso, mi torna in mente.
Tutto questo mi fa mancare l’autostima e mi fa pensare che la droga è l’unica soluzione. E’ per questo che torno a drogarmi…
(55”) - RENE’:
Il lavoro nella strada richiede l’applicazione di metodi che non siano difficili da apprendere.
Generalmente il tema che svolgiamo è in relazione a quello che i ragazzi pensano della violenza.
Lo facciamo con l’uso di un foglio di carta e dei bastoncini di legno.
Facciamo un quadro con i bastoncini e dentro il quadro loro scrivono, disegnano o esprimono cosa significa per loro la violenza.
Questa è una forma pratica e facile di espressione.
Ora stiamo lavorando sulla situazione della violenza perché è un tema che è sentito molto da chi vive nella strada. Violenza, non solo da parte delle autorità, ma anche da diverse altre persone all’esterno del gruppo.
In questa maniera veniamo a conoscere meglio quella che è la situazione della strada per cercare così, in qualche modo, di trovare delle soluzioni ai loro problemi.
(32”) – LUVI:
Sono una che ha vissuto in strada. Tutta la vita in strada. Me ne andai da casa a 9 anni. Ora sono uscita dalla strada e sono qui per aiutare il movimento.
Lavoriamo intorno ai temi della violenza, dei diritti della persona, la salute e altre varie cose.
Poi offriamo una piccola merenda e facciamo un po’ di animazione.
(9”) – BERTA:
Tutti i martedì facciamo pulizia e igiene in strada per salvaguardare la salute dei ragazzi e perché non siano infettati dai pidocchi.
(13”) – LUVI:
Questo è il modo perchè i ragazzi siano più puliti perché, se sono sporchi, nessuno si avvicina a loro, nemmeno quelli che li aiutano e noi del movimento giovani della strada veniamo qui a fare attività di igiene.
(19”) – ALFONSO:
Molti ragazzi, quando noi veniamo qui, sono molto tristi perché gli succedono brutte cose. Sono maltrattati, umiliati dalla gente, picchiati dalla polizia e noi qui siamo come le loro famiglie.
Veniamo a consigliarli, a visitarli, a dargli il nostro appoggio, a controllare la loro salute e a curarli…
(4”) – BERTA:
Questo è il tipico giovane della strada… Non ha legami familiari.
(10”) – MACARIO:
Non so quanti anni ho… Io dico che ho 25 anni… ma non so quanti anni ho.
(10”) – BERTA:
Non sappiamo l’età perché lui non ha nessun documento e non c’è nessuno che sappia da dove viene…
(38”) – LAURA:
Sono venuta la prima volta in Guatemala nell’estate del 2001 assieme a un gruppo di altri volontari italiani.
E diciamo che quella esperienza mi ha segnata profondamente e ho deciso di voler ritornare.
L’unico modo per tornare e stare un po’ più di tempo era il tirocinio, tirocinio post-laurea che sto facendo adesso, per cui starò sei mesi qui.
Come dico sempre io, quando vengo qui, sento che proprio il sangue mi scorre nelle vene in maniera diversa, cioè mi sento viva al cento per cento.
- Immagini di Giovanni -
(28”) – LAURA:
Giovanni lo conosco da due anni. Fa parte del gruppo della “casa vecchia” detto “la casona vieca” e mi ha colpito molto il fatto che, rispetto agli altri ragazzi, quando portiamo la merenda, non mangiava, non ha mai mangiato e l’ho sempre visto molto magro e, diciamo, usa il solvente più di tutti gli altri di questo gruppo e quindi riflettevo molto sul fatto se l’avrei rivisto o no perché comunque credo che sia uno di quelli al limite della sopravvivenza.
(35”) - JOSE’:
A cinque anni me ne andai nella strada perché i miei genitori mi odiavano. Qui no, perché sto in un posto che si chiama Mojoca. Mi stanno aiutando.
Quello che non ha fatto mia madre lo stanno facendo qui, loro.
In strada mi picchiano, mi trattano male, mi umiliano.
A cinque anni cominciai a fumare marijuana. Ora no. Ora non fumo. Sto solo inalando il solvente…
Ho molte cicatrici della strada, cicatrici come questa. Ne ho una anche al cuore. Questo è quello che porta la strada. La strada non perdona niente. Questo è il trattamento…
(69”) – GERARDO:
La situazione di estrema violenza che esiste in Guatemala, la guerra si può dire, che fa il Governo alle bande giovanili e ai ragazzi di strada, rendono necessari dei rifugi, delle case, in cui possano dormire durante la notte.
Noi abbiamo deciso di dare la priorità alle ragazze perché sono le ragazze che subiscono maggiori violenze, spesso violenze sessuali da parte di poliziotti, guardie private, dalla gente che gira di notte.
Le ragazze hanno più necessità anche perché spesso sono incinte o hanno bambini e non è possibile educare i bambini bene, nella strada.
Quindi è per questo che abbiamo aperto la “8 di marzo” che è una casa autogestita dalle ragazze stesse che vi abitano.
(48”) – NATIVIDAD:
Sono assistente notturna. E’ da un anno che sto lavorando con loro. La casa cominciò a funzionare l’otto di marzo.
Ora abbiamo otto bambini e 10 bambine e nell’arco di un anno sono passate da qui circa 50 ragazze per problemi vari…
Vengono perché la polizia le picchia o perché si sono ammalate. Hanno un obbiettivo: cercano di rendersi indipendenti e qui imparano a gestire una casa, a curare la salute propria e dei loro figli… a fare la spesa, pagare i sevizi di acqua e luce e andare al supermercato ogni fine settimana…
(17”) – CLARIBEL:
E’ da due anni che non faccio più uso di solvente. Ora sto bene perché ho la bambina… la tengo bene, sta con me… Alla fine del mese vado via da qui perché mi inseriscono in un appartamento e spero che vada tutto bene… non voglio più tornare in strada.
(16”) – BERTA:
E’ stato picchiato dalla polizia. Con gli altri compagni che erano nel parco. Credevano che avessero rubato e li hanno picchiati. (guardando il braccio) …E’ molto infiammato. Bisogna andare all’ospedale.
(23”) - P. PEDRO NOTA:
Se andate negli ospedali pubblici vi spaventate… e la gente se non ha soldi è obbligata ad andare negli ospedali pubblici… anche perchè mancano le strutture. Le medicine sono più care qui che in Italia. Ve lo dico perché io purtroppo devo usare medicine…
(18”) – HARVIN:
Il polso era fratturato e il dottore dell’ospedale me lo ha ingessato.
Se uno va all’ospedale accompagnato da una persona di qui è molto meglio perché lo guardano prima e con più attenzione. Se io andavo da solo non mi guardavano nemmeno…
(9”) – GERARDO:
Il nostro progetto è di aprire, al più presto, quando avremo le risorse necessarie, anche una casa per i ragazzi.
(43”) – SONIA:
Ho conosciuto Gerardo, il Mojoca… mi ha entusiasmato l’idea di provare questa realtà così diversa dalla nostra…
Avevo paura, venendo qui, di abituarmi alla violenza che c’è in questa città, che c’è nella strada a Città del Guatemala, fortunatamente non è stato così perché tutti i giorni vedo i ragazzi lottare contro questo, perché vengono qui, vanno a scuola, si lavano, mangiano, si impegnano nelle attività che rappresentano il loro futuro e questo, tutti i giorni, mi dà la motivazione per continuare ad impegnarmi e la voglia di stare qua.
(25”) – SARA:
Io rappresento le quetzalitas. Le quetzalitas sono un gruppo di mamme che sono uscite dalla strada. Ora sono madri autonome. Hanno i loro bambini che sono chiamati qui “mariposas”.
Siamo 35 mamme e anche noi abbiamo la possibilità di studiare. Grazie al Mojoca abbiamo una borsa di studio. Veniamo qui due domeniche al mese per parlare tra noi e fare una buona formazione.
(62”) – GERARDO:
Le “quetzalitas” sono il primo gruppo nato in Guatemala.
Il nome deriva dal “quetzal”, l’uccello sacro del Guatemala, uno splendido uccello tropicale, tutto verde, con il petto rosso e con la coda lunghissima che può raggiungere fino a un metro, un uccello che non può vivere in gabbia, dopo due giorni muore e quindi mi sembrava un termine molto adatto per designare le ragazze di strada che anche loro non vogliono essere incarcerate: danno molta importanza alla propria libertà e autonomia.
(16”) - BAMBINA (figlia di Sara):
Io vengo al Mojoca… per la preparazone allo studio.
Ho tre anni…, no, ho sei anni, scusa…!
(33”) – GERARDO:
Figli che hanno deciso di chiamarsi “mariposas”, le farfalle, che è un nome molto bello della metamorfosi, perché noi pensiamo che i bambini sono quelli che possono rompere il circolo vizioso che fa che uno ritorni alla strada.
Se noi riusciamo a dare loro una educazione con tenerezza, non con violenza e una istruzione sufficiente.
Questi bambini, queste “mariposas”, sono per me, il futuro del Mojoca.
(35”) – INES:
Quando esco dal movimento, alla sera, prendo l’autobus e vado alla “bolìvar” per preparami per la notte.
Giochiamo a palla o altre cose. Poi andiamo alla panetteria a chiedere pane.
A volte passa una buona signora che ci dà la cena. Poi chiediamo soldi per la droga.
Se piove, aspettiamo che smetta di piovere e cerchiamo un posto per dormire. Dormiamo in gruppo, cerchiamo cartoni e nylon per coprirci.
A volte non dormiamo per il freddo. Ci svegliamo alle 5 o alle 6 e allora aspettiamo l’orario di apertura per venire al movimento.
(67”) – GERARDO:
La pedagogia del nostro movimento è la pedagogia dell’amicizia liberatrice. Perché l’amicizia è la forma di relazione più nobile tra le persone umane.
L’amicizia significa fiducia, significa parità, rispetto, tenerezza anche.
Io penso che le ragazze e i ragazzi di strada sono persone straordinarie, però tutti i colpi che hanno ricevuto fin dalla tenera infanzia, fa che loro spesso hanno perso fiducia in loro stessi.
E noi, dando loro una fiducia incondizionata, possiamo formare un movimento, un movimento che riprende e nobilita tutti i valori della strada.
(145”) - ANA CRISTINA:
Vi presento il mio bambino, Jefferson Giosuè, ha due mesi…
Io sono una giovane che viveva nella strada. Ora non più. La strada è un’esperienza molto dura che subiamo noi giovani perché nella strada riceviamo molte umiliazioni, molti maltrattamenti e molte persone non pensano che anche noi siamo esseri umani che abbiamo i nostri sentimenti e anche i nostri sogni. Sappiamo perché lottiamo e per chi lottiamo, ma anche questo non lo capiscono e ci chiamano “spazzatura”.
Quando mia madre morì, il compagno di mia sorella maggiore tentò di abusare di me, ma mia sorella non mi credette e mi cacciò di casa, dalla mia casa.
E’ da quattro anni che non ho più contatti con lei e nemmeno con i miei fratelli minori. La mia unica famiglia ora è il mio bambino e il mio ragazzo anche lui della strada.
Spero che vediate questo video con le vostre famiglie per capire che noi non ce ne andiamo di casa per capriccio, ma perché nessuno, in casa, si cura mai di noi. Mia madre non si è mai occupata di me, ma sempre del suo compagno… non stava mai con me… non mi ha mai ascoltato e mia sorella mi ha lasciata sulla strada perché non mi ha creduto quando le ho detto che il suo uomo voleva violentarmi.
Spero quindi che voi sappiate dedicare più tempo e più attenzione alle vostre figlie e ai vostri figli.
Spero che queste parole non le dimentichiate e che capiate che se noi stiamo nella strada è perché non abbiamo nè una casa, nè una famiglia, nessuno che ci parli, che ci ami e che ci comprenda… Queste cose le troviamo solo nella strada con i nostri compagni… è qui che troviamo la nostra famiglia…
Se abbiamo fame andiamo a cercare il cibo in un mercato, ma non possiamo comprarlo. Se abbiamo bisogno di vestiti non possiamo andare nei negozi perché non abbiamo soldi…
Per questo pensano che siamo delinquenti: la spazzatura del Guatemala… questo pensano…
Io spero di dare una buona educazione al mio bambino e che non debba soffrire quello che io ho sofferto e che non gli accada mai niente di tutto questo…
(38”) - ADRIANA: Ti piace la mia abitazione?... Io dormo qui…
- UOMO: Quanti anni hai?
- ADRIANA: Ventiquattro
- UOMO: Da quanto tempo sei in strada?
- ADRIANA: A 13 anni sono andata in strada.
- UOMO: Perché?
- ADRIANA: Perché si… Tanti problemi in casa… e allora me ne andai…
- ADRIANA: Che freddo!!!
(90”) Sono queste le principesse e i sognatori che abitano le strade del Guatemala.
Il Mojoca, movimento ragazze e ragazzi di strada, ha fiducia, rispetto e grande considerazione per questi giovani che non hanno avuto ne infanzia ne adolescenza e spesso non hanno provato l’amore di una mamma o il calore di una famiglia.
L’unico rifugio e l’unica famiglia è stata la strada.
La strada è pericolosa; bisogna essere prima disperati e poi coraggiosi per abitarla.
Alcune strutture, preposte al recupero, con i loro sistemi autoritari e repressivi, anziché riscattare questi ragazzi, accelerano, di fatto, il loro ritorno alla strada.
Al contrario, il Mojoca, crede nei loro valori e nei loro sogni, nella stessa solidarietà ed amicizia che essi dimostrano tra loro, ogni giorno, proprio in strada, così come crede anche nella loro capacità di autoorganizzarsi.
Le necessità del Movimento sono tante anche perché il governo non aiuta questi organismi autogestiti e una struttura educativa non può andare avanti con le proprie risorse.
Ma il segreto del Mojoca sta proprio qui: nella fiducia.
Fiducia nei ragazzi.
E’ questa la parola magica che promuove l’autogestione responsabile, è questa la parola che consente a molti giovani, assistiti ed aiutati da chi prima era al loro posto, di abbandonare definitivamente la strada e di costruirsi una vera famiglia e un futuro dignitoso.
Titoli di coda FINE