Enbukai Shinbukan

20/12/2013

"La Via, all'inizio, è oscura. Perfino i passi iniziali sono avvolti nella foschia. Le vette verso le quali essa conduce sono apparentemente racchiuse in una coltre di nuvole che sembrano, osservandole dal basso, impossibili da penetrare. E questo è un bene, perché vedere troppo chiaramente cosa si trova davanti a noi potrebbe nel complesso intimidirci più del necessario.

Le chiarificazioni emergono solo in retro prospettiva: il viaggiatore che si è incamminato lungo questa Via si è lasciato alle spalle una terra tranquilla e pacifica, ha affrontato un viaggio che presenta continue sfide, ma che offre anche ricompense maggiori di quanto egli si fosse aspettato all'inizio. Procedendo lungo la Via, egli si renderà conto di essere diretto verso una meta che, pur rimanendo misteriosa, risulta assolutamente attraente. Le tracce della Via sono molto antiche. Essa prese per la prima volta forma quando un individuo cominciò un'attività con la consapevolezza di spingersi oltre il puro utilitarismo e di superare le restrizioni dell'ego. È vero, il Do può portare all'arte, può anche essere di valore pratico, ma lo scopo ultimo della Via è il "processo". Significa fare una cosa non per il suo risultato, bensì impegnarsi perché compiere questo atto ci libera dalle costrizioni del nostro io limitato: il narcisismo, l'egocentrismo, la preoccupazione indotti dai timori, dai problemi e dai dubbi che rendono più misera la nostra vita quotidiana.

La Via ci attira nel luogo in cui domina il nostro potenziale: l'autorealizzazione, l'autocoltivazione e l'autoperfezione. Il Do è singolare sia universale, è aperto a tutti coloro che possiedono la determinazione e l'inclinazione per percorrerlo. Quelli che lo fanno, comunque, scelgono una grande varietà di discipline per avvicinarsi al sentiero, perché il Do trascende lo specifico per approdare al generale. La cerimonia del tè, l'arte di disporre i fiori, il giardinaggio, ciascune di queste discipline è un sentiero della Via. La strada scelta dal bugheisha è la Via marziale.

Sebbene la forma particolare che esso assume non abbia importanza, il Do del bugeisha porta a un più immediato confronto con i conflitti fondamentali della realtà: la vita e la morte, il dolore e il piacere, i problemi temporali e i problemi spirituali. La Via marziale richiede resistenza morale insieme al coraggio viscerale ed emotivo. Esige sia coscienza sociale sia resistenza fisica. Ciascuna di queste qualità sarà messa alla prova nel corso del cammino. Esse verranno, nel contempo, purificate e rafforzate durante il processo, ma dovrebbero essere comunque presenti, almeno a un certo livello, in colui che decide di intraprendere un viaggio che lo porterà molto lontano.

Un individuo che inizia a percorrere la Via marziale dev'essere coraggioso e virtuoso, deve possedere senso dell'impegno e sensibilità nei confronti dei valori del passato. Nonostante debba avere questi lodevoli tratti caratteristici, l'aspirante bugeisha possiederà anche incertezze interiori, compreso il sospetto di aver perso qualcosa nella propria esistenza, qualcosa di vitale. E per questa ragione che intraprende il cammino che lo porterà alla sua misteriosa destinazione. Lo farà nonostante gli altri gli facciano notare che la Via è una pratica ingenua, fuori moda o idealistica. Prosegue nel cammino perché sa che altri ci sono passati prima di lui, perché l'immutabile direzione della Via lo attrae e lo chiama. Va avanti perché si sente costretto a farlo. Ha iniziato il viaggio di una vita perché è convinto che, come rivela il kanji per Do, questa è la strada principale che deve percorrere. Tale Via è l'unica che lo potrà portare in un luogo degno di essere raggiunto."

D. Lowry