GLI ALBERI E LE FOGLIE
Tanto, tanto tempo fa, la primavera, l’estate, l’autunno e l’inverno vivevano in perfetta armonia.
Hypson la dea della natura, che amava vestirsi di foglie e di una corona di fiori sul capo, orgogliosa delle sue quattro stagioni, le chiamò e le ringraziò per lo splendido lavoro che ognuna di loro aveva fatto.
Quando fu di nuovo primavera la terra sembrava un giardino fiorito: i rami delle piante erano sempre ricoperti di germogli, le foglie erano verdi e rigogliose, i fiori e i frutti rendevano le piante belle e molto eleganti.
D’estate poi, le folte chiome degli alberi permettevano agli animali di riposarsi e rinfrescarsi sotto le loro ombre perché faceva molto caldo.
Gli alberi durante la primavera e l’estate erano molto felici, si vedevano più belli, più eleganti di tutte le altre creature e si vantavano dell’importante ruolo che avevano sulla terra, quindi chiesero ad Hypson, la madre terra, di ritardare l’arrivo delle stagioni fredde e farle durare il meno possibile, uno o due mesi al massimo.
Hypson in seguito a questa richiesta andò su tutte le furie, quindi escogitò un piano per punire gli alberi ribelli che a causa della loro superbia non avevano portato rispetto al lavoro fatto dalle stagioni meno calde.
La dea della natura chiese aiuto all’autunno e all’inverno, ed esse molto dispiaciute per le parole degli alberi, quando fu il loro turno, fecero arrivare sulla terra un inverno gelido e piovoso.
Nevicava tutti i giorni, e la neve di notte, a poco a poco si trasformava in ghiaccio; stava gelando qualsiasi cosa: la terra, gli animali, persino l’acqua dei ruscelli.
Per poter sopravvivere a tutto questo freddo, la dea Hypson, ordinò agli alberi di liberarsi delle loro foglie.
Le foglie cominciarono a cadere l’una sopra l’altra e le chiome degli alberi, un tempo folte, non c’erano più; essi si erano spogliati di tutto.
Finalmente gli alberi, avevano capito che avevano sbagliato, la vanità e la superbia li avevano resi ciechi.
Fu così che gli alberi, ogni anno, all’arrivo dell’autunno, per farsi perdonare dalle madre natura fanno cadere le loro foglie, e con esse regalano alla terra un caldo mantello che la proteggerà fino all’arrivo della primavera.
Lavoro di gruppo Matteo A. - Aurora B. - Valentina R.
LA MALEDIZIONE DI NEBULA
Nell' antichità c'era una giovane ninfa di nome Nebula, che era
invidiata da tutti, umani e dei, per i suoi lunghi e folti capelli,
bianchi e candidi come la neve. Anche la dea Afrodite, seppur
bellissima, era gelosa della sua chioma.
Nebula era benvoluta da tutti, era dolce e sempre pronta ad
aiutare chi fosse in difficoltà.
Viveva alle pendici del monte più alto dell' isola Olimpia,
insieme a sua sorella Malitia che, a differenza sua, era sempre
triste e arrabbiata. Malitia stava sempre da sola, non aveva
altre dee e ninfee con cui parlare e trascorrere le giornate e
soprattutto non sopportava Nebula.
Una notte, mentre Nebula dormiva nel suo letto, sua sorella,
accecata dalla gelosia, si avvicinò alla dolce ninfa che dormiva
soavemente e presa da un forte sentimento di odio, mise una
polvere velenosa, da lei creata, nei capelli della poveretta per
poi andarsene furtivamente.
La mattina seguente, al suo risveglio, la ninfa andò a pettinarsi i
capelli, come era solita fare sempre ma, ad ogni spazzolata,
una ciocca si staccava e cadeva a terra.
La ninfa, ormai completamente pelata, si arrabbiò così tanto
che, ad ogni suo battito di ciglia, i suoi capelli sparsi a terra
diventavano sempre più scuri, color cenere, e cominciarono a
sprigionare la polvere velenosa che aveva fatto scendere su di
loro una terribile maledizione.
La polvere si alzò piano piano fino a coprire tutta la montagna di una coltre grigia e vaporosa: era nata la NEBBIA!
lavoro di ALICE VECCHI, NICOLA CIARLANTINI e SEBASTIANO LUCI
Il dio Salino
Di Pietro Vena, Antonio di Marzo e David Girolami
Tanti secoli fa c’era un gigante che aveva tanta sete,quindi per giorni e giorni vagò intorno al mondo, ma senza successo.
Quando aveva ventimila anni finalmente trovò un’ ampia distesa d’acqua.
Avidamente, il gigante iniziò a bere l’acqua, ma la sputò subito perché era insipida. Allora chiese aiuto agli dèi: chiamò il dio dello zucchero che inutilmente mise dello zucchero dentro l’acqua, quindi chiamò il dio del pepe, ma purtroppo l’acqua rimase insipida.
Allora provò a chiamare il dio Salino, il dio del sale, che riuscì nella sua impresa.
L’acqua era diventata saporita.
Il gigante bevve ettolitri di acqua in modo da non aver più sete per tutta la vita .
Così l’acqua è rimasta salata per tutta la vita, era perfetta !!!
IL COLLO LUNGO
In principio la giraffa era un semplice cavallo con le macchie. Un giorno, una giraffa molto giovane e molto affamata andò in cerca di cibo. All’ improvviso vide un cespuglio, cominciò a correre e iniziò a sgranocchiare le sue belle foglie. Ad un tratto il cespuglio si mosse e ne uscì fuori un rinoceronte, che rincorse la povera giraffa. Lei, stanca morta, si fermò e il rinoceronte, sfruttando la situazione, incornò il fragile collo della giraffa.
La dea Era vide la scena dal cielo e, triste per la giraffa, decise di non farla morire a quella giovane età; allora mandò un incantesimo sulla Terra per salvarla.
Lei disse:
“Caro incantesimo, affido a te il compito di guarire una delle nostre amiche giraffe: purtroppo, il rinoceronte, ha perso le staffe!”
Mentre l’incantesimo partiva, però, Eris, la dea della discordia, mandò un controincantesimo, per fare un dispetto a Era. Pensando che la giraffa non sarebbe guarita, si ritirò nel suo castello, per archiviare un altro piano malefico; ma non andò tutto secondo i piani. Infatti, i due incantesimi, arrivati a destinazione si unirono: curarono la giraffa, ma le allungarono anche il collo.
Questo non fu un aspetto negativo, anzi, nel periodi di siccità, attraverso il suo collo, potè raggiungere le foglie degli alberi più alti.
Di S. Orazi
B. Pascucci
J. Ciabocco
Fuoco di Ivan Zanconi e Gaia Nabissi
Nei tempi dei tempi, dentro l’ Etna vive il fabbro degli dei, Efesto. Ares, dio della guerra sanguinaria andò nell’ Etna per farsi forgiare una spada invincibile, così chiunque la impugnasse, non sarebbe mai stato vinto. Efesto, però, non poteva fare ciò che gli era stato richiesto sicché aveva finito il suo speciale metallo indistruttibile che si trovava sul monte più alto della Grecia, ma per averlo bisognava superare molte sciagure sempre più imberbe e spietate. Allora Ares si mise subito in cammino e mentre attraversava una foresta paludosa due leoni e quattro iene si presentarono ruggendo e ringhiando davanti a lui; Ares prese una lancia e la scagliò contro ciascun animale e facendolo cadere per terra. Il cammino si fece sempre più lungo e faticoso così Ares si sedette sopra una roccia, ma si dovette alzare subito perché un grande uccello a 6 teste e 18 occhi lo attaccò alle spalle con la forza di 7 becchi; allora Ares prese il suo arco e scoccò tutte le sue frecce contro la bestia, questa però non bastarono a ucciderla; allora Ares prese il suo pugnale e tagliò le 6 teste una ad a una finché l'uccello non cadde a terra senza vita
Ares ormai stanco e affamato, stava per sedersi quando un uomo lo vide e gli puntò una spada al collo; Ares non si fece intimidire e lo pugnalò alla milza, l’uomo cadde a terra sanguinando; quando Ares notò che aveva una sacca ricamata in oro, incuriosito l’aprì e al suo interno trovò una pietra metallica; allora Ares capì che era in metallo indistruttibile di cui aveva parlato Efesto, lui la prese e come una freccia corse fino all’Etna dove il fabbro lo attendeva. Ares mostrò a Efesto il metallo e lui ne scolpì una spada affilatissima e possente. Ares presa da un’ invincibile voglia di provarla trafisse un barile colmo di lava incandescente, il liquido schizzò fuori dal vulcano e cadde su un albero sacro della tribù, ai piedi del vulcano, l’albero prese fuoco. Vedendo quello scenario gli abitanti del villaggio, incuriositi si avvicinarono e scoprirono che quella massa rossa scaldata illuminava, iniziarono a usarlo per cucinare, in modo che i loro cibi non fossero crudi, ma anche per illuminare le loro case che non furono più buie.
LE SPINE DELLE ROSE
Molti anni fa c’era una coppia sposata; la donna si chiamava Rose e l’uomo Ettore; erano sposati da molti anni. Un giorno Rose scoprì che Ettore la tradiva con un’altra perciò lei tornò a casa piangendo e arrabbiata, pensando il modo in cui si sarebbe vendicata ed a un certo punto le venne un’idea. Lei corse immediatamente al tempio di Afrodite implorando la dea di aiutarla a vendicarsi e la dea accettò.La mattina seguente Rose andò a incontrare Ettore e gli chiese se poteva andarle a cogliere una rosa, egli tornò con una rosa rossa e vellutata ma Rose non era contenta, perché per il suo piano serviva che lui andasse nel prato di Afrodite lontano molti chilometri. Ettore partì e dopo un giorno di lunga camminata arrivò e non sapendo che quella notte, per opera di Afrodite, alle rose erano cresciute delle spine si gettò nel prato pieno di rose rosse altissime, ma egli rimase bloccato e così non riuscendo a uscire morì tristemente infilzato dalle spine delle rose.
Questa fu la grande vendetta di Rose.
Giorgia Seghetta
Jacopo Milozzi
Filippo Orsini
IL CORNO DEL RINOCERONTE
di Giada Pacioni, Ludovica Loretani e Fabrizi Aurora
Nell’antichità, ai piedi del monte Olimpo il dio Arumi ogni anno si scontrava con un altro dio ed il proprio animale preferito.
Nel corso del tempo si accorse che la creatura scelta da lui non era forte e ogni volta che perdeva invidiava gli altri perché loro lo sconfiggevano sempre, per questo Arumi decise di fargli crescere un corno, così che nelle battaglia potesse vincere. La sua sconfitta più pesante fu quella contro il dio Callà e il suo animale preferito, il leone, che era molto forte. La battaglia come tutte le altre si svolse nell'arena del monte Olimpo. Nel primo tempo si scontrarono solamente gli dèi con le proprie armi.
L’arma di Arumi fu una lunga spada tagliente: la punta era fatta in pietra mentre il manico era fatto di legno di cedro. Quella di Callà era il giavelotto; la prima sfida fu vinta da Arumi mentre la seconda con il proprio animale preferito fu vinta da Callà.
Vista la parità ci fu un’altra sfida sia con le armi sia con la propria bestia e questa la vinse Callà che fu il vincitore ufficiale della battaglia.
Nella successiva battaglia che si svolse un anno dopo Arumi aveva timore di essere ancora sconfitto e per questo si presentò in ritardo ma fortunatamente quando arrivò non era ancora il suo turno ma quello successivo.
Quando toccò a lui il corno era già cresciuto e grazie alla sua invenzione vinse il combattimento.
L’animale da lui creato fu chiamato rinoceronte. Lui fu sempre felice e non invidio più gli altri.
La proboscide dell'elefante
In origine gli elefanti non avevano la proboscide, ma un muso paragonabile a quello del maiale con la medesima funzione. In una giornata molto calda, un cucciolo di elefante di nome Malvin si voleva rinfrescare, ma l’argine accessibile del fiume era occupato dagli altri elefanti più grandi, quindi decise di optare per l’argine alto del fiume, ma ignaro del pericolo si sporse troppo e cadde nel fiume, così la corrente lo trascinò via, mentre l’elefante cercava di non annegare. Quando il fiume si abbassò, Malvin riuscì a risalire a riva, disorientato e esausto si fermò a riposare in una foresta, su un mucchio di foglie e muschio. Quando si risvegliò, vide davanti a sé un cerbiatto ferito, circondato da un gruppo di iene selvagge. Vedendo quella scena orribile, si tuffò tra le iene e con un forte e acuto barrito le cacciò via. L’elefante, fuori dal bosco medicò la ferita con foglie di fico e del fango. Il cerbiatto chiese a Malvin di aiutarlo per tornare nella sua valle ma, in verità era Grei il dio degli animali che venne trasformato in cerbiatto dal dio della lava infuocata: Trio. Quindi Malvin si mise in cammino con il dio e dopo aver superato deserti torridissimi , giungle con oranghi, serpenti velenosi e monti finalmente arrivò davanti alla porta della dimora del dio. Le custodi gli aprirono la porta e così il dio riprese le sue sembianze originali: occhi color giallo, testa umana, capelli bianchi e corpo di lucertola gigante. Allora a questo punto Malvin scoprì a chi aveva salvato la vita, per ricompensarlo il dio Grei lo accompagnò a casa, sopra due cavalli alati, con degli occhi celesti. Nella valle degli elefanti tutto era sparito per mezzo di Trio che aveva fatto rinchiudere sotto terra tutti gli elefanti e inoltre aveva previsto una violenta eruzione. All’arrivo Melvin e Grei non trovarono nessuno, allora il dio degli animali, insieme all’elefantino si diresse al vulcano che da spento si era riacceso ed era pronto per la sua eruzione; in quel momento i cavalli, essendo super forti, riuscirono senza alcuna difficoltà a riportare in superficie le creature che popolavano il posto. Il vulcano crollò verso il lago, dall’altra parte della vallata. Quando tutto finì e il pericolo svanì erano tutti felici, ma ad un certo punto, la terra crollò sotto Malvin che cadde in una voragine. Il dio se ne accorse subito e si tuffò nel burrone. Silenzio. Quando tutto sembrava perduto ecco una luce risalire dalla voragine: era il dio! Ed era riuscito a salvare l’elefante prendendolo per il naso che si era allungato a dismisura. Per questo gli elefanti che conosciamo oggi hanno una proboscide lunga.
Sofia Cutunilli, Cristian Mario Miconi e Tommaso Nori.