Pietro Germi

Un regista "All'italiana"

È indubbio che i film di Pietro Germi siano stati tra quelli che meglio hanno raccontato la società italiana negli '50 e '60, eppure il regista è stato a lungo osteggiato dalla critica cinematografica, soprattutto quella militante vicina al PCI. Probabilmente la sua colpa è stata proprio quella di aver intuito per primo la trasformazione che stava investendo la società italiana negli anni '50 e di averla raccontata impietosamente. Umberto Barbaro, uno dei suoi critici più accesi, scriveva degli "operai di Germi che si comportano senza intelligenza e senza volontà, senza coscienza di classe e senza solidarietà umana", e in effetti è proprio così: in film come "Il ferroviere" (1956) o "L'uomo di paglia" (1958) gli operai sono rappresentati con le loro debolezze umane, che spesso fanno anteporre loro gli interessi personali a quelli della comunità. Era uno dei prodotti del miracolo economico in corso, e non poteva sfuggire a un osservatore acuto come Germi, ma di certo il PCI non poteva accettare questa rappresentazione della classe operaia.

Altrettanto impietosa è la rappresentazione del resto della societa italiana nei suoi tre film satirici: "Divorzio all'italiana" (1961), "Sedotta e abbandonata" (1964), "Signore & signori" (1966), che raccontano la storia del costume italiano in quegli anni in modo lucido e spietato. In questo caso, però, la critica non gli ha perdonato la sua comicità ambigua, capace di far ridere anche delle disgrazie.

La storia ha però restituito a Germi quello che i critici volevano togliergli: proprio dal titolo del suo film più noto deriva, infatti, il nome di un intero genere, quello della "commedia all'italiana", probabilmente il genere di maggior successo nel cinema italiano del dopoguerra (e forse di tutti i tempi).