Le Virtù Teologali del Ven. Carlo Carafa

La fede: «Quanto alla fede, ella fu eroica nel Servo di Dio. Mi hanno riferito molti cavalieri che si trovarono con lui nelle guerre e un prete che fu nelle dette suo cappellano, che passando il servo di Dio per la repubblica di Ginevra, fu invitato da' principali di essa perché si trattenesse con loro abbracciando la religione loro, animandolo con molti esempi di grandi Signori, ed il servo di Dio fermo e costante disse che voleva vivere e morire nella fede di Gesù Cristo confermata da tanti dottori e santi martiri e predicata dagli apostoli e che gli esempi che gli portavano di tanti non poteva essere efficace che per coloro i quali erano ad essi simili ne' vizi.

Per questa sua gran fede so che egli mi aiutava nella cura dell'anime che la Divina Misericordia ha commesso alla mia cura...

Da questa sua eroica fede derivava altresì che egli si prendeva il pensiero di visitare il quartiere degli Egiziani, li quali volgarmente sono chiamati zingari, i quali non hanno fermezza nella fede né sanno le ecclesiastiche osservanze, e il servo di Dio con carità e pazienza grande li radunava, e poi li istruiva nelle cose che sono necessarie a credersi, come anche in quelle che sono necessarie ad esser praticate per conseguire l'eterna salute.

Ai tempi della felice memoria di uno dei miei predecessori, il Cardinal Gesualdo, usciva egli dal romitorio detto di San Sepolcro per i quartieri delle meretrici e proponeva tanti e tali motivi di convertirsi, che ordinariamente le sue prediche non solo compungevano quella sorta di gente, ma le convertiva, e in effetto moltissime, levandole dal peccato, le collocò in onesti matrimoni, e le altre convertite che si fecero religiose furono tante in meno di un anno che egli ne empì tutti i tre monasteri...

Quando fu nell'anno 1631, quell'incendio spaventosissimo del Vesuvio, il servo di Dio uscì in processione con suoi, cosa non mai fatta, cantando... e andando scalzo con una fune al colto e con gran croce in mano... e con questo esempio di mortificazione ne convertì moltissime e ne fondò un conservatorio.

Fu anche oggetto della eroica fede il desiderio che aveva ciocché fece per la conversione degli infedeli.

Un giorno confidentemente disse a un pio operaio sacerdote, e glielo disse sospirando, che quando egli considerava tanti infedeli che sono in tutto il mondo senza conoscere né amare Dio, si sentiva oltremodo cruciare ed affliggere e che volentieri si sarebbe portato tra' barbari a predicar loro la fede, se non avesse conosciuto voler altro da lui il Signore.

Il Cardinale Acquaviva, uno dei miei gloriosi predecessori, lo destinò a curare la conversione dei maomettani, dei quali ve ne sono ventimila in Napoli, destinati come schiavi ai servizi bassi dei cittadini. Ciò facendo il santo arcivescovo perché era zelantissimo della loro eterna salute ed acciocché il servo di Dio avesse più campo per impiegarsi, lo fece priore generale dell'arciconfraternita della Dottrina Cristiana e Catecumeni».

La speranza: «Ebbe anche in grado eroico la virtù della speranza, sicuramente sperando da Dio di conseguire il paradiso; e mi è stato riferito da alcuni padri Pij Operarij che il servo di Dio, facendo orazione spesse volte prorompeva in queste parole: Tu Domine, salvabis me.

Egli fu tirato a menar vita santa colla considerazione del paradiso rapito a contemplarlo per sentire dolcemente cantare una monaca del monastero di Regina Coeli e dopo esser rimasto in contemplare il cielo, perché andava allora a Palazzo Regio per avanzarsi nella milizia ove fu valoroso soldato, piangendo disse: Che grandezze, che onori son questi che ambisco! Che Re di Spagna, che Re di Spagna! Al Re del Cielo, al Re del Cielo! E subito si fe' dare la fede de' servizi fatti alla Corona e li dilacerò.

Da allora, per conseguire la gloria del paradiso, non solo faticò continuamente fino alla sua morte, predicando, confessando meretrici, ed ostinati peccatori, attendendo alla riforma del clero napoletano e del seminario, facendo luoghi pii etc. ed in oltre colle continue fatighe delle missioni, tanto che tutti coloro con cui ne ho parlato, ed io stesso in tanto tempo che l'ho praticato, non han potuto, né io ho potuto mai capire come a' tante fatighe, alle incredibili penitenze che facea egli avesse potuto resistere; ma di più per questa eroica speranza di conseguire il cielo, disprezzando le cose del mondo, ed in questo disprezzo fu veramente ammirabile.

Veniva spesso a visitare il mio predecessore il Card. Gesualdo, e la visita consistea in offrirsi al suo servizio, e poi scordatosi della sua nascita e calcando la stima del mondo, s'intratteneva fra' servitori di casa e si esercitava ne' ministeri più vili di detto palazzo dell'Arcivescovo.

Prendevano i suoi parenti queste cose a disonore del sangue e perciò egli incorse l'odio loro, ma egli seguì a disprezzare il mondo...

Lavava colle sue mani i vasi immondi di casa ed anche nell'infermità, stimandosi onorato a far questo per amor di Cristo. Io lo stimavo come santo e lo amavo teneramente, e quando veniva da me gli facevo ogni possibile onore, anche di titoli che gli davo, e gli mostravo tutta la riverenza uscendo all'accompagnarlo fin fuori la sala perché era santo.

Ora egli vedendo ciò non veniva più da me, tanto che con un padre della sua Congregazione ne feci qualche doglianza, bramando spesso vederlo; ma saputa la caggione ch'era per sfuggir gli onori e che egli bramava disprezzar il mondo per conseguir la gloria, ne restai edificato...

... Fu similmente eroica questa sua confidenza in Dio; e in tante fondazioni che fece, sempre confidò nel divino aiuto. Onde cominciava spese gravissime senza denaro, ma solo fidato a Dio che non mancò mai d'aiutarlo».

La Carità: « ... Ebbe il servo di Dio una ardentissima carità. Per cominciare da quella verso Dio. Non può spiegarsi l'orrore che avea al peccato; particolarmente si affligea molto in sentire che alcuno nominava senza riverenza il suo santo nome. Alle volte camminava per le strade e udiva bestemmiarlo, e ne concepiva tal dolore che si vedea impallidito nel volto e quasi venir meno.

... Ascoltando le confessioni il suo maggior tormento era udir i peccati di bestemmia contro Dio, ed ho saputo da un padre pio operaio di gran bontà, che un giorno gli disse confidentemente il servo di Dio che ogni altro peccato fuorché questo soffriva e che in udendo sensibilmente affligeasi. Onde acciocché da coloro che sapeano il suo naturale d'impallidirsi all'orror di tal colpa non fusse stato osservato, con pericolo di rivelare così il sigillo della confessione, sempre che si mettea nel confessionario, tenea coverto il suo volto con un fazzoletto.

... Qualora il servo di Dio doveva nominare il nome di Dio lo faceva con tanta riverenza e timore che inarcava le ciglia, e chinava il capo riverentemente, e in tal modo cagionava, come io più volte l'ho udito e veduto, riverenza allo stesso Santo Nome e devozione ne' circostanti; e ciò che è da notarsi, inferiva rossore e confusione a coloro che per ogni occasione leggiera lo nominavano senza riverenza e vanamente.

Qualora predicava, come io l'ho udito, dicendo la Maestà di Dio, diffiostravasi tutto compunto, riverente, grave, e divoto, e proferiva queste parole con pronuncia lunga e tremante, e con voce sommessa; e mi avviddi che ogni volta che facea ciò, cagionava un terrore sensibile a tutti gli ascoltanti, i quali per lo concetto di Dio che faceano allora, pieni di timore sospiravano e si percuotevano il petto e gli chiedevano perdono, comunicando egli meravigliosamente negli altri la stessa riverenza che nel suo petto celava.

E perché dice lo Spirito Santo che ex abundantia cordis os loquitur, parlava spesso di Dio, ma con tal fervore che con queste parole infervorava chi l'udiva e a tutti parevano le sue parole come saette infuocate.

Amando Dio ardentissimamente, ardeva di desiderio di trattare con lui. E perciò io posso attestare che la sua vita fu una continua orazione.

Per tale effetto spesso si ritirava nelle solitudini, come fece abitando nel romitorio di San Sepolcro, in un altro di S. Maria a Castello sopra il Monte di Somma, nella casa di S. Maria de' Monti, e in quella di S. Maria di Montedecoro, onde levatone quel tempo che consumava in aiuto delle anime, e s'impiegava altresì in esercitar i vili esercizi della casa, tutto lo spendea in orazione.

La mattina faceva due o tre ore di orazione mentale, per esser quel tempo più proprio ad orare. Il giorno si ritirava in chiesa o in camera a far orazione, e in certe ore importune come sono quelle del riposo l'està dopo pranzo, e di più la notte mentre riposavano gli altri, se ne andava in chiesa e se ne stava ginocchioni in una devozione profonda come più d'uno segretamente osservò.

Orando non fu udito mai sospirare, né lo viddero mai seduto o appoggiato, ma facea la sua orazione ginocchioni sulla nuda terra. Facendo orazione alle volte fu veduto alzato da terra.

Da ciò mi sovviene un bellissimo fatto.

Nella chiesa di S. Agata dei Goti v'è un gentiluomo chiamato signor Simone Mastrantuoni, affezionatissimo del Padre Don Carlo, il quale ebbe da lui per promessa per sua consolazione e divozione che missionando in quei casali vicini veniva a pernottare in casa sua, e perciò il detto gli tenea riccamente apparecchiata solo per lui una stanza.

Una sera venne più del solito stanco dalle fatighe, onde, dopo aver cenato e favellato ancora di cose spirituali, particolarmente del frutto del missionare, fu condotto alla stanza apparecchiata per lui, ove lo forzarono a spogliarsi e mettersi a letto.

Dopo di questo il gentiluomo smorzò la candela e chiuse la porta, ordinando a quei di casa che non facessero rumore di sorta alcuna, anzi là vicino non parlassero per non interrompere il sonno del servo di Dio; ma il Padre Don Carlo subito si alzò dal letto e si pose ad orare; e con ciò argomento quanto si desse all'orazione in altri tempi, se si pose subito ad orare nella notte e venuto stanco dalle missioni.

Occorso, mentre tutti stavano ritirati in altro appartamento, di pigliare certa cosa vicino alla camera del padre; ed il signor Simone, per timore di non disturbargli il sonno, non volle mandarci niuno, ma egli ci andò per pigliarla senza farsi sentire.

Si avvide con questa occasione che dalle fessure della porta già chiusa usciva una luce insolita, dal che sommamente stupito si avvicinò a vedere che fosse, sapendo di certo aver egli smorzato il lume; ed osservò in mezzo alla camera uno splendore assai grande dentro il quale stava il servo di Dio P. D. Carlo Carafa con le mani giunte inginocchioni e con gli occhi verso il cielo e sollevato da terra.

Restò stordito e come fuori di sé il gentiluomo; mosso dal desiderio di far partecipi i suoi di casa di tal grazia, andò nell'appartamento dove essi stavano a chiamarli tutti, e tutti viddero lo stesso; e con grandissima meraviglia e consolazione, viddero il servo di Dio circondato da raggi, molto alto da terra, in atto di far orazione, con gli occhi in cielo e colle mani giunte, come appunto avea riferito il signor Simone.

Io, avendo saputo questo fatto, mi ho mandato a chiamare il detto Simone, i due suoi fratelli ed altri che stavano in sua casa, ed obbligatili a dirmi la verità, previo juramento ad sacramenta Dei evangelia, mi ho fatto riferire il successo, ed è come l'ho descritto. E in memoria di fatto così strepitoso, non vollero che più abitasse alcuno in detta camera, e fu essa convertita in oratorio, e si tiene in molta venerazione; e molti che viddero ciò sono ancora viventi, e narrano lo strepitosissimo fatto.

... Mi han protestato alcuni cavalieri napoletani suoi parenti, che essi intanto lo vedevano e trattavano, o quando l'incontravano per Napoli o l'andavano a trovare in San Giorgio, o altre case ove stava; che del resto in casa loro non si facea veder mai. Tanto che il signor Principe della Roccella, di casa Carafa, mi disse che essendo stato da un padre pio operaio invitato al funerale del servo di Dio, rispose volerci venire con gusto e ch'egli lo conosceva per averlo veduto per Napoli e riveritolo come religioso, non come parente, ma del resto egli non si fe' mai vedere da essi, e che poi, venuto in S. Giorgio Maggiore, parlando col nipote del servo di Dio gli disse: Bisogna che questo padre sia santo, perché non si pregiò, non visitò né fece mai conto di tutti noi altri suoi parenti.

E poiché non si può amare Dio senza amare Gesù Cristo e la Beata Vergine, derivò verso di ambedue l'affetto grande del servo di Dio dalla carità di cui ardeva verso Dio.

... Fu grande anche la carità del servo di Dio col prossimo nell'andare in giro a fare le sante missioni.

... Fu anche assai eccellente la carità del nostro servo di Dio verso la gente priva di nostra santa fede.

Per fine la carità grande del servo di Dio lo facea fatigar di continuo per aggiuto del prossimo, avendo egli per questa sua carità fondata la sua preziosissima Congregazione de' Pij Operarij, che fatica tanto per la salute dell'anime e può ben considerarsi quanto furono grandi le fatighe per questa fondazione e quanto anche furono grandi le fatighe per tante altre fondazioni tutte per utile del prossimo».