Il Venerabile Carlo Carafa

CENNI BIOGRAFICI


NASCITA E INFANZIA

Carlo Carafa nacque nel 15611 nella diocesi di Nola, a Mariglianella, antico feudo della famiglia Carafa, una delle più illustri del patriziato napoletano.

Il padre fu D. Fabrizio Carafa, dei duchi d’Andria e dei Conti di Ruvo, principe di Mariglianella; la madre, D. Caterina de Sangro, cugina di Alessandro arcivescovo di Benevento e patriarca di Alessandria.

Carlo non godé a lungo del sorriso dei genitori perché presto restò orfano, insieme ai fratelli Giacomo, Marcantonio e Decio. Il padre moriva nel 15632 e la madre seguì il marito dopo pochi anni.

I fratelli Carafa, tutti in tenera età, furono affidati ai tutori stabiliti nel testamento paterno, i nobili parenti Giovan Tommaso Carafa e Placido De Sangro i quali, oltre all’amministrazione dei beni familiari, avevano la più pesante responsabilità di assicurare un avvenire brillante ai loro pupilli.


ADOLESCENZA

I due fratelli maggiori, Giacomo e Marcantonio, furono mandati al seguito del loro parente D. Vincenzo Carafa3, nella carriera militare. Carlo invece, più piccolo, pensarono d’inviarlo in collegio.

La Compagnia di Gesù aveva iniziato la sua attività in Napoli il 16 agosto 1551. Nel 1557 la contessa D. Maria Sanseverino chiese l’apertura di un collegio a Nola, diretto dai padri Gesuiti e il P. Lainez, primo successore di S. Ignazio, ne accettò la proposta nel 1558 e il collegio fu inaugurato la prima domenica d’avvento del 1559 4

In questo collegio fu inviato Carlo come studente.

La scelta del collegio della Compagnia di Gesù non deve meravigliare se si tien conto che lo zio tutore di Carlo, Placido de Sangro, era un grande amico del primo Provinciale di Napoli, il P. Salmerone5.

Ben presto Carlo attrasse l’attenzione dei superiori che scorgevano in lui ottimi talenti. Schivava gli interessi puerili dedicandosi con serietà allo studio della letteratura; si appartava per pregare e chiedeva sempre di parlare di Dio.

Dice di lui il biografo De Luise:

«Devoto senza ostentazione, pietoso senza finzione, studioso senza orgoglio, era additato ai suoi condiscepoli dai maestri quale modello di virtù da imitarsi»6.

E il Sarnelli:

«Carlo si diè allo studio delle lettere e molto più all’acquisto delle virtù per maniera che l’età sola il dimostrava fanciullo, avendo peraltro il candore della vecchiaia nell’innocenza dei costumi »7.

Questi talenti furono tesorizzati per le cure dei padri Gesuiti, i quali lo aiutavano con costanza a costruire la sua personalità; ed egli, dal contatto specie con i padri spirituali, scorse in sé la vocazione religiosa.


CARLO CARAFA GESUITA

Chiese ed ottenne con sollecitudine dai superiori il permesso di entrare in noviziato, che era stato istituito, proprio accanto al collegio, in Noia, da S. Francesco Borgia, terzo Padre Generale della Compagnia, nel 1569.

Il passaggio dal collegio al noviziato, in novembre 1578, fu un passo importante e solenne; ma sembrò quasi un travaso naturale per raggiungere la mèta luminosa che si era prefisso: diventare sacerdote gesuita.

Erano suoi compagni di noviziato, tra gli altri, i giovani Marco Ferraro (da Catanzaro, poi missionario in Giappone e a Macao), Francesco Scipione Mogavaro (da Rossano di Otranto, morto in Giappone nel 1604), Pietro Paolo Navarra (da Laino, martire in Giappone nel 1622), Antonino Schipano (da Taverna, poi missionario a Goa, Malabar, Calcutta, Coccino, Salfete)8

Nel 1580 morirono in guerra, in Portogallo, i due fratelli maggiori Giacomo e Marcantonio; essendo Carlo diventato cadetto e quindi secondo erede, i tutori cercarono di convincerlo a tornare in famiglia per riprendere il suo posto e continuare le tradizioni. Non riuscendo a convincerlo, il mercoledì 11 maggio 1580 Io trascinarono via dal noviziato con la forza 9. Il provinciale P. Alfonso Sgariglia, in data 14 maggio 1580, comunica al Generale P. Mercuriano che Carlo Carafa ha lasciato il noviziato; ma, probabilmente non al corrente della violenza subita dal giovane, lo accusa di ipocrisia:

«Ha ingannato tutti tanto copertamente, si è portato senza dar mai minimo segno di ciò, anzi pareva molto costante ac buono; il Signore Dio gli dia gratia d’accorgersi del suo error»10.

Tornato a casa fu oppresso da grave malinconia.

«Vedendosi il nostro Carlo fuori della libertà dello spirito, che nella Religione godeva, e posto di nuovo tra le strettezze del secolo, appunto come l’uccello nella gabbia tenta sempre l’uscita alla libertà perduta, così tentava egli del continuo ritornarvi, benché fosse accarezzato dai suoi. Erano continue le sue lacrime, e profondi li sospiri, nè potevano le dolci offerte, e larghe promesse addolcire l’amarezza di quel cuore che stimatosi lontano da Dio, fonte d’ogni consolazione, ogni altra dolcezza rifiutava.

Pregava istantemente il Signore a rimetterlo nel suo nido donde conosceva la vita, per apprendere con quei santi esercizi il volo di quelle virtù che sollevano l'anima al cielo.

Il suo cibo era il digiuno, le vigilie il riposo, pianto il ristoro, grandi agi le penitenze e penosa morte l’istessa vita.

Osservandolo quei di casa maciato nel volto, mesto nel viso, e dato in preda ad una inconsolabile malinconia, temerono grandemente di sua salute: onde dopo replicati assalti d’inorpellate ragioni per abbattere la costanza del suo proposito e sempre via più forte scorgendolo, determinarono condescendere al suo volere, e rimetterlo alla Religione»11

Il 13 ottobre 1580 il P. Sgariglia comunica al Generale il ritorno di Carlo12 che riprende il noviziato con rinnovato fervore e concorre con la donazione di novemila ducati ad alleviare i debiti del collegio di Nola13.

Dopo la professione semplice, Carlo Carafa riprende lo studio della letteratura.

Intanto il P. Claudio Acquaviva, già rettore del collegio napoletano e provinciale a Napoli, è stato eletto Generale della Compagnia il 19 febbraio 1581, ha incrementato il Collegio Romano chiamandovi i più dotti insegnanti e gli alunni più promettenti della Compagnia.

Anche Carlo Carafa fu inviato nel Collegio Massimo per lo studio delle scienze. Fu discepolo attento e volenteroso di quegli insigni maestri, tra cui il celebre matematico P. Clavio, per la cui materia aveva particolare tendenza.

Non trascurava però la sua formazione cristiana e religiosa, che era per lui la grande scienza dei santi e come i Santi egli doveva soffrire tanto nel corpo che nello spirito.

Infatti la sua cagionevole salute non sopportò l’asprezza del clima, le mortificazioni, le penitenze. «Imperocché fu sopraggiunto da una febbre leggiera e continua, in modo tale, che pian piano divenne tisico»14 e più volte, nell'agosto 1582 ebbe delle emottisi e sputò sangue15. I medici consigliarono di rimandarlo a Napoli dove fu trasferito ai primi di settembre16.

Nel Collegio napoletano della Compagnia, dopo un apparente miglioramento, si aggravò nuovamente; in novembre e in dicembre di nuovo sputa sangue17. Il 29 dicembre scrive al Generale P. Claudio Acquaviva per ringraziarlo dell’autorizzazione più volte richiesta e finalmente concessa, di fare testamento a favore della Compagnia e per chiedere che le sue rendite fossero utilizzate per aprire un noviziato accanto al Collegio di Napoli18.

Intanto 1’11 novembre 1583 era morto anche il fratello Decio, chiedendo nel testamento che Carlo fosse tutore dei due figli. Dopo molte perplessità19 i superiori concessero il permesso nel mese di febbraio 158420.

In giugno 1584 il provinciale di Napoli, P. Ludovico Masselli, chiede ed ottiene dal P. Generale Acquaviva la facoltà di ammettere Carlo Carafa agli Ordini Minori21.

Ma lo stato di salute peggiora col sopraggiungere dell’estate e Carlo è anche preoccupato per la sorte dei nipoti. Perciò il 12 luglio scrive al Generale chiedendo licenza di restare fuori della Compagnia per due o tre anni per rimettersi in salute e sistemare gli affari degli orfani di suo fratello. Insiste con un’altra lettera datata 26 luglio; ma la risposta del Generale Acquaviva, del 4 agosto 1584, giunge quando Carlo è già fuori della Compagnia di Gesù22.

Uno storico della Compagnia scriverà in seguito:

«E qui ci rincresce di non poter annoverar fra tanti che utilmente duraron nella Compagnia, Carlo Carafa, che due volte ammessovi, due volte abbandonolla... E' bensì vero ch’egli compensò finalmente quell’abbandonamento con l’avvalersi della nostra educazione a gran cose in servizio di Dio»23.


CARLO CARAFA MILITARE

Dalla Compagnia di Gesù Carlo si trasferì a Mariglianella, nel suo feudo di campagna, dove in tre anni di cure e di riposo si ristabilì completamente.

Aveva chiesto alla Madonna la grazia di guarire e l’aveva ottenuta. Ora doveva dimostrarsi grato e riconoscente. Perciò restaurò una chiesetta detta di S. Galeone (o Calione, Calionio, Galiano) della quale aveva il diritto di patronato e ne mutò il titolo denominandola «S. Maria della Sanità»; trasformò la casa adiacente e l’adattò a convento, donandola ai Padri Domenicani con una cospicua rendita per il servizio del tempio24.

Rinvigorito nella salute, fuori dall’ambito religioso, a contatto con gli amici secolari, Carlo fu investito dallo spirito mondano. Il corteggiamento dei suoi feudatari gli ricordava la nobiltà del suo casato; il ricordo dei suoi antenati eroi gli accese la fantasia, per cui pensò di emularne le gesta: andrà militare.

Chiese ed ottenne il comando di una compagnia del battaglione di Nola. Nel 158725 fu chiamato col grado di capitano di fanteria al servizio del re di Spagna Filippo II nella guerra contro i Luterani nelle Fiandre dove, ferito diverse volte, diede prova di valore, esempio di carità ad ufficiali e soldati.

Nel 1594 ripassò le Alpi al seguito del suo parente D. Vincenzo Carafa, impegnato nella guerra contro i Calvinisti di Enrico IV in Savoia26 ammirato e temuto nello stesso tempo da tutti. Tornò in Napoli col grado di sergente maggiore, titolo allora molto onorevole, rifiutando la carica di generale offertagli dalla repubblica di Venezia.

Nel 1598 fu chiamato dal generalissimo D. Pietro di Toledo a combattere contro i Turchi col grado di luogotenente generale. L’8 settembre entrò vittorioso con le sue truppe nella città di Patrasso strappata ai Turchi27.


CARLO CARAFA PRIGIONIERO DEL MALE

Tornato vittorioso dalle guerre, Carlo Carafa si adagiò tranquillo sugli allori mietuti; si formò in Napoli una casa molto elegante, degna del suo casato e, inebriato dall’euforia del trionfo e dalla gloria che gli veniva da ogni parte, dimenticò la virtù cristiana e lo spirito di preghiera e si abbandonò all'ozio, movente di ogni vizio e quindi, mondanità, banchetti, scurrilità con amici immorali, case da gioco. Il suo nome, che era stato fino allora degno di rispetto e di ammirazione, divenne sinonimo di lussuria e di vergogna. S’invaghì di una donna che tenne in casa sua «more uxorio».

Tale stato però durò solo pochi mesi.

Certamente la Vergine, di cui Carlo era immensamente devoto, attraverso un tragico episodio, gli toccò il cuore. Un suo servo teneva una relazione peccaminosa con una donna della servitù; della stessa donna s'invaghì un altro uomo. Il rivale, d’accordo con la donna, lo uccise. I colpevoli tentarono di giustificarsi dicendo di avere ucciso per ordine di Carlo, con la speranza che il fatto si sarebbe messo a tacere trattandosi di un nobile; ma Carlo fu messo in prigione, e la prigione fu la sede in cui decise seriamente di cambiare vita. Riconosciuto innocente, presto fu liberato28.

Con difficoltà vinse gli ultimi assalti del suo io, che gli consigliavano di recarsi al palazzo reale per far valere i suoi meriti di guerra e ottenere incarichi onorifici. Entrò in profonda meditazione, pianse le sue colpe, licenziò tutte le donne al suo servizio, si tagliò la barba, i baffi e i, capelli, togliendo così alla sua figura ogni segno di nobiltà e, ancor vestito da militare, si recò al collegio della Compagnia di Gesù, dove si confessò e si mise nelle mani di un padre spirituale.


CARLO CARAFA SACERDOTE

Dopo un periodo di esercizi spirituali, riprese gli studi di teologia insieme agli alunni del Collegio della Compagnia, preparandosi al sacerdozio. Avendo già ricevuto precedentemente la Tonsura e gli Ordini minori, tramite il suo amico Card. Pietro Aldobrandino, nipote di Papa Clemente VIII, ottenne la dispensa dall’irregolarità per aver partecipato alle guerre e la facoltà di ricevere gli Ordini maggiori senza interstizi in tre giorni festivi29.

Nel giorno di S. Stefano, 26 dicembre 1599, nel collegio dei padri gesuiti, ricevette il Suddiaconato; il giorno seguente, festa di S. Giovanni, il Diaconato; e nella solennità della Circoncisione, 10 gennaio 1600, fu ordinato sacerdote da Mons. D. Giulio Cesare Carafa, vescovo di Ostuni, suo parente30.

Caratterizza immediatamente il suo sacerdozio con la carità, in modo particolare verso gli ammalati dell’ospedale degli Incurabili. Prende in fitto una stanzetta vicino all’ospedale e vive poveramente con un unico domestico. E' presente ovunque tra i condannati a morte, tra i maomettani.


INIZI DELLA CONGREGAZIONE

Con alcuni sacerdoti napoletani iniziò la predicazione di missioni al popolo rurale; andava a piedi per le contrade e nei dintorni di Napoli predicando e amministrando i Sacramenti.

Nonostante le numerose attività apostoliche, ha gran cura della nascente comunità e insieme ai suoi missionari costruisce la chiesa e la casa della Madonna dei Monti ai Ponti Rossi, alla periferia di Napoli.

Il Carafa, che in pochi anni aveva fondato e diretto numerosi conservatori femminili per meretrici convertite, nel 1605 viene chiamato dal Card. Ottavio Acquaviva a riformare e reggere il Seminario di Napoli, restandovi fino al 1614.


VITA DI CONGREGAZIONE

Schivo degli onori, volle osservare le Regole da lui scritte — sulle quali ritorneremo più diffusamente — tornando semplice suddito ogni volta che scadeva il sessennio di superiorato. Così nel 1608 rinunzia alla carica di preposito generale, alla quale in seguito più volte fu rieletto, costretto ad accettare dall’unanime preghiera dei suoi figli spirituali.

Dopo l'inutile tentativo dei primi anni, tornò a Roma per chiedere l’approvazione delle Costituzioni, che ottenne da Gregorio XV il 1° aprile 1621.

Nel 1625 ritornò a Roma, a piedi, per lucrare il giubileo e ne tornò, sempre a piedi, in gravi condizioni.

Nel 1626 fonda chiesa e casa di Montedecoro nei pressi di Maddaloni in diocesi di Caserta, che fu poi la sua dimora preferita, sia per la solitudine e le varie possibilità di apostolato, sia perché gli evitava gli onori di cui era continuamente circondato a Napoli.

L’eruzione del Vesuvio del 16 dicembre 1631 lo trova a Napoli per il disbrigo di alcuni affari della Congregazione. In tale occasione organizza manifestazioni penitenziali; lui stesso, con fune al collo e gran croce sulle spalle, percorre le vie di Napoli e con esortazioni e canti invita tutti alla conversione. Molte meretrici lo seguono e decidono di cambiare vita. Fonda per esse un altro Conservatorio, quello di S. Maria del Presidio.



MORTE DI CARLO CARAFA

Agli inizi dell’anno 1633, D. Carlo Carafa comincia a parlare della sua prossima morte.

Il 10 aprile, il Capitolo Generale avrebbe voluto eleggerlo preposito generale per un terzo triennio consecutivo, in deroga alle Costituzioni; ma egli rifiutò

«assegnando per motivo di tal rifiuto, non il mancamento d’affetto verso di loro, né il desiderio di propria quiete, ma uno stimolo che sentiva nel cuore di prepararsi da suddito, sotto l’indirizzo altrui, per mezzo della santa obbedienza, alla morte, che in quell’anno gustar dovea»31.

Ritorna a Montedecoro dove si ammala gravemente; i padri di S. Giorgio lo trasportarono a Napoli. La malattia durò 53 giorni; le sofferenze che sopportò furono tremende. Dopo un’agonia di 19 giorni, l’8 settembre 1633, giorno della Natività di Maria, come aveva predetto, spirò, guardando il Crocifisso.

I biografi Gisolfo, Sarnelli, De Luise, e i testimoni nei diversi processi per la Beatificazione raccontano di vari prodigi operati da D. Carlo sul letto di morte e dopo32.

Fu sepolto nella chiesa di S. Giorgio Maggiore. I resti mortali furono traslati il 30 ottobre 1969 nell’ipogeo della chiesa di S. Nicola alla Carità, dove si conserva anche la maschera di cera fatta prima dell’inumazione


CAUSA DI BEATIFICAZIONE

La Causa di Beatificazione fu iniziata nel 1645; ma gli atti andarono distrutti da un incendio33. Il secondo processo informativo fu iniziato il 30 giugno 1654 e fu chiuso affrettatamente nel 1656 mentre a Napoli infieriva la peste nella quale morirono quasi tutti i Pii Operai.

Il 24 novembre 1740 iniziò il processo apostolico che continuò fino al 23 marzo 1745.

Il 23 dicembre 1832 Papa Gregorio XVI proclamava l’eroicità delle virtù del Venerabile P. D. Carlo Carafa.


P. Giovanni Esposito

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1 Si ignora il giorno e il mese. Già al tempo della causa di beati­ficazione, nel 1797, non fu possibile presentare un certificato di battesimo perché la parrocchia di Mariglianella non aveva registri antecedenti al 1603 (BNP, H782, n. 1453, n. 12).

2 Litta, Famiglie celebri d'Italia, vol. XV: famiglia Carafa; Biagio Aldimari, Istoria genealogica della famiglia Carafa, libro III, Napoli, Bulifon, 1691, pp. 51-60.

3 Antonio Bulifon, Giornali di Napoli a cura di Nino Cortese, vol. I, Napoli, 1932, p. 49.

4 M. Volpe, I Gesuiti nel napoletano, vol. I, Napoli, D’Auria, 1914, p. 3; Schinosi, Istoria della Compagnia di Gesù appartenente al Regno di Napoli, Napoli, Muzio, 1706, parte II, torno II, p. 128. Con l’apertura del collegio di Nola ha inizio la provincia napoletana della Compagnia di Gesù.

5 Sacchini, Historia Societatis Jesu, pars III. Cfr. Berardo Candida Gonzaga, Memorie delle famiglie nobili, vol. III, Napoli, 1876, p. 211; Pietro Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli, torno IV, libro XXXII, cap. 5.

6 Gaspare De Luise, L'apostolo di Napoli - memorie della vita del Ven. P.D. Carlo Cara/a, Napoli, 1890, p. 6.

7 Pompeo Sarnelli, Compendio della vita del Ven. SdD P.D. Carlo Cara/a, Napoli, 1825, p. 7.

8 Sacchini, op. cit., pp. 341-350.

9 Pietro Gisolfo, Della vita del P.D. Carlo Carafa, fondatore della Congregazione de' Padri Pij Operaij, Napoli, Fusco, 1667, p. 10.

10 Arsj, Ital. 156, fol. 95v.

11GISOLFO, op. •cit., p. 11.

12 ARSJ, Neap. 2, fol. 59.

13 Ibid., fol. 53 v

14 Gisolfo, op. cit., p. 13.

15 Arsj, Lettere del 25 agosto 1582 al marchese di S. Ermo e a Decio Carafa (Neap. 2, fol. 148 v).

16 Il Generale P. Acquaviva scrive al Provinciale P. Masselli in data 31 agosto 1582: «Si manda il fratello Carlo Caraffa, il quale per avere sputato sangue, a parere de medici si troverà meglio di cotest’aria nativa. So che V.R. darà ordine che di lui si tenga ogni cura.

E perché detto fratello non si trova troppo bene a Roma, potrà ristarsi in cotesta provincia ove potrà molto bene servire e per le sue buone parti non dubito sarà caro a V.R. » (Arsi, Neap. 2, fol. 150).

17 Arsj, Neap. 3, fol. 10 v.

18 Arsj, Ital. 157, ff. 126-128. Cfr anche Neap. 2, ff. 193 e 204; Neap. 3, ff. 10v, 11, 18, 28, 37.

19 Le perplessità del P. Acquaviva derivavano dalla opposizione delle costituzioni e delle leggi comuni che un religioso potesse amministrare i beni familiari; il Generale era contrario che Carlo accettasse anche il semplice titolo di tutore affidando ad altri l’amministrazione (ARSJ, Neap. 3, ff. 6v, 8, 18v, 19)

20 I «Dottori» interpellati dai Gesuiti napoletani erano stati «di parere che in questo caso possa legittimamente il fratello Carlo accettar questo carico», per cui il Generale P. Acquaviva dispensa dalle costituzioni (ARSJ, Neap, 3, ff. 20 v-21).

21 ARSJ Neap. 3, f. 41

22 Cfr. ARSJ, Ital. 60, ff. 31 v, 34 v-35.

Il 4 agosto 1584, il P. Acquaviva scriveva a Carlo Carafa:

«Ho visto con assai mio dispiacere quanto scrivete intorno allo starvene fuor della Compagnia due o tre anni per le necessità dei vostri nipoti et de gli intrighi della tutela.

Ben vi ricordate, fratello carissimo, quanta difficoltà si fece da noi nel permettere che v’impiacciaste in simili cose, ma ci si rappresentò la necessità tanto grande et il modo così facile del non esservi disturbo, che finalmente si condiscese.

Hora poiché così lo giudicate necessario, et per dire il vero lo stare nella Compagnia non si compatisce con tanti traffichi temporali, ci contentiamo che possiate liberamente andare con la benedittione del Signore.

Piaccia a Dio che sia con utilità di quelli poveri pupilli, et non con danno vostro, che certo trovandovi così mal disposto pareva più tempo di ricogliersi per prepararsi a morire che dall’uscire a nuove occasioni di distrattioni.

La Compagnia vi sarà sempre madre, et pregheremo il Signore che vi drizzi et confermi nella strada del suo servitio.

Quando poi saranno passati questi due o tre anni (che non siamo però sicuri di haverli -a vivere) se rassettate queste cose dimanderete di ritornare, ci risolveremo all’hora di quel che sarà più servitio di Dio, perché obbligarcisi d’adesso non pare spedienti, et lo stare fuori et esser huomo della Compagnia non è fattibile.

Della donatione si sospenderà l’applicatione per questo tempo, come desiderate » (ARSJ, Ital, 60, ff. 46-47, su pergamena).

23 Shinosi, op. cit., parte I, p. 368.

24 Raffaele A. Ricciardi, Marigliano e i comuni del suo manda­mento, Napoli, 1893.

Per la donazione della chiesetta di S. Maria della Sanità e casa relativa ai Domenicani, ci furono delle difficoltà da parte del Promo­tore della fede in occasione della causa di beatificazione, in quanto sem­brava che con detta donazione il Carafa avesse esorbitato nell’uso del diritto di patronato della famiglia e ledesse i diritti dei nipoti.

Nell’APON (cart. III, fase. 2) si conserva la copia dei chiarimenti forniti dal Postulatore, da cui risulta che la donazione fu autorizzata dal vescovo, di Nola e che i beni ceduti ai Domenicani furono permutati con altri di esclusiva proprietà di Carlo Carafa.

25 Secondo altre fonti, questa spedizione militare potrebbe essere avvenuta nel 1593. Cfr. BULIFON, op. cit., I, p. 61; Accadérnie Royale de Belgique, 5ème série, t. II, p. 368: Le gentilhomme Cara/a.

26 Cfr. Bulifon, op.cit., I, p. 65.

27 Cfr. Giovanni Riso, Variae Virtutum Historiae, Lione, 1644, p. 292.

Nella casa di S. Maria dei Monti sono conservate alcune tele che rappresentano scene della vita militare di Carlo Carafa.

28 Cfr. Gisolfo, op. cit. pp. 42-43.

29 Cfr. ibid., p. 56; De Luise, op. cit., p. 32.

30 Cfr. ibid., p. 56; De Luise, op. cit., p. 32.

31 Gisolfo, op. cit., p. 368.

32 Cfr, anche G. Rho, op. cit., p, 493.

33 Del primo processo informativo parla Carlo De Lellis, Parte seconda, o' vero supplimento a NAPOLI SACRA di D. Cesare d'Engenio Caracciolo, Napoli, Mollo, 1654, p. 38.